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contro l’assimilazione etnica e religiosa

7. I testi fin qui presentati illustrano la fase iniziale de

lavori preparatori, la raccolta ed, eventualmente, il commento delle fonti sul tema. Nel codice vi sono, inoltre, due testi che testimoniano la fase successiva, ciè il componimento di un’integrale Storia della Bulgaria.

7.1. Il primo in realtà è un abbozzo che consta di 35 ff.27 Scritto in italiano, esso lascia l’impressione di essere un testo integrale, organico. Sul primo foglio si legge il titolo Origine

delli Bulgari; l’introduzione, infatti, tratta della provenienza

dei Bulgari e della loro arrivo nei Balcani. Il testo è una breve compilazione, le cui fonti dirette sono Du Cange e Mauro Orbini; scorre in due colonne, i commenti sono piuttosto estesi. Il principale modello narrativo è quello di Du Cange, però alcuni particolari rivelano l’impronta forte del testo orbiniano. Quando, però, si giunge al problema della conversione dei Bulgari, il racconto, bello e scorrevole fin lì, s’inceppa, diventa insicuro, “ornato” di talmente tante aggiunte e cancellature che risulta difficile non solo da leggere, ma anche da comprendere28. Riconciliare tutte le divergenti notizie su quale sovrano, quando esattamente e da dove (Costantinopoli, Roma) abbia accettato il Cristianesimo e ha condotto i Bulgari al battesimo è stata un’impresa pressoché impossibile. L’autore torna più volte su questo tema, senza riuscire ad arrivare a una soluzione soddisfacente. Continuando tuttavia il racconto, egli espone in modo abbastanza dettagliato la storia bulgara nei secoli successivi, soffermandosi particolarmente al periodo XI-XII sec.29 Dall’epoca della cristianizzazione in poi, però, di ogni fatto che gli desta qualche dubbio mette sempre due varianti a

27 Fasc. [14] ff. 63-98, cfr. anche Ferraccioli-Giraudo, p. 87, dove però

sono indicati i ff. 63-118v.

28 Fasc. [14] ff. 71-78.

29 L’autore/compilatore, seguendo Mauro Orbini, esplicita l’idea della

divisione di questo periodo in due sottoperiodi: Interregno Primo (fasc. [14] f. 83). e Interregno Secondo (fasc. [14] f. 85).

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confronto. In questo modo racconta anche del Secondo impero bulgaro30 per giungere alla conquista ottomana.

7.2. Il secondo testo che tratta l’intera storia bulgara – dall’insediamento dei Bulgari nella penisola Balcanica alla conquista ottomana della Bulgaria e all’impresa di Ladislao Jagellone per la sua liberazione – non è un abbozzo, ha tutte le sembianze di un testo definitivo, ma è estremamente breve, comprende solo 4 ff.31 In realtà si tratta di un riassunto la cui finalità pratica è ancora da scoprire.

Il materiale appena presentato dimostra che nel progetto e nei lavori preparatori per l’Illyricum Sacrum alla storia bulgara era dedicato un posto di tutto rispetto e che, in questa storia, in primo luogo destava interesse il problema della conversione della Bulgaria al Cristianesimo. Com’è noto, nella tradizione storiografica occidentale dal Medioevo all’epoca della Controriforma (e non di rado sino ad oggi) il merito di aver condotto “il feroce popolo dei Bulgari” alla fede di Cristo viene attribuito alla Chiesa di Roma dei tempi di papa Nicolò I, il quale “con lettere e buoni ammonitioni”, per dirla con il Platina, “converti alla fede di Cristo il re de’ Bulgari con tutta la provincia”32. Dopo il Concilio di Trento questa tesi uscì dalla storiografia ed entrò a far parte delle idee politiche della Curia Romana che voleva (re)integrare sotto la propria giurisdizione tutte le terre sulle quali questa si sarebbe estesa anticamente, quelle bulgare comprese. Com’è ben noto, la Santa Sede di solito si astiene dal proclamare in modo esplicito i propri programmi politici, però spesso si serve per questo scopo del linguaggio delle arti. Un esempio eloquente n’ è il poema di Francesco Bracciolini La Bulgheria

convertita pubblicato nel 1637. Segretario del cardinale

30 Fasc. [14] ff. 86-98v.

31 Il testo è stato frammentato e oggi i suoi fogli si trovano nei seguenti

fascicoli: [13] ff. 140-141v, [10] f.142r-v e f. 145r-v.

32 Cit. secondo l’edizione ialiana delle Vite de Pontefici, Venezia 1583,

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Antonio Barberini quando quest’ultimo dirigeva la

Propaganda fide, Bracciolini si fa portavoce dell’idea che la

Bulgaria, convertita dalla Chiesa Romana, debba tornare sotto la sua obbedienza. Un’idea che sfruttava la motivazione storiografica per lanciare l’assimilazione confessionale dei Bulgari “scismatici” o almeno la loro unione con la Chiesa di Roma.

Il poema rappresenta, certo, un “pamphlet epico de Propaganda Fide” come lo definisce R. Picchio33, però l’idea che l’ha ispirato si è tentato di realizzarla con metodi molto più pratici, come si evince anche dagli scritti e dall’attività politica dei Cattolici bulgari nel ‘60034. Il tentativo secentesco non è riuscito, almeno non in Bulgaria, però l’idea che l’integrazione socio-politica richieda concessioni ideologiche è sopravissuta, si è modernizzata e, al giorno d’oggi, viene applicata in diverse direzioni e con successo diverso. La possiamo considerare il più rilevante contributo dell’epoca della Controriforma al pensiero politico della moderna Europa?

33 R. Picchio, Un pamphlet epico de Propaganda fide: La Bulgheria

convertita di F. Bracciolini, in: Relazioni storiche e cultuali fra l’Italia e la Bulgaria. Studi presentati al Convegno Italo-Bulgaro in memoria di Enrico Damiani (Napoli-Positano, 29 maggio - 3 giugno 1979), Napoli, IUO, 1982, pp. 157-195.

34 cf. la relazione di K. Stantchev nel presente convegno: Assimilazione

alla rovescia ovvero quando la minoranza vuole dominare. Il programma politico dei Cattolici bulgari nel secolo XVII.

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dal ’400 al ’600)

Vassja Velinova Nella seconda metà del ’300 la penisola Balcanica vive una delle collisioni più drammatiche nella sua storia millenaria, in risultato della quale cambia l’intera mappa politica di quella zona. Con la conquista o la trasformazione dei paesi slavi in domini vassalli (un processo che comincia ancora dalla metà del ’300 e che continua durante la prima metà del ’400 fino alla caduta di Costantinopoli (1453) e la distruzione del principato serbo(1459) viene consolidata una notevole risorsa territoriale e umana, la quale permette lo sviluppo dell’Impero ottomano.

Nella scienza balcanologica e osmanologica questi processi da molto tempo non vengono esaminati unilateralmente, cioè solo come cambiamenti. L’imposizione del potere ottomano di per sé è un momento cruciale per la zona, ma le ricerche moderne fanno apparire sempre più chiaramente la conclusione che i conquistatori ottomani non hanno un approccio del tutto distruttivo verso ciò che trovano1. Loro

adottano alcune delle istituzioni, delle strutture amministrative, ecc. già esistenti e allo stesso tempo ne portano delle nuove. “Lo slancio di conquista ottomano […] fa cessare lo sviluppo della tendenza, in risultato della quale la penisola Balcanica si sarebbe trasformata in un conglomerato di centri locali di potere politico. Si potrebbe discutere su fino a quale punto questa tendenza abbia una buona prospettiva o no […] Senza dubbio, gli invasori ottomani distruggono dei principati pieni di vita, ma, dall’altra parte, la rinascita della struttura imperiale sotto la loro (degli ottomani – nota dell’autore) egemonia come se non permettesse al separatismo

1 Vedi gli studi fondamentali di: A. Pertusi, La caduta di

Costantinopoli, I e II, Verona, 1976; Chr. Matanov, Jugozapadnite balgarski zemi prez XVv., Sofia, 1986; N. Todorov, Balkanskijat grad

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politico di dividere a lungo lo spazio linguistico e culturale sui Balcani”2. Delle generalizzazioni da un carattere simile, senza

dubbio, sono importanti, poiché esse presentano la quintessenza degli avvenimenti storici, ma come ogni astrazione scientifica esse omettono i dettagli e la varietà dei processi. Così, ad esempio, il destino delle diverse strutture politiche cristiane è diverso, perché alcuni diventano vassalli del potere ottomano, mentre il principato di Tărnovo e quello di Vidin sono stati distrutti in risultato delle marce aggressori. Una delle domande più difficili in un simile contesto storico- politico è come e fino a che punto i contemporanei di questi eventi se ne rendessero conto e valutassero la portata e il significato di quello che succedeva davanti ai loro occhi. E se le discipline storiche come la balcanistica e l’ottomanistica creano determinati modelli teorici alla base di materiali, che hanno come fonte prevalentemente amministrativo e d’ufficio anche dal punto di vista moderno, allora la tradizione letteraria, i testi letterari ci danno la possibilità di vedere gli avvenimenti fino a un certo punto attraverso gli occhi del testimone. Essi ci permettono di ricostruire, anche se come ipotesi, e in alcuni casi – assai schematicamente (per iato di monumenti letterari) alcune caratteristiche del modo della gente del tardo Medioevo di vedere il mondo; l’evoluzione e perfino le contraddizioni nell’atteggiamento verso il conquistatore; l’elaborazione dello stereotipo di coesistenza e anche dei meccanismi per un’aperta opposizione.

Per la specificità delle letterature slave medioevali sui Balcani, le quali nella maggior parte sono rappresentate da traduzioni dal greco e da testi, legati al rito ecclesiastico e alla teologia, dove troviamo delle innovazioni molto raramente, o, se ce ne sono, hanno un altro carattere, dobbiamo limitare il nostro interesse solo fino alla sfera dei testi d’autore (di numero relativamente piccolo), fino a note marginali e a materiale non diretto che ci lasciano le descrizioni di vari viaggiatori dell’Europa Occidentale i quali hanno visitato, nel

2 Chr. Matanov, Vaznikvane i oblik nа Kjustendilskija sandzhak prez

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periodo il ’400 – l’inizio del ’600, le terre cristiane soggiogate. Dobbiamo, naturalmente, anche precisare i limiti cronologici, visto che il XV-o e il XVII-o secolo sono, in un certo senso, la base dell’aspetto del feudalesimo ottomano, mentre i secoli successivi sono legati di più alla sua crisi e allo sviluppo delle idee nazionali per la liberazione degli stati cristiani soggiogati. Le radici di alcuni processi letterari, e da lì – di alcuni stereotipi del pensiero, si trovano ancora alla fine del ‘ 300, perché questo è il periodo della prima espansione ottomana sui Balcani, quella più aggressiva (non dobbiamo dimenticare che al nome di uno dei più energici conquistatori della zona balcanica – Baiazid I Ildârâm, 1389-1402 – sono legati i tentativi più ambiziosi e drammatici per una “accelerata” conquista della penisola)3. Ecco perché anche i

testi di quel periodo possono presentarci l’immagine della collisione, trasformata dalla prisma del letterato medioevale. E poiché queste sono le prime controversie tra il cristianesimo e l’islam, forse si dovrebbe cominciare con il già classico problema dell’immagine dell’altro.

E’ noto che sui Balcani si stabiliscono i turchi ottomani con il loro capo Orkhan (1326-1359)4. L’etnonimo “turchi” si può incontrare molto raramente nei testi da quell’epoca della prima invasione. Lo troviamo in una nota al Triodo Penticostario dal 1392, dove si annuncia la conquista di Skopje. Lo incontriamo raramente anche nei testi più tardivi del ’400. L’etnonimo «turchi» e ben conosciuto dalla cronografia bizantina, ma sempre usato con un significativo non correttamente determinato.5 Secondo il dizionario di

3 Chr. Matanov, Jugozapadnite..., рр. 56-106.

4 P. Nikov, Turskoto zavladjavane na Balgarija i sadbata na poslednite

Šišmanovci, “Izvestija na Istoriceskoto druzhestvo”, VІІ-VІІІ (1928),

рp. 111-112; C. Imber, The Ottoman Empire, 1300-1461. Istanbul, 1990, pp. 29 -109.

5 Secondo “The Oxford Doctionary of Byzantium” l’etnonimo “turchi”

si usava per i popoli, che vivevano oppure provenivano da un ampio regione fra il litorale esterno del mare di Caspia a la montagna Altai. Questi popoli furono talvolta chiamati “turani”. Includono i gruppi dei Huni, Avari, Chazari etc. Vedi: “The Oxford Doctionary of

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Nayden Gerov l’etnonimo è “il nome popolare degli osmanli e di ogni musulmano”, il che spiega fino a un certo punto per quale motivo non presenta nei testi ufficiali6.

Nelle opere del periodo ’400-’500 le denominazioni più spesso incontrate, le quali hanno il ruolo di etnonimi, sono “agariani” (i discendenti di Agar, la madre di Ismaele, Genesi, 16:1-15) e “ismaeliani” o “ismaeliti” (i figli di Ismaele, Genesi 16:11-13). Nelle note da quell’epoca, nelle descrizioni di alcuni momenti della conquista della penisola, i due termini danno un’idea non solo sull’origine dei conquistatori, ma anche sulla valutazione degli autori slavi. La denominazione delle tribù islamici ottomani “agariani” e “ismaeliani” porta direttamente verso il contesto biblico e gli stereotipi biblici per la visione sulla storia umana. Gli ismaeliani sono un altro popolo, benché discendenti da Abraamo. Ismaele, messo al mondo da una schiava, è figlio solo secondo la carne, mentre unicamente colui che è nato dalla libera è il realizzatore del testamento (Galati. 4: 22-23). E un’altra cosa, nella sua lettera ai Galati, apostolo Paolo scrive:

E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello che era nato secondo lo Spirito, così succede anche ora. Galati 4:29-30.

Questa interpretazione somiglia assolutamente agli avvenimenti del ХІV-o secolo e le immagini bibliche di Ismaele e di sua madre Agar (il nome della quale significa la montagna di Sinai in Arabia) diventano gli strumenti base per la denominazione dell’invasore. In questo modo, ciò che succede, viene vissuto nel tempo biblico mitologico ed è una parte della Storia sacra, rispettivamente – della Provvidenza divina. Secondo questa visione, le denominazioni “agariani” e

“turchi” per le truppe dei gruppi degli osmani e stato entrato nella lingua bulgara dal greco, sul piano popolare.

6 Nayden Gherov, Recnik na balgarskija ezik, t. 5, 1978, p. 383, dove si

spiega, che l’etnonimo si usava nella lingua parlata per significare”ogni osmano oppure mochamedano”.

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“ismaeliani” schiudono un altro modello biblico – quello del Giudizio universale, del castigo e della fine del mondo.

I letterati bulgari accettano l’invasione degli eterodossi come una punizione per i peccati dei cristiani. Così, ad esempio, descrivendo la conquista di Tărnovo dalle truppe del sultano Baiazid, Gregorio Tsamblak scrive che la città viene conquistata non per la forza dell’arma,

“ma perché è stata la volontà divina che l’ha

permesso”

(îáà÷å ñ©äáàìü áîæ·èìú ¹ìëúêí©âøèì)7 e in un’altra sua opera aggiunge che

“quando il peccato prevalse, d’un tratto, nelle

mani del sultano c’era quello che gli pareva non avrebbe ricevuto”

(ãðýõ¹ ïðýâúçüøúäøó, âü ð¹ê¹ á¥ñòü [del

sultano] àá·å èæå íèêîãäàæå ñ·å ïîëó÷èòè ìíåùîì¹

ñå.)8.

Un’idea simile viene difesa da un’altro letterato, Gioassafo di Bdin, il quale dice che

“per gli ignoti segreti divini contro quel luogo

(Tărnovo – nota dell’autore) si versò la rabbia e la grande invasione degli agariani e cominciò la

7 Pochvalno slovo za Evtimij ot Grogorij Tzamblak, Stara balgarska

literatura, Vol. 2, Oratorska proza. Sofia, 1982, р. 229. Il testo originale e citato secondo l’edizione di P.Russev, I. Galabov, A. Davidov, Pochvalno slovo za Evtimij ot Grogorij Tzamblak, Sofia, 1971, p. 112-232.

8 Slovo za prenasjane moshtite na Sv. Petka ot Tărnovo vav Vidin ot

Grigorij Tzamblak. Testo citato secondo l’edizione di E. Kalužniacki, Werke des patriarchen von Bulgarien Euthimius (1375-1393). Variorum reprint, London, 1971, p. 432-436.

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completa e la triste devastazione di quella città. Attraverso il permesso della provvidenza onnipotente, la profondità delle cui sentenze è grandissima, non so in quale modo si realizzava quel salmo di Geremia che dice: “Le strade di Sion sono afflitte”

(åãäà íà ìýñòî îíî ðàäè áåçâýñòí¥õü òàèíü áîæ·èõü ãíýâü è íàøüñòâ·å âåëèêî Àãàðýíñêîå ñúòâîðè ñå, ¹â¥, è êîíú÷íîå ðàçð¹øåí·å ¹ìèë¬íî ãðàäà òîãî (Tărnovo – nota dell’autore)ñúäýà ñå ñú îêðúñòí¥ìè, íå âýì êàêî, ïîï¹ùåí·åìü âñåñèëíàãî ïðîì¥ñëà, åãîæå ñ¹äîáü ãëúáèíà âåëèêà, âú í¶åìæå Iåðåì·èíî ïñàëìîïýí·å èñïëúíÿàøå ñå îíw, åæå: ï¹ò·å Ñ·wíîâè ïëà÷þò ñå).9

Il motivo diventa un toponimo nelle note e alcune si allargano fino a composizioni teologiche indipendenti che spiegano l’invasione come la fine della storia cristiana. La nota alla traduzione delle composizioni di Pseudo-Dionissio Areopaghita, opera del monaco Isaia di Ser, sviluppata fino a una indipendente cronaca storica, aggiunge all’umore di tutti anche una certa sfumatura di pessimismo e di rassegnazione, dicendo che

“Dio versò la Sua rabbia verso i cristiani delle

zone occidentali … e nessuno può contrapporsi alla rabbia divina”

9 Pochvalno slovo za Philoteja ot Joasaff Bdinski, Stara balgarska

literatura, Vol. 2, Oratorska proza. Sofia, 1982, р.196. Il testo originale e citato secodno l edizione di E. Kalužniacki, Aus der

panegyrischen Litteratur der Südlaven, Variorum reprint, London, 1971, p.97-115.

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(åãäà wãíýâè áîãú õðèñò·àíå çàïàäí¥õ ñòðàíú ... íå ñóäèâøå ÿêî ãíýâó áîæ·þ íèêòîæå ìîùåíú ïðîòèâó ñòàòè.)10.

Questo, da parte sua, viene legato ad alcuni motivi apocalittici – secondo la nota nel Triodo Penticostario dal Monastero di Slepča (1398):

“...allora si instaurò un abbandono e una grande

pena per gli inefedeli ismaeliti, la quale non c’è stata e non ce ne sarà

(È òîãäà á¥ñòü çàï¹ñòýíèå è ñêîðáü âåëèà îä áåçáîæí¥õü Èçìàèëèòü èæå íå á¥ñòü íè áóäåòü)”

Esempi simili possono essere presi anche da testi innografici e da alcune agiografie. Essi delimitano il modello della visione sugli avvenimenti storici – la collisione tra il cristianesimo e l’islam viene pensata e valutata attraverso la prisma della conoscenza biblica della storia, presentando gli eventi, i letterati si servono degli stabili stereotipi tradizionali teologici. Il linguaggio culturale dalla fine del ’300 e l’inizio del ’400 è biblico, carico di simboli e non cerca di descrivere gli eventi (tranne la breve e secca enumerazione di nomi di sovrani cristiani e ottomani e delle battaglie più importanti), ma piuttosto cerca di evidenziare la loro connotazione teologica. In questo modo si forma la valutazione dell’avvenimento, rispettivamente – la dimensione del conflitto. La collisione è colossale, ha delle dimensioni universali:

“gli ismaeliani si disperdono come uccelli nell’aria

10 Monach Isa,j , Stara balgarska literatura, Vol. 3, Istoriceski

sachinenija, Sofia, 1983, рр. 112-113. Il testo originale e citato secondo l’edizione di Dz. Trifunovich, Pisac i prevodliac inok Isaja. Krushevac, 1980,157-161.

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(èçìàèâò,íå ïîëåòýøà ïî âñåè çåìëè ÿêîæå ïòèöà ïî âúçäóõó) ”

(Isaia di Ser), le truppe di Baiazid davanti alla città di Tărnovo superano il numero dei soldati non solo delle truppe di Dario, ma anche di quelle di Alessandro il Macedone (Gregorio Tsamblak), ma il parallelo più spesso incontrato è quello con le Lamentazioni del profeta Geremia, il quale descrive in una maniera particolarmente espressiva la devastazione di Babilonia (Gioassafo di Bdin, Gregorio Tsamblak, Isaia di Ser).11

La collisione ha una sua dimensione – non si può mettere sempre nella stilistica e nel sistema espressivo del ХІV-o secolo. Il linguaggio della letteratura, limitato da toponimi dogmatici e teologici, risulta non funzionale per poter trasmettere la varietà e le sfumature delgli avvenimenti. Durante il secolo successivo – il ’400 – nella letteratura entrano elementi di storicismo (soprattutto nei testi di agiografia) e un tentativo più razionale di spiegare la ragione per l’invasione ottomana, presentato purtroppo solo in un unico testo – la cosiddetta Cronaca bulgara anonima del ’40012. In essa si evidenziano in prima linea le contraddizioni tra i diversi sovrani, la lotta per la supremazia di ciascuno di loro, il che condiziona anche la vittoria dell’avversario. Nonostante che il testo porti una serie di caratteristiche

11 Motivi simili si possono identificare anche nell’innografia di questo

periodo. Cfr. St. Kozucharov, Problemi na starobalgarskata poezia, Sofia, 2004, pp.141, 148-149, especcialmente pp. 172-173, dove si spiega il fenomeno del “pianto” nel contesto dell’innografia del seccolo. Molto significativi sono anche l’osservazioni di Predrag Mateich, Balgarskijat chimnopissec Efrem ot XIV v. Delo i znacenie, Sofia, 1982. Non dobbiamo dimenticare, che i motivi apocalittici sono registrati anche spesso nella letteratura bizantina e accetati di quella paleoslava e che loro fanno parte della lingua letteraria del Medioevo. Cfr. V. Tapkova-Zaimova, A. Miltenova, Istorico-apokaliptichnata

knizhnina vav Vizantija i v Srednovekovna Balgarija, Sofia,1996,13-

27.

12 I. Tjutjundzhiev, Bulgarskata anonimna chronika ot XV v., Veliko

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dell’epoca precedente – reminiscenze bibliche, paralleli con la storia bizantina e motivi di rassegnazione davanti alla provvidenza divina, il momento base in esso è lo sforzo che gli avvenimenti storici siano spiegati logicamente, fino a quanto sia possibile in quest’epoca. Gli invasori ottomani non possono padroneggiare subito su tutta la penisola, perché l’esercito dell’imperatore Cantacusino è enorme; l’imperatore bizantino, per la sua “tesoreria svuotata” cerca aiuto successivamente da bulgari e serbi; per la discordia tra di loro, lui conclude la pace con gli ottomani, ecc. In questa opera la storia è presentata come un processo che ha le proprie leggi di causa ed effetto, da essa viene tolto il velo della mistica biblica e il conflitto viene presentato nelle sue dimensioni reali – una collisione tra gruppi etnici e religiosi. Dei motivi simili possiamo trovare anche nelle opere del letterato Vladislav Gramatik, il quale, fedele alla tradizione, non omette “la volontà divina”, ma allo stesso tempo fa vedere l’altra faccia degli eventi – piuttosto quella storica, quella vera, che quella simbolica.

Quali sono i motivi per il cambiamento nell’approccio verso la storia e il conflitto?

Il XV-o secolo è l’epoca della stabilizzazione dello stato ottomano sui Balcani, un’epoca di speranze perse (le marce di Costantino e Frugino e di Vladislavo Jaghelo il II (Varnenchik) per la liberazione delle terre bulgare che hanno subito il fiasco13), un’epoca dell’addio definitivo con il

simbolo della civiltà cristiana – Costantinopoli. L’emblematico anno 1453 è l’ultima soglia da varcare perché ci si renda conto della realtà storica. Circa nella meta del ’400 viene chiuso il Patriarcato di Tărnovo, in risultato di quale

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