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Terragni, il Razionalismo e la pietra.

2.1 MODERNITÀ LITICHE

2.1.4. Terragni, il Razionalismo e la pietra.

Significativa, e forse unica, è stata in questo senso l’esperienza progettuale e costruttiva di Giuseppe Terragni, che per certi versi riassume gli aspetti fondamentali e l’evolversi della ricerca di un equilibrio tra la tradizione e la modernità. Anche se la sua opera e la sua personalità sono state oggetto di importanti studi ed approfondimenti255, è importante sottolineare la centralità che la pietra ha avuto nella sua riflessione teorica e progettuale, volta a ricercare gli elementi di continuità tra la tradizione classica e la Nuova Architettura.

L’opera di Terragni è profondamente radicata nelle esperienze figurative delle avanguardie artistiche italiane, dal momento che egli stesso le ha vissute in prima persona, promuovendo il reciproco scambio tra Arte e Architettura e cercando di portare i risultati nella quotidianità della realtà professionale. Tale esperienza è stata influenzata sia dal Futurismo che da Metafisica e si è articolata attraverso la partecipazione all’astrattismo comasco di Mario Radice e di Manlio Rho, oltre che all’adesione a Novecento concretizzatosi nel lungo rapporto di collaborazione con Mario Sironi256. Se con i primi condivideva l’utilizzo della geometria come base formale dell’architettura, che si è tradotto nell’impiego del telaio come griglia compositiva e costruttiva dell’edificio, con il secondo partecipò alla profonda riflessione sulle radici classiche dell’arte italiana. Questa eterogenea base culturale consentì a Terragni di impiegare la pietra secondo modalità inedite, figurative e costruttive, quando le condizioni esterne – soprattutto quelle politiche – consiglieranno o imporranno tale scelta. Questo si tradusse in un impiego della pietra come strumento pittorico e plastico dove la decorazione non è una sovrastruttura posticcia, ma il completamento indispensabile della nuova architettura, soprattutto negli edifici ad elevato contenuto simbolico.257

      

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M.Labò, Giuseppe Terragni, il Balcone, Milano, 1947, E.Mantero, Giuseppe Terragni e la città del Razionalismo italiano, Dedalo, Bari, 1969; T.Schumacher, Terragni e il Danteum, Officina, Roma, 1980; B.Zevi, Giuseppe Terragni, Bologna, Zanichelli, 1980; T.Schumacher, Giuseppe Terragni 1904-1943, Electa Milano, 1993; Giuseppe Terragni. Opera Completa (a cura di G.Ciucci), Electa, Milano, 1996; S.Poretti, la Casa del Fascio di Como, NiS, Roma, 1998; A.Terragni, D.Libeskind, P.Rosselli, Atlante Terragni, Skira, Milano, 2004. Numerosi sono stati anche gli articoli apparsi sulle riviste a partire dagli anni ’60: P.Koulermos, The work of Terragni, Lingeri and Italian Rationalism, in «Architectural Design», vol. 23, 03/1963; AA.VV., Omaggio a Terragni, (numero monografico), «L’architettura, cronaca e storia», 14/1968, AA.VV., La figura e l’opera di Giuseppe Terragni, (numero monografico), «L’architettura, cronaca e storia», 15/1969, P.Eisenmann, Dall’Oggetto alla Razionalità: la Casa del Fascio di Terragni, in «Casabella» n°344, 1970; M.Tafuri, Il soggetto e la maschera, in «Lotus» n°20, 1978; Giuseppe Terragni, (a cura di D.Vitale), «Rassegna» n°11 - settembre 1982.

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Novecento, a cui aderirono Carrà, Sironi, Campigli, Martini e Morandi, si presentò inizialmente come un movimento europeista che si dedicava a portare ad un livello di maggiore condivisione della poetica di Metafisica, attenuando quel sentimento di magia e mistero e virando decisamente verso quel realismo corposo che ne diventerà il tratto distintivo, prima di perdersi nel tentativo di diventare ‘arte di stato’. Sulla partecipazione di Terragni alle avanguardie artistiche italiane degli anni ’20 e ’30: L.Caramel, Terragni e gli astrattisti comaschi, in «Quadrante lariano» n°5, settembre-ottobre 1968, pp.43-53; F.Benzi, Sironi e l’architettura. La collaborazione con Giuseppe Terragni, in E.Pontiggia (a cura di), Sironi e il mito dell’Architettura, Mazzotta, Milano, 1990; A.Dal Fabbro, Il progetto razionalista. Indagine sulle procedure compositive nelle grandi architetture di Terragni, Mucchi Editore, Modena, 1994.

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Tale visione, comune a Sironi e Terragni, si manifestò compiutamente nei progetti del Palazzo del Littorio (1934) e del Danteum (1940), dove venne ricercata l’integrazione delle arti attraverso

Per comprendere l’apparente contraddizione tra la modernità dichiarata da Terragni, ad esempio nei progetti per la Prima Mostra di Architettura Razionale del 1928 o nel Novocomun e l’uso, assolutamente consapevole, della pietra nella sua successiva architettura, è necessario riflettere sulle modalità di adesione di Terragni al Movimento Moderno, espresse nel 1926 nel Manifesto del Gruppo

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Il Manifesto rimane, pur nelle sue contraddizioni259, un importante strumento per comprendere sia l’architettura di Terragni, sia le coordinate culturali entro cui si mosse in generale il Razionalismo italiano e dunque le ragioni e le modalità che portarono all’impiego della pietra anche da parte delle avanguardie, nel momento in cui si fece più forte il controllo della politica sull’architettura e l’indirizzo dato dal Fascismo circa l’uso della pietra divenne un imperativo, sia per ragioni celebrative che di opportunità economica.

L’argomento centrale del programma è il rapporto tra la Modernità e la Tradizione, dove il passato continua ad essere un serbatoio di valori simbolici e spirituali e continua fonte di ispirazione

Il desiderio dunque di uno spirito nuovo nei giovani è basato su una sicura conoscenza del passato, non è fondato sul vuoto. [...] Tra il passato nostro e il nostro presente non esiste incompatibilità. Noi non vogliamo rompere con la tradizione: è la tradizione che si trasforma, assume aspetti, nuovi, sotto i quali pochi la riconoscono. [...]

Da noi in particolare, esiste un tale substrato classico, lo spirito (non le forme, il che è ben diverso) delle tradizione è così profondo, che evidentemente e quasi meccanicamente la nuova architettura non potrà non conservare una impronta tipicamente nostra. E questa è già una grande forza; poiché la tradizione, come si è detto, non scompare, ma cambia aspetto.260

Proprio in questa continuità risiede la specificità dell’esperienza razionalista italiana, in particolare quella di Terragni, che portò a vedere l’architettura Razionale come una naturale evoluzione di quella classica Tale pensiero non implicava, almeno in un primo tempo, un esplicito impiego della pietra quale espressione di questo legame, ma piuttosto un ritorno ai suoi valori spirituali. Dal punto di vista stilistico questo si tradusse in un’allusione ai principi compositivi e costruttivi della classicità, più che ad una citazione letterale degli stili storici; mentre il linguaggio classico basato sulla grammatica degli ordini e sulla

        l’utilizzo del bassorilievo direttamente scolpito sulle superfici di pietra dell’edificio, realizzando così non una semplice sovrapposizione, ma la compenetrazione tra pittura, scultura e architettura.

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Il Manifesto venne pubblicato su diversi numeri di «Rassegna Italiana»: "Architettura", 12/ 1926, "Gli stranieri", 02/1927, "Impreparazione, incomprensione, pregiudizi" 03/1927, "Una nuova epoca arcaica" 05/1927. Gli articoli furono successivamente ristampati nel 1935 sui numeri 23 e 24 di «Quadrante».

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Sulle ingenuità ed aporie di alcuni passaggi della formazione del Razionalismo in Italia: C.De Seta, La cultura architettonica in Italia, op.cit., pp.177-196.

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simmetria, venne sostituito con uno nuovo, fondato su diversi valori formali, quali ritmo, proporzione ed equilibrio261.

Questa posizione è all’origine di un primo scostamento dai principi del Movimento Moderno: se da un lato viene condiviso il ruolo del telaio in cemento armato nella definizione formale dell’architettura, dall’altro è presente un atteggiamento critico nei confronti del rapporto forma/funzione. Sul superamento della dicotomia struttura/rivestimento della tradizione ottocentesca viene enunciato che

[...] l’architettura, trovandosi da poco in possesso di un mezzo meraviglioso, il cemento armato, che veramente si può considerare nuovo, poiché l’uso che se ne è fatto finora, credendo necessario nascondere la sincerità del materiale sotto rivestimenti fittizi, e forzandolo entro schemi tipicamente stilistici, ha fatto sì se ne ignorino ancora le straordinarie possibilità estetiche, tali, come abbiamo detto, da capovolgere alla sua stessa base la ricerca architettonica.262

Questo pose per Terragni il problema della monumentalità del telaio in cemento armato e quindi della rappresentatività dell’edificio, che negava la posizione anti- monumentale e anti-retorica del Movimento Moderno

[...] da tutti, o quasi, in Italia è negata al cemento armato la possibilità di arrivare a valori monumentali. Ora, nulla di più erroneo: se c’è materiale suscettibile di raggiungere una monumentalità classica, è proprio il cemento armato, ed esso deriverà precisamente dal razionalismo.263

Questa ricerca era strettamente legata a quella del ‘monumento’ moderno che ha caratterizzato la cultura italiana degli anni ’20 e ’30, cioè di architetture che fossero in grado di misurarsi il Partenone, il Colosseo o Santa Sofia, non da un punto di vista teorico e puramente logico, come le ‘macchine’ di Le Corbusier, bensì su di un piano reale e concreto. Questo poteva essere raggiunto impiegando il telaio in cemento armato secondo un nuovo ordine, direttamente dedotto dalle sue leggi interne

La pietra ed il mattone hanno per tradizione secolare un’estetica loro, nata dalle possibilità costruttive e divenuta ormai istintiva per noi. Il significato dell’architettura antica, sta nello sforzo di vincere il valore di pesantezza del       

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Questo predisposizione a vedere la tradizione come fonte inesauribile di valori spirituali, è chiaramente riconducibile all’esperienza di Metafisica e alla sua visione evolutiva del processo creativo artistico: la continuità con la storia e la tradizione, entro la quale è possibile innovare i meccanismi che portano alla creazione dell’opera d’arte senza l’elemento stilistico, senza dover ripetere le forme della storia, individuando piuttosto gli elementi atemporali del classicismo, i meccanismi che portano alla creazione dell’opera d’arte senza l’elemento stilistico. F.Poli, La Metafisica, op.cit., p.61.

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Il Manifesto del Gruppo 7, in «Quadrante» n°24, aprile 1935, p.23.

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Ibidem, p.23. La questione della monumentalità nell’architettura moderna e degli edifici in cemento armato e delle strutture metalliche venne affrontata anche da Giuseppe Pagano, che vi si dedicò soprattutto a partire dal 1937, quando tramontò definitivamente la possibilità di trasformare il Razionalismo in “Arte di Stato”, in vista dell’E42, l’Esposizione Universale di Roma che avrebbe dovuto affermare il primato culturale dell’Italia.

materiale, che lo farebbe tendere verso terra. Dal superamento di questa difficoltà statica nasceva il ritmo: l’occhio era appagato da un elemento o da una composizione di elementi, quando questo o questi apparivano per forma e collocamento, avere raggiunto il perfetto riposo statico. È chiaro, come dalla ricerca di esso, siano nate le proporzioni, gli oggetti, le dimensioni, tradizionali. Ora, questa scala di valori, col cemento armato perde ogni senso e ogni ragione di essere: dalle sue nuove possibilità (enormi aggetti; grandi aperture e conseguente intervento del vetro, come valore di superficie; stratificazione orizzontale; pilasti sottili), esso deriva necessariamente una nuova estetica, completamente diversa da quella tradizionale, e lo scheletro generale della costruzione, la spartizione ritmica dei pieni e dei vuoti, assumono forme del tutto nuove.264

Esisteva poi una profonda differenza tra l’International Style e l’architettura di Terragni circa l’utilizzo del telaio. Nel primo caso, infatti, esso assunse una autonomia formale che, associata ad un rivestimento quanto più astratto, serviva a sottolineare l’aspetto volumetrico dell’edificio. Per Terragni invece la struttura a telaio doveva diventare l’archetipo della nuova architettura razionale da porre a fianco del sistema trilitico greco e del fornix romano. Tuttavia il telaio non era un elemento autonomo, ma faceva parte di una costruzione muraria dove era impiegato compositivamente come un sistema architravato per piani modulato secondo un nuovo rapporto di pieni e di vuoti; le sue potenzialità strutturali determinavano principalmente l’ampliamento delle aperture e l’assottigliamento di travi e pilastri.

Il legame con questo substrato classico determinò anche lo svincolamento dell’equazione forma/funzione e il richiamo ai valori spirituali dell’arte, affermato da Terragni in una visione del funzionalismo condivisa con Sironi

[...] il funzionalismo, che non è sempre arte ma pratica, diviene arte quando, alla indubbiamente benemerita fatica ordinatrice aggiunge un valore di creazione, di grafia, un ritmo e un equilibrio particolare. Il funzionalismo è spesso lo scheletro sul quale la natura provvida deve disporre l’incanto della carnagione e lo splendore delle forme. Non ci lasceremo dunque impressionare dai principi puramente utilitari dell’architettura, né dalla retorica degli anti-retorici. Come ci opponemmo in anni lontani alla velocità della riflessione del gusto in nome della fermezza e del giudizio, ci opponiamo ora a questa sorta di industrializzazione del pensiero e della sensibilità265.

Il confronto tra la spiritualità e il pragmatismo dei valori razionali, all’interno della definizione di una nuova monumentalità moderna, diventò di estrema attualità nel 1934, nella scelta di rivestire in marmo di Botticino le facciate della

      

264

Ibidem, p.23.

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Il Manifesto del Gruppo 7, in «Quadrante» n°24, p.25; F.Benzi, Sironi e l’architettura, op.cit., pp.119-124. Il superamento del meccanicismo funzionalista e la rinnovata attenzione per la tradizione, in particolar modo quella vernacolare, diventerà nel corso degli anni ’30 un tema centrale per tutto il razionalismo europeo, impegnato, proprio sull’esempio italiano, a ricercare le proprie radici culturali, identificate nell’architettura spontanea mediterranea, vista come archetipo funzionale della moderna architettura razionale.

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Casa del Fascio di Como, considerato da Terragni come un caso esemplare di architettura «fascista e moderna»266.

La decisione nacque da una critica da parte delle gerarchie locali di «scarsa monumentalità» dell’edificio, la cui costruzione era già iniziata da oltre sei mesi, ma che allo stesso tempo si allineava con le linee del governo di autosufficienza economica del paese, che prevedevano il largo impiego di pietre e marmi italiani nei nuovi edifici pubblici. Per superare quella che Terragni riteneva un’indebita ingerenza nella sua visione del regime come “Casa di vetro” da parte di politici ottusi legati alla tradizione, egli ricorse ad un rivestimento sottile concepito come omogenea e continua placcatura. Questa scelta che sarebbe potuta sembrare estranea ai principi del Razionalismo, venne giustificata invece proprio attraverso la sua funzionalità: la pietra ha il duplice compito di proteggere l’edificio come un intonaco duraturo, ed allo stesso tempo di rappresentare i valori politici del fascismo attraverso il nuovo rivestimento lapideo, allusione alla tradizione muraria italiana

Questo rivestimento non va inteso come un fatto decorativistico, ma come una necessità pratica, e come un 'problema risolto'. L’Italia, ricchissima di pietre naturali (calcari, saccaroidi, gneiss, brecce, graniti) è nella fortunata situazione di poter fornire ai suoi architetti moderni la soluzione conveniente (se confrontata al costo di certi rivestimenti in graniglia, praticati all’estero) del problema delle grandi e nude pareti che la rigorosa esegesi della moderna architettura pretende alle nostre costruzioni.

E’ pertanto necessario opporre alla azione disgregante degli agenti atmosferici – acqua, sole, vento, nebbia, gelo – che il clima del nostro Paese riunisce o alterna con frequenza nei loro massimi, una superficie che resista nelle migliori condizioni. Dopo varie esperienze, ritengo esaurientemente risolto il problema col rivestimento in marmo. [...] Architetti stranieri in visita alle nostre costruzioni razionaliste hanno più volte notato il largo impiego che noi Italiani facciamo del marmo; edotti, poi, dei costi del materiale e confrontandoli con quelli dei 'surrogati' esteri, essi si rendono perfettamente conto della posizione di vantaggio che noi abbiamo di poter usufruire di così ottimo ed elegante 'intonaco'. Analogo criterio mi ha assistito nella scelta e nell’impiego del marmo nella Casa del Fascio267.

Nella definizione di questa sottile epidermide, giocò un ruolo di primo piano la scelta di utilizzare delle lastre di grandi dimensioni e di annullare i giunti con una sigillatura a base di polvere di marmo. In questo si ottenne la percezione dell’edificio come un unico blocco lapideo, dove il Calcare di Botticino viene trattato alla pari degli altri materiali industriali, «spinto al massimo delle sue doti e delle sue possibilità: nessun aggetto, nessuna gronda, la massima cura però nello studio delle parti orizzontali [...]»268 secondo una precisa trasposizione alla costruzione in pietra del principio dell’architettura razionale, che voleva

      

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Sulla storia del progetto e del cantiere della Casa del Fascio: S. Poretti, La casa del fascio di Como, in G. Ciucci (a cura di), Giuseppe Terragni. Opera completa, Milano 1996, pp.391-407; S. Poretti, La Casa del Fascio di Como, Nis, Roma 1998.

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G.Terragni, I marmi, dalla Relazione della Casa del Fascio di Como, in «Quadrante» n°35-36, ottobre 1936, ora in A.Terragni, D.Libeskind, P.Rosselli, Atlante Terragni, op.cit, p.28.

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Antonio Sant’Elia, Torre, 1914 [26] [27] [28] [29] [30]

Antonio Sant’Elia, Torre, 1914 [31] [32] [33] [34] [35] [36]

l’impiego di pareti lisce e monocrome. Questo si avvicinava anche ad una comune visione del rivestimento sottile come intonaco duraturo, che si era diffusa a partire dalla metà degli anni ’20 di fronte alla deperibilità degli intonaci di cemento usati all’esterno269. Per Terragni costituì soprattutto il segno di una ritrovata continuità del Razionalismo italiano con le sue radici classiche, assolutamente coerente con l’utilizzo da parte di Terragni di una struttura che non costituisce un sistema indipendente (come impongono i principi razionalisti della pianta e della facciata libera), ma che si integra con le pareti esterne ed interne. Nel corso degli anni ’30 vennero indetti una serie di concorsi nazionali per la realizzazione importanti edifici con cui celebrare il progresso raggiunto dal Paese con il Fascismo, e dei monumenti con cui il Regime voleva affermare la sua politica di potenza in continuità con il passato imperiale romano.

Nel Concorso per il Palazzo del Littorio (1934-1937)270, in quello per il Palazzo dei ricevimenti e dei congressi all’E42271 (1937-1938) e nel progetto per il Danteum272 (1938-1940), Terragni si confrontò con architetture ad elevato contenuto simbolico, le cui esigenze andavano oltre quelle semplicemente funzionali e dove l’impiego della pietra assumeva un preciso e importante ruolo di rappresentazione del potere politico.

In tutti questi progetti, mai realizzati, Terragni rispose agli stimoli e agli indirizzi culturali della committenza politica, in maniera sempre innovativa e coerente con la sua ricerca architettonica. Il punto di partenza era sempre la riflessione sulla natura muraria dell’architettura italiana e l’individuazione dei suoi archetipi formali e costruttivi (muro, pilastro, colonna), oltre alle sue possibili

      

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Inizialmente anche il Padiglione Svizzero alla Città Universitaria (1929-1933) di Le Corbusier doveva essere realizzato in lastre di pietra a giunti sfalsati, ma successivamente si ripiegò su pannelli in cemento. Nel 1936, di fronte al degrado degli intonaci esterni di Villa Stein a Garches, Le Corbusier ipotizzò un suo rivestimento con sottili lastre di calcare duro. G.Fanelli, R.Gargiani. Il principio del rivestimento., op.cit. p.264.

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Il concorso per il Palazzo del Littorio venne indetto alla fine del 1933 e si concluse con la mostra dei settantadue progetti selezionati tra gli oltre cento presentati, inaugurata il 23 settembre 1934. Il concorso ottenne grande visibilità sulle riviste dell’epoca: G.Pagano, Per il Palazzo del Littorio. L’opinione di «Casabella», in «Casabella» n°73, gennaio 1934; G.Pagano, Palazzo del Littorio: Atto primo, scena prima, in «Casabella» n°72, luglio 1934; G.Pagano, Il concorso del Palazzo del Littorio, in «Casabella» n°82, ottobre 1934; P.M.Bardi, Il concorso del Palazzo su via dell’Impero, in «Quadrante» n°18, ottobre 1934; M.Piacentini, Concorso per il Palazzo del Littorio, (numero monografico) di «Architettura», 12/1934. Successivamente ci fu una seconda competizione nel 1937 e, successivamente, una terza nel 1940. Sulle vicende specifiche del concorso: M.Zammerini, Concorso per il Palazzo Littorio, Idea&Immagine, Torino, 2002.

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Il concorso per il Palazzo dei ricevimenti e dei congressi all’E42 venne bandito nel giugno del 1937. Dopo alterne vicende vinse il progetto di Adalberto Libera, modificato da Piacentini in fase esecutiva. Sul concorso: Concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, (numero monografico) di «Architettura», 12/1938; Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi (architetti Lingeri, Terragni e Cattaneo), in «Costruzioni-Casabella» n°158, febbraio 1941.

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Il progetto del Danteum venne commissionato a Terragni e Lingeri nel 1938, per interessamento di Rino Valdameri, direttore dell’Accademia di Brera e presidente della Società Dantesca Italiana, e dell’industriale milanese Alessandro Poss che avrebbe sostenuto economicamente l’impresa. Il progetto, che avrebbe occupato l’area dei Fori Imperiali prevista per il Palazzo del Littorio nel 1934, era la celebrazione della Divina Commedia e allo stesso tempo del Fascismo e di Mussolini, il cui Imperium era stato predetto dal Poeta; l’edificio non venne mai iniziato a causa dello scoppio della guerra. T.Schumacher, Quando Terragni parlava con Dante (inediti sul progetto per il Danteum di Roma), in «Parametro» n°46, maggio 1976; T.Schumacher, From Gruppo 7 to the Danteum. A critical introduction to Terragni’s Relazione sul Danteum, in «Oppositions» n°9, estate 1977; T.Schumacher, Terragni e il Danteum, Officina, Roma, 1980.

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combinazioni (trilite, portico). Questi elementi venivano poi resi formalmente autonomi e sottolineati attraverso l’ideazione di soluzioni costruttive nelle quali la tecnica moderna era strumentale al conseguimento della nuova monumentalità. In questo processo di forte astrazione tecnica e formale, dove convergevano le reminiscenze costruttiviste, futuriste e metafisiche, la pietra veniva forzata nei suoi limiti tecnologici, che le facevano perdere ogni riferimento con l’antichità, facendola diventare il mezzo privilegiato per rafforzare il legame concettuale tra

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