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Tomografia (OCT) e campo visivo computerizzato nella diagnosi precoce della tossicità retinica da idrossiclorochina (Plaquenil(R))

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Indice

Riassunto 2

Introduzione

- Utilizzi clinici dell’idrossiclorochina 4

- Effetti collaterali oculari dell’idrossiclorochina 16

- Esami per diagnosi precoce di patologia maculare: tomografia a coerenza ottica (OCT) campo visivo

computerizzato (con strategia maculare) 23

Razionale e obiettivi dello studio 44

Protocollo adottato per lo studio

- Disegno e criteri di selezione dei pazienti 48

- Metodiche di studio 50 Risultati 54 Conclusioni 58 Appendice - Altre metodiche 64 Bibliografia 71

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Riassunto

Lo studio ha avuto come obiettivo la valutazione dell’effettiva possibilità di diagnosi precoce del danno retinico da accumulo di idrossiclorochina, molecola nata come antimalarico, oggi ampiamente utilizzata nella terapie di diverse malattie di pertinenza reumatologica, quali lupus eritematosus sistemico, sindrome di Sjögren, e artriti di vario tipo, tutte accumunate da una significativa partecipazione del sistema immune al determinismo della patologia.

Le strumentazioni a cui si è deciso di ricorrere, oltre alla visita normalmente svolta, sono state principalmente il campo visivo computerizzato, dispositivo utilizzato da anni per le patologie di interesse retinico, e il tomografo computerizzato (OCT), strumento di più recente introduzione nella diagnostica oculare e di altissima precisione; a questi sono stati affiancati esami quali il reticolo di Amsler, le tavole di Ishihara, il test di Shirmer e la pachimetria con microscopia.

Sono state programmate ed eseguite per ogni paziente 4 visite, una basale e le altre a 30, 60 e 90 giorni, e tutte le visite sono state svolte

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nell’arco di 18 mesi su un gruppo di 20 pazienti in procinto di iniziare la terapia.

Tuttavia i risultati ottenuti non hanno portato comunque all’individuazione di segni precoci di danno retinico. In particolare l’OCT non ha evidenziato aree foveali alterate e il campo visivo non ha subito cambiamenti sostanziali nell’arco dei 90 giorni.

Poiché si è lavorato su un numero purtroppo limitato di pazienti, a fronte di questi risultati è difficile fare affermazioni in un senso o nell’altro circa le possibilità diagnostiche e l’utilità che può avere nella pratica clinica l’introduzione di questi esami come approccio routinario al paziente che deve eseguire questa terapia. Visti anche i dosaggi oggi utilizzati e i pochi lavori in letteratura che hanno affrontato l’argomento, con risultati analoghi ai nostri, il sentimento comune è che l’utilità del nostro approccio è piuttosto limitata e che sono probabilmente sufficienti visite oftalmologiche a intervalli più lunghi per garantire comunque un adeguato follow-up.

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Introduzione

Utilizzi clinici dell’idrossiclorochina

Introdotta inizialmente nel 1955, l’idrossiclorochina appartiene al gruppo 4-amino-chinolonici, molecole studiate sin dalla Seconda Guerra Mondiale come sostituti della chinina nella terapia della malaria. Tuttavia in ambito sperimentale questi farmaci furono testati anche in varie condizioni patologiche non correlate alla malaria, tra cui il lupus eritematoso (LES) e l’artrite reumatoide (AR).

La molecola differisce dalla clorochina solo per la β-idrossilazione di una sostituzione N-etilica, ma questo è sufficiente a modificarne le caratteristiche farmacocinetiche, farmacodinamiche e il profilo di tossicità, anche oculare, in maniera sostanziale.

Mentre nell’ambito della terapia della malaria è in atto una contrazione del suo utilizzo a favore di altri farmaci per i quali il plasmodio non ha ancora manifestato resistenza, in ambito reumatologico si è dimostrato un farmaco molto efficace d è ampiamente utilizzato.

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In realtà il suo ruolo a tutt’ora non è ben definito, in quanto, dal punto di vista farmacodinamico, l’idrossiclorochina ha una molteplicità di effetti che potrebbero farle trovare indicazione in tutte quelle patologie che prevedono un coinvolgimento del sistema immune tra i meccanismi eziopatogenetici.

Più in particolare il farmaco in questione ha un’azione di modulazione sul sistema immunitario tramite diversi meccanismi:

sopprimendo la risposta dei linfociti ai mitogeni, inibendo la sintesi di Rna e Dna e la chemiotassi leucocitaria;

interferendo con l’attività di polimorfonucleati e monociti; con l’inibizione della presentazione antigenica e della produzione di IL-1, IL-6 e TNFα;

riducendo la produzione di anione superossido da parte dei neutrofili.

Nella terapia dell’artrite reumatoide il suo attuale ruolo è più limitato che in passato in quanto per questa patologia di è dimostrata una latenza di 12-24 settimane nella comparsa dei suoi effetti, evidenziandosi peraltro una scarsa capacità di ritardare in modo significativo la progressione della malattia. L’applicazione elettiva è

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piuttosto la forma di AR scarsamente erosiva, o a limite l’utilizzo in associazione con altri farmaci di fondo.

Altre patologie sempre di pertinenza reumatologica in cui

l’idrossiclorochina trova indicazione in virtù dell’attività

antinfiammatoria e antimmunitaria sono l’artrite cronica giovanile, la

sindrome di Sјögren e il lupus eritematosus sistemico.1,2

Più nello specifico, per quanto riguarda l’artrite reumatoide, mancando una approfondita conoscenza dei meccanismi eziologici che la determinano, è praticamente impossibile allo stato attuale approntare una terapia unica e risolutiva, per cui si punta essenzialmente a ridurre i sintomi (dolore), ridurre l’infiammazione e proteggere le strutture articolari e quindi la funzionalità residua dell’articolazione. Per fare tutto ciò si sfruttano un elevato numero di farmaci e si tende a fare terapie quasi personalizzate, che però nella maggioranza dei casi restano del tutto empiriche (addirittura di molti farmaci non si conosce bene quali modificazioni inducano a livello biologico per far migliorare il quadro clinico).

- 1 Cuomo V, Riccardi C, Rossi F. Farmacologia, principi di base e applicazioni terapeutiche. Ed. Minerva Medica 2005; 7: 555-556.

- 2 In realtà durante lo svolgimento dello studio si è potuto registrare l’utilizzo del farmaco anche per connettiviti miste, connettiviti indifferenziate e altre problematiche.

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I farmaci impiegati possono esser raggruppati in alcune categorie: - farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS)

- farmaci antireumatici che modificano la malattia (DMARDs) - glucocorticoidi

- agenti anticitochine - immunosoppressori

In casi estremi si può anche ricorrere alla chirurgia (in pratica per articolazioni gravemente compromesse).

I FANS, e in particolare l’acido acetilsalicilico, sono ampiamente usati soprattutto per le forme iniziali e riescono a ridurre l’infiammazione grazie alla loro attività inibente la funzione ciclossigenasica e quindi la produzione delle prostaglandine; tuttavia difficilmente questi possono essere usati per lunghi periodi e con elevata frequenza (effetti collaterali, soprattutto in soggetti anziani, a livello gastrointestinale e renale) e non modificano sostanzialmente il decorso della malattia. I più utilizzati sul lungo periodo, poiché in grado di incidere anche sull’evoluzione della malattia, sono i DMARDs, gruppo di molecole tra loro anche molto diverse sul piano del comportamento

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chimico-biologico (metotrexate, antimalarici, sali d’oro, ecc.) che tuttavia condividono alcune importanti caratteristiche di fondo, tra cui:

- hanno scarso effetto antinfiammatorio (è spesso richiesta l’associazione di un FANS),

- necessitano di un certo tempo per la comparsa dei loro effetti benefici (alcuni mesi),

- sono in grado di indurre un miglioramento del profilo sia clinico che sierologico.

Tuttavia ancora si dibatte su quale di questi farmaci sia da intendersi come farmaco di prima scelta anche per la mancanza di studi clinici controllati che siano stati in grado di dimostrare vantaggi significativi

di una molecola rispetto all’altra.3

L’idrossiclorochina appartiene a questo gruppo ed è ampiamente utilizzata al pari del metotrexato (talvolta in associazione con esso). Gli scopi della terapia sono soprattutto:

- il controllo del processo infiammatorio - distruttivo a livello articolare, onde evitare il peggioramento del quadro artritico e

- 3 Lipsky PE. Harrison’s Principles of internal medicine, 16° edizione. McGraw-Hill 2005; 301:

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anzi indurne un miglioramento,

- il controllo del dolore legato al danno articolare,

- la prevenzione dell’invalidità cronica nei soggetti affetti da forme a recente insorgenza.

Sotto questi tre punti di vista è stato evidenziato un sicuro e significativo effetto benefico dell’idrossiclorochina che tuttavia non riesce a modificare significativamente rispetto al placebo un quarto aspetto della patologia ovvero il quadro psicologico che si produce nel paziente come conseguenza della patologia cronica. Inoltre è stato dimostrato che c’è un significativo calo del ricorso a iniezioni

intrarticolari di corticosteroidi.4

Aspetto non meno importante è che l’assunzione di idrossiclorochina va avviata il più rapidamente e precocemente possibile, considerando che è sufficiente un ritardo di appena nove mesi per determinare un sostanziale peggioramento della prognosi quoad valetudinem (dolore e disabilità) del paziente, tanto più se si tratta di artrite in fase iniziale: infatti è soprattutto per queste forme “early” che sono stati dimostrati

- 4

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i benefici maggiori sul lungo periodo da parte di una terapia

precocemente avviata.5

Infine si ricorda che spesso si ricorre all’idrossiclorochina come singolo farmaco o in associazione con FANS in caso di necessità, oppure stabilmente in associazione con un secondo DMARDs. Ma è stato anche documentato che in casi opportunamente selezionati, sicuramente non le forme più precoci o meno aggressive, l’associazione con altri due DMARDs può far ottenere risultati terapeutici ancora superiori. In particolare si è dimostrata la superiorità della sua associazione con metotrexato e sulfasalazina, rispetto alle associazioni col solo metotrexato o di quest’ultimo con la sulfasalazina, pur mantenendo complessivamente un buon profilo di

tollerabilità.6

Altra patologia ampiamente diffusa è la sindrome di Sјögren, che si caratterizza principalmente per tre problematiche: xerostomia,

cheratocongiuntivite secca e artralgie/artrite (altre manifestazioni

- 5

Tsakonas e coll. Consequences of delayed therapy with second-line agents in rheumatoid arthritis: a 3 year follow-up on the hydroxychloroquine in early rheumatoid arthritis (HERA) study. The Journal Of Rheumatology, 2000 Mar; 27(3): 623-9

- 6

O'Dell JR e coll. Treatment of rheumatoid arthritis with methotrexate and hydroxychloroquine, methotrexate and sulfasalazine, or a combination of the three medications: results of a two-year, randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Arthritism and Rheumatism, 2002 May; 46(5): 1164-70

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extraghiandolari hanno bassa incidenza, a eccezione del fenomeno di Raynoud). Su questo ultimo elemento si interviene con buoni risultati

proprio con l’idrossiclorochina, generalmente con dosaggi

relativamente bassi (200 mg/die). Circa il 60% di questi pazienti ha manifestazioni di artrite non erosiva e molto spesso vi si associa un quadro di artrite reumatoide.

Anche per lo Sјögren l’indicazione all’uso dell’idrossiclorochina nasce dall’evidenza di una patogenesi che si basa su due meccanismi autoimmuni:

- l’infiltrazione linfocitaria delle ghiandole esocrine

- l’iperattività dei linfociti B con anomala produzione anticorpale

(un quarto dei pazienti ha una attivazione oligo/monoclonale dei linfociti B con presenza nel siero di immunoglobuline ad

attività simil-reumatoide, maggiormente associata a

manifestazioni articolari).

Mentre il farmaco non modifica sensibilmente la progressiva distruzione delle ghiandole esocrine, può efficacemente intervenire a modulare l’attività dei linfociti B e conseguentemente migliorare il

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quadro dell’interessamento articolare.7

Infine, la terza patologia dove l’idrossiclorochina ha largo utilizzo è il lupus eritematoso sistemico (LES), patologia pure legata a una patogenesi autoimmune, e più nello specifico, a una risposta immunitaria sproporzionata in presenza di alcuni fattori ambientali su un substrato di suscettibilità genetica. Si è potuto valutare una anomala attivazione sia dei linfociti T che B, con una continua produzione anticorpale e la formazione di immunocomplessi che determinano la distruzione delle cellule legate dalle immunoglobuline, l’attivazione del complemento e il rilascio di chemochine, peptidi vasoattivi ed enzimi litici in tessuti bersaglio.

L’idrossiclorochina, come anche la clorochina e la quinacrina (altro amino-chinolonico), sono in grado di ridurre sia le manifestazioni cutanee che quelle artritiche e l’astenia; inoltre è stato documentato in studi randomizzati che riducono significativamente più del placebo anche il numero di riacutizzazioni.

È tra i farmaci di scelta in particolare per la dermatite lupica e in generale consente di evitare di giungere all’impiego dei cortisonici che

- 7 Moutsopoulos HM. Harrison’s Principles of internal medicine, 16° edizione. McGraw-Hill

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rappresentano i farmaci d’uso per forme più aggressive e che hanno

maggiori effetti collaterali.8

La terapia dovrebbe essere avviata già alle prime manifestazioni cliniche in quanto in grado di ritardare la comparsa di forme complete di lupus o prevenire lo sviluppo delle complicanze più severe. In particolar modo ciò è stato dimostrato per la somministrazione di idrossiclorochina in pazienti già in fase clinica, ma che solo successivamente hanno raggiunto un pattern di manifestazioni compatibile con la diagnosi di lupus. Si è giunti alla diagnosi sensibilmente più tardivamente dei controlli proprio grazie a un ritardo nella comparsa delle ulteriori manifestazioni (nonché delle complicanze) necessarie per poterli inquadrare come portatori di

questa affezione.9

Un altro aspetto che sta emergendo più recentemente è la possibilità di ottenere effetti benefici ancora maggiori con una strategia preventiva per quei soggetti che ancora non hanno sviluppato nemmeno alcuna manifestazione clinica ma per le quali sono già

- 8 Hahn BH. Harrison’s Principles of internal medicine, 16° edizione. McGraw-Hill 2005; 300:

2207-2215.

- 9 James JA, Kim-Howard XR, Bruner BF, Jonsson MK, McClain MT, Arbuckle MR, Walker C, Dennis GJ, Merrill JT, Harley JB. Hydroxychloroquine sulfate treatment is associated with later onset of systemic lupus erythematosus. Lupus. 2007; 16(6): 401-9.

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dimostrabili le classiche modificazioni anticorpali (positività per Ig anti-nucleo (ANA), anti-dsDNA, anti-istoni, ecc.). In questi pazienti oltre a raccomandare di ridurre le esposizioni solari e il fumo, nonché evitare alcuni farmaci che possono causare un lupus iatrogeno, andrebbe avviato un trattamento con vitamina D e idrossiclorochina.

Negli anni infatti, con le attuali strategie terapeutiche, si è si ottenuto un miglioramento dei tassi di sopravvivenza, ma la prognosi è rimasta quasi invariata e gli unici mezzi a disposizione per poterla migliorare

sono, a oggi, diagnosi e terapie sempre più precoci.10

In conclusione, l’idrossiclorochina si è dimostrato nel tempo un farmaco molto versatile e per la quale sono stati evidenziate più volte le capacità curative in svariate condizioni coinvolgenti modificazioni della normale funzionalità del sistema immune. Anni di utilizzo clinico ne hanno evidenziato un buon profilo di tollerabilità e un bassa tossicità (probabilmente la più favorevole nell’ambito dei farmaci di fondo) e questo ne consente un uso abbastanza semplice e sicuro, anche in associazione ad altri farmaci. I principali effetti collaterali al di fuori dell’area oftalmologica sono soprattutto manifestazioni

- 10 Arienti S, Canova M, Doria A, Rampudda M, Sarzi-Puttini P, Tonon M. Preventive strategies in systemic lupus erythematosus. Autoimmunity Reviews, 2008 Jan; 7(3): 192-7.

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dermatologiche (rash, alopecia, ecc.), ematologiche e gastrointestinali (nausea, crampi, diarrea, generalmente frequenti ma lievi). Sono state anche segnalate ototossicità e, in caso di dosaggi elevati per un tempo protratto, neuropatia periferica e cardiomiopatia. Solo con la somministrazione parenterale a dosi elevate per la terapia della malaria si è avuta tossicità cardiovascolare (vasodilatazione, ipotensione, calo della funzionalità cardiaca).

Ridotte sono anche le interazioni con altri farmaci, si segnalano solo una riduzione nell’assorbimento della penicillina, l’aumento dei livelli ematici della clorpromazina e un potenziamento degli effetti degli anticoagulanti in virtù dell’intrinseca attività anticoagulante di cui è

dotata a bassi dosaggi l’idrossiclorochina.11

- 11 Cuomo V, Riccardi C, Rossi F. Farmacologia, principi di base e applicazioni terapeutiche. Ed. Minerva Medica 2005; 7: 555-556.

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Effetti collaterali oculari dell’idrossiclorochina

Le patologie oculari farmaco indotte sono oggigiorno eventi rari in proporzione all’elevatissimo numero di farmaci in commercio. Inoltre la perdita di funzione visiva è quasi sempre lieve e reversibile con la sospensione della terapia stessa. Tuttavia l’evenienza di un danno farmaco indotto di tipo permanente e/o progressivo è sempre da tenere in considerazione.

I principali motivi di tossicità oculare generalmente sono: - i sovradosaggi,

- l’uso cronico,

- l’abuso illecito di sostanze.

Non va comunque dimenticato che la tendenza a sviluppare questo tipo di problematiche sottende frequentemente un certo grado di predisposizione su base genetica. Fortunatamente si conoscono abbastanza bene quali farmaci sono più spesso i responsabili di tali eventi e per molti anche quali sono i dosaggi oltre i quali questi effetti avversi si presentano.

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l’idrossiclorochina possono rendersi responsabili sia di una cheratopatia distrofica (cornea verticillata) sia di una retinopatia, talvolta anche grave e in molti casi a lungo asintomatica.

La cheratopatia si manifesta come una distrofia a vortice legata all’accumulo del farmaco a livello corneale a formare dei depositi bilaterali e simmetrici grigio-dorati che tendono a estendersi verso il limbus, senza però coinvolgerlo. L’apice del vortice è posto generalmente inferiormente alla pupilla. L’affezione è quasi sempre reversibile con la sospensione della terapia (che rappresenta la nostra unica possibilità di intervento) e si può presentare anche in corso di altri trattamenti (amiodarone, indometacina, tamoxifene, ecc.) o in associazione con la malattia di Fabry. A differenza della retinopatia non c’è correlazione né col dosaggio impiegato né con la durata dell’esposizione al farmaco, e solo in casi estremi si arriva alla formazione di aloni o si determinano vere riduzioni dell’acuità visiva. Tra i chinolonici è quasi esclusivamente appannaggio della clorochina, è molto più raro che si produca con l’idrossiclorochina, soprattutto ai

dosaggi attualmente utilizzati.12-13

- 12 Crick RP, Khaw PT. A Textbook of Clinical Ophthalmology. World Scientific Publishing Co. 2003; 34: 621

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Per quanto riguarda la retinopatia va sottolineato che solo pochi casi sono stati descritti per dosaggi complessivi inferiori ai 300 g (ovvero una dose giornaliera di circa 250 mg per 3 anni). Alcuni studi hanno rilevato come fattori predisponenti alla comparsa di retinopatia:

- dosaggi giornalieri di idrossiclorochina superiori a 6,5 mg/kg, - la presenza di compromissione renale,

- un’età dei pazienti superiore ai 60 anni.14,15,16

Il suo percorso evolutivo può essere diviso in 4 fasi principali (dall’asintomaticità allo stadio terminale).

La fase asintomatica è detta premaculopatica, la macula ha essenzialmente un aspetto normale ma è presente uno scotoma, a una mira rossa, tra i 4° e i 9° rispetto al punto di fissazione (scotoma paracentrale). In questa fase il difetto può essere evidenziato anche con un reticolo di Amsler. Lo scotoma può regredire se si interrompe per tempo la terapia.

- 13 Kanski JJ. Oftalmologia clinica. USES Ed. Scientifiche Firenze; 5: 158-159

- 14 Cohen HB, Levy GD, Munz SJ, Paschal J, Pince KJ, Peterson T. Incidence of hydroxychloroquine retinopathy in 1,207 patients in a large, multicenter outpatient practice. Arthritism and Rheumatism 1997; 40: 1482-6.

- 15 Falcone PM, Paolini L, Lou PL. Hydroxychloroquine toxicity despite normal dose therapy. Annals of Ophthalmology 1993; 25: 385-8.

- 16 May K, Metcalf T, Gough A. Screening for hydroxychloroquine retinopathy. BMJ 1998; 317: 1388-9.

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Nella maculopatia conclamata (se la terapia viene continuata) i primi sintomi che generalmente i pazienti iniziano a lamentare sono soprattutto visione annebbiata, nictalopia e campo visivo ristretto; può esser presente uno scotoma centrale a una mira bianca; i primi segni consistono invece in una lieve marezzatura pigmentaria della macula (ben evidente all’esame fluorangiografico oltre che a quello oftalmoscopico) e nella perdita del riflesso foveale.

Figura 1 - immagine oftalmoscopica (A) e fluorangiografica (B)

In fasi successive le alterazioni pigmentarie tendono ad ampliarsi fino a configurare nei casi più avanzati la maculopatia a occhio di bue, ovvero la più classica lesione da amino-chinolonici, che si caratterizza per la presenza di un anello di iperpigmentazione sottofoveale circondato da un anello concentrico di depigmentazione a sua volta racchiuso in un anello di iperpigmentazione. Il deterioramento visivo

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può essere progressivo nonostante una immediata sospensione della

terapia.17 Possono essere presenti, in questa fase, depositi di melanina

perfino verso le regioni più periferiche della retina, tanto da configurare negli stati terminali (retinopatia avanzata) una degenerazione diffusa della pigmentazione, accompagnata da pallore del nervo ottico e assottigliamento dei vasi retinici.

A livello istologico si possono individuare alterazioni dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) con perdita di pigmentazione, accumulo di cellule cariche di melanina nello strato retinico esterno e perdita di fotorecettori, accompagnato dall’assottigliamento dello strato nucleare esterno. Queste alterazioni sono generalmente stabili alla sospensione della terapia e la perdita di funzione è reversibile solo in fasi molto precoci; è possibile una progressione del danno anche dopo sospensione del farmaco, ma ciò si osserva solo nelle forme più avanzate e più frequentemente con la clorochina rispetto all’idrossiclorochina.

A tutt’oggi si sono formulate solo ipotesi sui possibili meccanismi attraverso i quali il danno si produce. In particolare si pensa che

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l’accumulo selettivo dell’idrossiclorochina a livello di EPR e del tessuto uveale sia da riportare alla sua capacità di interazione selettiva con la melanina. La tossicità si esplica molto probabilmente per via della ritenzione prolungata del farmaco in questa sede con la comparsa di fenomeni di inibizione enzimatica e conseguenti alterazioni metaboliche a carico di fotorecettori e cellule pigmentate.

Pur condividendo quasi certamente questi meccanismi di danno con la clorochina, l’idrossiclorochina ha dimostrato nel tempo un miglior indice terapeutico, con una incidenza più bassa, seppur sempre

significativa, di eventi di tossicità oculare.18

- 18 Guyer DR, Yannuzzi LA, Chang S, Shields JA, Green WR. Retina, Vitreo, Macula. Verduci Editore 2000; 71: 760-761.

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Esami per la diagnosi precoce di patologia maculare:

tomografia a coerenza ottica (OCT) e campo visivo

computerizzato (con strategia maculare)

Tomografia a Coerenza Ottica

Introduzione

L’OCT è una moderna tecnica di diagnostica per immagini basata sull’analisi della riflessione di un raggio di radiazione semicoerente da parte del tessuto da analizzare. E’ dotata di alta precisione (risoluzione di 6-8 micron, in media) e consente di ottenere immagini tomografiche di alcuni strati di retina, coriocapillare ed epitelio pigmentato retinico (EPR). La metodica ha assunto subito un ruolo di estrema rilevanza nello studio della retina sia per la sua precisione, sia per la possibilità di effettuare lo studio in vivo e senza esporre il paziente ad alcun tipo di rischio considerando che la radiazione non è di tipo ionizzante né in altro modo dannosa e non è richiesto l’impiego

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di alcun mezzo di contrasto. Ulteriore vantaggio è la sua notevole riproducibilità in esami successivi.

Principi fisici di base

Il principio fisico alla base della strumentazione è quello dell’interferenza di fase: il fenomeno dell'interferenza è dovuto alla sovrapposizione, in un punto dello spazio, di due o più onde. Si osserva che l'intensità dell'onda risultante, in un dato punto dello spazio, può essere maggiore o minore dell'intensità di ogni singola onda di partenza. L'interferenza viene detta costruttiva, quando l'intensità risultante è maggiore di ogni singola intensità originaria, o

distruttiva, quando risulta inferiore.

L’OCT si comporta come un interferometro in cui il fascio emesso da una sorgente attraversando uno specchio semitrasparente si sdoppia; i due fasci risultanti, perpendicolari tra loro, impattano su specchi che determinano il ritorno delle onde verso lo specchio semitrasparente; qui i due fasci si ricompongono in un fascio unico che viene captato e analizzato da un opportuno detettore; se i due specchi non sono alla stessa distanza dallo specchio semitrasparente il fascio che si riforma non è più uguale a quello originario nelle sue caratteristiche fisiche

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perché subentrano i fenomeni di interferenza costruttiva o distruttiva. Nell’OCT uno dei due specchi è sostituito dall’occhio e i suoi strati modificano le caratteristiche del fascio rispetto a quello esterno di riferimento generando i fenomeni di interferenza. Il computer collegato al detettore riesce, sulla base delle differenze tra fascio emesso e onda di ritorno, a creare in pochissimo tempo scansioni

estremamente dettagliate della retina.19

Esecuzione

Sebbene le case produttrici consiglino un diametro pupillare di almeno 5 mm per ottenere una condizione ideale per la penetrazione e la fuoriuscita del fascio dall’occhio, non sempre è necessario indurre farmacologicamente la midriasi, e questo è importante soprattutto per quei soggetti per i quali si temono reazioni avverse dei farmaci midriatici o soffrano di glaucoma ad angolo stretto. Tuttavia il ricorso ai midriatici rende l’esame più semplice ed eseguibile anche da personale meno esperto.

Il viso viene fatto poggiare su un’apposita mentoniera e il paziente è invitato a fissare una mira (il landmark); nel caso in cui non riesca a

- 19 Halliday D, Jearl W, Resnick R. Fondamenti di fisica, 4a edizione. Casa editrice ambrosiana 1998; 36: 809-824.

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fissare la mira con la fovea centralis (generalmente a causa di maculopatie) è possibile ricorre a mire diverse (ve ne sono una all’interno dell’obiettivo dello strumento e un’altra esterna). È poi l’operatore che completa la fase di collimazione grazie a una telecamera interna all’obiettivo che visualizza il fundus.

Dopo queste fasi preparatorie l’operatore deve eseguire le scansioni retiniche e la tipologia di scansioni può essere personalizzata grazie ai diversi programmi impostabili a livello software (scansioni lineari semplici, parallele, radiali, circolari, ortogonali) e alla possibilità di variare manualmente tanti parametri come, per esempio, i tempi acquisizione (con i fast protocols si può ridurre a meno di un secondo il tempo di immobilità richiesto al paziente, fondamentale per una buona acquisizione) o anche il fuoco o la potenza del segnale retinico, o ancora angolazione e spessore della scansione.

Valutazione delle immagini

Le immagini collezionate sono inviate su un monitor dove l’operatore può eseguire dei fermo - immagine tra i quali scegliere quelli migliori e più significativi. Il software mantiene sempre in memoria tutte le

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immagini acquisite in modo da permettere non solo il confronto tra le acquisizioni ma anche il post-processing.

Comunque l’elaborazione dell’immagine viene preceduta sempre da un’analisi quantitativa delle scansioni: il software, calcolando con estrema precisione lo spessore dei singoli strati, riesce a ricreare una mappa altimetrica e volumetrica della regione maculare sulla base di sole sei scansioni radiali; le scansioni si intersecano a livello foveolare e tra esse vi è un angolo di 30°; i punti di analisi vengono a essere più densi centralmente, mentre perifericamente è il software che estrapola gli spessori tra le scansioni. Il tutto viene rappresentato con colori che sono in rapporto allo spessore della retina nel punto analizzato (per es. bianco per spessori >450 micron).

La mappa maculare viene visualizzata in un disco di 500 micron di diametro con due anelli concentrici, il tutto diviso in quattro quadranti: si ottiene così la delimitazione di diverse aree (nelle quali è riportato il relativo spessore medio) e una migliore precisione nella

localizzazione di eventuali difetti (figura 4).

Tornando al post-processing cui si faceva in precedenza riferimento, questo consente di modificare le immagine acquisite in modo da

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renderle meglio interpretabili. Per esempio è possibile interpolare i punti per una visione più omogenea degli stessi oppure ruotare le scansioni o ancora passare da una visualizzazione a colori a una in toni di grigio per migliorarne la leggibilità e la visualizzazione di alcuni dettagli sfruttando la capacità umana di discriminare piccole

differenze di contrasto all’interno di uno stesso colore (figura 5). Ci

sono poi degli specifici protocolli per eliminare vari tipi di aberrazioni che si possono facilmente presentare, quali:

algoritmo di allineamento (per eliminare artefatti da movimento assiale dell’occhio)

algoritmo di normalizzazione (per eliminare punti di saturazione del segnale)

livellamento gaussiano livellamento mediano

Quindi l’operatore ha ampie possibilità di intervento sull’immagine che consentono una elevata resa qualitativa finale e un’ottimale e più rapida analisi delle immagini ottenute.

Infine, è in costruzione un database di immagini di riferimento con cui confrontare le immagini acquisite per consentire una più accurata

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valutazione dei singoli casi.20

Figura 4

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Campo Visivo Computerizzato

Introduzione

Il campo visivo computerizzato è una strumentazione meno recente dell’OCT, ma che conserva ancora un ruolo centrale nello studio di diverse patologie retiniche, in particolare glaucoma, retinopatie e malattie neurologiche.

L’apparecchiatura è costituita da una cupola a sfondo bianco opportunamente illuminata nella quale vengono proiettati stimoli luminosi di varia forma e intensità luminosa. Al paziente viene fornito un pulsante che deve azionare ogni qualvolta riesce a percepire uno di questi stimoli.

Tipi di perimetri computerizzati

Ci sono essenzialmente due classi di campi visivi: manuali (tipo Goldmann) e automatici (computerizzati, tipo Humphrey, prodotto dalla Zeiss e utilizzato per il nostro studio). Entrambi hanno i loro punti di forza e debolezza e talvolta uno è complementare dell’altro; sebbene quelli automatici siano ormai largamente diffusi e i più utilizzati, vi sono delle circostanze in cui ancora si deve ricorrere alla

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perimetria manuale.

I perimetri manuali sono fortemente operatore dipendenti: è l’operatore che presenta gli stimoli, che monitorizza la fissazione, che registra le risposte del paziente e che può decidere di modificare l’iter di presentazione degli stimoli sulla base di precisi quesiti diagnostici. Questo conferisce al test una notevole flessibilità e risultati molto affidabili anche per pazienti con deficit di attenzione come i bambini e gli anziani. Anche la strumentazione è poco complessa. Tuttavia non è molto riproducibile in quanto fortemente dipendente dalle conoscenze e dall’abilità dell’operatore stesso.

I perimetri computerizzati invece necessitano di meno tempo, meno coinvolgimento del personale medico e maggiore attenzione del paziente, permettono un indagine secondo diverse strategie, impostabili via software (pur essendo meno flessibile e non modificabile durante l’esecuzione, meno customizzabile per il singolo paziente), ma consentono una maggiore standardizzazione e una più accurata analisi statistica dei risultati, con la possibilità di confrontarli con quelli di altri esami presenti nel database e divisi per fasce di età. Comunque la perimetria manuale è da preferirsi a quella automatica

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in almeno quattro circostanze:

- per pazienti con deficit di attenzione che non mantengono adeguatamente la fissazione;

- per difetti che si estendono oltre i 30° centrali (per i quali la perimetria automatica è poco sensibile);

- in presenza di isole di visione residua che non rientrano nelle aree testate in automatico (gli intervalli sono di 6°);

- per perdite di visuale su base funzionale.

In tutte le altre circostanze il campo visivo computerizzato risulta sicuramente più pratico e veloce (minor spreco di risorse umane e di

tempo) e sufficientemente affidabile.21

Principi fisici di base

La maggior parte dei perimetri non emette la luce direttamente verso l’occhio ma la proietta su un superficie riflettente (cupola). La luce che raggiunge l’occhio dipende dalla riflettenza della superficie (che è costante) e dall’intensità di luce emessa dal proiettore (variabile). Affinché un punto luminoso di una data forma e dimensioni sia

- 21 Barton JJS, Benatar M. Field of vision: a manual and atlas of perimetry. Ed. Humana press 2003; 1: 3-4.

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percepibile, deve esserci una differenza minima tra la sua intensità e quella dello sfondo. Questa differenza costituisce la soglia

differenziale di sensibilità luminosa ed è il valore che cerchiamo per le

varie aree della retina per poter costruire la mappa. Ma va tenuto conto del fatto che il suo valore è dipendente dall’entità dell’illuminazione del fondo. Difatti ogni tipo di perimetro è settato su una intensità dell’illuminazione di fondo standard (per l’Humphrey e il Goldmann è di 31,5 asb). Idealmente la soglia dovrebbe essere il valore oltre cui tutti gli stimoli vengono correttamente identificati, ma all’atto pratico si considera come il valore al quale lo stimolo ha il 50% di probabilità di essere individuato.

Di strategie di presentazione dello stimolo ne sono state sviluppate diverse e tutte a partire dalla necessità coniugare il risparmio di tempo, considerando che una ricerca meticolosa della soglia può

essere particolarmente prolungata 22, con quella di poter ottenere

comunque le informazioni di cui si ha bisogno. Tra le strategie principali si ricordano quelle in cui si parte da stimoli sicuramente non visibili per salire gradualmente allo stimolo-soglia, o al contrario

- 22 Con il metodo a frequenza di visti per ogni punto e intersezione della curva ottenuta col cinquantesimo percentile per ottenerne il valore

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partire da stimoli sicuramente visibili per scendere di intensità fino a scomparsa dello stimolo; oppure altro metodo particolarmente efficace è quello delle “scale”, ovvero si danno stimoli sicuramente sopra soglia per poi diminuirli fino a scomparsa e successivamente riaumentare l’intensità fino a ricomparsa, per poi tornare a diminuirlo e poi ad aumentarlo in maniera sempre più fine fino a individuare il valore corretto; generalmente per la perimetria automatica si procede con la strategia a scale, e sono sufficienti due cambi di direzione nella modifica dell’intensità dello stimolo.

Il valore soglia individuato è strettamente correlato alla sensibilità: tanto più è alta la soglia tanto maggiore dovrà essere l’intensità dello stimolo per essere percepito e quindi l’area di retina corrispondente

sarà tanto meno sensibile.23

Preparazione

La prima fase corrisponde all’inserimento dei dati del paziente (nome, cognome, data di nascita), un’operazione necessaria non solo per lo storage dei dati nel database e il richiamo di esami precedenti, ma soprattutto per il fatto che alcuni di essi (come l’anno di nascita)

- 23 Barton JJS, Benatar M. Field of vision: a manual and atlas of perimetry. Ed. Humana press 2003; 319-321.

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risultano fondamentali nella costruzione della mappa (essa è ricavata proprio per confronto statistico con valori normali divisi per fascia d’età). Vengono anche indicate le lenti usate per l’esecuzione dell’esame, mentre il diametro pupillare è calcolato direttamente dal computer.

Dipendentemente dal tipo di tecnologia utilizzato (campo visivo Humphrey o Octopus) va assicurato un corretto grado di illuminazione della stanza: essendo la luminanza dell’Humphrey quasi 8 volte maggiore dell’Octopus non è necessario che l’esame sia svolto in condizioni di penombra come per quest’ultimo. Un corretta illuminazione è necessaria per rendere stabile durante tutto l’esame la sensibilità della retina alla luce. L’adattamento richiede qualche minuto e generalmente questo lasso di tempo viene usato per spiegare la procedura e gli scopi della stessa.

Il paziente è invitato a fissare una mira luminosa avvertendolo che compariranno intorno a essa, sullo sfondo, impulsi luminosi in diverse posizioni e di intensità variabile che non dovranno essere fissati direttamente ma avvertiti con l’area di retina non foveale (la fovea deve essere impegnata sulla mira). Ogni volta che si avverte uno

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stimolo occorre cliccare l’apposito pulsante, evitando di farsi distrarre da suoni emessi dallo strumento non associati necessariamente ad esso (vengono prodotti anche in assenza di stimolo luminoso).

Affinché l’esame possa essere considerato normale il paziente deve aver percepito poco più della metà degli stimoli.

L’ammiccamento è libero, e anzi non va impedito per evitare irritazione corneale e lacrimazione. Si deve poi garantire (considerando i tempi relativamente lunghi dell’esecuzione) un posizionamento comodo, oltre che ottimale, del paziente rispetto alla macchina: l’altezza di quest’ultima è ampiamente regolabile, così come la mentoniera di appoggio (sia in senso verticale che orizzontale, direttamente dall’operatore tramite display touch-screen che visualizza l’occhio ripreso da telecamera interna); la sedia del paziente è bloccata nella posizione definitiva per evitare spostamenti casuali. Infine poiché si deve garantire che le luci emesse siano a fuoco sui 30° centrali della retina va posta dinanzi all’occhio una lente di opportuna gradazione, scelta sulla base di diversi parametri, tra cui: tipo di campo visivo usato, età del paziente (operati di cataratta o ciclopegici sono considerati al pari dei sessantacinquenni), tipo ed entità del

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deficit di rifrazione eventualmente presente (per es.: i miopi con più di 3,25 diottrie necessitano di correzione totale da vicino indipendentemente dall’età, mentre normalmente si addiziona alla correzione per lontano quella che corregge il deficit di accomodazione; gli astigmatici necessitano di lente cilindrica o equivalente sferico in base al numero di diottrie).

Prima di iniziare la procedura va occluso l’occhio non esaminato: l’occlusore migliore è quello translucido che causa una minore perdita di sensibilità alla luce rispetto a quello opaco per minore effetto Troxler. Tuttavia per semplicità d’uso si ricorre spesso a semplici

bende oculari sterili e monouso.24

Esecuzione

Nell’avviare la procedura è utile eseguire una dimostrazione oppure una misurazione della soglia foveale (valutazione della sensibilità foveale con visione diretta di stimoli luminosi di intensità variabile) per consentire al paziente di familiarizzare con lo strumento. Poi si avvia l’esame vero e proprio, durante il quale l’operatore deve controllare che l’esaminato abbia compreso cosa fare (all’inizio spesso si

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verificano falsi positivi), non si sposti, non si distragga (vanno evitate telefonate, conversazioni con colleghi e altri stimoli distraenti) e che gli stimoli non siano troppo rapidi (c’è possibilità di rallentarli se il paziente non è molto reattivo o anche impostare delle pause se si stanca).

Se i risultati dell’esame sono attendibili (ovvero non vi sono troppi falsi positivi – risposte in assenza di stimolo –, falsi negativi – risposta mancante per stimoli che hanno già generato risposta in precedenza – e un’alta percentuale di perdite di fissazione) si passa a esaminare l’altro occhio, seguendo la stessa procedura.

Strategie e valutazione dei risultati

Accertata l’attendibilità delle risposte e l’accuratezza dell’esame va stabilita l’eventuale anormalità dei risultati.

Se è stata usata una “strategia sopraliminare” i punti esaminati possono essere distinti in “visti” (normalità) o “non visti” (difetto visivo, relativo o assoluto). I punti non visti isolati, soprattutto se adiacenti alla macchia cieca o periferici, non andrebbero considerati significativi. Di contro cluster di due o più punti adiacenti, soprattutto

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se in aree tipiche o punti isolati riproducibili e non percepiti nemmeno

alla massima luminosità, vanno considerati come patologici.Lo studio

effettuato con strategia sopraliminare, che si costituisce di diversi programmi, rappresenta oggi principalmente una metodica di screening ma è sempre meno usata per l’avvento delle “strategie di

soglia”, in particolare fastpac e soglie rapide.

Se è stata impostata invece una strategia di soglia la valutazione è più complessa e soggettiva. E’ richiesta una prima interpretazione

(qualitativa e

grossolana) della rappresentazione in scala di grigi del campo visivo

(figura 6). Questa ci porta già a classificare il quadro come normale, dubbio o francamente patologico. Figura 6

(41)

Si passa poi alla valutazione della mappa di comparazione, composta da cifre i cui valori

corrispondono a

quelli normali attesi per età ai quali

vengono sottratti algebricamente quelli attualmente rilevati (figura 7). I valori negativi ottenuti vengono studiati con metodi statistici e l’interpretazione è guidata da alcune regole, quali una significatività maggiore dei Figura 7 Figura 8

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cluster di punti negativi adiacenti e in zone tipiche.

Infine si esamina la tavola numerica che è pure composta da numeri, come la mappa di comparazione, i cui valori però rappresentano le diverse sensibilità (espresse in dB) dei vari punti che compongono il

campo (figura 8).

Ai fini dello studio, e come regola per l’esame campimetrico in pazienti portatori di maculopatie, si è fatto ricorso a una strategia di studio peculiare, disponibile sui perimetri Humphrey, ovvero si è impostato il programma “macula”. Questo tipo di approccio consente una indagine ottimale sull’area di retina compresa tra 0 e 4°, corrispondente all’area di nostro interesse, e allo stesso tempo un’esecuzione più rapida e meno indaginosa dell’esame (solo 4 minuti circa per occhio). Una valida alternativa sarebbe potuta essere il programma 10-2 che indaga un’area ancora più ampia (0 – 10°) e forse risulta ancora più completo per lo studio delle patologie maculari. Entrambe i programmi sono programmi di soglia. Tuttavia nel nostro caso si è utilizzata la strategia maculare in quanto più che sufficiente a evidenziare potenziali difetti di campo a livello maculare conseguenti all’eventuale danno da accumulo di idrossiclorochina.

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I più moderni programmi di analisi statistica dei risultati consentono di sottrarre alla soggettività (e quindi all’esperienza del singolo operatore) l’interpretazione dei dati ottenuti col campo visivo e di semplificarla notevolmente, rendendo la metodica particolarmente

efficace e affidabile per lo studio e il follow up di moltissimi pazienti.25

- 25 Laffi GL, Scorolli L. Manuale di perimetria automatica, Ed Time Science 2000; 6:55-59; 7:63-65; 10: 101-128

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(45)

La decisione di intraprendere lo studio in questione è stata presa sulla base di una serie di dati ormai acquisiti e dimostrati scientificamente:

- la somministrazione di idrossiclorochina sistemica può indurre alterazioni retiniche e più in particolare una maculopatia (oltre che una cheratopatia);

- l’idrossiclorochina ha un’indubbia efficacia come farmaco di

prima scelta nella terapia di numerose patologie

reumatologiche (soprattutto reumatismi infiammatori cronici e connettiviti);

- la diagnosi di maculopatia iatrogena causata dal farmaco in questione è spesso tardiva;

- tomografo a coerenza ottica (OCT) e campo visivo computerizzato (con strategia maculare) sono strumenti di recente introduzione nella diagnostica oftalmologica.

Ci si è posti l’obiettivo di capire se con il ricorso a queste strumentazioni sia realmente possibile individuare le alterazioni maculari precoci (non individuabili oftalmoscopicamente) indotte dalla terapia sistemica prolungata.

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Mancano studi significativi sull’argomento e praticamente non ce n’è alcuno che sia stato portato avanti con la strumentazione proposta, quindi si punta anche a colmare un vuoto nella letteratura su un argomento comunque significativo.

Inoltre c’è anche un aspetto pratico ancora più importante: se venisse dimostrata l’utilità di un follow-up oftalmologico più stringente e precoce per il paziente esposto a tale terapia, si potrebbe prendere in considerazione di inserire nel protocollo di follow-up questa serie di esami (fermo restante la necessità di una valutazione anche degli aspetti economici di una estensione a tutti i trattati con idrossiclorochina di tale follow-up) per determinare una significativa riduzione della morbidità associata alla terapia stessa (che ha anch’essa una discreta rilevanza sul piano economico).

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Disegno e criteri di selezione dei pazienti

Lo studio è di tipo prospettico, monocentrico, spontaneo, non randomizzato, in aperto. La durata dello stesso è stata stabilita di circa 18 mesi ed è stato strutturato in modo da non influire in alcun modo sulle scelte terapeutiche operate dal medico oculista e/o internista/reumatologo che seguono il paziente.

Per un adeguato arruolamento di pazienti ci si è avvalsi dell’aiuto del reparto di reumatologia/immunologia clinica e si è fatto riferimento a diversi criteri di selezione, distinti in criteri di inclusione e di esclusione, necessari per garantire la qualità dello studio.

Più in particolare, per quel che riguarda l’inclusione nel gruppo di studio, il paziente deve avere queste caratteristiche:

- essere in procinto di iniziare la terapia sistemica con idrossiclorochina per patologie reumatologiche;

- non avere patologie vitreoretiniche pregresse o in atto; - non essere affetto da degenerazione maculare.

Sono motivo di esclusione invece: - età maggiore di 18 anni;

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- pregressi interventi vitreoretinici; - gravidanza o allattamento in corso; - diabete con interessamento retinico; - neoplasie maligne;

- chemioterapia negli ultimi 5 anni;

- impossibilità a eseguire un adeguato follow-up.

I pazienti ritenuti candidabili, prima della visita basale, sono adeguatamente informati della natura dello studio (finalità, frequenza delle visite, tipo di esami svolti e gratuità degli stessi per tutto il periodo di studio) e all’atto della sottoscrizione del modulo di consenso informato vengono considerati arruolati.

A questo segue la prima visita pre-terapia (necessaria per la determinazione dello stato oculare del paziente e avere sempre dei dati con cui poter fare un raffronto nelle fasi successive) e la programmazione delle visite seguenti.

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Metodiche di studio

Per i pazienti è stata prevista una visita prima dell’inizio della terapia e un follow-up con visite di controllo a 30 (± 3 giorni), 60 (± 3 giorni), e

90 (± 7 giorni) giorni dall’inizio della terapia.26

Gli esami svolti per ognuna delle 4 visite consistono in:

- Valutazione dell’acuità visiva, sia naturale che corretta, per lontano e per vicino;

- Test di Amsler;

- Test di Ishihara (per la valutazione della capacità di discriminazione dei colori);

- Esame obiettivo con visione del fundus oculi;

- Pachimetria a contatto e microscopia endoteliale (misurazione dello spessore e dello stato della cornea);

- Test di Shirmer, senza e con anestetico (per la valutazione della lacrimazione normale e basale);

- Tonometria a soffio (per la misurazione della pressione endooculare);

- OCT;

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- Campo visivo computerizzato (con strategia maculare).

Devono essere registrati i possibili eventi avversi, ove per evento avverso viene considerato qualunque segno, sintomo o malattia che si sviluppa o peggiora durante il trattamento in studio. Viene anche considerata tale qualunque malattia intercorrente.

Per quanto riguarda eventuali anomalie di laboratorio, queste vengono inquadrate come eventi avversi quando:

- Determinano abbandono dello studio; - Sono associate a evento avverso serio;

- Necessitano di trattamento o ulteriori accertamenti.

Qualsiasi evento che determini ospedalizzazione, inabilità persistente, pericolo di vita o decesso viene classificato evento avverso grave e va segnalato e seguito nel tempo fino a risoluzione.

Appositamente per lo studio è stata stilata una scheda semplice e di facile catalogazione ma allo stesso tempo sufficientemente dettagliata sulla quale sono riportati i dati dei singoli pazienti, il farmaco e i dosaggi utilizzati e i risultati dei test eseguiti alle scadenze

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studio campimetrico, della pachimetria e dell’OCT. I risultati dei singoli

(53)

esami sono stati poi confrontati alla fine del ciclo delle visite con quelli ottenuti alla visita basale per individuare potenziali anomalie indotte dalla terapia nei singoli pazienti. L’esame statistico dei risultati è poi l’ultimo step per comprendere se gli eventuali dati positivi raccolti hanno una significatività per produrre delle indicazioni da estendere alla pratica clinica.

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Lo studio ha coinvolto 20 pazienti, 3 maschi e 17 femmine. Di questi 8 portatori di lupus eritamatosus sistemico, 5 di connettiviti miste o indifferenziate, 2 di sindrome di Sjogren e 5 di artrosi/artrite.

In quattro casi all’idrossiclorochina, utilizzata da tutti i pazienti al dosaggio di 200 mg/die, era associato un secondo farmaco, in particolare in 2 un glucocorticoide, in altri 2 un secondo farmaco appartenente ai DMARD. 7

utilizzavano un FANS al bisogno.

In soli 2 casi le reazioni avverse al farmaco sono state realmente tali da richiedere l’interruzione dell’idrossiclorochina e la sostituzione con clorochina e solo in un caso questa è stata sostituita con un terzo farmaco. I principali effetti collaterali registrati sono stati: rash

Caratteristiche dei pazienti arruolati

N° pazienti 20

Sesso (M/F) 3/17

Età media 55 (42 - 68)

Dosaggio idrossiclorochina 200 mg/die

Terapie concomitanti

Prednisone 2

Methotrexate 1

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cutaneo e prurito, nausea e disturbi gastrointestinali, palpitazioni, ansia, asma; complessivamente tutti di ridotta rilevanza e in soli 3 pazienti.

Per tutti i pazienti si è riusciti a completare l’intero programma di controlli (fino ai 90 giorni). Tuttavia in nessun soggetto esaminato sono state rilevate alterazioni patologiche, né con il reticolo di Amsler, né con l’esame del fondo oculare, sia al momento dell’arruolamento che nei controlli successivi. Analoghi i risultati per quanto riguarda il test di Ishihara, che solo in un episodio ha evidenziato una significativa difficoltà alla discriminazione dei colori, che non si è però ripresentata alle visite successivamente svolte. La pachimetria e la microscopia ottiche non hanno segnalato alcun caso di cornea verticillata o modificazioni corneali idrossiclorochina indotte in grado di indurre cali dell’acuità visiva. Il test di Shirmer è risultato positivo, come atteso, solo nei pazienti portatori di sindrome di Sjögren. Il tonometro a soffio non ha individuato alcun paziente con valori di pressione endooculare fuori dal range di normalità escludendo interferenze della patologia glaucomatosa.

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così come il campo visivo non ha indicato aree maculari ipofunzionanti in alcun soggetto esaminato, nemmeno alla quarta visita.

Per un ridotto numero di candidati è stato anche eseguito un ulteriore controllo a 6 mesi, sempre con le metodiche scelte per lo studio, ma non è stato possibile individuare alterazioni degne di nota ad alcuno dei test eseguiti neppure per questi.

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(59)

L’obiettivo principale dello studio era la valutazione delle nostre possibilità di diagnosticare precocemente il danno maculare da accumulo di idrossiclorochina sfruttando le tecniche più moderne a nostra disposizione.

Tuttavia i risultati ottenuti sembrano non puntare in tal senso: a tutt’oggi, a distanza di oltre 18 mesi dall’inizio dello studio, non abbiamo dati obbiettivi che giustifichino il ricorso alle metodiche di studio e alle tempistiche utilizzate per lo screening della popolazione utilizzatrice di questi farmaci. È anche vero però che lo studio non può indicarci una sicura inutilità di questo tipo di approccio al paziente né può escludere che in successivi studi i risultati saranno ben diversi. Infatti il numero di pazienti che si è riusciti a seguire per tutto il programma è stato di sole 20 unità, un numero troppo basso per poter fare conclusioni assolute in un senso o nell’altro. In ogni caso è evidente che nei primi 18 mesi in nessun paziente si sono verificate alterazioni a livello maculare a dimostrazione dell’eccessivo e infondato timore sia dei pazienti che dello stesso personale medico circa la sicurezza a livello retinico del farmaco (anche i sintomi sistemici, quando presenti, sono stati limitati e solo in un caso hanno

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determinato la sostituzione dell’idrossiclorochina con molecole diverse dai 4-amino-chinolonici).

Anche la letteratura è deficitaria di uno studio sull’argomento svolto con le stesse tecnologie da noi prese in considerazione, di dimensioni maggiori ed effettivamente in grado di dare indicazioni più valide sull’approccio da avere nei confronti di questi pazienti; tuttavia ci sono stati altri gruppi che hanno utilizzato approcci diversi quali l’elettroretinografia (ERG), l’elettrooculografia (EOG) e i potenziali evocati visivi (PEV), che non hanno evidenziato ugualmente alcuna

alterazione precoce correlabile al potenziale danno da

idrossiclorochina se non nella fascia di pazienti over 65, i più sensibili a sviluppare questa problematica, con l’elettroretinografia che ha evidenziato variazioni a carico sia delle componenti scotopiche che

fotopiche.27 Anche questi risultati però non hanno potuto dare utili

informazioni agli operatori del settore sul comportamento da tenere di fronte al paziente che si avvale della terapia con idrossiclorochina. Un dato interessante è che vi sono studi ben più numerosi, ma non eseguiti con le stesse metodiche, che hanno indicato addirittura come

- 27 Antoniazzi E, Bogliolo L, Caporali R, Cavagna L, Gelmi C, Montecucco C, Rossi P. Early electroretinografic changes in elderly RA patients treated with hydroxychloroquine. Reumatismo, 2002; 54(3):226-231

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inutile qualsiasi screening oftalmologico se si ricorre a dosaggi inferiori ai 6,5 mg/kg/die o comunque per dosi cumulative al di sotto di 200 gr (la dose utilizzata nella pratica quotidiana dai reumatologi è generalmente ben inferiore), se non in presenza di ben determinati

fattori di rischio (età, malattie renali, …).28, 29

Quindi, il pensiero che emerge dopo mesi di esami svolti e la revisione dei pochi lavori disponibili sull’argomento, pur non suffragato da prove scientifiche significative, è che l’esecuzione di tali controlli e con la frequenza impostata nel nostro studio non sia affatto utile per giungere a una diagnosi precoce e che sia forse più indicato, dopo una visita basale pre-terapia, la messa in opera di un follow-up meno stringente, con una probabile inutilità di visite programmate nel primo trimestre e comunque a intervalli inferiori a tre mesi.

Analogamente alla retina, si può anche indicare con relativa sicurezza (anche se non era un obiettivo principale dello studio) che l’idrossiclorochina non interessi, se non raramente vista anche la letteratura specifica, la cornea, non essendosi verificato alcun caso di

- 28 Grierson DJ. Hydroxychloroquine and visual screening in a rheumatology outpatient clinic. Annals of the Rheumatic Diseases 1997; 56: 188-90.

- 29 May K, Metcalf T, Gough A. Screening for hydroxychloroquine retinopathy. BMJ 1998; 317: 1388-9.

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cornea verticillata o di cali dell’acuità visiva per patologia corneale da accumulo del farmaco.

Si confermano altresì infondati i timori dei pazienti verso i danni oculari da idrossiclorochina che sono il motivo principale di scarsa aderenza alla terapia stessa.

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Altre metodiche

Test con griglia di Amsler

Il paziente è invitato a fissare (indossando gli eventuali occhiali da

lettura) e coprendo un occhio un’apposita griglia (figura 10). Più in

particolare deve fissare per un intero minuto il centro di questa griglia e assicurarsi che tutte le linee che la compongono appaiano dritte e nitide e che i quadratini abbiano tutti la stessa misura. Il test è poi ripetuto con l’altro occhio. Una griglia con importanti modificazioni

(figura 11) è espressione di un problema retinico che necessita di

approfondimenti con metodiche di studio più specifiche.

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Ai fini dello studio della retinopatia da idrossiclorochina, il test di Amsler potenzialmente si può positivizzare già in fase asintomatica, rappresenta quindi un semplice ed economico mezzo di screening per i fruitori di questo farmaco.

Test di Ishihara

Il test consiste nell’osservazione di un set di tavole coperte da punti colorati. Su ognuna di queste il paziente deve individuare un numero composto anch’esso da punti colorati (ma di tonalità diverse dagli altri). Mentre normalmente non ci sono grosse difficoltà a distinguere questi numeri dal fondo, le persone con vari difetti della visione cromatica tendono a confondere i punti che compongono il numero con i circostanti punti di colore (non riconoscendo la cifra rappresentata). Si riesce così facilmente a riconoscere la presenza di un deficit e anche ad individuare verso quale tipo di colore vi è il deficit, avendo così pure delle informazioni qualitative specifiche (con

un test rapidissimo e praticamente senza costi).30

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Test di Shirmer

Si tratta di un semplice test che prevede l’utilizzo di due piccole

striscioline di carta sterile assorbente (5x35 mm, figura 12), graduate

con intervalli di cinque millimetri lungo la sua lunghezza, che vengono utilizzati per valutare se la lacrimazione del paziente è sufficiente o sotto la norma. Poste con una estremità internamente alla palpebra inferiore, le strisce assorbiranno le lacrime prodotte in condizioni basali (se il test è eseguito previa anestetizzazione della superficie oculare) e in condizioni normali (senza anestetico). Nel soggetto sano, in un tempo di cinque minuti, l’imbibizione della striscia supererà i 15

mm, mentre in

condizione di scarsa lacrimazione i cinque

minuti non sono

sufficienti. Il test quindi è particolarmente utile

per una rapida ed economica valutazione dei deficit di lacrimazione a varia origine (per es. sindrome di Sjögren). Tuttavia non fornisce

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indicazioni di tipo eziopatogenetico, ma si limita solo a documentarne la presenza.

Esame obiettivo con visione del fundus oculi

Questa procedura mira a valutare, tramite visione diretta, lo stato del fondo oculare. Per poter guardare il fundus si ricorre generalmente a una lente da 90 diottrie, opportunamente interposta tra l’occhio dell’esaminato e la lampada a fessura. Orientando nel modo adatto la lente e chiedendo al paziente di guardare nelle diverse direzioni è possibile indagare tutte le regioni di retina di nostro interesse, con particolare attenzione da porre su regione maculare, papilla del nervo ottico e strutture vascolari. È

pertanto possibile con questa metodica fare anche una adeguato studio del danno da uso di idrossiclorochina che si presenterà, come primi segni, con una lieve marezzatura pigmentaria della macula e la

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perdita del riflesso foveale. In fasi successive le alterazioni pigmentarie tendono ad ampliarsi fino a configurare la maculopatia a occhio di bue

(la lesione classica, figura 13), che si caratterizza per la presenza di un

anello di iperpigmentazione sottofoveale circondato da un anello concentrico di depigmentazione a sua volta racchiuso in un anello di iperpigmentazione; purtroppo però questo aspetti saranno caratteristici di fasi di maculopatia già conclamata, sintomatica, quindi la visione del fondo oculare non può costituire da sola una metodica di diagnosi precoce, ma può essere un efficace controllo sulle altre tecniche di studio per valutare se queste danno risultati effettivamente anticipati rispetto alla diagnostica classica.

Pachimetria e microscopia corneale

La pachimetria consente lo studio dello spessore della cornea (v.n. tra 0,49 e 0,56 mm centralmente), che può essere espressione indiretta della sua integrità. I tipi di pachimetri in commercio sono di due tipologie: ottici, che sfruttano lenti prismatiche su apposite lampade e che non richiedono contatto diretto tra strumento e superficie corneale, e a ultrasuoni, che utilizzano tecniche di ecografia

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monodimensionale con apposite sonde ad alta frequenza (nella pratica è necessario instillare una goccia di collirio anestetico nell'occhio da esaminare e appoggiare sulla cornea per qualche istante una sonda simile a una piccola penna).

La microscopia invece permette di fotografare l’endotelio corneale e ottenere informazioni circa le sue caratteristiche cellulari: forma,

dimensioni, distribuzione e densità (figura 14). Anche di questi strumenti

esistono due varianti, a contatto o non a contatto.31

Per lo studio si sono scelti la pachimetria e microscopia ottica

- 31 Kanski JJ. Oftalmologia clinica. USES Ed. Scientifiche Firenze; 5: 119-120

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(integrata nel pachimetro) con l’indicazione di monitorare l’eventuale comparsa di aloni corneali e cali di acuità visiva, seppur rari con l’idrossiclorochina rispetto alla clorochina e altri prodotti, conseguenti al possibile accumulo del farmaco a questo livello.

(71)
(72)

- Antoniazzi E, Bogliolo L, Caporali R, Cavagna L, Gelmi C,

Montecucco C, Rossi P. Early electroretinografic changes in elderly RA patients treated with hydroxychloroquine. Reumatismo 2002; 54(3): 226-231.

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Figura

Figura 1 - immagine oftalmoscopica (A) e fluorangiografica (B)
Figura 2 - maculopatia in fase precoce
Figura 3 - 5 anni dopo - maculopatia a occhio di bue
Figura 10 Figura 11

Riferimenti

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