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Tomboy: genere come gioco, genere come performance

CAPITOLO III Sguardi divergenti nel cinema europeo

3.3 Genere e sessualità in due film di Céline Sciamma

3.3.2 Tomboy: genere come gioco, genere come performance

In Tomboy (2011), Laure e la sua famiglia si trasferiscono in una nuova città, la madre è incinta e il padre è quasi sempre fuori per lavoro. Affacciandosi alla finestra vede un gruppo di ragazzini giocare nel cortile, quando va per raggiungerli sono andati tutti via; tutti tranne Lisa, che le chiede se è nuovo nel quartiere. Laure le risponde di si e quando Lisa le chiede il nome non esita a dire che si chiama Michael. E come Michael si presenta all’intero gruppo di amici.

Nelle bambine i fenomeni di cross-dressing e di gender bender sono solitamente comunemente accettati:

Il comportamento da maschiaccio è generalmente associato al “naturale” desiderio da parte della bambina di quella maggiore libertà di movimento che è di solito consentita ai maschietti. Molto spesso questo comportamento è letto come un segno di indipendenza e di autonomia e può persino essere incoraggiato, a patto che esso rimanga saldamente ancorato a un senso stabile dell’identità femminile della bambina.63

Al contrario, i comportamenti femminili nei bambini maschi sono comunemente ritenuti meno accettabili perché sono subito ricondotti all’orientamento sessuale. In

Tomboy, i genitori di Laure non solo accettano il comportamento da maschiaccio di

Laure, ma lo assecondano. Almeno fino a quando la madre non scopre che Laure si è presentata agli altri ragazzini come Michael e che ha picchiato uno di loro. Laure è costretta ad indossare un vestitino e a ripresentarsi agli amichetti con il suo nome anagrafico. Nonostante all’inizio la madre abbia una reazione violenta, dirà a Laure che non le importa, in fondo, che si sia presentato da maschio, ma che in vista

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dell’imminente inizio della scuola non aveva altra scelta. I pomeriggi estivi dei bambini, svincolati da qualsiasi autorità o istituzione, permettono il gioco del genere, ma le istituzioni no. La società normativa pretende l’ordine consequenziale obbligatorio di sesso, genere e desiderio.

Questa concezione del genere non solo presuppone una relazione causale tra sesso, genere e desiderio, ma ipotizza anche che il desiderio rifletta o esprima il genere e che il genere rifletta o esprima il desiderio.64

Laure, vivrà la sua esperienza da tomboy mettendosi alla prova come maschio tra gli altri maschi in svariate occasioni: i ragazzini giocano a calcio a torso nudo, Laure rimane a guardarli e nella scena successiva si trova davanti allo specchio, nuda, cercando di capire dal riflesso se agli occhi degli altri risulterebbe credibile o meno, quindi stringe i pugni e guarda i suoi muscoli, controlla di profilo che il seno non sia ancora cresciuto. Soprattutto Laure performa Michael rispetto ad un micro- sistema comunitario molto particolare: quello dei bambini, che liberi da molte convenzioni sociali che riguardano il mondo degli adulti sono molto più aperti alle possibilità di gioco, performance e travestimento, perché liberi dagli stereotipi e perché il loro sistema rappresentativo si basa sulla fantasia piuttosto che sulla realtà. Prendiamo per esempio il momento in cui Jeanne “dipinge” Laure: la sorella maggiore è ferma e in posa come se dovesse posare per un ritratto realistico; Jeanne le ripete di stare ferma e non muoversi, ma quando la macchina da presa mostra l’opera conclusa ciò che si scorge sul foglio è una enorme testa ovale piena di puntini marroni, perché Jeanne ha riprodotto Laure attraverso un tratto distintivo

64 Judith Butler, Questione di genere, Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, Roma- Bari, 2013, p.37.

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che niente ha a che fare con il genere della sorella: le lentiggini. È così che Jeanne la vede, una enorme testa sorridente piena di lentiggini. Nell’inquadratura successiva a quella di Laure allo specchio, si vede la sorellina Jeanne con un improbabile tutù, nella dimensione del gioco Jeanne performa di essere una grande ballerina. Anche Jeanne sarà coinvolta nel suo gioco di genere, a patto che lei non dica a nessuno che Michael è una finzione, può uscire a giocare con lei e gli altri bambini. Jeanne, che viene a sapere della sua doppia identità casualmente, inizialmente è sconvolta, la sua reazione riflessiva suscita molta tenerezza nello spettatore perché performa un atteggiamento da adulta. Dopo il piccolo shock e il patto con la sorella, Jeanne, come i bambini sanno fare benissimo, prende molto sul serio il gioco del “facciamo finta che”, al punto di inventarsi storie su come Michael, nel vecchio quartiere avrebbe fatto a pugni per lei che è l’unica ragazza che lui ama e impreziosendo le sue storie sfoggiando tutti i magnifici vantaggi che si hanno nell’ avere un fratello maggiore (anziché una sorella). Michael, durante la partita di pallone, deve fare pipì, tutti i maschietti la fanno insieme; lui si avventura nel bosco per farla di nascosto, ma un bambino lo segue e per non destare sospetti si rialza di botto facendosela sotto, i bambini lo prendono in giro. Laure realizza sempre di più che il gioco a cui sta giocando è in realtà molto complesso, deve riuscire a fingere curando ogni minimo dettaglio. Lisa lo invita a fare il bagno al lago il giorno dopo. In una sequenza tutto corpo in cui Laure non verbalizza mai quello che sta per fare, pianifica lucidamente la prima vera performance di genere: taglia il suo costume intero e con il pongo modella un pene, lo prova, di nuovo di profilo allo specchio: al riflesso mancante del suo seno, che non è ancora cresciuto, si sovrappone il riflesso del suo pene negli slip. L’androginia di Laure fa sì che il

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suo corpo possa essere un campo aperto di inscrizioni, significati; tutto il suo corpo è un pezzo di pongo modellabile, che può essere de-costruito e ricostituito a suo piacimento. È forse questa la scena in cui Laure realizza, come può realizzarlo una bambina, che la sua identità di genere è maschile. La performance di genere nella sua accezione sociale (e non spettacolare), non si limita nell’assumere atteggiamenti del genere opposto o nel vestire gli abiti del genere opposto, performare il genere significa agire ritualmente fino ad introiettarli. Tornato a casa dopo il bagno al lago, il narratore mostra un gesto molto simbolico di Michael che custodisce il suo pene di pongo nella scatolina che contiene i suoi dentini da latte. Nella scena immediatamente successiva a quella del bagno al lago, Lisa prende per mano Michael, lo trascina nel bosco e gli dà un bacio, già Lisa aveva mostrato dell’interesse per lui, perché lo trovava differente rispetto a tutti gli altri maschi. In una scena, quella dopo il fattaccio dell’urina, Lisa invita Michael a casa sua, i due ballano insieme e per gioco Lisa prova a truccarlo. Laure è evidentemente a disagio, nonostante tutti intorno a lei continuino a ripeterle che il trucco le dona. Sia in questa scena in cui è vestita da femmina il narratore ci mostra, senza parole, un evidente disagio: è Laure che si traveste da Michael oppure è Michael che si traveste da Laure? Dopo aver raggiunto tutti i suoi amichetti vestito da femmina, arriva il momento più imbarazzante: quello di svelare a Lisa che in realtà Michael, il ragazzino da cui è attratta (come può essere attratta una ragazzina in età pre- puberale), è in realtà una femmina. Laure è appoggiata al muro, fuori campo si sente la voce della madre di Lisa:

- Lisa, vieni. Lei è la mamma di Michael è venuta a spiegarci che Michael non è Michael, è una bambina.

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Vediamo Lisa che raggiunge Michael, che indossa il suo vestitino blue, lei lo guarda in faccia, il suo sguardo scende giù per tutto il corpo fino a risalire. Michael abbassa lo sguardo, guarda altrove, la testa inclinata, le braccia dietro la schiena, anche qui il narratore sceglie di raccontare in maniera non dialogica. Lisa corre via, Michael fugge nel bosco, si siede ai piedi di un albero, toglie il vestito, o meglio il travestimento, sotto al quale ha i suoi soliti vestiti da maschiaccio, guarda in alto verso il ramo di un albero, la macchina ne segue lo sguardo, con una panoramica verticale, si sofferma su un ramo e solo dopo una nuova panoramica sx/dx scopriamo il vestito blue abbandonato qualche ramo più in là e sullo sfondo sfuocato scorgiamo Michael che va via.

- Sapete una cosa? Michael è una femmina! - Ma scherzi?

- Che cosa stai dicendo? - Non è vero, ci prendi in giro. - È venuto da me vestito da femmina - Non ci credo!

- Ci prendi in giro!

- E perché è venuto a dirlo proprio a te che è una femmina?

- Sua madre l’ha portato da noi vestito da donna, e si è messa a parare con mia madre, è una femmina!

- Ma è impossibile, come fa ad essere così forte anche a calcio? - Io ci credo, vi ricordate quando se l’è fatta addosso?

I bambini stentano a crederci, Michael è davvero troppo maschile per essere una femmina, aveva persino picchiato un amichetto perché aveva spinto Jeanne. È questo il motivo rivelatore della sua identità alla madre. La madre del ragazzino picchiato va dalla madre di Michael a dirle che suo figlio era stato picchiato dal figlio di lei. Alla fine del dialogo i bambini sentono un calpestio e scorgono Michael mentre scappa via, riescono ad acciuffarlo. L’inquadratura successiva è

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una carrellata sui primi piani dei bambini, messi tutti in riga di fronte a Michael, lo scrutano seri e insospettiti. Nel controcampo vediamo Laure/Michael in lacrime.

- A quanto pare sei una femmina - Ora controlliamo

- Smettila, che cosa fai?

- Vediamo se è davvero una femmina - Lascialo stare

- Ha ragione, lo fai tu è meglio - No

- Se è una femmina tu l’hai baciata, è una cosa schifosa non ti fa schifo? - Si mi fa schifo

- Allora lo fai tu.

Lisa mette una mano sui pantaloni di Laure per constatare che sia effettivamente una femmina. Vanno tutti via e Laure rimane a piangere raggomitolata su se stessa: il gioco è finito. La sequenza successiva si apre con la madre che culla il nuovo nato, un maschietto. Laure non è fuori a giocare, dice che preferisce rimanere a casa. Va verso la cucina, prende un plum-cake, apre la confezione e lo mangia sul balcone, fuori, ad aspettarla c’è Lisa. Laure la raggiunge in cortile, le due si guardano, Lisa le chiede nuovamente – come ti chiami? Lei ci pensa un attimo. – Laure. Il film finisce sulla possibilità di una nuova narrazione identitaria: la prima era scaturita proprio nel momento in cui Laure si presenta come Michael a Lisa. Ripresentandosi come Laure non rinnega del tutto la sua maschilità, né riconferma la sua identità di femmina: il vestito blu è rimasto appeso ad un ramo.

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CONCLUSIONI

Il percorso di tesi appena concluso si è rivelato pieno di insidie, salite ardue, ripidissime discese e risalite. La premessa è stata quasi del tutto tradita. Le conclusioni che cercherò di trarre rispetto ai quesiti che ho posto tra le pagine dell’elaborato, sono da considerarsi dei finali aperti a nuove possibili letture. Esattamente come i finali aperti dei quattro film queer che ho trattato: Franck potrebbe vivere o morire, Laure può performare un’altra identità, Vera potrebbe coronare il suo sogno d’amore, Marie e Anne proseguire nella ricerca delle loro identità. Quando ho cominciato a strutturare la tesi sapevo che si sarebbe composta da due parti asimmetriche, quando ho cominciato a scrivere le analisi dei film questa asimmetria si è fatta sicuramente più marcata: concentrandomi sulle dinamiche prefigurative dello stereotipo dell’Altro elaborato da Billi ho ridotto all’osso le analisi dei film italiani limitandomi a descriverne la trama e a inscriverli in questo o quel processo di stereotipia, rimanendo slegata dalle narrazioni, spesso pretestuose e cercando di capire e analizzare il messaggio che il film vorrebbe o meno trasmettere. Questa osservazione mi è utile per rispondere a due dei quesiti che avevo posto nella premessa: che immagine di omosessualità consegna oggi il cinema italiano all’immaginario collettivo? Come si parla di omosessualità nel cinema italiano? Dai casi di studio che ho proposto la risposta potrebbe essere che i personaggi LGBT che il cinema italiano (mainstream, lo preciso nuovamente) ci propone si potrebbero definire omo-asessuali. L’omosessualità intesa come pratica sessuale è totalmente esclusa dalle narrazioni, le identità sessuali altre, vengono narrate prevalentemente attraverso i dialoghi tra i personaggi, mai mostrate attraverso le immagini; i loro corpi sono sempre in qualche modo censurati, sono

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schiavi della stigmatizzazione etero-normata per la quale il maschio effeminato è sicuramente gay e la femmina mascolina è sicuramente lesbica, escludendo qualsiasi possibilità che il genere sia una performance ma una caratteristica identitaria strettamente connessa all’orientamento sessuale. Il secondo quesito riguardava una questione socio-culturale: quanto nelle rappresentazioni l’immagine del gay, o della coppia gay, si può svincolare dal modello IKEA per essere socialmente accettabile? Ripassando i finali dei film italiani analizzati la risposta è che se si svincola dal modello omo-normativo è destinato a fallire. Davide, il protagonista adolescente di Più buio di mezzanotte, non ha possibilità di riscatto: il mondo-sociale cui entra a far parte svincolato dalla famiglia è quello della prostituzione minorile, della delinquenza e della violenza; costretto con la forza a tornare nella situazione repressiva in cui si trovava l’unica soluzione possibile è il suicidio. Tommaso, per esempio, fratello maggiore omosessuale del protagonista di

Mine Vaganti viene riaccolto in famiglia, dopo il coming-out, nella prospettiva della

riassunzione alla dirigenza del pastificio di cui sono proprietari. Nessuno dei familiari (a parte la nonna, che muore) dichiara di aver accettato l’omosessualità di lui. I personaggi che lo evocano tramite i dialoghi, dopo l’abbandono della casa a causa della sua omosessualità, sono autorizzati a farlo solo per ricordarne le abilità produttive; quando invece si parla di lui come omosessuale interviene l’autorità paterna impedendo che se ne parli. Nel primo capitolo, ponevo, riprendendo Bocchi, la domanda se esistono stereotipi queer. Il significante queer, non va preso come vuoto contenitore da riempire con qualsiasi significato che abbia a che fare con soggetti sessuali non normativi, perché se così fosse le differenze di cui vuole farsi portavoce verrebbero schiacciate e appiattite. I processi stereotipici di

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prefigurazione delle alterità sarebbero un’operazione semplice, e il loro punto di partenza sarebbe l’opposizione binaria normativo/non-normativo. Queer è più che un contenitore, un termine-ombrello sotto il quale raccogliere significati, semmai è un termine liquido, un modulatore di frequenze. Più che soggetti, esistono forse situazioni stereotipiche in cui il personaggio-soggetto può inscriversi, come ad esempio potrebbe essere la situazione di cruising, di battuage, proposta da Guiraudie nel suo film. Lo stereotipo non è in sé nocivo, lo diventa semmai quando viene assolutizzato, quando viene considerato come unico possibile modo di rappresentazione, così come appare all’interno del cinema italiano pensato per il grande pubblico.

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