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Il ruolo dell'immunità innata nella patogenesi dell'Artrite Reumatoide

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DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

Corso di laurea magistrale in Biologia applicata alla Biomedicina

TESI DI LAUREA

Il ruolo dell’immunità innata nella patogenesi dell’Artrite Reumatoide

RELATORE

Prof.ssa Paola Migliorini

CANDIDATO

Valentina Fambrini

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2

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3 INDICE

INDICE………...………3

INTRODUZIONE………..5

1. ARTRITE REUMATOIDE GENERALITA’.……….6

1.1 FATTORI DI RISCHIO.………..6

2. EPSTEIN-BARR VIRUS ………..10

2.1 EBV E ARTRITE REUMATOIDE………….……….…….11

3. IMMUNITA’ ADATTATIVA………...13

3.1. PLASMACELLULE E B MEMORY………...13

3.2. B MEMORY E ARTRITE REUMATOIDE……….15

4. IMMUNITA’ INNATA………..17

4.1. NEUTROFILI E NETosi………...17

4.2 NEUTROFILI E ARTRITE REUMATOIDE………25

4.3. SISTEMA MONOCITI/MACROFAGI………28

4.4. MONOCITI E ARTRITE REUMATOIDE………..31

5. SCOPO DELLA TESI……….33

6. MATERIALE E METODI………..34

6.1 PREPARAZIONE DEGLI STIMOLI 6.2 ISOLAMENTO DEI NEUTROFILI 6.3 STIMOLAZIONE DEI NEUTROFILI 6.4 IMMUNOFLUORESCENZA

6.5 ANALISI CON MICROSCOPIO OTTICO A FLUORESCENZA 6.6 ISOLAMENTO DEI MONOCITI CON BEADS MAGNETICHE 6.7 STIMOLAZIONE DEI MONOCITI

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6.9 PROCEDURA DEIMINAZIONE 6.10 DOT-BLOT S100A8/A9

6.11 TEST ELISA S100A8/A9

6.12 TEST ELISA H4/H4 DEIMINATO

7. RISULTATI……….49 8. DISCUSSIONE………...……….59 9. BIBLIOGRAFIA……….65 10. RINGRAZIAMENTI………68

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5 INTRODUZIONE

Le malattie reumatiche sono un gruppo di condizioni infiammatorie che affliggono le articolazioni e i tessuti connettivi e sono spesso accompagnate da dolore e riduzione della motilità. Un sottogruppo di queste malattie é caratterizzato dal coinvolgimento multiorgano e da sintomi sistemici. Molte delle malattie reumatiche hanno un’importante componente infiammatoria con una dis-regolazione di diversi aspetti del sistema immunitario. Uno di questi è l’autoimmunità che può essere definita come la comparsa di una risposta della componente umorale e/o cellulo-mediata nei confronti delle nostre stesse proteine (autoantigeni) localizzate a livello di vari tessuti. Queste anormalità, associate ad un’autoimmunità a lungo termine, si pensa possano giocare un ruolo decisivo nella patogenesi dell’Artrite Reumatoide. Le più comuni malattie reumatiche con una forte componente di autoimmunità includono: l’Artrite Reumatoide (AR), Psoriasi e Artrite psoriasica (PsoA), Lupus sistemico eritematoso (SLE), sindrome di Sjogren e le Vasculiti.

Nello specifico in questo elaborato cercheremo di analizzare quello che è il ruolo dell’immunità innata nella patogenesi dell’Artrite Reumatoide. [1]

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6 1. ARTRITE REUMATOIDE GENERALITA’

L’Artrite Reumatoide (AR) è una patologia che può essere classificata tra i reumatismi infiammatori cronici. Storicamente, la prima descrizione di tale malattia risale al XIX secolo, ad opera di uno studente francese, Augustin-Jacob Landrè-Beauvais; mentre il termine “artrite reumatoide” fu coniato da sir Alfred Bering Garrod nel 1876 e fu adottato definitivamente dall’American Rheumatism Association (ARA) nel 1941. [2]

Si tratta di una patologia infiammatoria autoimmune cronica a carattere sistemico, caratterizzata primariamente da un’artrite poliarticolare simmetrica bilaterale, spesso di carattere erosivo. L’Artrite

Reumatoide è probabilmente una della più comuni patologie autoimmuni (colpisce circa l’1% della popolazione) [3]. Il sesso femminile è più colpito di quello maschile, con un rapporto che varia da 3:1 a 5:1. L’esordio della malattia può avvenire a qualsiasi età, anche se è più frequente tra i 40 e i 60 anni. Dopo l’esordio la malattia decorre con fasi di attività alternate a fasi di remissione, spontanea o indotta dalla terapia. La durata dei periodi di attività e remissione sono estremamente variabili. Anche il grado di attività e quindi la gravità della forma, oltre alla lunghezza dei periodi, sono in grado di influenzare la velocità di progressione del danno articolare e/o sistemico e di conseguenza il decorso della malattia [2].

1.1 FATTORI DI RISCHIO

Nonostante l’eziologia non sia stata ancora completamente chiarita è ampiamente accettato che molteplici fattori genetici e ambientali siano richiesti per l’iniziale riconoscimento dei peptidi self, la successiva perdita di tolleranza e lo sviluppo dell’autoimmunità [2].

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7 Fattori genetici

La predisposizione genetica è un fattore di rischio ben noto per lo sviluppo dell’Artrite Reumatoide, tanto che l’ereditarietà della patologia è stimata intorno al 60%.

Il sistema che fornisce l’apporto maggiore a questa ereditarietà è quello per l’HLA di classe II, in particolare i geni per l’HLA-DRB che codificano per sequenze definite “shared epitope”. Oltre a questi, altri polimorfismi a singolo nucleotide sono stati descritti e coinvolgono i geni del PTPN22, del TRAF/C5, di STAT4, della PAD4 e di altre molecole coinvolte nella risposta immune.

Il contributo della componente genetica all’insorgenza della AR non è ancora stato definito completamente ed è tuttora oggetto di studio. Per esempio, é stato recentemente identificato un sottogruppo non canonico della molecola Wnt chiamato Wnt5a; questa molecola è in grado di modulare la differenziazione cellulare, la migrazione e l’infiammazione. In particolare, Wnt5a è up-regolato nei sinoviociti di tipo fibroblastico FLS (fibroblast-like synoviocytes) di pazienti AR ed è stato implicato come possibile fattore coinvolto nell’artrite. E’ noto che le metalloproteasi della matrice sono gli enzimi chiave responsabili della distruzione articolare e la loro attività è altamente regolata da citochine pro-infiammatorie [4]. Recentemente, Sotjanovic et al, hanno investigato l’impatto del polimorfismo G-308A del fattore di necrosi tissutale TNF- sui livelli della

metalloproteasi MMP-9 nel plasma e nel liquido sinoviale di pazienti AR, focalizzandosi sul loro ruolo nella progressione della distruzione articolare. Sono stati in grado di rilevare che l’attività di MMP-9 era più elevata nei pazienti AR rispetto ai controlli, come anche nel liquido sinoviale di pazienti con AR di forma erosiva rispetto alla non [5]. Un altro studio condotto da Mariaselvam et al. su una popolazione di pazienti Indiani ha indagato l’influenza del polimorfismo del recettore NKG2D sulla predisposizione e modificazione del fenotipo della malattia. NKG2D è un recettore lectinico di tipo C presente sulle Natural Killer(NK), CD8+ e cellule T CD4+. Il loro studio ha dimostrato che l’allele A di NKG2D9 e l’allele T di NKG2D10 erano significativamente più alti in pazienti con deformità, mentre l’analisi dell’aplotipo ha rilevato che la frequenza dell’aplotipo

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CG-A-G-A-T-C-8

C era più alto in pazienti AR che nei controlli suggerendo che il polimorfismo genico di NKG2D9 possa modificare il rischio di sviluppo e la gravità della malattia [6]. In più, per descrivere nuovi geni candidati responsabili dello sviluppo di AR, Shchetynsky et al. hanno eseguito il sequenziamento di RNA basato sull’analisi dell’espressione di 377 geni con loci associati ad AR. Queste analisi hanno mostrato che ERBB2, TP53 e THOP1 potrebbero rappresentare nuovi geni candidati nello sviluppo di AR [7]. Oltre a TNF-α, IL-1β e IL-6 altre citochine come IL23, IL 17 e interferone gamma (IFN-γ) giocano un ruolo cruciale della patogenesi di AR [8].

Fattori ambientali

Molti fattori ambientali come il fumo di sigaretta, agenti atmosferici e occupazionali sono stati proposti come stimoli scatenanti nello sviluppo di AR in individui geneticamente predisposti.

Fumo di sigaretta.

Di tutti i fattori ambientali che sembrano essere coinvolti della patogenesi dell’AR, il fumo di sigaretta è uno di quelli con evidenza più forte: infatti in pazienti che presentano gli alleli HLA-shared epitope, è dimostrabile un aumento di citrullinazione delle proteine a livello polmonare, correlato ad un elevato titolo di anticorpi anti proteine citrullinate (ACPA). Alcuni studi recenti hanno, inoltre, dimostrato come una minor metilazione a livello di determinate sequenze del DNA, presente nei fumatori, sembri essere associata con un aumento del rischio di sviluppare AR ACPA-positiva. Infine, Lee et al. hanno dimostrato che in modelli murini l’esposizione ad elevati livelli di nicotina aumenta la severità dell’artrite, mentre induce NETosi dose dipendente in neutrofili umani [4].

Fattori occupazionali e atmosferici.

Recentemente, alcune evidenze indicano una possibile correlazione tra lo sviluppo di AR e l’esposizione a fattori occupazionali e ad agenti atmosferici. L’elevato rischio di sviluppare AR ACPA positiva fu osservato per esempio tra i fumatori esposti al silicio in una piccola coorte svedese

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prossimità ai principali complessi industriali sono associate con un’aumentata positività per gli ACPA. L’inquinamento industriale non sembra essere il solo fattore con un ruolo nell’AR; infatti, anche l’esposizione a certi pesticidi può giocare un ruolo nello sviluppo di AR, soprattutto tra i contadini maschi [9].

Dieta.

Tra le componenti individuali, la qualità della dieta, basata sia su un ridotto consumo alcolico sia di carne rossa, può contribuire ad una riduzione del rischio di sviluppare AR. In più, una riduzione dell’apporto di sodio in pazienti AR sembra ridurre l’espressione di IL-9 e del TGF-β suggerendo che

una dieta basata su un ridotto apporto di sodio potrebbe contribuire a smorzare la risposta pro-infiammatoria [4].

Infezioni.

Il potenziale coinvolgimento degli agenti infettivi nell’AR è stato suggerito e studiato per decenni. E’ possibile che diversi microrganismi siano in grado di scatenare lo sviluppo della malattia in individui geneticamente predisposti. Diversi agenti infettivi sembrano essere implicati nell’eziologia della malattia: Parvovirus, Rubella virus, Epstein-Barr virus sono quelli più studiati, anche se non c’è ancora una chiara evidenza epidemiologica che questi virus possano spiegare una considerevole frazione di casi di AR [10].

Per poter essere coinvolti nella patogenesi dell’Artrite Reumatoide, i virus dovrebbero essere ubiquitari, poiché l’AR è comune in tutto il mondo; dovrebbero persistere nell’organismo fino a che la malattia è cronica e si manifesta con ricorrenti episodi e dovrebbero, preferenzialmente, mostrare un tropismo diretto o indiretto per le articolazioni, contribuendo alle lesioni articolari; dovrebbero infine, aspetto essenziale, essere capaci di alterare le risposte immunitarie dell’ospite inducendo autoimmunità. Il virus Epstein-Barr (EBV) potrebbe presentare tutte queste caratteristiche [11].

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10 2. EPSTEIN-BARR VIRUS

Il virus di Epstein-Barr (EBV o herpes virus umano 4) è un virus a DNA doppio filamento che infetta l’uomo normalmente nei primi 15-20 anni di vita e poi permane per tutta la vita. EBV causa un’infezione nota come mononucleosi ed è stato anche connesso allo sviluppo di diversi tumori maligni incluso il linfoma di Burkitt, il morbo di Hodgkin, il carcinoma nasofaringeo. Nella maggior parte delle persone l’infezione primaria e la persistenza per tutta la durata della vita sono

asintomatiche. EBV inizialmente infetta i linfociti B o le cellule epiteliali dell’area orofaringea e successivamente attiva le cellule B circolanti. Le cellule B infette a questo punto iniziano a proliferare, ma tale proliferazione viene controllata dai linfociti T citotossici EBV-specifici. EBV stabilisce una cosiddetta ‘’infezione latente’’ nelle cellule della memoria B, nelle quali risultano attivi solo 2-10 geni latenti. A questo stadio, geni del ciclo latente producono un set limitato di proteine dell’EBV: l’antigene nucleare di EBV (EBNA), l’antigene latente di membrana (LMP) e le proteine terminali (TPs). Il virus poi si riattiva occasionalmente, passando dal ciclo latente a quello litico, evento nel quale sono prodotte proteine transattive, proteine strutturali virali e glicoproteine di membrana. Gli antigeni tipici della fase litica includono l’antigene virale del capside (VCA), antigeni precoci (EA early antigen), e l’antigene di membrana (MA) [12]. L’immunità cellulo-mediata, soprattutto le cellule T CD8+, giocano un importante ruolo nel controllo sia dell’infezione primaria da EBV, sia della forma latente durante tutta la durata della vita. La risposta umorale invece conduce alla produzione di anticorpi anti EBNA, EA, VCA e MA. Questi anticorpi sono rilevabili in pazienti con mononucleosi, durante la quale avviene l’attivazione di cellule B policlonali. Sia il ciclo litico che quello lisogeno hanno un profilo sierologico distinto. Anticorpi contro EA, VCA e antigeni di rivestimento sono prodotti precocemente. Anticorpi anti-MA hanno come bersaglio la glicoproteina di membrana del virus gp350 e bloccano la disseminazione di EBV. Anticorpi anti EBNA si sviluppano successivamente o persistono durante tutta la durata della vita. EBV esercita numerose attività immunomodulanti, inclusa l’inibizione dell’apoptosi e l’inibizione degli effetti anti-EBV

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dell’interferone gamma con le cellule B e cambia il pattern di produzione di citochine come

interleuchina (IL)-1β, TNF-α, e IL6. Una citochina virale che condivide le proprietà con IL10 dell’ospite consente, inoltre, al virus di eludere le difese antivirali dell’ospite [11].

2.1. EBV E ARTRITE REUMATOIDE

Nonostante siano stati trovati molti punti di interazione tra EBV e AR, manca ancora una prova diretta del loro legame. Le scoperte che suggeriscono un ruolo di EBV possono essere collegate al malfunzionamento immunitario indotto dall’AR [11]. Il legame patofisiologico tra infezione da EBV e AR fu dapprima suggerito da uno studio del 1976 sulla reattività sierica verso i nuclei di cellule B EBV–infette. La reattività fu dimostrata nel 67% dei pazienti con AR comparata con solo l’8% dei controlli. Il target antigenico delle cellule B fu chiamato ‘’antigene nucleare dell’artrite reumatoide’’ (RANA). La reattività verso tale antigene non veniva osservata con cellule B non infette e il legame di tali anticorpi non era influenzato dalla presenza del fattore reumatoide. Successivi studi hanno stabilito che RANA era la stessa molecola di EBNA-1 [11].

Altre argomentazioni suggeriscono il ruolo del mimetismo molecolare tra proteine di EBV e antigeni self in pazienti con AR. Diverse sequenze a comune sono state, per esempio, trovate sia in EBNA-6 e HLA DQB1*0302. Un anticorpo verso queste ripetizioni di glicina/alanina reagisce con una proteina di 62kDa espressa dalle cellule sinoviali di pazienti AR. Nonostante la proteina target non sia stata ancora interamente caratterizzata, l’anticorpo riconosce la membrana delle cellule macrofagiche della sinovia.

La sequenza -QKRAA localizzata a livello dello shared epitope codificato dall’ HLA-DRB1*0401, un fattore associato all’aumento del rischio di sviluppare artrite reumatoide, mostra un’elevata omologia con una sequenza della glicoproteina gp110 [11].

EBV gp110 è il principale antigene implicato nel controllo dell’infezione. E’ espresso sulla superficie di linee di cellule linfoblastoidi e sul rivestimento del virione germinante durante la replicazione di

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EBV [12]. Soggetti sani infettati da EBV presentano anticorpi contro la gp110 e cellule T specifiche per la sequenza QKRAA. Inoltre nei pazienti con AR si riscontra una ridotta risposta delle cellule T alla proteina gp110, in associazione ad un’elevata severità di malattia.

Infine, dati recenti sulla relazione tra le proteine citrullinate e EBV supportano un’associazione tra AR e EBV. Gli anticorpi contro proteine citrullinate (ACPA) sono altamente specifici per AR. Sono dei marker diagnostici molto importanti poiché appaiono precocemente nella malattia e hanno anche un elevato valore prognostico. La citrullinazione può coinvolgere numerose proteine self, incluse fillagrina, fibrina, enolasi, istoni e vimentina. Anche proteine derivate da EBV possono subire citrullinazione post traduzione, e diventare target di ACPA: questo rappresenta un legame ulteriore tra EBV e RA. Infatti, anticorpi anti peptidi citrullinati derivati da EBV sono stati identificati nel siero di pazienti AR. La porzione N-terminale della proteina EBNA-1 contiene ripetizioni di glicina-arginina. Un peptide sintetico corrispondente a questa porzione di EBNA-1, sintetizzato con citrulline al posto delle arginine, è stato utilizzato per misurare anticorpi nei sieri di 300 pazienti AR e 327 controlli, inclusi soggetti sani e pazienti affetti da altre malattie infiammatorie. Anticorpi IgG anti EBNA I citrullinato sono stati trovati nel siero del 45% di pazienti AR e solo nel 5% dei controlli.

Quindi EBV può essere visto come un fattore ambientale associato a AR e alla produzione di ACPA. I legami tra EBV e AR possono essere numerosi e complessi, dato che EBV è un virus ubiquitario, che può modificare la risposta dell’ospite e adattarsi al suo ambiente [11].

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13 3. IMMUNITA’ ADATTATIVA

Lo stadio iniziale dell’AR è associato sia all’alterazione del sistema immunitario innato che adattativo con la conseguente produzione di autoanticorpi aventi come target diverse molecole tra cui epitopi propri. Negli stadi successivi della malattia sia il sistema innato, con neutrofili e monociti, che quello adattativo, con le cellule B e i linfociti T, contribuiscono all’amplificazione e perpetuazione dello stato di infiammazione cronica [4].

3.1 Plasmacellule e B memory

Una cellula B matura può essere attivata dall’incontro con un antigene che esprime epitopi riconosciuti dalle immunoglobuline di superficie. Il processo di attivazione può essere di tipo diretto, quando l’antigene lega contemporaneamente più recettori di membrana (cross-linkage), o di tipo

indiretto, quando dipende dalla interazione con una cellula T helper dotata della medesima specificità (attivazione per affinità) [13].

Il centro germinativo

I centri germinativi sono la struttura istologica dedicata alla generazione e selezione delle cellule B che producono anticorpi ad alta affinità. La maturazione di affinità è il processo per cui cellule produttrici di anticorpi a bassa affinità oppure cellule autoreattive sono “superate” nella competizione per la sopravvivenza dalle B che producono anticorpi a più alta affinità. I processi che si svolgono nel centro germinativo sono estremamente efficienti, grazie al microambiente che facilita i contatti e gli spostamenti delle cellule, e la generazione di plasmacellule e di cellule di memoria avviene entro una settimana dall’incontro con l’antigene. I centri germinativi si formano nel centro dei follicoli linfatici, strutture costituite da cellule B naive IgM+IgD+ e da una rete di cellule follicolari dendritiche e circondate dalla zona ricca di cellule T. Comprendono una zona scura che contiene

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cellule B in attiva proliferazione, che vanno incontro a ipermutazione somatica, e una zona chiara in cui le cellule B sono selezionate sulla base della loro affinità per l’antigene.

Nelle risposte B T-dipendenti, la cellula B in proliferazione, attivata dall’antigene, può differenziare a plasmacellula extrafollicolare a vita breve, cellula B di memoria indipendente dal centro germinativo o cellula B di memoria dipendente dal centro germinativo. Nel periodo pre-centro germinativo, la cellula B comincia ad andare incontro a switch isotipico (ad es. a IgG) ma non a ipermutazione somatica. Alla periferia del centro germinativo, nei linfonodi o nella milza, le cellule B presentano complessi peptide-MHC alle cellule T helper follicolari, cellule T CD4+ che esprimono il recettore per chemochine CXCR5 e BCL6. Le cellule B che legano l’antigene a più alta affinità restano legate più a lungo alla cellula T, ricevono più “aiuto” e hanno maggiori probabilità di evolvere a cellule B del centro germinativo. La competizione per l’aiuto della cellula T è il fattore critico per la selezione. Un’affinità superiore comporta una maggior “cattura “di antigene, una più alta densità di complessi MHC-peptide sulla membrana e quindi una maggior possibilità di attrarre la cellula T helper follicolare [14].

Plasmablasti e plasmacellule

Gli anticorpi sono prodotti da popolazioni di cellule B differenziate in modo terminale, i plasmablasti (cellule già producenti anticorpi, ma ancora capaci di dividersi, di migrare e di evolvere a plasmacellule) e le plasmacellule (cellule derivate dai plasmablasti, producenti grandi quantità di anticorpi, ma ormai differenziate in modo terminale ed incapaci di dividersi) [15]. Per la generazione di plasmablasti e plasmacellule, è necessario che il programma trascrizionale della cellula B sia silenziato e sia indotto un nuovo trascrittoma, orientato alla produzione di quantità massive di immunoglobuline e di recettori/mediatori che consentano la localizzazione e la sopravvivenza in nicchie specializzate del midollo osseo. I segnali necessari a indurre la differenziazione a plasmablasto e plasmacellula non sono completamente chiari e coesistono tuttora teorie deterministiche e stocastiche sul destino delle cellule B. E’ possibile che l’evoluzione a cellula

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produttrice di anticorpi dipenda dai segnali di attivazione che la cellula riceve dal BCR (quindi legati all’affinità per l’antigene) o dal signalling di cellule T e citochine. In questo contesto, potrebbe essere rilevante la divisione asimmetrica, che dota le cellule figlie di un corredo diverso di trascritti. Nell’evoluzione a plasmablasto e plasmacellula potrebbero invece giocare un ruolo più importante le caratteristiche della singola cellula B rispetto ai segnali ambientali, suggerendo quindi un meccanismo di tipo stocastico [16].

3.2 B MEMORY E ARTRITE REUMATOIDE

Gli studi volti a comprendere il ruolo delle cellule B nella patogenesi dell’AR sono numerosi e tuttora in corso. Le cellule B sono il precursore dei plasmablasti e delle plasmacellule che sono la principale fonte cellulare di anticorpi e nel caso delle patologie autoimmuni, come l’AR, di autoanticorpi. Il ruolo patogenetico degli autoanticorpi specifici dell’AR e delle cellule B autoreattive resta ancora completamente da chiarire [4]

Gli ACPA sono anticorpi specifici dell’AR. Alcuni studi suggeriscono che le cellule B producenti ACPA possano avere caratteristiche differenti all’interno dello stesso individuo e che la risposta verso autoantigeni possa essere diversa da quella verso antigeni vaccinali. Per esempio, in una risposta policlonale, gli ACPA possono differire per l’affinità verso l’antigene e per specificità, in quanto vengono prodotti ACPA specifici verso un’unica sequenza citrullinata e ACPA che cross reagiscono con più sequenze. In più, a differenza delle risposte immunitarie protettive, dove la presenza di plasmablasti circolanti antigene-specifici è ristretta ad un breve finestra temporale seguente l’attivazione antigenica, le cellule B che producono ACPA sembrano essere rigenerate costantemente. Infine, la vasta maggioranza di molecole ACPA-IgG hanno diversi siti contenenti glicani. Gli N-glicani richiedono una specifica sequenza aminoacidica nell’impalcatura proteica, che è assente dalla

maggior parte delle sequenze delle catene leggere e pesanti codificate dalla linea germinale. Questa osservazione suggerisce che le cellule B reattive contro antigeni citrullinati subiscano processi di

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selezione che favoriscono la sopravvivenza delle cellule B presentanti siti di N-glicosilazione nel loro recettore (BCR). Nonostante queste caratteristiche atipiche, le cellule B specifiche verso gli antigeni citrullinati maturano nei centri germinali. Diverse regioni di ACPA monoclonali (mACPA) sia del sangue periferico che del liquido sinoviale mostrano un alto livello di ipermutazione somatica. Questo suggerisce che le cellule B produttrici di ACPA originanti ricevano l’aiuto di cellule T, un segno distintivo della reazione dei centri germinali. Infatti, una ‘’mutazione inversa’’ delle regioni variabili con ritorno a sequenze codificate da linee germinali porta alla perdita di reattività nei confronti della citrullina. Il classico aiuto delle cellule T dei centri germinali sembra quindi cruciale per lo sviluppo della reattività per la citrullina. [17].

Le cellule B hanno, però, una varietà di funzioni immunologiche a parte la differenziazione in plasmacellule, e possono, per esempio, influenzare le modalità di risposta delle cellule T. Inoltre, oltre alla loro capacità di produrre anticorpi, le cellule B possono anche agire come cellule presentanti l’antigene (APC). Seguendo questa via Shimabukuro-Vornhagen et al. hanno identificato un sottogruppo di cellule B con range peculiare di marcatori di superficie in grado di stimolare fortemente i linfociti T ed hanno osservato che questo sottogruppo è particolarmente frequente in pazienti AR, suggerendo quindi un ruolo nell’induzione o nella perpetuazione della malattia [18].

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17 4. IMMUNITA’ INNATA

Le patologie autoimmuni come l’AR sono disordini sistemici o organo-specifici che risultano dall’attacco, da parte del sistema immunitario, ai tessuti propri dell’organismo. Lo sviluppo delle patologie autoimmuni è generalmente ascrivibile ai diversi meccanismi che silenziano le cellule T e B auto-reattive. Anche il sistema immunitario innato però, essendo fortemente coinvolto nella difesa contro i patogeni e nell’induzione delle risposte immunitarie adattative primarie, può giocare un ruolo nell’indurre autoimmunità. I due attori principali dell’immunità innata sono i neutrofili e il sistema monociti/macrofagi [4].

4.1 NEUTROFILI E NETOSI

Grazie alla loro capacità di uccidere i patogeni, i neutrofili sono stati riconosciuti da tempo come uno dei principali componenti cellulari della risposta immunitaria innata contro i microrganismi infettanti. Quando lasciano il midollo osseo, i neutrofili sono cellule differenziate terminali e circolano per un breve periodo di tempo migrando nei vari tessuti. I neutrofili sono uno dei primi tipi cellulari ad essere reclutati a livello di un sito infettivo, dove possono sconfiggere i patogeni usando diversi meccanismi. La via più classica consiste nel fagocitare e uccidere i patogeni internalizzati, esponendoli a agenti battericidi come le specie reattive dell’ossigeno e a componenti antimicrobiche scaricate nel vacuolo fagocitico attraversi granuli citoplasmatici. Più recentemente, è stato dimostrato in modo solido che i neutrofili sono in grado di intrappolare ed uccidere i patogeni con una modalità extracellulare che non richiede un up-take fagocitico. Questo nuovo meccanismo, che è stato descritto per la prima volta da Takei et al nel 1996, ma in modo preciso da Brinkmann et al [19] consiste nel rilascio nell’ambiente extracellulare di cromatina decondensata e di enzimi litici contenuti nei granuli dei

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neutrofili. L’insieme di queste molecole (DNA decondensato, istoni modificati, enzimi litici) ha un aspetto simile ad una rete, e per questo venne definito con il termine di NET (Neutrophils extracellular traps) [1]. Il principale costituente di queste fibre è quindi il DNA, con peptidi antimicrobici granulari incorporati e enzimi come l’elastasi, la catepsina G e la mieloperossidasi. Componenti addizionali dei NET sono gli istoni H1, H2A, H2B, H3 e H4. Interessante notare che anche le proteine citoplasmatiche come actina e tubulina, sono rilasciate dai NET [19].

Un tipo di suicidio cellulare come morte per i neutrofili è ragionevole, dal momento che questi sono definitivamente differenziati, non possono infatti più proliferare e hanno un’emivita breve nel fluido ematico di circa 20 ore. I nuclei altamente segmentati consentono loro di uscire rapidamente dai capillari e di penetrare nei tessuti. I neutrofili controllano l’epitelio della superfice corporea e il lume di vari condotti. Sacrificano altruisticamente loro stessi e rilasciano il loro contenuto tossico con lo scopo di bloccare l’invasione di aggressori. Il rilascio di cromatina non è solo in grado di immobilizzare e neutralizzare batteri pericolosi e numericamente superiori e di bloccare la loro diffusione, ma anche di legare particelle che sono troppo grandi per essere fagocitate. I NET sono in grado di sequestrare materiale inerte e estraneo come nanodiamanti, asbesto, e urato monosodio. Possono inoltre isolare componenti tossiche degli stafilococchi e aree di necrosi e granulomi. In alcuni casi le proteasi rilasciate dai NET sono in grado di distruggere citochine pro-infiammatorie e quindi di promuovere la risoluzione dell’infiammazione. Solitamente quando i NET vengono rilasciati in aree relativamente piccole vengono sottoposti all’azione di enzimi come la DNAsi 1 e IL3 e definitivamente eliminati grazie alla fagocitosi. Esiste quindi un delicato equilibrio tra la loro formazione e la loro eliminazione; se questo equilibrio viene alterato, o per overproduzione di NET o per mancata fagocitosi, l’organismo mostrerà un elevato numero di nuovi epitopi modificati chimicamente e enzimaticamente [1]. L’equilibrio tra la proliferazione cellulare e la morte cellulare ha un enorme peso e gioca un ruolo fondamentale in una corretta tolleranza o reattività immunologica. Un’inefficiente o mancata morte cellulare può contribuire ad alimentare lo stato infiammatorio,

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stimolare la presentazione antigenica e disperdere componenti cellulari che possono fungere da spie, dovute all’espressione di certi pattern molecolari ‘’danno specifici’’ (DAMPs). In più, la morte cellulare è associata all’attivazione di pattern biochimici che risultano in proteine portatrici di modifiche post-traduzionali. Chiaramente, la variazione dei pathways di morte cellulare o difetti nei meccanismi di regolazione può rafforzare uno squilibrio nella relativa abbondanza di detriti cellulari, che può influenzare i normali processi cellulari e avere conseguenze per l’autoimmunità [20].

Non ci sono criteri generali per definire i NET, ma ci sono linee generali per identificarli. La definizione di NET deriva principalmente da una componente morfologica osservata al microscopio: i NET sono visualizzati come fibre di cromatina decondensata esternalizzate, contenenti istoni citrullinati o altri costituenti, come l’elastasi (NE) o la mieloperossidasi (MPO). Non tutte le forme di NET contengono istoni citrullinati e differenti stimoli possono o no indurre deiminazione istonica. Saggi di immunofluorescenza per la quantificazione dei NET usano coloranti per il DNA che non attraversano la membrana di cellule intatte, quindi in grado di interagire più efficientemente con il DNA esternalizzato che con il DNA di cellule intatte. Risulta fondamentale in questi saggi utilizzare doppie marcature (DNA e MPO oppure DNA e NE) in quanto cellule in apoptosi (caratterizzate da cromatina esternalizzata sulla superficie di vescicole cellulari) e/o necrosi (cellule con membrane cellulari rotte e quindi permeabili al colorante del DNA) potrebbero interferire con la valutazione della fluorescenza sulle fibre di cromatina. In realtà, i processi di NETosi, apoptosi e necrosi sono estremamente distinti tra loro: per esempio durante la NETosi non si ha rilascio dell’enzima lattato deidrogenasi, evento tipico della necrosi, così come non si verifica l’esposizione della fosfatidilserina sulla membrana esterna, evento tipico dell’apoptosi.

La formazione di NET essere risulta quindi una forma di morte cellulare attiva distinta completamente dall’apoptosi e dalla necrosi [20].

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Meccanismo di formazione dei NETs

Sono stati identificati numerosi agenti capaci di indurre formazione dei NET, anche molto diversi tra loro. Tra questi vi sono microrganismi come batteri Gram positivi e Gram negativi, funghi, parassiti, virus ma anche agenti chimici come nanoparticelle e metalli pesanti. Infine, anche citochine infiammatorie come IL-1β, TNF-α, IL8, IFN-α e immunocomplessi sia solubili che immobilizzati sono in grado di indurre la formazione di NET. Proprio a causa di tale eterogeneità, delineare uno schema generale sempre valido con cui microrganismi, componenti inorganiche, macromolecole ecc…inducono i NET non è sempre semplice ed è il focus di numerosi studi.

A grandi linee, possiamo sostenere che la formazione di NET richiede il coinvolgimento di diversi recettori della superficie cellulare, come p.e. le integrine e i pattern recognition receptors, passa attraverso la generazione di specie reattive dell’ossigeno, l’attivazione di enzimi intracellulari come la elastasi e la mieloperossidasi e termina con eventi che portano alla decondensazione della cromatina (come p.e. la deiminazione degli istoni). Actina e microtubuli, due delle principali proteine citoscheletriche che promuovono l’organizzazione cellulare e sono coinvolte nel trasporto cellulare, possono partecipare alla formazione di NET. Come le componenti citoscheletriche siano in grado di promuovere la formazione dei NET non è ancora chiaro, ma è possibile che le interazioni con il citoscheletro siano richieste per mobilitare i granuli neutrofilici e facilitare l’uscita di proteasi che taglino specifici substrati e portino alla dissoluzione della membrana. Il citoscheletro può anche fornire una spinta per influenzare la rottura cellulare. Complessivamente il ruolo dell’actina e dei microtubuli nella formazione dei NET, si inquadra nei processi che portano alla rottura cellulare, specifici meccanismi ben regolati, propri dell’ospite, che proteggono l’organismo nei confronti dei patogeni.

L’importanza dei ROS nella formazione dei NET è stata dimostrata anche grazie a studi di genetica. I neutrofili di pazienti con CGD (chronic granulomatous disease) che hanno deficit nella formazione di ROS dovuta ad una mutazione ‘’loss of function’’ nella NADPH ossidasi presentano una ridotta

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capacità di produzione di NET. La NADPH ossidasi rappresenta infatti un elemento chiave nella produzione di NET in modo ROS dipendente. I segnali che collegano i recettori della superficie neutrofilica con la produzione di ROS nell’induzione di NET da parte dei vari stimoli é ad oggi un argomento di attiva ricerca.

I NET sono in grado di formarsi anche attraverso pathways NADPH indipendenti, in cui l’influsso di ioni Ca perturba l’equilibrio intracellulare di potassio agendo sui canali potassio SK3 e conducendo all’attivazione di ROS mitocondriali, con conseguente liberazione di reti di DNA mitocondriale.

Oltre ai ROS, anche la citrullinazione degli istoni è coinvolta nella formazione di NET.

La conversione di residui di arginina a citrullina, infatti, che risulta nella netta perdita di carica positiva a livello istonico gioca un ruolo importante nello swelling nucleare, in quanto vengono perse le connessioni con il DNA e la cromatina tende a decondensarsi. L’enzima responsabile di tale modifica post traduzionale è la peptidil arginin deiminasi 4 (PAD4), enzima citoplasmatico calcio dipendente che può migrare nel nucleo e agire sulle molecole ricche di arginina come gli istoni [20].

Peptidil Arginina Deiminasi (PAD)

Le peptidil arginine deiminasi sono una piccola famiglia di 5 enzimi (PAD 1-5) espresse nei vertebrati maggiori che convertono i residui di arginina in citrullina. La citrullinazione è una modificazione post-traslazionale che altera la carica della proteina portando a cambiamenti nella sua struttura tridimensionale che a loro volta conducono a cambiamenti nelle proprietà fisiologiche della molecola e potenzialmente anche ad alterazioni delle proprietà antigeniche. Le diverse PAD sono localizzate all'interno della cellula come forme inattive dell'enzima, poiché le cellule viventi in condizioni

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normali non contengono i livelli elevati di calcio (Ca2+) necessari per l'attivazione degli enzimi. A seguito dell’attivazione di recettori di membrana o come conseguenza dei primi eventi di alterazione della membrana cellulare si può verificare un forte aumento della concentrazione di Ca2+ intracellulare causato dall’entrata del calcio extracellulare e/o dalla mobilitazione del calcio dai depositi intracellulari. Questo aumento di Ca2+ può portare all'attivazione degli enzimi PAD e alla citrullinazione di varie proteine citoplasmatiche; nel caso della PAD4, l’unica ad avere un sequenza consensus per la traslocazione nucleare, la deiminazione può interessare anche proteine nucleari. Inoltre gli enzimi PAD rilasciati dalle cellule morenti possono anche attivarsi all’esterno della cellula grazie al Ca2+ extracellulare [21]. La citrullinazione è un normale processo fisiologico che si verifica all'interno di molte cellule dell’organismo, ma il sistema immunitario normalmente non monta una risposta contro le proteine citrullinate poiché le proteine deiminate vengono catabolizzate e le cellule coinvolte vengono fagocitate. Quando il sistema di rimozione di questi detriti è inefficiente o inadeguato, come ad esempio quando si verifica una massiccia morte cellulare, gli enzimi PAD e le proteine citrullinate possono fuoriuscire dalle cellule morenti ed attivare le cellule del sistema immunitario.

L’analisi dell’espressione delle PAD rileva che questi enzimi contribuiscono ad accrescere o promuovere numerose funzioni neutrofiliche. Diverse di queste funzioni hanno la capacità di influenzare lo sviluppo o progressione dell’autoimmunità. PAD4, la deiminasi in grado di entrare nel nucleo, è coinvolta nella regolazione della trascrizione. Seguendo l’iniziale dimostrazione che la deiminazione istonica (citrullinazione) ha il potenziale di modificare l’espressione genica, sono stati fatti numerosi sforzi al fine di identificare i fattori trascrizionali che potrebbero interagire con PAD4 e dirigere la deiminazione in certi loci.

Considerando i diversi impatti che PAD4 ha sull’espressione genica e la differenziazione cellulare non sorprende che l’attivazione di PAD4 sia attentamente regolata. Ad esempio, i neutrofili

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bilanciano attentamente l’attività di PAD4 in risposta all’induzione di rilascio dei NET tramite un

cross-talk tra isoforme altamente conservate della famiglia di enzimi PKC.

La maggior parte degli studi tende ad associare l’attivazione di PAD4 nei neutrofili con il rilascio dei NET. Questo è probabilmente un riflesso del fatto che stimoli fisiologici e che mobilizzano il calcio attivano la PAD4 e portano ad una massiccia deiminazione degli istoni del core e degli istoni linker. Un evento del genere influenza enormemente la struttura della cromatina nucleare e allenta il DNA strettamente impacchettato. Nel complesso le condizioni che inducono la citrullinazione globale della cromatina sembrano anche connesse con l’attivazione più rapida e ampia della trascrizione del genoma dei neutrofili che sono pronti a determinare il rilascio di NET.

Il ruolo della PAD4 nella biologia dei neutrofili e nella loro risposta all’infiammazione è molto complesso e si possono ricavare dati utili ad interpretarlo attraverso l’identificazione dei substrati che sono modificati da PAD4. La ricerca di proteine deiminate nei tessuti di pazienti con RA ha rilevato dozzine di substrati di PAD che si localizzano in diversi compartimenti cellulari e svolgono diverse funzioni. Per esempio la deiminazione di chemochine come CXCL8 e CXCL12 diminuisce i loro effetti e mitiga l’infiammazione, suggerendo che la PAD4 possa sia promuovere che inibire l’infiammazione [20].

Cercando un ruolo fondamentale della citrullinazione come elemento centrale dell’infiammazione nell’Artrite Reumatoide e in altre malattie, è interessante notare che la citrullinazione di NF-kB aumenta la trascrizione delle citochine infiammatorie IL-1beta e TNFalpha. Questa relazione dimostra l’importante funzione fisiologica di PAD4, come regolatore trascrizionale e post traduzionale di citochine infiammatorie. Tale osservazione sottolinea anche i potenti effetti terapeutici degli inibitori di PAD in condizioni infiammatorie associate ad infezioni, autoimmunità e altre malignità. L’inibizione della citrullinazione, che regola la stessa attivazione di NFkB, un fattore fondamentale che guida i processi infiammatori, probabilmente diminuisce l’infiammazione stessa.

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Al contrario, l’aumentata attività di PAD potrebbe iniziare o sostenere l’infiammazione ed insieme

innescare una risposta autoimmune [20].

Anticorpi anti Proteine Citrullinate (ACPA)

Poiché pazienti con AR hanno anticorpi contro la fibrina, il fibrinogeno, il collagene, l’alfa enolasi e peptidi derivati da tali proteine, tutte nella loro forma deiminata, tali anticorpi sono stati compresi in una famiglia di anticorpi chiamati ACPA, anticorpi anti proteine/peptidi citrullinati [22]. L’aumento del numero di proteine citrullinate riconosciute dagli ACPA è un fenomeno che avviene nelle fasi iniziali della malattia, prima che l’AR venga clinicamente riconosciuta. I livelli di ACPA sono elevati nel liquido sinoviale, suggerendo una produzione locale di anticorpi nel sito di infiammazione. La presenza di proteine deiminate è stata dimostrata in varie condizioni infiammatorie e quindi la citrullinazione è interpretata come processo associato all’infiammazione e non specifico per l’AR. L’elevata specificità degli ACPA prodotti nell’AR sembra essere il risultato di una risposta anticorpale anomala alle proteine citrullinate e molto probabilmente dipende dal background genetico del paziente e da fattori di rischio ambientale. Attualmente gli ACPA sono gli autoanticorpi più specifici per l’AR. Il crescente numero di antigeni citrullinati in grado di reagire con gli ACPA e

modelli di reattività differenziali dei sieri di pazienti affetti da AR suggeriscono che l'induzione di una risposta ACPA non sia causata da un singolo epitopo o antigene citrullinato ma da molteplici. Anche se la citrullinazione delle proteine è un processo fisiologico che si verifica durante l’infiammazione e non è specifico per l'artrite reumatoide, esiste una risposta delle cellule B alterata contro gli antigeni citrullinati specifica per l'AR; infatti la formazione di ACPA precede la comparsa della patologia; possono essere rilevati nel siero fino a 9 anni prima che si presentino i sintomi clinici visibili della malattia. È chiaro che gli ACPA sono correlati all’AR ma non è ancora chiaro se questi anticorpi siano prodotti solo come riflesso ad un processo infiammatorio precoce o se svolgano un ruolo causativo nella determinazione della patologia. L’elevata specificità diagnostica è stata messa

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in evidenza da studi di metanalisi da cui è emerso che su circa 25000 pazienti affetti da 170 patologie differenti, analizzati in 170 studi, la specificità intesa come percentuale di risultati negativi in patologie diverse dall’AR varia tra 92 e 97% per le malattie autoimmuni sistemiche [23]. È stato ipotizzato che l’elevata specificità degli ACPA sia associata alla maturazione mediata da antigeni citrullinati di linfociti B specifici nelle articolazioni colpite, ipotesi sostenuta dal fatto che linfociti B di pazienti ACPA-positivi producono spontaneamente questi anticorpi nel liquido sinoviale mentre i linfociti B di pazienti ACPA-negativi non li producono [22].

4.2.Neutrofili e Artrite Reumatoide

I neutrofili sono le cellule più abbondanti del fluido sinoviale di pazienti AR, anche se appaiono come componenti meno importanti dell’infiltrato infiammatorio cronico sinoviale, dove si ritiene che i

neutrofili popolino solo transitoriamente il tessuto sinoviale. Negli AR i neutrofili circolanti ma infiltranti i tessuti e quelli del liquido sinoviale, hanno tutte le caratteristiche di cellule attive, caratterizzate da una sopravvivenza prolungata e dalla capacità di secernere un discreto range di mediatori infiammatori incluse chemochine e citochine [24]. Sia i neutrofili che i NET possono contribuire all’estesa citrullinazione delle proteine che si verifica negli stati infiammatori e nell’AR

in due modi:

1) l’esposizione dei neutrofili ad una larga varietà di stimoli porta alla deiminazione degli istoni, componente fondamentale dei NET e importante target di autoanticorpi nell’AR.

2) il sistema granzima B/perforina e l’attivazione del complemento, inclusa la formazione del complesso di attacco della membrana (MAC), sono capaci di indurre un’estesa citrullinazione proteica nei neutrofili del liquido sinoviale.

Neutrofili che formano NET possono essere rilevati nel liquido sinoviale dei pazienti con AR e nei noduli reumatoidi. Quindi i neutrofili e i NET contribuiscono a creare condizioni tali da favorire la

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perdita di tolleranza verso il self da parte del sistema immunitario, tipico delle patologie autoimmuni come l’AR [1].

NETosi e autoimmunità

Il riconoscimento degli antigeni self da parte delle cellule B e la produzione di autoanticorpi è un processo complesso che dipende dalla reattività contro il self delle cellule B e T ma che è tenuto sotto controllo da meccanismi centrali e periferici di tolleranza. La maggior parte delle cellule B e T autoreattive sono eliminate dal repertorio di cellule mature durante lo sviluppo, ma questo meccanismo non è completamente efficiente, poiché molti linfociti che raggiungono la periferia hanno un’ampia capacità di riconoscere gli antigeni self. Si è stimato che circa il 75% delle cellule B

allo stadio di cellula B immatura siano in grado di reagire agli autoantigeni nucleari, mentre solo il 40% delle nuove cellule B che lasciano il midollo osseo hanno questa specificità. La riduzione della capacità di autoreattività è raggiunta grazie a meccanismi centrali di tolleranza inclusa l’eliminazione clonale, e l’anergia e editing recettoriale. Le rimanenti cellule B potenzialmente autoreattive nella periferia sono mantenute in uno stato di quiescenza da meccanismi periferici di tolleranza. È lecito considerare che ogni condizione che aumenti il rischio di autoreattività, come il rilascio di ”self modificato’’ nella forma di NET, possa essere bilanciato da speciali meccanismi di tolleranza. Chiaramente, l’intenso rilascio di NET in risposta ai diversi tipi di infezioni non sempre provoca la produzione di autoanticorpi. LPS e altre componenti microbiche intrappolate nei NET possono fornire un effetto adiuvante nel processo e facilitare anche l’attivazione di ulteriori cellule presentanti l’antigene. Varie alarmine endogene rilasciate durante la formazione dei NET possono anche promuovere il reclutamento e l’attivazione di cellule dendritiche facilitando l’instaurarsi di una risposta immunitaria diretta a componenti dei NET. Oltre ad attrarre cellule dendritiche, cellule B e T in un ambiente già infiammato, le componenti dei NET, specialmente gli antigeni nucleari self,

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rappresentano strutture suscettibili di legame da parte degli autoanticorpi. I neutrofili che nettano sono anche una fonte di IL-17A che promuove la differenziazione e la maturazione di plasmacellule con lunga vita. Gli immunocomplessi, formati a seguito del legame tra gli autoanticorpi e le componenti dei NET, contribuiscono poi ad auto alimentare i processi autoimmuni e infiammatori. Gli istoni del core rilasciati nei NET possono perturbare la struttura della membrana plasmatica e causare danno diretto ai tessuti dell’ospite. Inoltre gli istoni rilasciati durante la formazione dei NET

hanno la capacità di accentuare il danno endoteliale in modo TLR-dipendente, un processo che gli anticorpi bloccanti gli istoni sono in grado di attenuare. Un potente meccanismo a causa del quale i NET inducono una risposta autoimmune in parte dipende dal fatto che nei NET sono espressi auto-antigeni modificati in modo post traduzionale. In questo scenario, particolari modifiche post traduzionali (PTM) potrebbero non essere efficientemente presentati e così fallirebbero nel rinforzare la tolleranza nella fase risolutiva della riposta immunitaria innata. Per esempio numerose proteine sono citrullinate durante l’attivazione neutrofilica e la formazione di NET. Una tale PTM è capace di modificare le strutture primarie delle proteine e quindi alterare il riconoscimento immunitario degli epitopi. Nei pazienti AR gli ACPAs, anticorpi diretti contro le proteine citrullinate, sono associati con una forma patologica più severa ed aggressiva con rispetto a popolazioni di pazienti che sono ACPA-negativi, anche se probabilmente è la presenza degli ACPA più che il livello a contribuire ad una prognosi infausta nei pazienti. In modelli animali di Artrite Collagene indotta il trasferimento di anticorpi citrullina-specifici promuove l’infiammazione sinoviale e il danno, suggerendo un ruolo di questi anticorpi nella patogenesi. Guidando la produzione di autoanticorpi autoreattivi, i NET potrebbero iniziare o amplificare la reazione autoimmune. Gli ACPA mostrano la capacità di guidare e amplificare l’infiammazione sia grazie al coinvolgimento dei recettori Fc nei macrofagi e sia mediante l’attivazione della cascata del complemento [20].

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28 4.3 SISTEMA MONOCITI/MACROFAGI

I monociti sono un gruppo di cellule circolanti nel sangue, midollo osseo, milza, e costituiscono il 10% dei leucociti totali negli esseri umani e solo il 2,4% nel topo. Hanno tipiche caratteristiche, come una morfologia cellulare irregolare, un nucleo ovale o a forma di rene, vescicole citoplasmatiche ed un elevato rapporto citoplasma/nucleo. I monociti sono in grado di restare in circolo fino a 1-2 giorni, dopo di che, se non sono stati reclutati in un tessuto, muoiono e vengono rimossi. I monociti originano nel midollo osseo da cellule staminali ematopoietiche e si sviluppano attraverso una serie di stadi di differenziazione sequenziali: il progenitore comune mieloide (CMP), il progenitore granulocita-macrofagico, il macrofago comune e precursore delle cellule dendritiche (MDP) e infine il precursore midollare recentemente identificato MoP (committed monocyte progenitorum), che differisce da MDP per la mancanza dell’espressione di CD135. I monociti sono stati considerati per tempo come

la riserva sistemica dei precursori mieloidi per il rinnovo di macrofagi tissutali e cellule dendritiche (DC). Però, molte DC e sottopopolazioni macrofagiche originano da meccanismi indipendenti da MDP e in alcuni casi possono svilupparsi direttamente dal midollo osseo. Il controllo omeostatico dello sviluppo monocita/macrofago è principalmente influenzato da CSF-1, prodotto dalle cellule stromali del sangue e dei tessuti. I fagociti mononucleari maturi a turno esprimono recettori CSF-1 e rimuovono CSF-1 circolante, realizzando un meccanismo di controllo a feedback della proliferazione monocitica. Il fattore di stimolazione dei granulociti-macrofagi (GM-CSF) è un altro fattore coinvolto nello sviluppo di fagociti mononucleari ma solo durante lo stato infiammatorio e non in condizioni omeostatiche. Numerose evidenze sperimentali indicano che i monociti reclutati sono effettori innati della risposta infiammatoria verso i microbi, e uccidono i patogeni attraverso la fagocitosi, la produzione di specie reattive dell’ossigeno, l’ossido nitrico, mieloperossidasi e citochine infiammatorie. Ad oggi con la nuova nomenclatura i monociti sono raggruppati in 3 sottogruppi basati sull’espressione dei markers di superficie CD14 e CD16: i monociti ‘’classici’’ che rappresentano la principale popolazione monocitica con elevati livelli di CD14 ma non di CD16, quelli intermedi con

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basso livello di CD16 ed elevato CD14, e il sottogruppo ‘’non classico’’ che esprime alti livelli di

CD16 e bassi livelli di CD14. Una questione ancora rilevante riguarda l’origine delle diverse sottopopolazione monocitiche. La maggior parte dell’attuale conoscenza deriva da studi condotti su modelli murini. Non è ancora chiaro se le sottopopolazioni monocitiche siano stadi finali di diversi pattern di differenziazione di un comune precursore o se rappresentino diversi stadi di maturazione in un comune pattern di differenziazione.

I macrofagi residenti sono cellule eterogenee e versatili trovate in quasi tutti i tessuti di mammiferi adulti, dove possono rappresentare fino al 10-15% del numero totale di cellule in condizioni di quiescenza. Questo numero può aumentare rapidamente in risposta a stimoli infiammatori. L’eterogeneità della specializzazione dei macrofagi può essere spiegata dal microambiente. I macrofagi prendono diversi nomi in base alla loro localizzazione tissutale, come osteoclasti (ossa), macrofagi alveolari (polmone), cellule del Kupffer (fegato) ecc. Dall’altra parte la funzione dei macrofagi è la stessa in tutti i tessuti. Sono elementi chiave nello sviluppo del tessuto, nella risposta immunitaria verso i patogeni (generando e risolvendo la risposta infiammatoria), nella sorveglianza e monitoraggio dei cambiamenti tissutali e specialmente nel mantenimento dell’omeostasi tissutale. La visione classica che i macrofagi tissutali originino dai monociti circolanti nel sangue periferico che migrano nei tessuti sotto diversi stimoli, ad oggi tende ad essere rivista; infatti il ritrovamento di macrofagi di origine embrionale che si insediano nei tessuti in sviluppo prima della nascita e originano macrofagi fetali tissutali; in secondo luogo, la capacità di auto-mantenimento attraverso proliferazione locale dei macrofagi residenti in un tessuto.

Durante le prime fasi di una reazione infiammatoria, nel tessuto c’è un aumento del numero di

effettori cellulari, necessario per aumentare il potere di difesa immunitaria. Queste cellule sono macrofagi derivanti da monociti. La concomitante perdita dei macrofagi residenti dovuta alla migrazione, perdita o morte è un fenomeno noto come ‘’reazione di scomparsa macrofagica’’. Per aumentare il numero degli effettori vengono utilizzate due strategie: la prima consiste nel

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reclutamento di monociti del sangue, guidata da macrofagi residenti di fianco ad altre cellule tissutali. I monociti del sangue reclutati sono una fonte di macrofagi infiammatori che prendono il nome di macrofagi derivati dal midollo osseo o macrofagi derivati dai monociti. L’altra strategia consiste nell’aumentare la proliferazione dei macrofagi tessuto-residenti attraverso un aumento della loro capacità di auto-rinnovarsi. Stabilito che i monociti vengano reclutati nei tessuti durante un evento infiammatorio, su quale base sono in grado di differenziarsi in macrofagi tissutali e di proliferare?

Il trascurabile contributo dei monociti al pool dei macrofagi residenti può essere dovuto al fatto che il reclutamento dei monociti sia indirizzato specificatamente nel fornire una popolazione di cellule funzionalmente differenziate, richieste per risolvere un evento infiammatorio acuto più che essere guidate dal bisogno omeostatico di mantenere un pool autonomo di macrofagi residenti.

La polarizzazione macrofagica avviene attraverso diversi programmi di attivazione per mezzo dei quali i macrofagi mostrano le loro funzioni difensive. In questo modo i macrofagi diventano in grado di rispondere con appropriate funzioni in contesti diversi. La diversità funzionale diventa quindi il carattere chiave di queste cellule. Essenzialmente i macrofagi sono in grado di cambiare le loro funzioni metaboliche da un setting di guarigione/crescita (macrofagi M2) ad una capacità di uccisione/inibizione (macrofagi M1). La principale differenza tra queste cellule è che nei macrofagi M2 il metabolismo dell’arginina è shiftato a ornitina e poliamine, mentre nelle cellule M1 è shiftato a NO e citrullina. L’ornitina prodotta dagli M2 può promuovere la proliferazione cellulare e riparare attraverso la sintesi di collagene, fibrosi e altre funzioni di rimodellamento tissutale, mentre il NO prodotto dalla classe M1 è un importante effettore molecolare con attività microbicida e di inibizione della proliferazione cellulare. La differenziazione nelle sottoclassi M1/M2 è diretta da Th1 e Th2, ma è importante considerare che i macrofagi riconoscono direttamente i patogeni mentre le cellule T non lo fanno, e considerando che le cellule T proliferano a seguito dell’interazione con i macrofagi è logico pensare che i macrofagi siano le cellule che iniziano e dirigono lo risposta delle cellule T. La risposta immunitaria adattativa ha bisogno quindi della guida e dell’input dell’immunità innata.

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Riassumendo, la risposta infiammatoria iniziale coinvolge macrofagi attivati con modalità classica o alternativa che portano all’eliminazione dei patogeni promuovendo la risposta infiammatoria. A seguito, la fase risolutiva coinvolge macrofagi in modalità deattivata, che non rispondono agli stimoli infiammatori ma sono attivi nell’eliminazione di cellule danneggiate e componenti tissutali, nel promuovere angiogenesi, proliferazione cellulare e in generale nel rimodellamento tissutale. Sia i segnali innati che quelli adattativi possono influenzare il fenotipo funzionale macrofagico, che può avere gravi conseguenze se non viene appropriatamente regolato [25].

4.4 Monociti e Artrite Reumatoide

Nel sangue periferico di pazienti AR è stato rilevato un elevato aumento del numero di monociti circolanti. Queste cellule sono capaci di infiltrare le articolazioni dove poi differenziano in macrofagi sinoviali, che sono altamente attivati in pazienti AR. Anche se diversi studi forniscono forti evidenze per il coinvolgimento dei macrofagi e delle cellule dendritiche (DCs) nella patogenesi dell’AR, relativamente poco è noto circa il meccanismo che sta dietro il loro coinvolgimento. Oltre alla loro funzione centrale nella patofisiologia dell’infiammazione sinoviale, il sistema monociti/macrofagi é all’origine dell’erosione ossea nell’AR. Infatti queste cellule contribuiscono sia all’infiammazione,

che alla distruzione cartilaginea e ossea attraverso la produzione di enzimi degradativi, citochine e chemochine. Negli ultimi anni, particolare interesse è stato dato all’investigazione della produzione di citochine nel sistema monocita/macrofago per poter identificare nuovi possibili target terapeutici. Recentemente, immunocomplessi contenenti Lactoferrina sembrano essere responsabili della produzione di citochine pro-infiammatorie da parte di queste cellule, in tal modo contribuendo alla patogenesi di malattie autoimmuni come AR. La Lactoferrina (LTF) è una glicoproteina multifunzionale legante il ferro della famiglia delle transferrine e rappresenta un’interessante prima linea di difesa contro le infezioni. Questa proteina è nota essere target per reazioni umorali autoimmuni nell’uomo, con la generazione di anticorpi specifici anti-LTF (LTF-Abs) e di

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immunocomplessi contenenti LTF (LTF-ICs). LTF-Abs sono stati rilevati nel siero di pazienti AR e altre malattie autoimmuni come SLE, la colite ulcerosa e il morbo di Crohn. HU et al. hanno riportato l’efficacia di LTF-ICs nell’indurre in vitro la produzione di TNF-α e IL-1β da parte di monociti umani. Al contrario, il solo controllo ICs o LTF e LTF-Abs non erano in grado di provocare la produzione di citochine pro-infiammatorie da parte dei monociti. Questi risultati dimostrano che la formazione di immuno complessi tra LTF umani e specifiche IgG in pazienti AR è essenziale per indurre l’attivazione dei monociti.

LTF-ICs utilizzano sia CD32a (FcyR2a) che mCD14 (ancorata al glicofosfatidil-inositolo GPI) per determinare l’attivazione monocitica in una modalità dipendente da TLR4 (Toll-like receptor) e TLR9. MCD14 è un marker di superficie di cellule fagocitiche che dipende da TLR-4 per il signaling a seguito del legame con LPS. Questo elemento sottolinea il ruolo chiave del complesso CD14/TLR4 (principale componente nella trasmissione del segnale di LPS) nel signaling durante l’attivazione del sistema monociti/macrofagi. Questi risultati sono consistenti con l’ipotesi che LTF-ICs possa supportare l’infiammazione locale e contribuire alla patogenesi delle malattie autoimmuni scatenando l’attivazione di monociti infiltranti o macrofagi tissutali in vivo [4].

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33 5 SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questo progetto è quello di analizzare il ruolo dell’immunità innata nella patogenesi dell’Artrite Reumatoide, valutando in particolare il contributo di neutrofili e monociti. E’ stata valutata la capacità dei neutrofili di andare incontro a NETosi, spontanea o indotta da stimoli. Fra gli stimoli, abbiamo studiato il ruolo del virus di Epstein-Barr (EBV). Abbiamo poi valutato il ruolo dei NET nell’indurre liberazione di citochine da parte dei monociti. Sono state infine studiate le caratteristiche antigeniche di alcune componenti dei NET che vanno incontro nella NETosi a modifiche post-traduzionali (citrullinazione).

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34 6. MATERIALE E METODI

6.1 Preparazione degli stimoli

Particelle infettanti di EBV sono state ottenute a partire dalle cellule B95a, una linea linfoblastoide infettata da EBV e capace di produrre particelle infettanti del virus. Brevemente, le cellule B-95a sono coltivate in RPMI, 10% FCS; vengono fatte crescere fino ad over growth e poi lasciate per circa 20 giorni in flasks chiuse. Passato questo periodo di tempo la sospensione cellulare viene recuperata e viene poi centrifugata a 400g, 15 °C per 15 minuti. A questo punto il surnatante, deprivato di cellule e detriti verrà diviso in due aliquote e trattato in due modi.

Un’aliquota viene filtrata con un filtro da 0.45 µm (SN B-95a), l’altra viene centrifugata a 30000g con l’ultracentrifuga Beckman con il rotore SW40 Ti; il surnatante di questa centrifugata viene centrifugato di nuovo a 30000g per un’ora e l’ulteriore surnatante viene recuperato ed utilizzato come stimolo “Mock EBV” (cioè lo stesso campione da cui viene ottenuto il virus EBV, ma senza il virus stesso). Il pellet della prima e della seconda centrifugata, contenente il virus viene risospeso in HBSS, centrifugato di nuovo a 30000 g, risospeso ancora in HBSS e filtrato con un filtro da 0,45 µm. Tale campione verrà identificato come “EBV pellet”.

Come ulteriore controllo abbiamo utilizzato un surnatante di una coltura di fibroblasti umani da derma, lasciati morire nel loro terreno. In breve, fibroblasti da derma sono coltivati in DMEM, 10% FBS, fino a confluenza. A quel punto, la flask viene chiusa e le cellule sono lasciate nel loro terreno fino a che non si staccano completamente. A questo punto la sospensione viene recuperata e centrifugata a 400g per 15’, ed il surnatante viene recuperato e filtrato con un filtro da 0.45 µm e analizzato come “Mock HDF”.

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6.2 Isolamento dei neutrofili.

I neutrofili vengono purificati a partire da 3-15 ml di sangue intero prelevato a donatori sani e a pazienti AR. Il campione di sangue con anticoagulante (eparina) viene diluito 1:2 in D-PBS (KCl 3 mM, KH2PO4 2 mM, NaCl 137 mM, Na2HPO4 8 mM), stratificato su doppio gradiente formato da

3,5 ml di Histo-paque 1.119 g/ml (Sigma Aldrich) e 3,5 ml di Ficoll-Paque 1,077g/ml (Amersham). Il campione viene quindi centrifugato a 500g per 30 minuti a RT. Si ottiene una stratificazione del materiale per gradiente di densità, come illustrato nella immagine seguente

Del materiale ottenuto con la stratificazione, il plasma può essere conservato per eventuali utilizzi futuri (per esempio, purificazione di IgG); l’anello di cellule mononucleate (PBMC – contenente i linfociti ed i monociti) è stato utilizzato in alcuni casi per purificare i monociti e mettere in coltura la componente linfocitaria. Infine l’anello dei granulociti (PMN) viene recuperato per la procedura di induzione dei NET.

PLASMA PBMC H-1.077 PMN ERITROCITI

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Poiché tale anello risulta quasi sempre contaminato da eritrociti, questo viene trattato con incubazioni, eventualmente ripetute, in una soluzione di emolisante (NH4Cl 155 mM, KHCO3 10 mM, EDTA 0,1

mM) e risospeso in D-PBS, fino a quando il pellet dei granulociti non risulti pulito dagli eritrociti.

6.3 Stimolazione dei neutrofili.

Una volta recuperato il pellet vengono aggiunti 2 ml di HBSS ( Hank’s Balanced Salt Solution ) per mantenere il PH e l’osmolarità fisiologica delle cellule, da questa sospensione vengono presi 10 µL, diluiti 1:10 oppure 1:100 in PBS + Trypan Blu 0.2% e viene fatta la conta dei neutrofili utilizzando la camera di Burker. Il numero di cellule della sospensione viene ottenuto mediante questa formula:

N°cellule = Media conta di tre campi x Fatt. dil x 104 x Vol. sospens

Dove Fatt. dil rappresenta il fattore di diluizione della sospensione nel Trypan Blu ed è uguale ad 1:10 o 1:100; Vol sospens rappresenta il volume di HBSS nel quale sono risospese le cellule prima della conta, in genere pari a 2 ml.

A questo punto i neutrofili così ottenuti possono essere indotti a produrre NET e studiati mediante immunofluorescenza oppure utilizzati per ottenere NET che verranno recuperati per stimolare i monociti e/o i linfociti ottenuti dal sangue di pazienti AR ACPA positivi.

Trattamento dei neutrofili per l’analisi dei NET mediante Immunofluorescenza

I neutrofili vengono piastrati a 300.000 cellule per pozzetto in 100µL/pozz in una piastra da coltura cellulare da 24 nella quale erano stati precedentemente sistemati dei vetrini rotondi dal diametro di 12 mm. La piastra viene incubata per 30 minuti a 37 C°, per lasciar stratificare le cellule sul vetrino. A questo punto si procede con la stimolazione, in un volume finale di 300 l, seguendo questo schema:

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 Immediately fixed: questo campione serve ad analizzare la tendenza alla produzione spontanea di NET che hanno i neutrofili. Al termine del periodo di 30’ vengono rimossi i 100 µL di HBSS e le cellule vengono fissate 300 µL di paraformaldeide 4% in PBS (PFA 4%) che viene lasciata agire per 10 minuti RT. Viene quindi rimossa la PFA e viene fatto un lavaggio con 500 µL di D-PBS ed il vetrino viene poi lasciato in D-PBS overnight.

 PMA 100 nM: questo campione rappresenta il controllo positivo, dato che la PMA (estere del

forbolo) è considerato il più potente induttore di NET. La PMA viene incubata in HBSS in presenza di CaCl2 2 mM, elemento necessario per l’attivazione delle via di signalling

intracellulare che portano alla formazione dei NET

 Blank: rappresenta il controllo “negativo” o almeno il controllo di produzione di NET

spontanei, nel periodo di incubazione.

 SN B95-a: i neutrofili vengono incubati con il SN B95a ottenuto come descritto sopra, diluito

1:2 in HBSS, in presenza di CaCl2 2 mM

 EBV Pellet: i neutrofili vengono incubati con il campione di “EBV pellet” ottenuto come

descritto sopra, diluito 1:2 in HBSS, in presenza di CaCl2 2 mM

 Mock EBV: i neutrofili vengono incubati con il campione di “Mock” ottenuto come descritto

sopra, diluito 1:2 in HBSS, in presenza di CaCl2 2 mM

 Mock SN fibroblasti: i neutrofili vengono incubati con il campione di “Mock HDF” ottenuto

come descritto sopra, diluito 1:2 in HBSS, in presenza di CaCl2 2 mM

La piastra con gli stimoli viene lasciata ad incubare per 3 ore a 37 C°, dopo di che i pozzetti vengono lavati con 300µL di D-PBS e vengono poi fissati con 300µL di PFA 4% per 10 minuti a temperatura ambiente. Infine dopo aver rimosso la PFA ed aver fatto un lavaggio con D-PBS, i pozzetti vengono lasciati in 300µL di D-PBS overnight.

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Trattamento dei neutrofili per la produzione di NET da usare per lo stimolo di monociti e linfociti.

I neutrofili vengono piastrati a 2.000.000 cellule per pozzetto in 600µL/pozz in una piastra da coltura cellulare da 6 pozzetti. La piastra viene incubata per 30 minuti a 37 C°, per lasciar stratificare le cellule sul fondo del pozzetto. A questo punto si procede con la stimolazione, in un volume finale di 1800 l, seguita dal trattamento con DNAse I che agendo sulle fibre di cromatina dei NET libera le proteine rilasciate dai neutrofili durante tale processo. Nell’esperimento

abbiamo seguito questo schema:

 NET spontanei: questo campione serve a analizzare la tendenza alla produzione spontanea di NET che hanno i neutrofili. Al termine del periodo di 30’ vengono rimossi i 600 µL di HBSS e le cellule vengono trattate con DNasi I 100 U/ml in PBS + CaCl2 2mM per 20 minuti a 37°C. Al termine di questo periodo di incubazione l’attività della DNAsi I è bloccata mediante aggiunta di EDTA 5mM ed i NET ottenuti vengono recuperati. Si recupera poi il surnatante del pozzetto da utilizzare per la stimolazione delle B memory e dei monociti.

 PMA 100 nM: controllo positivo del test; la PMA viene incubata in HBSS in presenza di

CaCl2 2 mM, elemento necessario per l’attivazione delle via di signalling intracellulare che

portano alla formazione dei NET

 Blank: rappresenta il controllo “negativo” o almeno il controllo di produzione di NET

spontanei, nel periodo di incubazione.

 SN B95-a: i neutrofili vengono incubati con il SN B95a ottenuto come descritto sopra, diluito

1:2 in HBSS, in presenza di CaCl2 2 mM

 EBV Pellet: i neutrofili vengono incubati con il campione di “EBV pellet” ottenuto come

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