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6.12 Test ELISA su H4/H4 deiminato
L’istone H4 é una delle cinque proteine istoniche principali che vanno a costituire la struttura portante dei nucleosomi e quindi della cromatina. Viene rilasciato nella sua forma deiminata nei NET.
Il giorno precedente al test viene effettuato un coating su una piastra da 96 pozzetti, utilizzando sia H4 deiminato che non a 10 µg/ml, 25 µl a pozzetto. La piastra viene lasciata incubare overnight a 4 °C. Il giorno seguente viene rimosso il contenuto dei pozzetti e la piastra viene poi portata a saturazione in PBS, BSA 3% per circa 60 minuti; nel frattempo vengono diluiti i campioni 1:100 in PBS BSA 1 % Tween 0,05 % NaCl 0,5M. L’elevata concentrazione di NaCl in questo tampone è importante perché inibisce le reazioni aspecifiche tra anticorpi presenti nel siero dei pazienti e gli istoni sulla piastra che potrebbero verificarsi a causa della carica degli istoni (il pI dell’H4 è 11.37 e a pH neutro la molecola è ricca di cariche positive).
Abbiamo analizzato 7 soggetti sani, 12 AR ACPA + e 12 AR ACPA negativi (gli stessi analizzati sulla S100 A8/A9).
La piastra viene lasciata incubare per due ore e mezzo a temperatura ambiente sull’agitatore. Scaduto il tempo viene eliminato il contenuto dei pozzetti e vengono fatti tre lavaggi con PBS, Tween 0,05 da
5 minuti. Viene preparato l’anticorpo secondario, un Anti-human IgG F(ab’) 1:3000 in PBS, BSA 1% Tween 0,05% lasciato incubare per 2 ore e mezzo RT. Una volta eliminato il contenuto dei pozzetti vengono fatti di nuovo tre lavaggi in PBS, Tween 0,05% e viene poi aggiunto il substrato: una pasticca di fosfatasi alcalina (PNPP) in 5 ml di tampone carbonato e 10 µl di MgCl2 un cofattore enzimatico che accelera la reazione. Al termine dell’esperimento la piastra è stata visualizzata con spettrofotometro a 405 nm come lunghezza d’onda (λ).
49 7. RISULTATI
STIMOLAZIONE NEUTROFILI
Per valutare se i neutrofili purificati da pazienti AR mostrassero un più alto livello di NETosi spontanea rispetto ai neutrofili dei soggetti sani, abbiamo valutato in immunofluorescenza la co- espressione di MPO/DNA in neutrofili immediatamente fissati su vetrino dopo purificazione. Come mostrato nella Fig. 1 (c), il tasso di NETosi spontanea dei neutrofili di pazienti di AR è incrementato di circa 6 volte rispetto a quello dei neutrofili di pazienti sani (p= 0.05).
La figura 1 mostra anche un esempio di NETosi spontanea in soggetti di controllo (a) e in pazienti con AR (b).
Fig 1. NETosis spontanea in NHS e RA. Il grafico indica la % NET spontanei calcolata come numero
50 Ruolo dell’EBV nell’induzione di NETosi
Il virus dell’EBV infetta spontaneamente le cellule dell’epitelio orofaringeo e le cellule B ed numerosi studi suggeriscono un suo ruolo nella patogenesi di diverse malattie autoimmuni.
Per valutare se EBV fosse in grado di indurre NETosi in neutrofili da soggetti con AR e NHS, abbiamo fatto crescere fino ad over growth la linea cellulare B-95a, recuperato il SN ricco di particelle virali attive e utilizzato tale SN oppure il virus arricchito e “purificato” oppure il SN delle B95a deprivato dal virus (mock), per indurre la NETosi nei neutrofili dei pazienti con AR e/o sani.
I neutrofili purificati da soggetti con AR e dai controlli sani mediante gradiente sono stati incubati con le due diverse preparazioni contenenti EBV attivo, il SN delle B-95a e il virus purificato. Il campione mock è stato usato come controllo delle preparazioni virali, mentre la stimolazione con PMA è stato usato come controllo positivo.Come mostrato in Fig 2 sia il SN delle B-95a che il campione con EBV “purificato” inducono un incremento significativo del numero di cellule esprimenti MPO rispetto al mezzo da solo ma non rispetto al mock. E’ da notare che la sola espressione di MPO non identifica i NET i quali sono invece individuati dalla presenza di un filamento DAPI+ MPO+, tanto che il campione trattato con PMA (potente induttore di NETosi) non si differenzia molto, per esempio, dal campione tratto con il “mock”
51 Fig 2. Percentuale di cellule esprimenti MPO in neutrofili di pazienti RA versus NHS trattati con il
mock medium, solo medium, PMA, EBV supernatante o EBV pellet.
Se analizziamo, invece, l’espressione contemporanea di MPO e filamenti di DNA (DAPI), osserviamo chiaramente che sia il SN delle B-95a, che il campione con EBV purificato inducono un forte incremento di NETosi (filamenti DAPI+/MPO+) nei neutrofili sia di pazienti con RA che nei controlli sani (Figura 3). Il livello di NETosi indotto dai campioni contenenti EBV è circa 6 volte superiore di quello indotto dal controllo mock ed è addirittura superiore anche a quello del controllo positivo (PMA). Inoltre, abbiamo osservato che il campione con EBV “purificato” induce nei neutrofili di pazienti con AR un maggiore aumento di NETosi, rispetto al supernatante delle B-95a che pure contengono particelle di EBV.
52 Fig 3. Percentuale di cellule esprimenti MPO in neutrofili di pazienti RA versus NHS trattati con il
53 Fig 4. Immagini rappresentative di IF per MPO/DAPI in neutrofili di pazienti RA trattati con PMA,
SN delle B-95a, EBV “purificato” e campione “mock”.
Per valutare se l’EBV inducesse attivazione dei processi apoptotici durante le tre ore di incubazione con i neutrofili, abbiamo trattato le cellule con gli stessi stimoli usati per indurre NETosi e abbiamo valutato in immunofluorescenza, l’espressione della forma attiva della caspasi 3. Come possiamo osservare dalla figura seguente, il trattamento con cicloesimide (CHX) e TNF-a induce elevata espressione della forma attiva della caspasi 3 nelle cellule, segnale distintivo di apoptosi. Il trattamento con il virus EBV non porta ad espressione della caspasi 3 cleaved, e quindi non induce apoptosi nei neutrofili.
54 Fig 5. Immagini rappresentative di IF per Anti-cCasp 3 in neutrofili di pazienti RA trattati con EBV
e CHX + TNF-α
Effetto dei NET sulla produzione di citochine da parte dei monociti
L’osservazione che EBV è capace di indurre NETosi in neutrofili purificati, ci ha spinto a valutare se
i NET ottenuti in questo modo potessero a loro volta indurre attivazione in altre cellule del sistema immune. A questo scopo abbiamo purificato neutrofili e monociti dallo stesso soggetto, indotto NETosi nei neutrofili con PMA, con i campioni contenenti EBV e con i controlli e coltivato i monociti dello stesso paziente con i NET ottenuti dalla stimolazione dei neutrofili, usando come controllo positivo di stimolazione dei monociti l’LPS.
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Abbiamo recuperato il surnatante dei monociti dopo 24 e 72 ore dallo stimolo ed valutato la quantità di IL-6 e TNF-alfa prodotte nella coltura. Per questo scopo abbiamo usato un test ELISA sandwich commerciale prodotto da R &D System.
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Nei grafici troviamo sull’asse delle ascisse i differenti stimoli dei monociti, sull’asse delle ordinate la concentrazione espressa in pg/ml delle differenti citochine.
Nel grafico a) si osserva una grande differenza di produzione di IL-6 tra i monociti “non stimolati” rispetto a quelli stimolati con “LPS”, sia al T1 (24 hrs) che al T2 (72 hrs). I monociti non stimolati producono livelli molto bassi di IL-6. La stimolazione dei monociti con i NET-PMA, i NET-EBV e i NET-mock inducono produzione di IL-6 ma tra loro non si osservano differenze.
Nel grafico b) osserviamo differenza di produzione di TNF-alfa tra i monociti “non stimolati” e quelli stimolati con “LPS”, che funziona da controllo positivo. Nei surnatanti a 24 hr (T1) la produzione di TNF-alfa è invece aumentata nei monociti stimolati con NET-spontanei, i NET-EBV e i NET-PMA rispetto a quelli stimolati con i NET-Mock. Le differenze non raggiungono la significatività statistica, ma i livelli di TNF-alfa nei campioni con i NET-EBV e NET-PMA sono il doppio dei NET-mock.
S100A8/A9 e H4
La presenza nei NET di qualsiasi origine di proteine modificate in fase post traduzionale ed in particolare la descrizione della presenza di proteine citrullinate (istoni H4, H2B, H3 e proteine come S100A8, S100A9, S100A11 etc…) ci hanno spinto ad analizzare se la semplice citrullinazione fosse condizione sufficiente a creare in tutte le molecole epitopi autoreattivi, target di risposta autoanticorpale in pazienti con AR.
A questo scopo abbiamo deiminato in vitro sia la proteina S100A8/A9 che l’istone H4, che sappiamo essere rilasciate nella forma deiminata nei NET. Una volta verificata l’effettiva deiminazione
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mediante Dot-Blot, abbiamo valutato mediante test ELISA la presenza nel siero di soggetti sani (n=6) e con AR (n=16) di anticorpi contro le due proteine nella forma deiminata e in quella non deiminata.
La figura 6 mostra i risultati ottenuti
Fig.6
Come si può evincere dal grafico a), nei soggetti con AR non sussiste una differenza statisticamente significativa tra la reattività nei confronti di S100A8/A9 deiminata verso la non deiminata
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Il grafico b) invece mostra che i pazienti con AR hanno un livello di anticorpi specifici per H4 significativamente differente rispetto ai soggetti di controllo (p<0.02). Tale reattività è specifica per la forma deiminata dell’H4, tanto che all’interno della popolazione con AR le differenze tra reattività con H4 deiminato verso H4 sono significativamente differenti (p<0.0001).
59 8. DISCUSSIONE
L’artrite reumatoide è la più frequente delle malattie autoimmuni, ha una patogenesi multifattoriale, nella quale il ruolo dei singoli fattori resta ancora da chiarire completamente. Esiste sicuramente una suscettibilità genetica, con fattori che predispongono all’insorgenza della malattia; fattori ambientali e comportamentali, come il fumo, giocano un ruolo importante; agenti infettanti batterici come il Porfiromonas gengivalis, o virali, come l’EBV o il Parvovirus B19, possono contribuire all’induzione di malattia; eventi traumatici possono rappresentare l’evento che scatena la prima risposta infiammatoria che poi, in soggetti predisposti, può cronicizzare e trasformarsi in patologia autoimmune [2].
In questo panorama, il ruolo delle diverse cellule del sistema immune, coinvolte nella risposta innata e adattativa, resta ancora da chiarire completamente
L’obiettivo principale di questo elaborato è stato quello di indagare come il sistema immunitario innato con i suoi due principali protagonisti neutrofili e monociti, essendo fortemente coinvolto nella difesa primaria contro i patogeni e nell’induzione delle risposte immunitarie adattative, sia coinvolto nella patogenesi dell’Artrite Reumatoide.
I neutrofili sono uno dei primi tipi cellulari ad essere reclutati a livello di un sito infettivo, dove possono sconfiggere i patogeni usando diversi meccanismi. Uno di questi in particolar modo, che prevede una modalità di uccisione extracellulare che non richiede un up-take fagocitico, è stato oggetto di studio in questo elaborato. Questo meccanismo è noto come NETosi (da NET - Neutrophils extracellular traps) poiché il neutrofilo va incontro a morte, rilasciando DNA decondensato e proteine quali istoni o enzimi dei granuli citoplasmatici in un pattern di molecole che ha un aspetto simile ad una rete (net) [19].
Il corretto bilanciamento tra proliferazione e morte cellulare, gioca un ruolo molto importante nella risoluzione dei processi immunitari. Un aumento non controllato dei processi proliferativi, oppure un
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mancato controllo della clearance delle cellule morte, può alterare questo equilibrio e può contribuire ad alimentare lo stato infiammatorio.
Come ogni tipo cellulare anche i neutrofili sono soggetti ad una fine regolazione, in questo senso. La NETosi è un evento fisiologico ed utile nel controllo delle infezioni, ma quando la produzione di NET non è controllata oppure quando i NET stessi non vengono correttamente eliminati, l’evento fisiologico può trasformarsi in evento pro-infiammatorio [1].
I fattori che possono contribuire ad alterare questo equilibrio possono essere numerosi e sono ancora oggetto di studio.
In questo elaborato di tesi, in particolar modo, ci siamo soffermati sull’eventuale ruolo di EBV (Epstein-Barr virus), uno dei principali fattori di rischio infettivo per l’AR, nell’induzione di NETosi.
Abbiamo analizzato la NETosi spontanea ed indotta dal virus in pazienti con AR e in soggetti sani di controllo.
I dati ottenuti valutando in immunofluorescenza la liberazione da parte dei neutrofili di reti di DNA e MPO, hanno mostrato in primis che il tasso di NETosi spontanea dei neutrofili di pazienti con AR è incrementato di circa 6 volte rispetto a quello dei neutrofili di pazienti sani.
Questo risultato conferma i dati presenti in letteratura e suggerisce che alterazioni nei processi di morte cellulare potrebbero influenzare i normali processi cellulari, stimolare processi infiammatori e rappresentare un primo evento di induzione di autoimmunità.
Un dato importante che emerge dai nostri esperimenti è che i campioni contenenti EBV (SN B-95a e EBV “purificato”) inducono un incremento significativo di NETosi sia nei pazienti con RA che nei controlli sani, e che il livello di NETosi indotto da EBV è circa 6 volte superiore di quello indotto dallo stimolo mock (rappresentato dal mezzo di coltura delle cellule B-95a deprivato dal virus e quindi nostro controllo negativo), e addirittura superiore anche a quello del controllo positivo di NETosi (PMA).
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E’ interessante notare che tra i due trattamenti con EBV “purificato” e con il surnatante delle B-95a,
il primo induca una NETosi massiva, rilevabile chiaramente dalle immagini di immunofluorescenza, dove le cellule infettate da EBV “purificato” mostravano aree di elevata densità di filamenti di NET che quasi impedivano la rilevazione della tipica morfologia nucleare bilobata.
E’ da notare infine che PMA, EBV da B-95a ed EBV pellet oltre ad indurre aumento di NET, portano anche ad un incremento di cellule esprimenti solo MPO, rispetto ai neutrofili non trattati. Quest’ultimo evento si verifica, però, anche con il trattamento “mock” suggerendo che non sia un effetto dovuto ad EBV, che nel mock non è presente.
E’ importante sottolineare che la sola espressione di MPO non identifica i NET; potrebbe però identificare cellule che hanno perso l’integrità di membrana, nelle quali l’anticorpo anti-MPO può entrare, legarsi all’antigene e dare la fluorescenza osservata.
Indipendentemente dall’evento che lo induce, l’aumento dell’espressione di MPO potrebbe essere rilevante, considerando che quest’ultimo è un composto citotossico che oltre a favorire l’uccisione di batteri e altri agenti patogeni può svolgere una significativa azione pro-infiammatoria contribuendo esso stesso al danneggiamento dei tessuti dell’organismo.
Per escludere che la stimolazione dei neutrofili possa indurre morte cellulare per apoptosi abbiamo trattato i neutrofili con gli stimoli precedentemente descritti e valutato l’espressione della forma attiva della caspasi 3 (cleaved caspase 3 – marker di apoptosi), utilizzando come controllo positivo il trattamento con cicloesimide e TNF-alfa. Il trattamento dei neutrofili per 3 ore con i campioni contenenti EBV non induce espressione di cleaved caspase 3 e quindi non induce apoptosi. Questo dato conferma quello ottenuto da Larochelle et al. ma ne aumenta la valenza scientifica. Infatti, in questo studio, gli autori avevano osservato che EBV può infettare in modo transiente i neutrofili, inducendo apoptosi dopo 20 ore e suggerivano tale meccanismo potesse rappresentare un mezzo di perpetuazione di infezione e di danno. In questo lavoro non erano, però, stati evidenziati effetti a breve termine di EBV [26].
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I risultati da noi ottenuti che suggeriscono che EBV induca NET, aprono nuove prospettive sul ruolo del virus nella patogenesi della malattia.
Un aumento dei livelli di NETosi oltre che rappresentare un’importante fonte di autoantigeni potrebbe contribuire ad alimentare lo stato infiammatorio e quindi la patogenesi della malattia stessa influenzando anche altri fattori che sono coinvolti nei normali meccanismi di difesa previsti dall’immunità innata: uno di questi sono i monociti.
A tal fine abbiamo provato a stimolare i monociti ottenuti dal sangue degli stessi pazienti con AR con i NET ottenuti dai neutrofili stimolati. I surnatanti dei monociti recuperati a 24 h e 48 h sono stati testati con un test ELISA per vedere se in qualche modo i NET influiscono sul pathway di rilascio delle citochine da parte dei monociti, in particolare sul rilascio di IL6 e TNFα che entrano in gioco
durante i processi infiammatori nel nostro organismo.
Abbiamo osservato un aumento della produzione di TNF-α a 24 ore nei monociti trattati con i NET indotti con EBV e con PMA rispetto ai monociti trattati con il mock e i controlli.
Per quanto riguarda invece la produzione di IL-6 non abbiamo osservato alcun effetto dei NET sull’attività dei monociti.
Questi dati nel complesso potrebbero rispecchiare ciò che abbiamo osservato con l’immunofluorescenza: il trattamento con EBV potrebbe indurre una produzione massiva di NET che a loro volta potrebbero aumentare la produzione di TNF-α da parte dei monociti. L’interazione tra neutrofili in NETosis e produzione di citochine da parte dei monociti, potrebbe creare una sinergia volta a promuovere eventi pro-infiammatori e a contribuire alla patogenesi di malattie autoimmuni quali l’Artrite Reumatoide, oggetto del nostro studio.
Durante il rilascio dei NET insieme alla cromatina decondensata e al contenuto proteico dei granuli neutrofilici vengono rilasciate anche numerose proteine deiminate. La deiminazione è una modifica
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chimica post traduzionale che consiste nella conversione dell’arginina in citrullina. E’ un evento fisiologico importante per lo sviluppo di numerosi distretti tissutali (p.e. la citrullinazione della proteina basica della mielina è fondamentale nello sviluppo della plasticità neuronale), ma è anche un evento che risulta aumentato in numerosi distretti infiammati (p.e. nei polmoni di soggetti fumatori) [21].
Nell’Artrite Reumatoide alcune proteine citrullinate risultano target di risposta anticorpale, tanto che
gli anticorpi anti proteine citrullinate (ACPA) rappresentano il principale marker sierologico [22].
Abbiamo, quindi analizzato se proteine deiminate prodotte nei NET potessero diventare target di risposta anticorpale nei soggetti con AR, ponendo la nostra attenzione in particolar modo su due proteine: la S100A8/A9 e l’istone H4.
Abbiamo osservato che mentre nei soggetti con AR non sussiste una differenza statisticamente significativa tra la reattività nei confronti di S100A8/A9 deiminata verso la non deiminata, nel caso dell’istone H4 invece i pazienti con AR hanno un livello di anticorpi significativamente differente rispetto ai soggetti di controllo. Tale reattività è specifica per la forma deiminata dell’H4.
Il fatto che due proteine entrambe deiminate vengano rilevate diversamente dai sieri dei pazienti con AR potrebbe avere diverse spiegazioni.
In primo luogo, potrebbe dipendere dalla quantità di citrulline presenti nella molecola e dalla loro disponibilità alla deiminazione. L’S100A8/A9 contengono nel complesso 5 arginine, due espresse da S100A8 e tre espresse da S100A9. Non è noto se tali arginine siano coinvolte nella formazione del dimero e quindi se risultino in qualche modo “nascoste” all’enzima deiminasi. La procedura di deiminazione viene effettuata in vitro a 50°C e in presenza di un agente riducente (DTT), ma l’effetto nella denaturazione completa e nella rottura completa del dimero non è noto. L‘istone H4 contiene invece 14 arginine, potenzialmente disponibili alla deiminazione.
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La reattività degli anticorpi anti citrullina con il target dipende anche dal contesto aminoacidico nel quale la citrullina si viene a trovare. Alcuni studi suggeriscono che per essere riconosciuta dagli anticorpi la citrullina debba trovarsi fiancheggiata da aminoacidi piccoli e apolari, come la glicina, la serina o l’alanina, cosa che si verifica nel caso dell’istone H4.
Nel complesso questi risultati suggeriscono che non tutte le proteine deiminate diventino target di anticorpi anti proteine citrullinate contribuendo a promuovere l’autoimmunità che è un aspetto imprescindibile dell’Artrite Reumatoide.
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