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CAPITOLO 2 Il carcinoma colon-rettale

2.3. I Terapia

Un ruolo di sempre maggior importanza, nell’ambito della malattia avanzata, sta acquisendo la terapia sistemica con l’impiego di agenti chemioterapici in varie combinazioni (oxaliplatino, irinotecan, TAS-102) e farmaci a bersaglio molecolare (antiangiogenetici e anticorpi monoclonali anti-EGFR). Ad oggi, il trattamento della malattia avanzata non può prescindere dall’analisi delle caratteristiche molecolari del tumore, con particolare riferimento allo stato mutazionale di RAS e BRAF, che forniscono indicazioni predittive e prognostiche utili per impostare la terapia più appropriata per ogni singolo paziente.

La strategia terapeutica ottimale è determinata tenendo conto di vari fattori, quali: obiettivo terapeutico (dipendente dalle caratteristiche tumorali e della terapia, e dalle condizioni del paziente), esame clinico, esami di funzionalità ematopoietica, renale ed epatica, livelli dei marcatori tumorali (il più importante è il CEA), valutazione radiologica della neoplasia e valutazione generale delle condizioni cliniche del paziente. Il paziente viene quindi classificato come fit, adatto, o unfit, inadatto, alla somministrazione di trattamenti chemioterapici intensi.

Nell’ambito del setting di malattia metastatica si distinguono due categorie principali di pazienti: con metastasi resecabili o non resecabili. I primi sono suscettibili di trattamento chirurgico accompagnato o meno da trattamento sistemico con intento curativo. La seconda categoria comprende pazienti con metastasi non resecabili alla presentazione, ulteriormente suddivisibili in soggetti sottoponibili a trattamento intensivo con scopo citoriduttivo e soggetti per i quali il trattamento non è necessario poiché l’obiettivo della terapia è il controllo della malattia.

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Nella figura 2.1 è descritto l’algoritmo di trattamento di Zurigo per il carcinoma colon-rettale metastatico.

Figura 2.1 Algoritmo di trattamento di Zurigo del carcinoma colon-rettale metastatico. BSC, Best Supportive Care.

La categorizzazione dei pazienti al fine di individuare la migliore strategia terapeutica passa per due momenti: il primo è la distinzione tra fit e unfit, il secondo si basa sulla determinazione dello stato molecolare del tumore, in particolare per quanto riguarda i geni RAS e BRAF. I trattamenti a disposizione sono di tre tipi: locali (chirurgia, o trattamenti ablativi locali), chemioterapici (fluoropirimidine, oxaliplatino, irinotecan) e a bersaglio molecolare (antiangiogenetici, bevacizumab e aflibercept, anticorpi anti-EGFR, cetuximab e panitumumab, inibitori tirosin-chinasici, regorafenib).

Il trattamento di tipo chirurgico deve essere indirizzato alla resezione completa della lesione, quando possibile, considerando sia i criteri “tecnici” (chirurgici) che “oncologici” (prognostici). Nel caso più frequente la localizzazione è epatica, per cui una lesione è da considerarsi tecnicamente resecabile se è perseguibile la resezione macroscopica completa con il mantenimento di almeno il 30% della massa epatica o di un rapporto tra il peso del fegato e del corpo >0,5. Il criterio oncologico fornisce indicazioni prognostiche predittive e considera, tra gli altri, il numero delle lesioni e il sospetto di malattia extraepatica. Nella fattispecie, i trattamenti chirurgici sono rappresentati dalla resezione epatica, e da trattamenti ablativi locali e locoregionali schematizzati nella figura 2.2.

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Figura 2.2 Trattamenti ablativi.

La terapia sistemica si avvale dell’impiego di farmaci citotossici e a bersaglio molecolare, variamente combinati nelle diverse linee di terapia.

La terapia di prima linea prevede tipicamente l’impiego di una doppietta di citotossici (FOLFOX, CAPOX, FOLFIRI) o, se possibile, la tripletta FOLFOXIRI o una monoterapia a base di fluoropirimidine, entrambe le combinazioni in pazienti estremamente selezionati. I farmaci a bersaglio molecolare sono indicati nella terapia di I linea nella maggioranza dei pazienti, a meno di controindicazioni:

- Gli antiangiogenetici possono essere utilizzati in tutte le combinazioni di citotossici precedentemente elencate;

- Gli anticorpi anti-EGFR possono essere impiegati con le combinazioni FOLFOX/FOLFIRI e dovrebbero essere evitati in associazione a terapie a base di capecitabina o 5-FU in bolo.

Storicamente, i pazienti continuavano la chemioterapia fino alla progressione di malattia, o fino alla comparsa di tossicità inaccettabili. Tuttavia, la pratica clinica ha evidenziato i rischi del proseguo della terapia citotossica, in particolare quella contente oxaliplatino, poiché spesso le tossicità da accumulo compaiono prima della progressione di malattia. Di conseguenza, si è cominciato a sfruttare la sospensione e/o la combinazione intermittente di chemioterapia e terapia di mantenimento, nei pazienti con malattia stabile o con risposta al

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trattamento. Ovviamente, il tipo di mantenimento dipenderà dalla terapia cui il paziente si è sottoposto in precedenza.

La seconda linea di trattamento indica la terapia che il soggetto riceve nel momento in cui si registra il fallimento della strategia di prima linea, e dovrebbe essere offerta al numero più ampio possibile di pazienti. Generalmente, è indicata nei soggetti con un buon performance

status e una funzionalità d’organo adeguata. Anche in questo caso, la combinazione

farmacologica dipende dal trattamento precedentemente somministrato:

- I pazienti bevacizumab naive possono essere trattati con un antiangiogenetico. L’impiego di aflibercept deve essere limitato ad una combinazione con FOLFIRI nel pazienti andati incontro a progressione con regimi a base di oxaliplatino;

- I pazienti che hanno ricevuto bevacizumab in prima linea, possono essere trattati con: bevacizumab in strategia di post-continuazione; aflibercept o ramucirumab (associato a FOLFIRI) se sottoposti anche a trattamento con oxaliplatino; anticorpi anti-EGFR in associazione a FOLFIRI/irinotecan se RAS wild-type;

- I pazienti che si mostrano rapidi progressori con i regimi di chemioterapia di prima linea a base di bevacizumab dovrebbero essere trattati con aflibercept o ramucirumab (solo in combinazione a FOLFIRI) e, se non precedentemente trattati con anticorpi anti-EGFR e RAS wild-type, con terapia a bersaglio molecolare con anticorpi anti- EGFR preferibilmente in associazione ad un citotossico.

Nella terapia di terza linea si possono impiegare i seguenti trattamenti:

- Nei pazienti RAS e BRAF wild-type non precedentemente trattati con anticorpi anti- EGFR, è possibile considerare la terapia con cetuximab e panitumumab;

- Si raccomanda l’utilizzo del regorafenib e di trifluridina/tipiracil nei pazienti pre- trattati con fluoropirimidine, oxaliplatino, irinotecan, bevacizumab, e in associazione agli anticorpi anti-EGFR nei pazienti RAS wild-type [14].

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