alla sua lavorabilità.
I limiti di Atterberg riferiti alle terre prese in esame sono stati realizzati sulla frazione 0/400 μm di materiale. I risultati sono stati i seguenti:
VALORI Limite di Liquidità
(Wl) Limite di Plasticità (Wp) Limite di plasticità (lp) Ahbaben % 20 13 7 Abidat % 24 17 7 Prova Proctor
Nella compattazione di una terra il contenuto d’acqua risulta un parametro fondamentale. Aggiungendo acqua ad una terra asciutta in percentuali ottimali, si favorisce lo scorrimento reciproco delle particelle determinando un migliore addensamento. Vi è una quantità ottimale di acqua per la compattazione, con la quale si può ottenere il massimo della densità della terra.
La prova di compattazione in laboratorio ha lo scopo di determinare la quantità d’acqua da aggiungere alla terra in cantiere per ottenere il massimo grado di compattazione. Con questa prova si ottiene anche il valore della massima densità ottenibile con la quantità ottimale di acqua, questo valore servirà di confronto con quello ottenuto in cantiere.
Il campione individuato, setacciato a 10 mm è stato oggetto della prova Proctor statica.
Risultati:
VALORI Densità secca massima (kg/m3) Tenore in acqua ottimale (%)
Ahbaben 1907 10
Abidat 2030 10
Sostanze chimiche presenti - Cloruri (Cl), Solfati (So3), Materie organiche
VALORI Cloruri (Cl) % Solfati (SO3) % Materie organiche
Ahbaben 0.04 0.12 0.1
Abidat 0.7 0.3 0.8
Interpretazione dei risultati
Dai risultati ottenuti si può notare la similitudine tra le due terre, molto ricche nella frazione sabbiosa fina e relativamente povere di elementi argillosi indis- pensabili per una efficace coesività degli impasti. Le successive individuazioni dei limiti di Atterberg confermano la scarsa capacità coesiva del materiale.
I risultati ci confermano dunque un uso corretto del materiale che, nella tradizione come nell’attualità, viene utilizzato con la tecnica del pisé e con la tecnica dell’adobe. Per il pisè, infatti, la quantità di argilla risulta essere ade- guato ad ottenere una muratura sufficientemente compatta e stabile, anche in virtù del fatto che la terra non contiene ghiaie ma solo frazioni > 2cm.
risulta adeguata, sebbene la quantità di argilla sia piuttosto scarsa. È vero anche che, secondo gli operatori locali, sia preferita per la produzione di adobe la terra proveniente da Ahbaben, leggermente più argillosa.
Entrambe le terre sono, per contro, molto adatte ad essere utilizzate come malta per intonaco, il quale richiede impasti poco argillosi (< 10%) e con- tenenti una frazione sabbiosa molto fine (sabbie fini e limi con 0,2 < Ø > 0,002 mm).
10.3 Legno
Palma
Una palma raggiunge circa i 6 metri di altezza verso i 50 anni di vita, ma può arrivare fino ai 30 metri. Della palma viene utilizzato tutto, dalla chioma alle radici: la parte superiore per realizzare gli architravi delle porte e delle finestre, le foglie di palma per gli strati intermedi dei solai e complementi di arredo, gli scarti del taglio del legno e la paglia come combustibili, i frutti per l’alimentazione. La parte intermedia è utilizzata per la produzione di travetti secondari per solai, mentre la parte inferiore (fino a circa 3 m. di altezza) è la porzione più resistente ed è utilizzata quindi per le travi portanti.
Il legno di palma viene utilizzato oltre che per la realizzazione del sistema di chiusura orizzontale intermedia e di copertura, anche per la realizzazione di scale ed inoltre per gli architravi di porte e finestre. Tutto il legname di palma utilizzato in edilizia proviene dall’oasi, in cui abbonda.
Il taglio del tronco di palma avviene manualmente ed è effettuato da manodopera specializzata. Risulta essere un processo molto delicato, a causa della struttura fortemente fibrosa del legno, e tutt’ora effettuato esclusivamente a mano.
Per la realizzazione delle travi viene utilizzata la parte inferiore della palma, la più resistente a sollecitazioni meccaniche. Da ogni fusto di palma si ricavano due tronconi principali, poi suddivisi in tre parti, ed un terzo troncone che comprende la parte sommitale del fusto. La lunghezza dei singoli elementi varia tra i 2,5 e i 3 metri, in ragione della ridotta ca- pacità portante del legno e questo è fattore determinante della larghezza massima degli ambienti delle abitazioni ed il loro conseguente sviluppo longitudinale. Il legno che avanza dal taglio dei tronconi alla base del fusto, di minore sezione, è usato per piccoli architravi per aperture e per realizzarne i tavolati per le porte e le mensole.
Anche il kernaf (o karnef), attacco triangolare della foglia della palma di dimensione 34 x 20 x 4 cm circa, corrispondente alla parte iniziale dei rami, viene utilizzato, per la realizzazione dei solai. Viene disposto con orientamento alternato tra le travi dei solai a chiusura delle piccole luci (circa 30 cm.).
La chiusura con kernaf può essere sostituita da spezzoni di ramo di oleandro essiccati, scelti dello stesso diametro e colorati. In questo modo sono realizzati i solai più raffinati.
Oleandro
L’oleandro, conosciuto localmente con il come laurier rose, è un arbusto sempreverde che cresce in terreni apparentemente asciutti, ma umidi nel substrato o negli alvei fluviali con scorrimento superficiale normalmente nullo o pressoché nullo, ma capaci di piene improvvise di portata eccezi- onale (wadi). Può raggiungere i 5 metri di altezza, ha rami estremamente resistenti anche dopo l’essiccazione. Usato come materiale costruttivo di finitura, è reperibile nei pressi dell’oasi nelle adiacenti località Tfilia e Amialih. Nella costruzione dei solai di abitazioni di pregio vengono utilizzati rami di oleandro dal diametro di circa 3 cm e colorati con tinture naturali nelle tonalità del rosso, bianco verde e nero, disponendoli uno accanto all’altro a spina di pesce in modo da formare geometrie semplici, in sostituzione dei kernaf. I solai così realizzati prendono il nome di tataoui
10.4 Calce
Un tempo a Figuig si produceva una grande quantità di calce, come testimoniano ancora i resti dei forni sparsi attorno alla città. Le rocce calcaree sono presenti in grande quantità nei dintorni dell’oasi, tra le tante la cava più importante si trova a nord dello ksar Hammam Fougani, nella regione di Hitama. Si stima che da questa cava si estraggano quotidianamente, nel periodo di maggiore lavoro, 180 m cubi al giorno di materiale. Si tratta di un calcare di ottima qualità, che fornisce una calce molto pura e resistente.
La calce viene utilizzata per la realizzazione degli intonaci, delle finiture, dello strato superficiale delle coperture e nei sistemi di evacuazione dell’acqua lungo le murature (i siyalat, realizzati in sostituzione dei discendenti). L’intonaco di calce crea un perfetto strato di impermeabilizzazione all’acqua, tanto che tradizionalmente anche le vasche di raccolta dell’acqua freatica ne venivano rivestite. In questo caso la calce veniva mescolata con cenere, il che le conferiva una tenuta ancora maggiore.
Tutta la lavorazione delle calci avviene in modo artigianale, con procedure tradizionali. La cottura è fatta in forni che si trovano al di fuori del centro abitato, dentro i quali le pietre (circa 25 tonnellate) vengono sistemate a creare la cupola di chiusura del forno stesso. Per la cottura viene utilizzato legno e rami di palma essiccati (circa 5 tonnellate). In fase di cottura si rag- giunge una temperatura di 900°C-1000°C. La fase di cottura dura tre giorni, al termine dei quali il fuoco viene estinto mediante la chiusura della bocca del forno con adobe e una miscela di terra umida. Dopo due settimane si tolgono le pietre, eliminando quelle che non risultano ben cotte, ottenendo circa 14-16 tonnellate di calce viva. Lo spegnimento della calce così ottenuta ha una durata di circa 45 minuti, dopo i quali il materiale è pronto all’uso.
Dopo qualche anno di abbandono delle attività produttive a partire dagli anni ’70 alcuni artigiani hanno ripreso a produrre la calce. Al momento sono attivi a Figuig due forni presso il ksar Hammam Foukani, uno presso il ksar Zenaga e uno a Laabidat, che garantiscono insieme
Adobe
Secondo la tradizione orale, l’impasto di terra, sabbia e acqua veniva preparato in passato con largo anticipo rispetto al suo impiego e lasciato riposare per un periodo variabile tra i 15 giorni e i tre mesi. Durante questo periodo l’impasto veniva cos- tantemente umidificato e rigirato, in modo da rompere le zolle di terra e permettere la saturazione completa dell’argilla. L’impasto era privo di additivi di origine vegetale o animale ed era invece spesso mescolato con la calce, al fine di ottenere elementi più resistenti. Il composto di terra e sabbia umidificato veniva pestato con i piedi da un operatore che “sentiva” così al tatto l’omogeneità dell’impasto, che veniva poi trasportato con secchi all’area di confezionamento, dove un altro operatore plasmava i mattoni con le mani, dando loro la caratteristica forma prismatica con gli spigoli arrotondati.
Questa forma ha caratteristiche “ergonomiche” e rende il mat- tone facilmente maneggevole.
Attualmente l’impasto viene preparato secondo modalità non differenti da quanto tramandato dalla tradizione, secondo le seguenti fasi:
- si setaccia la terra attraverso un vaglio a maglie di circa di 0.5 cm
- si dispone la terra a “cratere” ed al suo interno viene versata una quantità d’acqua determinata in base all’esperienza del produttore, fino al raggiungimento dello stato plastico.
- si amalgama il composto con i piedi o con la pala
- si lascia riposare l’impasto per almeno due settimane. Questo permette di fatto la saturazione completa dell’argilla, facilita la lavorazione e la rottura delle zolle, migliora la qualità dei mattoni e diminuisce le fessurazioni causate dal ritiro del materiale in fase di essiccazione . - si formano con le mani i blocchi, o con l’ausilio di stampi
il legno o metallo
- si lasciano essiccare per almeno 20 giorni, preferibilmente non direttamente al sole
Lo stesso impasto, in forma più liquida, è anche utilizzato, du- rante la costruzione, come malta e come intonaco di finitura.
(Foto: M. Achenza)