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I tre frammenti più lunghi del Plokion menandreo sono dunque testimoniati dal capitolo 23 del II libro delle Noctes Atticae di Aulo Gellio, che porta il titolo Consultatio diiudicatioque locorum facta ex comoedia Menandri et Caecilii quae Plocium inscripta est: il termine diiudicatio non lascia dubbi sul fatto che chi scrive non rimarrà neutrale, ma esprimerà la propria personale opinione su quale delle due opere sia la migliore.

I primi tre paragrafi vertono sul confronto generico tra originali greci e traduzioni latine, e viene dichiarato subito quale sia il metodo utilizzato per realizzarlo:

1) si leggono i testi latini (§ 1-2);

2) si confrontano i testi latini con quelli greci da cui sono derivati (§ 3): i verbi usati sono conferre e componere, che indicano proprio il mettere le due letterature l’una a fianco all’altra; tale confronto viene fatto affiancando singoli passi (committas singula), leggendoli con attenzione (considerate atque apte), prima l’una poi l’altra lingua (iunctis et alternis lectionibus).

Il risultato di questa lettura sinottica penalizza senza dubbio il latino, e tale giudizio negativo viene pronunciato senza esitazione e con grande 'resa visiva' (oppido … iacere, sordere, obsolescunt).

Per esemplificare tale teoria della sconfitta del latino nel momento del confronto col greco, viene appunto menzionato il Plovkion / Plocium. Il procedimento è quello appena illustrato: si legge il Plocium (§ 4-5), poi il Plovkion (§ 6), ed infine si pronuncia la sentenza di condanna per Cecilio (§ 7): la disparità è così abissale che Gellio ricorre addirittura ad un paragone mitologico (l’omerico scambio di doni tra Glauco e Diomede), perché i lettori possano avere chiara nella loro memoria un'immagine di tale divario.

È a questo punto che Gellio dimostra concretamente le ragioni della sua sentenza, citando tre frammenti appartenenti al Plovkion (ffr. 296-298 K.-A.), e tre al Plocium (vv. 136-169 R.3): in ciascun caso il greco è seguito dal latino, ed i testi

comici sono accompagnati da un giudizio più o meno lungo e puntuale, ma sempre a favore del primo.

Ciò che è maggiormente interessante, ai fini della ricostruzione della trama del Plovkion / Plocium, è l'abitudine di Gellio di mettere in luce anche il contesto drammatico da cui sono tratti i frammenti: viene detto non solo chi siano la persona loquens ed il suo eventuale interlocutore546, ma si riassume a grandi linee anche la scena in questione. Si hanno così a disposizione informazioni essenziali di cui si deve far tesoro nella comprensione di testi frammentari come questi.

Avendo a che fare con delle opere teatrali, Gellio sfrutta le caratteristiche loro proprie per 'delimitare' i passi scelti547: una battuta di un singolo personaggio, o una porzione di un dialogo vengono così a costituire delle entità a sé stanti e portatrici di senso. L'autore opera dunque una selezione consapevole sulle opere complete dei due autori, ed è chiaro che ai suoi occhi era intero quello che purtroppo per noi ora è frammentario.

La lunghezza dei brani estratti, infatti, la non casualità della loro scelta, e il loro accurato inserimento nel contesto drammatico di provenienza, fanno pensare che Gellio potesse leggere interamente entrambe le opere, ed avesse a disposizione il testo durante la redazione di questo capitolo. L'unico punto di riferimento dell'autore deve dunque essere stata la lettura integrale del Plovkion / Plocium: si deve escludere infatti la derivazione da un qualche florilegio, poiché ciò renderebbe impossibile padroneggiare agevolmente la trama delle due commedie548; non si può nemmeno pensare ad una citazione a memoria, vista l'estensione delle citazioni, che richiede l'ausilio di un supporto scritto549.

Ci si può poi chiedere perché Gellio abbia scelto di citare proprio queste due opere, e se ne conoscesse altre altrettanto utili per esemplificare. Se si esaminano complessivamente le Noctes Atticae, ci si rende conto che il Plovkion di Menandro è

546 Gellio non cita i nomi propri dei personaggi, ma solo la categoria cui appartengono, come senex, uxor, servus, etc.

547 Cf. Gamberale 1969, 80.

548 Cf. Gamberale 1969, 37-41 e Di Gregorio 1988, 115s.

549 Cf. Di Gregorio 1988, 116: «non si vuole naturalmente dire che Gellio ha riportato i sei frammenti, i primi due dei quali di una certa ampiezza, basandosi sulla propria memoria:

l'ampiezza delle citazioni richiede senz'altro che egli, quando ha proceduto alla stesura del capitolo in questione, disponesse del testo delle due opere».

il dramma greco meglio conosciuto e più citato dall'autore, ed il confronto con Cecilio in NA II 23 costituisce addirittura un unicum. Che la scelta sia caduta proprio su queste due commedie e non su altre, può essere un fatto voluto (sc. Gellio ne conosceva altre, ma non le ha citate)550, ma molto più probabilmente è stato dettato da necessità: «il motivo che ha indotto Gellio a confrontare i due Plocia potrebbe consistere nel fatto che, tra i modelli greci delle palliate, egli conosceva solo quello!»551.

Da ciò si capisce che ad interessare l'autore non sono il teatro greco e latino in generale, in tutte le loro fasi e varietà, bensì un problema che si potrebbe definire di linguistica, o di comparativistica, ossia quello della 'traduzione artistica': il procedimento attraverso cui un determinato testo, scritto in una determinata lingua, in una determinata epoca, viene riscritto, in età successiva, in un'altra lingua, da un altro autore, che crea così un'opera nuova, più o meno degna di essere considerata per se stessa (a seconda della qualità della traduzione).

Più specificamente, Gellio analizza la questione dei precedenti greci della fabula palliata latina, ma è chiaro che il suo interesse è estetico-linguistico, non poetico-letterario552. A conferma di ciò si noti, che, pur avendo a che fare con delle opere teatrali, concepite apposta per essere recitate, l'autore le tratta come opere scritte, destinate esclusivamente alla lettura553: esse vengono 'lette' (si veda l'insistenza sui verbi legere e scribere in tutto il capitolo 23), non 'ascoltate'.

Comprese la finalità e la natura del confronto operato da Gellio, non resta che spiegare il motivo del suo giudizio finale, che, come si è visto, condanna Cecilio senza mezzi termini. A influenzare in questo senso i gusti dell'autore è la sua

550 In NA II 23,1 Gellio effettivamente nomina altre tre poeti greci oltre a Menandro, ma ciò non vuol dire le loro opere fossero a lui familiari; cf. Gamberale 1969, 42: «i § 1-3 non sono altro che una introduzione generica, un pretesto per inserire, casualmente in apparenza, il paragone tra Cecilio e Menandro; certo essi testimoniano una nozione del problema, superficiale e fatta più che altro di nomi; ma Gellio non dimostra di conoscere i comici greci che nomina in 2, 23, 1 né, dalla parte latina, le grandi dispute dei prologhi di Terenzio».

551 Cf. Gamberale 1969, 43, e n. 101: «la cosa è in certo senso confermata dal fatto che, quando può, Gellio non si limita a raccogliere esempi da una fonte sola».

552 Cf. Di Gregorio 1988, 107: «l'assenza quasi totale nelle Noctes Atticae di riferimenti a rappresentazioni contemporanee è dovuta alla mancanza di interesse per il teatro come forma di spettacolo».

553 Cf. Gamberale 1969, 43, secondo cui tale trattamento costituisce un'evidente prova di una

«mancanza di interesse teatrale».

formazione scolastica554, da cui eredita una tendenza arcaizzante ed atticista: per lui Menandro non può che costituire un modello rispetto al quale l'opera di Cecilio rappresenta un'imitazione poco riuscita, se non addirittura una spregevole degenerazione; ai suo occhi infatti, la rozzezza dell'autore latino non può in alcun modo reggere il confronto con la raffinatezza del greco555. Gellio è qui uno dei portavoce del noto 'complesso di inferiorità' dei Romani rispetto ai loro predecessori, soprattutto per quanto riguarda le rispettive produzioni letterarie.

554 Cf. Gamberale 1969, 76: «un certo modo di accostarsi ai testi egli lo ha appreso come allievo di Castricio», e Jensen 371: «sehen wir eine klare Präferenz zugunsten Menanders, der in der Auffassung von Gellius als unerreichbarer Bezugspunkt für Caecilius gilt; von dieser Perspektive aus gesehen in Zusammenhang mit der Tatsache, dass Herodes Atticus, Vertreter der zweiten Sophistik und Anhänger der attizistichen Renassaince, sein Lehrer war und ihn dadurch beeinflusst hat, könnten wir Gellius des Attizismus bezichtigen».

555 Cf. Gamberale 1969, 77: «Si aggiunga che l'affermata indipendenza del latino è in realtà inesistente, e la palliata è considerata in tutto per tutto una imitazione del Plovkion menandreo.

Gellio dunque ha assimilato dai suoi maestri un certo modo di 'guardare' i testi imitati e tradotti, modo che sembra implicare che gli originali greci si considerino come la perfezione dal punto di vista della forma, la verità dal punto di vista del contenuto; qualunque variante dell'imitatore rappresenta, salvo eccezioni, una deviazione, un peggioramento, nell'uno o nell'altro campo».