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Ci sono essenzialmente due classi di campi visivi: manuali (tipo Goldmann) e automatici (computerizzati, tipo Humphrey, prodotto dalla Zeiss e utilizzato per il nostro studio). Entrambi hanno i loro punti di forza e debolezza e talvolta uno è complementare dell’altro; sebbene quelli automatici siano ormai largamente diffusi e i più utilizzati, vi sono delle circostanze in cui ancora si deve ricorrere alla

perimetria manuale.

I perimetri manuali sono fortemente operatore dipendenti: è l’operatore che presenta gli stimoli, che monitorizza la fissazione, che registra le risposte del paziente e che può decidere di modificare l’iter di presentazione degli stimoli sulla base di precisi quesiti diagnostici. Questo conferisce al test una notevole flessibilità e risultati molto affidabili anche per pazienti con deficit di attenzione come i bambini e gli anziani. Anche la strumentazione è poco complessa. Tuttavia non è molto riproducibile in quanto fortemente dipendente dalle conoscenze e dall’abilità dell’operatore stesso.

I perimetri computerizzati invece necessitano di meno tempo, meno coinvolgimento del personale medico e maggiore attenzione del paziente, permettono un indagine secondo diverse strategie, impostabili via software (pur essendo meno flessibile e non modificabile durante l’esecuzione, meno customizzabile per il singolo paziente), ma consentono una maggiore standardizzazione e una più accurata analisi statistica dei risultati, con la possibilità di confrontarli con quelli di altri esami presenti nel database e divisi per fasce di età. Comunque la perimetria manuale è da preferirsi a quella automatica

in almeno quattro circostanze:

- per pazienti con deficit di attenzione che non mantengono adeguatamente la fissazione;

- per difetti che si estendono oltre i 30° centrali (per i quali la perimetria automatica è poco sensibile);

- in presenza di isole di visione residua che non rientrano nelle aree testate in automatico (gli intervalli sono di 6°);

- per perdite di visuale su base funzionale.

In tutte le altre circostanze il campo visivo computerizzato risulta sicuramente più pratico e veloce (minor spreco di risorse umane e di

tempo) e sufficientemente affidabile.21

Principi fisici di base

La maggior parte dei perimetri non emette la luce direttamente verso l’occhio ma la proietta su un superficie riflettente (cupola). La luce che raggiunge l’occhio dipende dalla riflettenza della superficie (che è costante) e dall’intensità di luce emessa dal proiettore (variabile). Affinché un punto luminoso di una data forma e dimensioni sia

- 21 Barton JJS, Benatar M. Field of vision: a manual and atlas of perimetry. Ed. Humana press 2003; 1: 3-4.

percepibile, deve esserci una differenza minima tra la sua intensità e quella dello sfondo. Questa differenza costituisce la soglia

differenziale di sensibilità luminosa ed è il valore che cerchiamo per le

varie aree della retina per poter costruire la mappa. Ma va tenuto conto del fatto che il suo valore è dipendente dall’entità dell’illuminazione del fondo. Difatti ogni tipo di perimetro è settato su una intensità dell’illuminazione di fondo standard (per l’Humphrey e il Goldmann è di 31,5 asb). Idealmente la soglia dovrebbe essere il valore oltre cui tutti gli stimoli vengono correttamente identificati, ma all’atto pratico si considera come il valore al quale lo stimolo ha il 50% di probabilità di essere individuato.

Di strategie di presentazione dello stimolo ne sono state sviluppate diverse e tutte a partire dalla necessità coniugare il risparmio di tempo, considerando che una ricerca meticolosa della soglia può

essere particolarmente prolungata 22, con quella di poter ottenere

comunque le informazioni di cui si ha bisogno. Tra le strategie principali si ricordano quelle in cui si parte da stimoli sicuramente non visibili per salire gradualmente allo stimolo-soglia, o al contrario

- 22 Con il metodo a frequenza di visti per ogni punto e intersezione della curva ottenuta col cinquantesimo percentile per ottenerne il valore

partire da stimoli sicuramente visibili per scendere di intensità fino a scomparsa dello stimolo; oppure altro metodo particolarmente efficace è quello delle “scale”, ovvero si danno stimoli sicuramente sopra soglia per poi diminuirli fino a scomparsa e successivamente riaumentare l’intensità fino a ricomparsa, per poi tornare a diminuirlo e poi ad aumentarlo in maniera sempre più fine fino a individuare il valore corretto; generalmente per la perimetria automatica si procede con la strategia a scale, e sono sufficienti due cambi di direzione nella modifica dell’intensità dello stimolo.

Il valore soglia individuato è strettamente correlato alla sensibilità: tanto più è alta la soglia tanto maggiore dovrà essere l’intensità dello stimolo per essere percepito e quindi l’area di retina corrispondente

sarà tanto meno sensibile.23

Preparazione

La prima fase corrisponde all’inserimento dei dati del paziente (nome, cognome, data di nascita), un’operazione necessaria non solo per lo storage dei dati nel database e il richiamo di esami precedenti, ma soprattutto per il fatto che alcuni di essi (come l’anno di nascita)

- 23 Barton JJS, Benatar M. Field of vision: a manual and atlas of perimetry. Ed. Humana press 2003; 319-321.

risultano fondamentali nella costruzione della mappa (essa è ricavata proprio per confronto statistico con valori normali divisi per fascia d’età). Vengono anche indicate le lenti usate per l’esecuzione dell’esame, mentre il diametro pupillare è calcolato direttamente dal computer.

Dipendentemente dal tipo di tecnologia utilizzato (campo visivo Humphrey o Octopus) va assicurato un corretto grado di illuminazione della stanza: essendo la luminanza dell’Humphrey quasi 8 volte maggiore dell’Octopus non è necessario che l’esame sia svolto in condizioni di penombra come per quest’ultimo. Un corretta illuminazione è necessaria per rendere stabile durante tutto l’esame la sensibilità della retina alla luce. L’adattamento richiede qualche minuto e generalmente questo lasso di tempo viene usato per spiegare la procedura e gli scopi della stessa.

Il paziente è invitato a fissare una mira luminosa avvertendolo che compariranno intorno a essa, sullo sfondo, impulsi luminosi in diverse posizioni e di intensità variabile che non dovranno essere fissati direttamente ma avvertiti con l’area di retina non foveale (la fovea deve essere impegnata sulla mira). Ogni volta che si avverte uno

stimolo occorre cliccare l’apposito pulsante, evitando di farsi distrarre da suoni emessi dallo strumento non associati necessariamente ad esso (vengono prodotti anche in assenza di stimolo luminoso).

Affinché l’esame possa essere considerato normale il paziente deve aver percepito poco più della metà degli stimoli.

L’ammiccamento è libero, e anzi non va impedito per evitare irritazione corneale e lacrimazione. Si deve poi garantire (considerando i tempi relativamente lunghi dell’esecuzione) un posizionamento comodo, oltre che ottimale, del paziente rispetto alla macchina: l’altezza di quest’ultima è ampiamente regolabile, così come la mentoniera di appoggio (sia in senso verticale che orizzontale, direttamente dall’operatore tramite display touch-screen che visualizza l’occhio ripreso da telecamera interna); la sedia del paziente è bloccata nella posizione definitiva per evitare spostamenti casuali. Infine poiché si deve garantire che le luci emesse siano a fuoco sui 30° centrali della retina va posta dinanzi all’occhio una lente di opportuna gradazione, scelta sulla base di diversi parametri, tra cui: tipo di campo visivo usato, età del paziente (operati di cataratta o ciclopegici sono considerati al pari dei sessantacinquenni), tipo ed entità del

deficit di rifrazione eventualmente presente (per es.: i miopi con più di 3,25 diottrie necessitano di correzione totale da vicino indipendentemente dall’età, mentre normalmente si addiziona alla correzione per lontano quella che corregge il deficit di accomodazione; gli astigmatici necessitano di lente cilindrica o equivalente sferico in base al numero di diottrie).

Prima di iniziare la procedura va occluso l’occhio non esaminato: l’occlusore migliore è quello translucido che causa una minore perdita di sensibilità alla luce rispetto a quello opaco per minore effetto Troxler. Tuttavia per semplicità d’uso si ricorre spesso a semplici

bende oculari sterili e monouso.24

Esecuzione

Nell’avviare la procedura è utile eseguire una dimostrazione oppure una misurazione della soglia foveale (valutazione della sensibilità foveale con visione diretta di stimoli luminosi di intensità variabile) per consentire al paziente di familiarizzare con lo strumento. Poi si avvia l’esame vero e proprio, durante il quale l’operatore deve controllare che l’esaminato abbia compreso cosa fare (all’inizio spesso si

verificano falsi positivi), non si sposti, non si distragga (vanno evitate telefonate, conversazioni con colleghi e altri stimoli distraenti) e che gli stimoli non siano troppo rapidi (c’è possibilità di rallentarli se il paziente non è molto reattivo o anche impostare delle pause se si stanca).

Se i risultati dell’esame sono attendibili (ovvero non vi sono troppi falsi positivi – risposte in assenza di stimolo –, falsi negativi – risposta mancante per stimoli che hanno già generato risposta in precedenza – e un’alta percentuale di perdite di fissazione) si passa a esaminare l’altro occhio, seguendo la stessa procedura.

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