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Testimonianza di Sugihara Yuri

2.1 Presentazione libro “Kugai Jōdo: Waga Minamata-byō” di Ishimure Michiko

2.1.2 Testimonianza di Sugihara Yuri

Come nella testimonianza del vecchio Ezuno, anche nel racconto che riguarda Sugihara Yuri vi è l’aspetto che riguarda il concetto di buddhismo. Nella storia di Yuri, però, vi è una comprensione più forte nel limite di un linguaggio celeste verso l’altro mondo che non riesce a penetrare nella profondità della sofferenza delle vittime che non riusciranno mai a riposare in pace. Sugihara Yuri è una bambina che presentò i sintomi di Minamata all’età di sei anni e, come dice Michiko109

che andò in visita a casa sua, non muove mai le ciglia e guarda sempre fisso di fronte, facendo trasparire dai suoi occhi solo uno spaventoso senso di tranquillità.

Nella narrazione, la bimba ha l’età di diciassette anni e la madre Sato si è presa cura di lei sin da quando si è ammalata, portandola all’ospedale dell’università di Kumamoto, nel reparto d’isolamento a Shirahama e all’ospedale di riabilitazione a Yunoko. La sorella maggiore di Yuri invece, essendo stata catalogata come una malata con sintomi lievi, non è stata ammessa alle cure dell’ospedale.

In seguito anche Sato e il marito cominciarono a mostrare insensibilità negli arti tanto da non riuscire a tenere bene le bacchette per mangiare. La madre, ricordando l’infanzia della figlia con un tono malinconico e triste, descrive così la sua piccola:

“tu eri nata normale, con nessun difetto. Sei nata in salute e sei una bambina amorevole, ma come mai hai smesso di crescere all’età di sei anni?”110

“Yuri, tu eri una bambina grassottella e sorridente. All’età di tre anni giocavi sulla spiaggia e spensierata entravi nel mare. Lo amavi molto. All’età di cinque anni sapevi nuotare ed entravi nel mare muovendo abilmente braccia e gambe. Prima ancora di saper parlare, hai imparato come si tirano e usano le reti da pesca.”111

“Quando volevi giocare a fare la casalinga e a cucinare, correvi sulla spiaggia a prendere le conchiglie per i tuoi piatti finti e alghe marine per le tue zuppe verdi. Mi ricordo come tornavi a casa tutta saltellante e cantavi con in mano un cesto pieno di gusci e pietre, e nell’altra mano ghirlande di fiori. Ora non riesci neppure a raccogliere fiori e cantare felice.”112

109 Michiko I

SHIMURE, Paradise in the Sea of…, cfr.p.255.

110 Ibid., p.257. ( trad. mia) 111 Ibid., p.258. (trad. mia) 112

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L’autrice si concentra nel capitolo dal titolo: “La mamma di un’erbaccia”, sulla conversazione fatta con Sato (la madre di Yuri) che risulta prettamente essere un monologo e che mostra la pena e la preoccupazione di una madre verso il proprio pargolo sofferente fino ad arrivare a renderla non consapevole di ciò che dice, quasi come se fosse una pazza, e lo si può notare in queste sue parole:

“spesso mi domando se sono stata proprio io a crearti e se è davvero così sono una peccatrice sicuramente.”113

“Tu sei stata travolta dalla malattia di Minamata perché tua madre era una peccatrice e ora tu, subisci questo.” 114

Con queste parole Sato si sente in colpa per la disgrazia della figlia e, ancor più grave, si sente colpevole della sventura capitatale. Il monologo della madre si dirige poi verso un concetto buddhista, di quell’anima che è presente in ogni essere umano tranne che nella propria figlia, come se fosse un albero che respira ma che non ha sensazioni o un’anima nel proprio cuore e di nuovo si attribuisce delle colpe per questo, come se fosse esclusivamente colpa sua. Sato confessa a Michiko il suo pensiero, affermando:

“c’è uno spirito che vive in ogni albero, in ogni tipo di flora, in ogni filo d’erba. Pesci ed esseri della terra, tutti hanno un’anima che entra in una nuova vita quando muoiono. Come è possibile che la nostra Yuri non abbia un’anima?”115

“Come può una così amorevole bimba di sei anni perdere la propria anima?”116

“Se è vero che l’anima di Yuri è morta, che non può avere sentimenti umani, che madre posso essere io?”117

Sato crede, quindi, che sia come un albero senz’anima e si tormenta continuamente durante la conversazione perché non trova rimedio e pensa che non riuscirà più a trovare la pace interiore. Dice che Dio ha dato a sua figlia un viso bellissimo ma che è inutile perché non può proferire parola. Si logora anche del fatto che Yuri è diventata famosa,

113

Michiko ISHIMURE, Paradise in the Sea of…, p.259. (trad. mia)

114 Ibidem. 115 Ibidem., p.260. 116 Ibidem,.p.260. 117

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che è su tutti i giornali e riceve dei soldi solo per stare in letto, senza poter usufruirne in una maniera diversa. S’infuria poi contro Dio dicendo:

“non puoi dipendere da Dio, da nessun Dio quando vieni a Minamata. Dicono che Dio crei il mondo e uomini che vivono della sua immagine. Ma non è Dio che ha creato anche la Chisso e il mercurio organico? Ѐ una creazione divina quella di assassini che avvelenano persone innocenti?”118

Sato aggiunge poi che se Yuri non fosse un essere umano ma un albero o un’erbaccia, allora lei sarebbe la madre di un albero o di un’erbaccia. A queste parole Michiko le fa capire che sta parlando in un modo insensato e cerca di aiutarla con parole che le sollevino un pochino il morale, ma non c’è nulla da fare, è inutile; il suo dolore, quello di una madre che vede una figlia in quelle condizioni, è troppo forte e straziante.

A differenza del vecchio Ezuno, che si affida alle divinità e le vede come una speranza, Sato crede che la propria figlia non riuscirà mai ad essere in pace e, criticando ancora il colpevole del danno di Minamata, afferma:

“dicono che se muori di morte naturale, il Buddha Amida prende la tua anima e ti conduce nel suo paradiso. Ma chi prenderebbe un’anima dissolta nel mercurio? La Chisso forse? Cosa farà la compagnia con tutte queste anime che ha ucciso?”119

“Lei non ha posto dove andare quando morirà e la sua anima non sarà mai in pace. Se io andassi nella Terra Pura quando morirò, non la troverò sicuramente là.”120