Franco Rossi
Direttore Conservatorio di musica Benedetto Marcello di Venezia
“Recenziore, non deteriore”: è una delle mas- sime che accompagnano chiunque abbia af- frontato anche solo collateralmente gli studi di carattere filologico. La passione per l’anti- co ha certamente arricchito il nostro paese, oggi rischia però di penalizzarlo. Circondati come siamo di splendidi codici manoscrit- ti e di affascinanti e antichi libri a stampa, oggi rischiamo di dedicare poco spazio alle produzioni moderne o contemporanee. La schedatura del materiale librario musica- le, ad esempio, si ferma agli anni a cavallo tra la fine del Settecento e primi dell’Ottocento: prassi comprensibile nell’immediato secon- do dopoguerra, quando le cose del secolo precedente avrebbero potuto appartenere ai nonni degli studiosi di allora, prassi oramai deprecabile oltre il Duemila. Paradossalmen- te è oggi assai più facile per il musicologo tro- vare informazioni su testimonianze risalenti a quattro-cinque secoli fa che reperire fonti meno note di Verdi o di Puccini. Il rischio di “perdere” il Novecento, quanto mai reale nel campo delle “macchine sonore” (oggi in larga parte non più esistenti, perché canni- balizzate ripetutamente dagli stessi autori di musica elettronica), si fa strada anche nelle testimonianze cartacee. C’è inoltre un altro aspetto a preoccupare: la drastica distinzione tra generi e l’applicazione di valori non sem- pre coerenti tra tipologie di contenuti, con la conseguente differenziazione tra materiali ritenuti più importanti e materiali conside- rati poco o nulla significativi. Conserviamo infinite copie novecentesche della Divina Commedia, soprattutto nei libri scolastici, non abbiamo avuto invece nessun rispetto di alcuni elementi che hanno costituito la storia del fumetto, o ancora dei manifesti, se non persino di alcune pubblicazioni periodi- che considerate ‘minori’. Conserviamo con cura un catalogo a stampa di opere pittoriche di un grande pittore ma perdiamo i pochi re- perti di alcuni grandi illustratori, restauria- mo alcuni grandi film ma perdiamo quoti- dianamente la memoria di altre produzioni oggi rimpiante: pensate ai manifesti di Via col vento, di Biancaneve...
Diventa quindi oggi particolarmente im- portante capire come anche nella tradizione musicale ci si trovi di fronte ad atteggiamen- ti incerti, equivoci, fuorvianti: acquistiamo e conserviamo religiosamente la centesima copia dell’edizione critica delle sonate di Do- menico Scarlatti (oltretutto incompleta), ma
scartiamo la musica ‘leggera’. Com’è diffici- le oggi non mettere quelle virgolette, come siamo costretti ad arrampicarci sugli specchi per definire questa tipologia musicale nel suo insieme: popular music è oggi forse il termine più neutro; ma questa musica vie- ne conservata? Con la stessa dedizione usata per altri materiali? Da una parte la risposta è positiva (la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze lo fa, ad esempio) ma le fonti, so- prattutto se viste nella loro sempre apparen- te completezza, sono relativamente poche. E la Tipoteca Italiana ospita molto di questo materiale, apparentemente così prepotente, così diffuso, così violentemente commercia- le, eppure tanto delicato e tanto fragile. Sono molti i punti di forza di questo fondo composito e complesso: ci sono i materia- li tipografici, i ‘piombi’ dai quali ha preso le mosse tutta questa vicenda, c’è un video – prezioso – che documenta l’attività di in- cisione, c’è il fondo librario, veramente am- pio, e si potrebbe ancora giungere a un’ul- tima componente, il fondo archivistico, che correderebbe e completerebbe questa origi- nale collezione. Da sempre il problema del- la scrittura musicale a stampa è stato consi- derato affascinante: non esistono in questo caso incunaboli, perché la prima edizione a caratteri mobili risale al 1501, il prezioso Harmonice Musices Odhecaton di Ottaviano Petrucci. Dagli esordi di Gutemberg son do- vuti passare quarantasei anni perché anche la musica possa beneficiare della diffusione della stampa a caratteri mobili, ardua, diffi- cile nella sua triplice (poi ridotta a duplice) impressione; e molti anni dovranno ancor passare prima di arrivare all’impressione unica di Pierre Haultin, poi sviluppatasi compiutamente a Venezia con le famiglie degli Scotto e soprattutto dei Gardane. Ma la musica resta fortemente indipendente dai caratteri mobili: ancora nel Cinquecen- to i procedimenti calcografici si moltiplica- no, e dal tardo Seicento vanno a sostituirli, prima con l’incisione e poi con la litografia, diffusa tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento soprattutto in Italia. In pra- tica, meglio realizzare delle lastre, che poi vengono conservate, riprese, persino cedute e quindi commercializzate, che dover riscri- vere un’intera pagina; e questa prassi di- venterà pressoché esclusiva nel Novecento, quando una lega di piombo sostituirà le più delicate lastre di calcare o quelle più costo- se di rame. Fondamentali in questa pratica risultano essere i punzoni, generalmente in bronzo: ciascuno di essi rappresenta un simbolo musicale: una chiave, un’alterazio- ne, diversi valori, le pause, le gambette, i se- gni di espressione... Ogni volta un leggero colpo con il martello costringe il punzone a trasferire sullo spartito quel determinato simbolo, contribuendo a formare la pagina
Tipi gregoriani della Scuola tipografica salesiana Valdocco di Torino e una pagina di Sequentiae, Alberto Tallone Editore, 1991
(fotografia di Piero Chiodero)
Matrice incisa in lega di piombo, bozza di prova, rigatore e martello provenienti dal fondo La Musica Moderna, Milano
musicale. Secoli di dedizione trascorsi nel dare vita alle pagine a stampa delle princi- pali edizioni, ininterrottamente fino agli esperimenti con i caratteri trasferibili (du- rati pochissimo) e alla prepotente avanzata della desktop publishing. Nemmeno la rivo- luzione della monotype e della linotype, pur con le proprie mille comodità, può essere posta a confronto con la totale rivoluzione nell’ambito musicale, quando una compo- sizione suonata su una tastiera midi porta sostanzialmente alla realizzazione dell’inte- ra pagina, pronta per la stampa: i tempi si riducono drasticamente, la complessità del lavoro è inferiore... Fino a questa innovazio- ne sono quindi relativamente poche le inci- sorie in grado di compiere questa importan- te operazione, proprio per la difficoltà del lavoro e per la sua alta specializzazione. È da questa situazione che prende le mosse la Arti Grafiche - La Musica Moderna, fondata da Salvatore Siragusa, dal 1930 specializzata nella realizzazione di spartiti musicali. Oltre ai torchi tipografici e alla ricca collezione di punzoni, 247 contenitori raccolgono invece il materiale a stampa, la prima copia offerta dall’editore all’incisore per la propria docu- mentazione personale. È una mole di mate- riale che ancor oggi è poco conosciuta e che attende comunque una compiuta cataloga- zione analitica: aiuta poco, in questo caso, la prassi normalmente seguita della ‘cattura’
delle schede in SBN, proprio perché questi
materiali sono generalmente assenti nella banca dati per i motivi anzidetti. Curci, Bèr- ben, Ricordi, Suvini Zerboni, Zanibon sono solo alcuni tra gli editori che si sono serviti di questa incisoria, e che quindi sono presenti nel fondo, ma paradossalmente l’interesse maggiore va nei confronti di una pletora di piccoli editori per i quali è, più che lecito, do- veroso immaginare una possibile dispersione delle fonti (a solo titolo di esempio: edizioni musicali Fulgor di Bologna, Diletti di Padova, Guerrieri ancora di Bologna). Si tratta in gran parte di musica da ballo. Vasco Rossi (sì, pro- prio Voglio una vita spericolata) si alterna a Diapason, compendio di teoria musicale, così come Il mio canto libero (ovviamente Lucio Battisti, sdoganato nelle aule universitarie in virtù della sua precoce scomparsa) si alterna a Clowstrofobia. Impossibile anche solo pro- vare a descrivere ulteriormente questo mate- riale prima di una definitiva schedatura; ma considerata anche la presenza di autori di ogni genere, solletica assai l’idea di poter di- sporre in un ragionevole futuro delle infinite note d’archivio che potrebbero concretizzarsi proprio grazie all’acquisizione di questo ulti- mo, prezioso lacerto di una storia che non è morta, ma che ha solo conosciuto con l’infor- matica un’altra (definitiva? sicuramente no) tappa della propria affascinante esistenza.
Incisione della notazione musicale con i punzoni su lastra di piombo (fotografia di Marco Buratto) Gli incisori ai propri banchi di lavoro
nel reparto incisione delle lastre
(Milano, Arti Grafiche «La Musica Moderna», fine anni Sessanta)
Incisione a bulino della lastra. L’incisione a mano della musica su lastre di piombo, dalla fine del XVII secolo, si affermò come il sistema privilegiato per la preparazione della matrice musicale, prima per la stampa calcografica (torchio a mano), poi per quella litografica-offset. Determinò un enorme progresso rispetto ai caratteri mobili usati per le prime stampe di libri da musica tra il 1500 e il 1700 e soppiantò, fino all’avvento del digitale, ogni altra tecnica di stampa (Milano, Arti Grafiche «La Musica Moderna», fine anni Sessanta)
Particolare del salone delle macchine (fotografia di Alberto Parise)
Veduta del salone delle macchine tipografiche (fotografia di Fabio Zonta)
Firenze, Galleria degli Uffizi