• Non ci sono risultati.

Stereotipi e normatività nel cinema a tematica LGBT.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Stereotipi e normatività nel cinema a tematica LGBT."

Copied!
83
0
0

Testo completo

(1)

1

INDICE

CAPITOLO I – Introduzione………2

1.1 Premessa……….2

1.2 Un'introduzione alle teorie queer……….6

1.3 Rappresentazione e sessuaità……….14

CAPITOLO II - Rappresentazione dell’omosessualità nel cinema italiano………18

2.1 Stereotipi e normatività………..18

2.2 Film a tematica gay……….28

2.3 Film a tematica lesbica………...38

CAPITOLO III - Sguardi divergenti nel cinema europeo………..36

3.1 L'inconnu du lac, lo spazio queer e il desiderio synthomosessuale……… 36

3.2 La piel que habito, performare il genere……….43

3.3 Genere e sessualità in due film di Céline Sciamma………55

3.3.1 Naissance des pieuvres………55

3.3.2 Tomboy: genere come gioco, genere come performance……….63

Conclusioni………69

Bibliografia………72

Webgrafia………74

Filmografia……… 79

(2)

2

CAPITOLO I

Introduzione

1.1 Premessa

L’argomento che tratterò nella tesi è la rappresentazione dell’omosessualità e i suoi stereotipi nel cinema italiano. Per analizzare uno stereotipo, esiste in virtù della propria reiterazione, è necessario non focalizzarsi su un solo autore e il rischio che si corre è quello di diventare enciclopedici e nozionistici. Per questo ho deciso di limitare il campo di studi decidendo di trattare film italiani usciti nell’ultimo decennio che fossero a tematica LGBT. Ho deciso inoltre di tenere fuori dalla ricerca quei film indipendenti, di nicchia che circuitano nei festival a tema dedicati (come ad esempio il Sicilia Queer Film Fest, il Florence Queer film festival) e di trattare quindi film che abbiano avuto accesso ad una grossa fetta del pubblico cinematografico italiano: sto parlando dunque di film di finzione che siano stati distribuiti al cinema con tirature che vanno dalle sessanta alle cinquecento copie. La motivazione che mi ha spinto a questo tipo di scelta dipende dalla relazione che esiste tra il mondo reale ed il mondo finzionale nella creazione e nello scambio degli stereotipi. Il cinema mainstream, insomma, ha un ruolo nella creazione e riproposizione degli stereotipi che poi influiscono su quello che potremmo chiamare senso comune. Attraverso l’indagine sulle dinamiche che portano ai processi di stereotipia e l’analisi di alcuni film, la domanda alla quale cerco di rispondere attraverso l’elaborzione di questa tesi è: che immagine di omosessualità consegna oggi il cinema italiano all’immaginario collettivo? Come si parla di omosessualità nel cinema italiano? Alla fine proporrò un confronto con alcuni film europei. La prospettiva critica attraverso la quale indagherò le rappresentazioni di

(3)

3

sessualità altre, si regge sulle multiple e multiformi teorie queer, che offrono un ventaglio di possibilità caleidoscopiche per riflettere sulle identità e gli orientamenti sessuali e di genere.

Nel libro Anarchismo Queer,1 Samuele Grassi scrive all’interno di un capitolo

intitolato: Norme e normalità, una critica ad una famosa foto pubblicitaria utilizzata da IKEA: nella foto ci sono due uomini di spalle che si tengono per mano e uno dei due tiene nella mano libera una busta colma di prodotti, su di loro la scritta “Siamo aperti a tutti i tipi di famiglie” e, accanto, il logo Ikea Family. Scrive Grassi che il modello della coppia di Ikea attraversa almeno quattro categorie, e in ognuna opera un meccanismo duplice di produzione e allo stesso tempo negazione di possibilità

La coppia IKEA ricalca il modello di intimità etero-normativa del patriarcato familista. Questo aspetto è ancora più evidente se si considera un ulteriore livello: la posizione dei due uomini, il loro voltare le spalle. All’interno dell’economia della pubblicità, voltare le spalle moltiplica i significati comunemente attribuiti al gesto. Esso fa prendere corpo alla promessa progressista di chiudere con l’omofobia e le discriminazioni sessuali, ed è questo uno dei motivi, forse il principale, per cui la pubblicità è tuttora ricordata come un momento cruciale all’interno del dibattito sul riconoscimento dei diritti LGBT in Italia. Allo stesso tempo, codifica l’occultamento di quei soggetti che non vogliono o non possono condividere i presupposti di normalità che saturano il dominio significante del messaggio pubblicitario nella sua interezza. In questo secondo caso, voltare le spalle è sia espressione dell’individualismo capitalista caratteristico delle società neoliberiste, sia un modo di dimenticare l’Altro, i soggetti non normativi così come quelli che Eve Sedgwick ha definito gli “altri” del genere, gli altri della classe, gli altri razziali, gli altri sessuali.2

Il cinema italiano sembra anche esso prediligere, anche quando si parla di omosessualità, soggetti che non mettono mai veramente in discussione l’etero e

1 S. Grassi, Anarchismo queer, un’introduzione, Pisa, ETS, 2013. 2 Ivi, pp.98-99.

(4)

4

l’omo-normatività. Lo scorso anno un partito politico italiano usa una foto di Oliviero Toscani per una campagna omofoba contro le adozioni gay. La foto ritrae due coppie in posizione speculare: una coppia gay e una coppia lesbica; entrambe le coppie sono fotografate di profilo, nell’atto di abbracciarsi; al centro della foto, in primo piano viene presentato un bambino, sorretto dalle braccia dei soggetti all’estremità della foto. L’intento dello scatto, era l’esatto opposto rispetto all’uso che ne ha fatto quel partito, cioè promuovere i diritti per le adozioni omosessuali in Francia. Qui la domanda che sorge è: quanto l’immagine del gay, o della coppia gay, si può svincolare dal modello IKEA per essere socialmente accettabile? Continua Grassi nell’analisi del manifesto IKEA

La coppia è benestante, quindi rappresenta gran parte della cittadinanza proto-borghese italiana; il genere – i due uomini della coppia, performano una maschilità stereotipata, “normale”, o che passa come tale, e questo avviene a scapito della lor mancata performance della non-eterosessualità; la razza – la coppia è bianca (=occidentale); e la sessualità – la coppia fa compere, non fa sesso. Riproducendo e confermando il termine dominante delle coppie dicotomiche in ciascuna della categorie nelle quali operano, i meccanismi attivati da queste interpellazioni egemoniche delimitano i confini di una rappresentazione basata sull’esclusione di chi abita diversamente una o più delle categorie in questione.3

Gli stessi meccanismi di esclusione dalla rappresentazione di soggetti che abitano diversamente le categorie di cui parla Grassi a proposito della pubblicità IKEA, si riscontrano in gran parte dei film italiani a tematica omosessuale, aldilà di poche eccezioni e di produzioni indipendenti. L’argomento è approfonditamente trattato da Manuel Billi nel suo libro.4 La tesi sarà sviluppata partendo da una introduzione

alle teorie queer, parlerò dunque delle dei modelli di analisi e delle problematiche

3 Ivi. p. 96.

(5)

5

che bisogna affrontare quando si parla di sessualità e rappresentazione. Ho deciso poi di analizzare i processi di stereotipia ricorrenti nelle narrazioni di film italiani a tematica LGBT; suddividendoli in film a tematica gay e film a tematica lesbica. La seconda parte della tesi è dedicata invece all’analisi di alcuni film europei che mostrano soggetti sessuali divergenti rispetto alla norma presente nel panorama cinematografico italiano.

Agli elementi critici di teoria queer, unirò un tentativo di analisi finzionalizzante semio-pragmatica dei testi filmici: in Della finzione, Odin scrive di come il cinema sia un

modello di (non-) comunicazione che presuppone che non avvenga mai trasmissione di un testo da un emittente a un ricevente ma un doppio processo di produzione testuale: l’uno nello spazio della produzione e l’altro nello spazio della lettura […] Si parte dall’ipotesi che sia possibile descrivere ogni lavoro di produzione testuale attraverso la combinazione di un numero limitato di modi di

produzione di senso e di affetti che conducono ciascuno a un tipo di esperienza specifica e l’insieme

dei quali forma la nostra competenza comunicativa.5

Lo scopo di questa tesi è dunque quello di sollevare i problemi legati alla rappresentazione stereotipata della sessualità nel cinema italiano recente cercando un confronto diretto con la produzione europea avendo come riferimento per un confronto costruttivo non solo gli strumenti legati ai film studies ma temi e mezzi che fanno parte dei cultural, dei feminist e queer studies.

(6)

6

How can I tell you. How can I convince you, brother; sister that your life is in danger. That everyday you wake up alive, relatively happy, and a functioning human being, you are committing a rebellious act. You as an alive and functioning queer are a revolutionary. There is nothing on this planet that validates, protects or encourages your existence. It is a miracle you are standing here reading these words.

The Queer Nation Manifesto

1.2 Un’introduzione alla teoria queer

Che cosa è la teoria queer? Rispondere in maniera semplice e concisa equivarrebbe a tradire la natura polimorfa, liquida e mutevole cui appartiene. Cercherò in questo paragrafo di descrivere il contesto in il queer cui nasce, le pratiche e le teorie che l’hanno influenzato e gli autori cui farò riferimento nell’analisi dei film che tratterò in seguito.

L’aggettivo queer è un termine-ombrello sotto cui si posso inscrivere vari significati, che vanno di volta in volta discussi, ridefiniti. Queer deriva dal tedesco quer, dal latino torquere, che vuol dire “di traverso”, “obliquo”, “bizarro”.6 Queer è un

termine opposto a straight, che vuol dire “dritto” e nella semantica della sessualità “eterosessuale”; il termine queer era un insulto nei paesi anglofoni, nonostante non ci sia una parola italiana che ne traduca l’esatto significato si potrebbe tradurre con “frocio”, “checca”.

Alcuni attivisti e intellettuali negli anni novanta si riappropriano del termine che fino ad allora era usato come forma di hate speech, per farne strumento di

6

https://www.academia.edu/6970705/Elementi_di_teoria_queer_Dallottimismo_costruttivista_al _realismo_antisociale_-_intervento_alla_Primavera_queer_Chieti_5_maggio_2014_

(7)

7

autodeterminazione, in opposizione alle pratiche e alle teorie identitarie e di assimilazione gay e lesbiche. Ad associare questa strana parola al sostantivo teoria fu la studiosa Teresa de Lauretis durante una conferenza all’Università di Santa Cruz, nel 1990.

La scelta strategica di nominare e nominarsi diversamente, queer, indica inoltre una svolta linguistica, una focalizzazione sulla sessualità non in quanto realtà oggettiva bensì come terreno mutevole continuamente ridefinito dai discorsi, dalle rappresentazioni, e auto-rappresentazioni di specifici soggetti culturali; la nominazione non è neutra, costituisce relazioni epistemologiche fra categorie e pone in essere soggetti sociali, non ultimi quelli omosessuali.7

Queer è un termine fluido, mutevole, instabile, un significante che resiste e rifiuta un significato unitario,8 la teoria queer ha una doppia natura, accademica e politica: sempre nel 1990, a New York una costola di ACT-UP composta da attivisti sieropositivi crea Queer Nation in seguito a numerosi attacchi omofobi scatenati dal panico di quella che era percepita in quegli anni come pestilenza gay: l’AIDS. Gli attivisti di Queer Nation scrissero nel loro manifesto le motivazioni che li portarono ad autodefinirsi queer: gay in inglese è sinonimo di felice, gay è una parola luminosa, rassicurante, ma in quegli anni, a causa dell’AIDS e della sua spettacolarizzazione, come scrive Simon Watney nel suo saggio, gli omosessuali erano percepiti dal mondo come un pericolo, come dei pervertiti, dei froci tutt’altro che gioiosi e luminosi. La scelta degli attivisti di ACT-UP non era però solamente provocatoria, queer è un termine trasversale in cui sia gay che lesbiche avrebbero potuto identificarsi.9 Tornando alla teoria, gli studi queer devono molto alla storia

7 http://www.studiculturali.it/dizionario/pdf/studi_queer.pdf

8https://www.academia.edu/6970705/Elementi_di_teoria_queer_Dallottimismo_costruttivista_a l_realismo_antisociale_-_intervento_alla_Primavera_queer_Chieti_5_maggio_2014

(8)

8

femminista, in particolare al lesbo-femminismo e al femminismo delle donne nere, dal momento in cui si rimette in discussione la donna come soggetto politico del femminismo; ancora nel 1990 vengono pubblicati due testi considerati oggi due capisaldi della teoria queer: Gender Trouble di Judith Butler e Epistemology of the

Closet di Eve Kosofsky Sedgwick. Entrambi i testi costituiscono un tentativo di

superamento rispetto alle teorie e politiche identitarie gay, lesbiche, bi e trans; tentativo che sarebbe impossibile da comprendere se si ignorasse il contributo di autori come Foucault e la sua Storia della sessualità.

Ben prima del 1990, Foucault parla di sessualità come dispositivo di potere, il filosofo teorizza che il potere non sia puramente o solamente repressivo rispetto alle pratiche sessuali, ma che le produce, le normalizza, le controlla, le regola, costruendo identità. A fine del diciannovesimo secolo la sodomia smette di essere solo una pratica sessuale e attraverso di quella si costruisce l’identità omosessuale, la psichiatria interviene nei discorsi sul sesso categorizzando, analizzando tipi di esseri umani in base alle loro pratiche sessuali, si inventa l’invertito, produce soggetti sessuali suddividendoli in base al binarismo identitario omo/etero.10

In Gender Trouble, Judith Butler riprendendo le tesi sviluppate da Foucault sulla sessualità come dispositivo di potere, non solo rimette in discussione la consequenzialità tra sesso, genere e desiderio, ma sostiene che il genere sia

performance, che il corpo non sia altro che un campo libero su cui iscrivere

significati culturali e politici, che il genere non dovrebbe nemmeno essere un

(9)

9

sostantivo racchiuso nella gabbia di un binarismo che andrebbe superato attraverso azioni, performance, che aprirebbero i corpi a possibilità di infiniti significati.

Coloro che falliscono nell’edificazione adeguata del proprio genere vengono regolarmente puniti. Questo avviene poiché non vi è un’essenza che il genere esprime o esterna, né un ideale oggettivo al quale il genere aspira: poiché il genere non è un fatto, i vari atti di genere creano l’idea stessa di genere, e senza quegli atti non vi sarebbe neanche il genere. Esso, dunque, è una costruzione che dissimula continuamente le sue origini.11

Butler sostiene dunque che non ci sia un soggetto aldilà della performance di genere: così le possibilità di nuove forme di soggettività e di piacere si moltiplicano, adottando un atteggiamento politico che è stato definito ottimismo costruttivista.12 Eve K. Sedgwick, anziché sul genere si concentra in particolare sull’omosessualità maschile ripensa il binarismo eterosessuale/omosessuale partendo dall’idea foucaultiana che gli snodi tematici dell’episteme contemporanea derivino proprio dalla frattura generata da questo binarismo, ma a differenza di Foucault che indaga le cause di questa frattura nel suo libro, Sedgwick analizza le implicazioni culturali che ne derivano. Rifacendosi alle critiche anti-identitarie femministe che vertevano sulla denaturalizzazione del genere, il queer ha come oggetto di studio la sessualità, ne consegue che il potere normativo si sposta dalla dimensione di genere, dal patriarcato, dirigendosi verso quella che è definita come etero-normatività: un sistema in cui il sesso biologico e l’identità di genere sono concordanti, i ruoli di genere sono rispettati assecondando così una scontata eterosessualità naturalizzata.

11 Butler J., Atti performativi e costituzione di genere, in (a cura d) Arfini, Iacono, Canone Inverso,

antologia di testi queer, Pisa, Ets, 2012. P.82

12https://www.academia.edu/6970705/Elementi_di_teoria_queer_Dallottimismo_costruttivista_ al_realismo_antisociale_-_intervento_alla_Primavera_queer_Chieti_5_maggio_2014

(10)

10

La stessa Sedgwick non si percepisce come eterosessuale, ma come queer, nonostante sposata come un uomo. Queer «in quanto donna, in quanto donna obesa, in quanto donna adulta non procreativa, in quanto donna che si trova ad essere in alcuni regimi discorsivi, sessualmente perversa e, in altri, un’ebrea.».13

Ma se da una parte le teorie di Butler e Foucault adottano una prospettiva che si potrebbe definire ottimismo costruttivista, altri autori hanno elaborato delle tesi antisociali. Secondo Edelman e Bersani, Foucault politicizza troppo il sesso, e Butler desessualizza il genere. Bersani ed Edelman rivendicano la negatività prodotta dall’atto non procreativo della penetrazione anale, rivendicano il retto come tomba. Bersani ed Edelman riportano il discorso sul sesso alla pulsione di morte come forza primitiva e perturbante, de-soggettivizzante, che porta i soggetti ad agire per il piacere in sé e a non cercare nessun riconoscimento sociale. Ma se Bersani, riprendendo Freud, pensa che la pulsione appartenga sia a soggetti eterosessuali che omosessuali, Edelman pensa che il soggetto queer dovrebbe erigersi a soggetto rappresentativo di questa pulsione di morte, abbracciando una visione fortemente anti omo-normativa, sostenendo che il Bambino sia diventato, nei discorsi che riguardano i diritti civili, feticcio e dispositivo normalizzante della sessualità omosessuale.

Anziché rivendicare la propria normalizzazione, mediante l’accesso al matrimonio, all’adozione, o alla riproduzione artificiale, i soggetti queer dovrebbero accettare di incarnare la pulsione di morte, la fine delle generazioni e della civiltà, la minaccia dell’avvenire.14

13 E. Sedgwick, Stanze private, Epistemologia e politica della sessualità, Roma, Carocci, 2011. P.96 14https://www.academia.edu/6970705/Elementi_di_teoria_queer_Dallottimismo_costruttivista_ al_realismo_antisociale_-_intervento_alla_Primavera_queer_Chieti_5_maggio_2014_

(11)

11

D’altronde si chiede provocatoriamente Preciado, chi difende il bambino queer?15

Perché quando si parla di Bambino lo si presuppone etero-normato? L’infanzia che gli omofobi pretendono di proteggere è un’infanzia ideale, retorica costruita e ideologizzata secondo preconcetti che fanno perno sullo stereotipo della famiglia patriarcale etero-normativa. L’atteggiamento anti-sociale è una risposta estrema e provocatoria al rischio che il Queer corre di rimanere incastrato nell’acronimo LGBTQ, a causa delle politiche integrazioniste dei movimenti identitari mainstream. Rischio che, a mio avviso, sarà eluso fino a quando gli intellettuali queer continueranno ad essere non solo teorici ma soggetti di resistenza. Paul B. Preciado è un filosofo spagnolo; quando scrisse Testo tossico: Sesso, droga e

biopolitica nell’era farmacopornografica,16 si chiamava Beatriz e proprio in questo

suo testo la scrittura diventa dispositivo performativo: il libro è diviso in due parti, una, saggistica, parla dei nuovi strumenti di potere nell’era che chiama faramaco-pornografia; nell’altra che si potrebbe definire narrativa/performativa racconta della sua vita a partire dalla morte dell’amico G. Dustan (scrittore, attivista, sieropositivo, mai tradotto in Italia), scrivendo non solo delle pratiche sessuali, della sua infanzia di bambina queer, ma soprattutto dell’uso che fa del testosterone come droga

politica, rifiutando un percorso medicalizzato di transizione. Il corpo di Preciado

diventa paradosso e si trova nel mezzo di due opzioni bio-politiche: o accetta di dichiararsi “disforico di genere” in modo da cominciare un percorso medicalizzato di transizione oppure per la società diverrebbe una tossica, una junkie con dipendenza da testosterone. Ma quello che interessa a Preciado è proprio rimanere

15 http://www.dinamopress.it/news/chi-difende-il-bambino-queer

16 Paul B. Preciado, Testo tossico, sesso, droghe e biopolitiche nell’Era farmacopornografica, Roma, Fandango Libri, 2015.

(12)

12

negli interstizi del genere: nella edizione italiana di Testo Junkie, pubblicata quest’anno, scrive Preciado a proposito del suo cambio di nome da Beatriz a Paul che questa scelta non deve essere vista come un passo verso la definitiva transizione di genere, ma più come «una pratica di dislocazione e resistenza»17, come quando

gli schiavi cambiavano nome quando diventavano liberi.

Quando un corpo abbandona le pratiche che la società in cu vive gli consente in quanto maschile o femminile, scivola poco a poco verso la patologia.18

Nella visione di Preciado il capitalismo farmaco-pornografico funziona attraverso quella che definisce gestione bio-mediatica delle soggettività: e cioè attraverso il controllo molecolare da un lato (la pillola, il viagra, gli ormoni) e la produzione di connessioni virtuali audiovisive. Il corpo non è più solo corpo; riprendendo l’intuizione profetica di McLuhan secondo cui ogni tecnologia, dai vestiti ai media, crea estensioni del corpo e il corpo-cyborg teorizzato da Haraway, Preciado sostiene che «Il bio-capitalismo farmaco-pornografico non produce cose. Produce idee mobili, organi viventi, simboli, desideri, reazioni chimiche e condizioni dell’anima.»,19 che influiscono sulla realtà individuale e sociale contemporanea in

maniera più o meno manifesta. Entrambe le sue identità di Beatriz e Paul sono finzioni politiche, ma la seconda, dice Preciado è collettivamente, socialmente costruita, riconoscendolo come Paul, la comunità linguistica riconosce il suo desiderio che è allo stesso tempo di affermazione iperbolica e disentificazione. Questa breve introduzione al queer non intende essere esaustiva, ho cercato piuttosto di creare un punto di partenza che così si potrebbe riassumere: i dispositivi

17 Ivi. p.9. 18 Ivi. p 225. 19 Ivi. p.33.

(13)

13

istituzionali come la famiglia, la religione, i media, la medicina, creano rappresentazioni visive e discorsive (per dirlo con De Lauretis), dall’intreccio di discorsi e rappresentazioni creiamo e percepiamo generi e sessualità. Attraverso questa chiave di lettura la domanda che porrei è quali sono le rappresentazioni cinematografiche mainstream dell’omosessualità in Italia oggi.

(14)

14

Non c’è nulla da svelare, nel sesso come nell’identità sessuale. La verità del sesso non è disvelamento, è sex design. Paul B. Preciado

1.3 Rappresentazione e sessualità

Il volume Studying sexualities, theories representations, cultures20 è un manuale

rivolto a studenti universitari che introduce in maniera molto accessibile agli studi critici sulla sessualità nei media. Gli autori spiegano in maniera semplice ed efficace perché la rappresentazione delle sessualità nei media sia un importante oggetto di studio a partire dal suo duplice significato. Rappresentare, scrivono gli autori, non è mai un atto innocente, è sempre in qualche modo premeditato, non importa quanto realista o naturale possa sembrare, rappresentare (re-presenting) vuol dire mostrare qualcosa di pre-costruito a partire da specifiche teorie o idee,21 ma vuol dire anche

svolgere una funzione al posto di qualcun altro. Quando si vuole dunque rappresentare nei media sessualità altre rispetto a quella etero

they draw upon particular conventions and ways of showing this to viewers. In order to identify a character as gay o lesbian, mainstream representations have drawns upon specific symbols that viewers have, through time, learned to interpret as signifying a gay or lesbian identity.22

Laura Mulvey, il cui testo Cinema e piacere visivo è considerato il capostipite della

20 Richardson N., Smith C., Werndly., Studying sexualities, theories, representetions cultures, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2013

21 Ivi. P. 57.

22 «Si attinge a particolari convenzioni e modi di mostrarla (la non-eterosessualità) agli spettatore. In modo da identificare un personaggio come gay o lesbica, le rappresentazioni mainstream hanno attinto a simboli specifici che gli spettatori hanno, col tempo, imparato ad interpretare come significanti di identità gay e lesbiche.» Ivi. p. 60

(15)

15

Feministi Film Theory considera il cinema hollywoodiano classico come ontologicamente patriarcale. Allo stesso modo si potrebbe dire che il cinema mainstream, sia ontologicamente etero-normativo.

Il cinema mainstream ha avuto un ruolo fondamentale nella naturalizzazione dell’eterosessualità, e sicuramente ha contribuito alla percezione sociale delle minoranze sessuali; con l’insieme di simboli, convenzioni e cliché che sono serviti alla rappresentazione di sessualità altre, si è servito di stereotipi e ha contribuito a crearne, potremmo infatti definire il rapporto tra mondo della rappresentazione e mondo sociale come un rapporto di scambio circolare23 . Nell’edizione italiana

datata 1999 di Lo schermo velato24 di Vito Russo, Vincenzo Patané scrive una

postfazione intitolata Breve storia del cinema italiano con tematica omosessuale. In quel saggio, Patané solleva delle problematiche che sono tuttora irrisolte; l’autore inscrive nella più ampia problematica della crisi del cinema italiano degli anni novanta la mancanza di film a tematica LGBT determinanti nella rottura degli stereotipi, perché troppo legati dinamiche commerciali di profitto: si parla di omosessualità nel cinema italiano all’interno del genere della commedia o nel genere drammatico dalle tinte melò. Patané, salvando dalla sua critica negativa pochi autori come Aurelio Grimaldi (La discesa di Aclà a Fuoristella, 1992; Nerolio, 1995) o Marco Risi (Mery per sempre, 1995), sostiene che i film italiani più coraggiosi nell’affrontare la tematica dell’omosessualità arrivino dal genere documentaristico, nel 2015 la situazione non è poi cambiata molto; c’è una sfaldatura notevole in quel rapporto circolare che dovrebbe intercorrere tra la

23 Maina G., Zecca F., Sessualità nel cinema italiano degli anni sessanta, forme, figure, temi, Cinergie, n.5, marzo 2015.

(16)

16

rappresentazione dell’omosessualità e mondo sociale, nel cinema italiano di finzione, sfaldatura che trova nel genere documentaristico, interessanti tentativi di consolidamento.

Fuoristrada è un documentario di Elisa Amoruso presentato all’ottava edizione del

Festival internazionale del cinema di Roma (2013), il cui protagonista è Pino, meccanico romano, con la passione per i rally e i fuoristrada, con un matrimonio alle spalle, che un giorno decide di diventare Beatrice. Intrapreso il percorso di transizione, decide di non operarsi, si innamora di una donna, la badante della madre e vive con lei e con il figlio di lei, continuando a fare il meccanico e a portare avanti le sue passioni per i rally e per il make-up. Grazie alla sua decisione di non completare il percorso di transizione, riesce a sposare la compagna, con rito civile. Un personaggio del genere, nel cinema di finzione italiano non avrebbe mai trovato spazio. Nato bio-maschio, si identifica come donna, diventa transessuale M to F, decide di non operarsi e riesce a sposare legalmente una donna, in Italia, performando comunque da uomo e da donna.

.

Alla Mostra del cinema di Venezia nello stesso anno Gianni Amelio presenta il documentario Felice chi è diverso, un documentario in cui trovano spazio omosessuali anziani, di estrazioni sociali e culturali diverse, medio-basse (a parte Ninetto Davoli e Paolo Poli) che raccontano le loro esperienze che hanno vissuto da giovani omosessuali in un’Italia istituzionalmente omofoba: gli estratti dai cinegiornali e i ritagli di giornali scandalistici dell’epoca che intervallano le interviste sono molto esplicativi rispetto all’atteggiamento sociale che vigeva in quegli anni nei confronti degli omosessuali; considerato che il periodo preso in

(17)

17

considerazione va, grossomodo, dagli anni quaranta agli anni settanta). La critica ha accusato Amelio di anacronismo, ma cosa c’è di anacronistico nel dare voce a soggetti vivi che percepiamo come reietti tre volte: come omosessuali (privi però di desiderio sessuale); come diversi (non-normativi); come anziani (non produttivi). Le testimonianze raccolte da Amelio sono di persone che non vanno alla ricerca di alcun riconoscimento sociale, la loro identità è da cercarsi nella più generica categoria dell’Altro che nell’omosessualità, quasi nessuno di loro usa il termine omosessuale, troppo freddo e distaccato, in cui non si riconosco: “finocchio”, “frocio”, “femminiello” sono termini in cui si riconoscono, con la stessa rabbia e la stessa ironia che dovevano avere gli attivisti di ACT-UP quando decisero di definirsi queer. Come si rappresenta un soggetto non-normativo nel cinema di finzione? Esistono stereotipi queer? Come lo spettatore può codificare l’identità queer se il queer per sua natura è un termine imperniato nelle politiche anti-identitarie? Più in generale, si chiede Pier Maria Bocchi nel suo Mondo Queer: «Il cinema gay è un genere? Si tratta di una caratteristica ulteriore di un genere già dato? L’omosessualità è riscontrabile nei generi a prescindere da essi o ci sono generi palesemente gay?».25 A queste domande Bocchi risponde, riprendendo soprattutto

Dyer, in maniera un po’ sommaria analizzando cosa dovrebbe o meno piacere ad un omosessuale al cinema, anziché concentrarsi più propriamente sulla presenza di narrazioni e personaggi omosessuali all’interno dei generi cinematografici. Alla prima domanda risponderei che no, il cinema gay non è un genere, nemmeno un sottogenere: la marcatura tematica LGBTQI segnala la rappresentazione di personaggi non-eterosessuali e attraversa trasversalmente i generi cinematografici.

(18)

18

CAPITOLO II

Rappresentazione dell’omosessualità nel cinema italiano.

2.1 Stereotipi e normatività.

Manuel Billi nel suo libro Nient’altro da vedere cinema, omosessualità, differenze

etniche. indaga i processi di stereotipia nelle narrazioni cinematografiche tenendo

conto di un triplice rapporto: il rapporto circolare tra realtà (che chiama Mondo I) e finzione (Mondo II) il rapporto tra l’istanza narrante (che fa parte del Mondo I) e il mondo narrato e i processi di prefigurazione e messa in scena delle soggettività identitarie che divide tra identità normativa: EE (Eterosessuale europeo) e, l’Altro (l’altro sessuale e/o razziale); e in ultimo il rapporto tra queste identità nel mondo finzionale.

Nel racconto cinematografico, la relazione, che abbiamo visto costituire il momento sorgivo delle identità e delle differenze sarà di duplice livello, concernendo sia l’istanza mostrante e narrante che diegetizza l’alterità prendendo “posizione” rispetto ad essa (livello I, relazione a-simmetrica tra il narratore e l’Altro diegetizzato), sia i personaggi che interagiscono nel racconto (livello II, relazione simmetrica o a-simmetrica tra EE, eterosessuale europeo, e A l’Altro).26

Prima ancora di indagare questo triplice rapporto, Billi, indaga delle dinamiche di prefigurazione dell’Altro. Nel momento della prefigurazione dell’Altro, gli stereotipi fungono da intermediari tra il mondo e la diegesi. Anche se Billi usa la categoria Altro come comune denominatore tra altro sessuale e altro razziale, gli stereotipi giocano un ruolo forse ancora più importante nella rappresentazione della sessualità che nella rappresentazione dell’altro etnico/razziale; perché la sessualità

(19)

19

non è un dato immediatamente percettibile, come potrebbero essere gli occhi a mandorla. Se accettiamo anzi l’idea che l’identità sessuale (e di genere) sia performativamente costruita, ci troviamo di fronte ad una rappresentazione (che fa parte del Mondo II) di una performance (che avviene nel mondo I).

Le dinamiche di prefigurazione dell’Altro che Billi illustra sono quattro in tutto e secondo processi diversi, generano e si servono di stereotipi diversi: reificazione caratterizzante, categorizzazione alterizzante, categorizzazione contestualizzante e incorporazione soggettivante. La reficazione caratterizzante produce un Altro-Carattere. Attraverso questo tipo di prefigurazione il narraturo27 (termine che Billi usa per indicare un’entità prefigurativa precedente al narratore inteso come istanza narrante che opera nel mondo I) si serve di uno o più stereotipi sociali che vengono cinematograficamente iconizzati; la differenza (parleremo qui solo di differenza sessuale e non etnica) viene stigmatizzata in un tratto anomalo; l’identità narrativa di un personaggio così costruito viene quindi marchiata da questa essenzializzazione della differenza. Un esempio di stereotipo generato da questa dinamica potrebbe essere quello del sissy (l’effeminato) o della butch (il maschiaccio): l’identità narrativa di un personaggio in questo caso viene ridotta al tratto anomalo dell’eccessiva effeminatezza o mascolinità assumendo tratti caricaturali.

Attraverso la dinamica della caratterizzazione alterizzante, l’Altro viene prefigurato solo attraverso stereotipi socioculturali negativi e nella narrazione avrà un ruolo perturbante. Anche in questo caso, il personaggio che ne deriva è in

(20)

20

qualche modo caricaturale, ma assume connotazioni negative. Nel caso si rappresenti l’altro sessuale, lo stereotipo che ne deriva assume solitamente un carattere perverso. Nel 1980, uscì nelle sale il film Cruising, scritto e diretto da William Friedkin, (già autore di Festa per il compleanno del caro amico Harold, 1970). Il film, già in fase di ripresa, fu duramente attaccato dalla critica e dagli attivisti omosessuali. Oggi la reazione non sarebbe così dura, ma bisogna contestualizzare: l’omosessualità era ancora un tabù al cinema e l’omofobia americana dilagante; nel film la correlazione tra sessualità e pratiche sessuali gay e istinto omicida era strettamente correlato. Tanto che nella versione cinematografica del film compariva in sovrimpressione una dichiarazione che come scrive Russo nel suo libro, suonava un po’ come un’ammissione di colpevolezza28:

Questo film non va inteso come condanna del mondo omosessuale. È ambientato in una piccola parte di quel mondo, che non deve essere interpretata come uno specchio della totalità. 29

La categorizzazione contestualizzante dà vita ad un personaggio-Ruolo

socioculturale. Le marcature polarizzanti presenti nelle altre dinamiche di

prefigurazione scompaiono. Questa dinamica di prefigurazione porta invece a rappresentazioni sociali, categorizzanti che contestualizzano un’affermazione identitaria volta ad aumentare la similitudine tra il personaggio e il gruppo al quale appartiene. Oppure ribalta le categorie di dominio come atto politico, al fine di valorizzare l’identità della sua alterità.

In queste tre dinamiche prefigurative, il trattamento al quale sono sottoposti gli stereotipi seguono due linee differenti: nella reificazione caratterizzante e nella

28 Op. cit., p.296. 29 Ibidem.

(21)

21

caratterizzazione alterizzante si parte dal particolare di uno stereotipo che diventa anomalia riconoscibile da generalizzare per produrre stereotipi caricaturali normativi rispetto ai generi cinematografici in cui sono poi narrati: il sissy nelle commedie; il pervertito nei thriller/horror.

Il secondo tipo di trattamento, che riguarda la categorizzazione contestualizzante, parte dalla categoria generale (esempio: la comunità LGBT) i cui simboli identitari vanno stereotipati nella particolarizzazione identitaria di un personaggio che può o meno riscattarsi, a differenza dei primi che rimangono nei loro schemi stigmatizzanti.

L’incorporazione soggettivante invece produce un personaggio-Soggetto che va aldilà del ruolo socioculturale (e anche del Carattere-caricaturale) per lasciare spazio a rappresentazioni effettivamente altre, slegate da un vero e proprio ruolo socioculturale, anche se non identificabili come anti-stereotipi.

Dopo aver prefigurato l’Altro (come Carattere – Nemesi o Ruolo-socioculturale), il narratore lo posiziona all’interno della diegesi in un ventaglio di sei possibilità,30 i

cui poli sono la Folla e il Solitario, o all’interno di quattro modelli intermedi che sono la Banda, la Famiglia, il Gruppo e la Coppia. Ovviamente queste categorie non sono stabili e l’interazione del soggetto Altro con questo o quel gruppo dipende dalla narrazione e dallo sguardo del narratore. Billi categorizza cinque tipologie di sguardo (del narratore) sull’Altro.31

30 Op. cit., p.57. 31 Ivi. pp.71.88.

(22)

22

Lo sguardo tipizzante è quello che deforma e contribuisce a rendere caricaturale il personaggio-Carattere che nasce dal processo prefigurativo di reificazione caratterizzante. È un «procedimento rappresentativo “vizioso”» che «comporta un processo di riduzione e cristallizzazione dell’alterità che si verifica quando si privilegia un unico aspetto palesemente “difforme,”; lo si “fissa” nello spazio.».32

È un tipo di sguardo asimmetrico, che si prende quasi gioco della stigmate stereotipica, al fine di mostrare il personaggio-Carattere come ridicolo. L’unica possibilità di riscatto è che il Carattere perda la propria stigmatizzata diversità, o meglio che la stigmate rimanga fuori dallo schermo, per guardare ed essere mostrato in una prospettiva normativa e normalizzante.

Lo sguardo marginalizzante è uno sguardo dispersivo, in un cui l’alterità diventa assenza, o viene marginalizzata in qualche modo: nella messa in scena, nella messa in quadro o nella costruzione psicologica dei personaggi Altri che possono guardare ma non riconoscersi.

Lo sguardo polarizzante è quello con cui viene mostrato il personaggio caricaturale derivato dalla caratterizzazione alterizzante, l’Altro è Nemesi ed è opposto alla norma (EE), caricandosi di negatività, dalla prefigurazione alla messa in quadro. Lo sguardo costituente è quello di cui si serve il cinema militante nell’affrontare temi come lotte culturali e ideologiche. O è uno sguardo che costruisce identità socio-culturali come fine di un percorso psicologico del personaggio Altro.

(23)

23

Attraverso l’analisi di queste categorizzazioni, del rapporto tra stereotipi nei due Mondi (I-II), dell’ingresso dell’Altro nella Diegesi e la sua relazione rispetto agli altri personaggi, dello sguardo, si può capire l’atteggiamento del narraturo/narratore nei confronti del mondo narrato e della rappresentazione dell’Altro. Questi strumenti di analisi li userò nel prossimo paragrafo nell’affrontare l’analisi degli stereotipi gay e lesbici nel cinema italiano recente mainstream; grossomodo quasi tutti i film che affronterò sono a tematica LGBT e considerati di conseguenza

cinema militante.

Nella diegetizzazone e narrativizzazione del processo di riconoscimento, può accadere che la differenza culturale dell’Altro emerga come il tratto fondamentale della sua alterità e della sua identità narrativa. Per questo, riconoscerlo equivarrà a riconoscere tale tratto dominante. Questo tipo di riconoscimento che definiremo identitario, […] è anche il tratto che contraddistingue il cosiddetto cinema militante, in cui un intreccio spesso pretestuoso veicola un messaggio chiaro, rivendicativo, di una minoranza che esprime limpidamente il proprio desiderio di riconoscimento.33

Il cinema omosessuale militante si può limitare a questa definizione? Può essere oggi riducibile ad un cinema pretestuoso, banale talvolta, o normativo per rivendicare un desiderio di riconoscimento di una minoranza sessuale le cui politiche identitarie sono state messe in discussione dalle teorie e dall’attivismo queer? O forse, come nota Bocchi, «la militanza si dimostra a doppio taglio per coloro che non riescono a farla diventare vera arma e la utilizzano come specchietto borghese per allodole borghesi (Ozpetek e il suo cinema da salotto)»;34 la tendenza del cinema italiano a tematica LGBT mainstream sembra portare verso quest’ultima conclusione: sembra un cinema che da un lato non riesce ad essere militante, che

33 Ivi, p. 34. 34 Op. cit. p.20.

(24)

24

manca di aderenza con la realtà e non si pone come realmente incisivo sulla questione delle diversità sessuali, ma piuttosto sembra essere fatto, nelle sue trame, nei suoi personaggi e nei toni rassicuranti della commedia leggera o del dramma piccolo-borghese per accontentare i palati di un pubblico normativo, stando sempre ben attento a non scandalizzarlo troppo, nemmeno nelle scelte più coraggiose. Ho deciso di dividere i film a tematica gay da quelli a tematica lesbica per due motivi: il primo è che il cinema italiano lo permette; nel senso che a parte sporadici casi, i film si concentrano su questo o quel tipo di rappresentazione omosessuale, evitando di raccontare storie con gruppi (o bande, per seguire la categorizzazione di Billi) di personaggi Ruolo-socioculturali per inserire i personaggi Altri-sessuali all’interno di dinamiche familiari o di coppia, in cui il narraturo/narratore adotta di solito uno sguardo tipizzante o costituente ma profondamente normativo. Le rappresentazioni di soggetti queer sono quasi del tutto assenti; probabilmente perché fare riferimento allo stereotipo queer nella dinamica di prefigurazione è un’operazione difficile: il soggetto queer è un soggetto difficilmente identificabile, difficile da stigmatizzare soprattutto: nell’immaginario collettivo ha a che fare soprattutto con l’identità di genere, con il travestitismo e una certa predilezione per il gusto camp. Bocchi prova a categorizzare gli stereotipi queer, sprofondando nelle sabbie mobili di quella militanza matrigna dalla quale mette in guardia all’inizio del suo libro.35 Innanzi

tutto ponendosi domande sbagliate su come la critica cinematografica dovrebbe valutare un buon film gay, perché non si tratta di «constatare quanto un film sia o no proficuo alla causa dell’omosessualità.»,36 semmai di cercare di capire attraverso

35 Op. cit. p. 16. 36 Ivi, p.129.

(25)

25

un approccio sì militante, ma anche e soprattutto analitico, le dinamiche di scambio tra mondo reale e mondo rappresentato, valutando, se è il caso di capire i motivi di esclusione dalla rappresentazione di soggetti e identità sessuali altre. Bocchi individua e analizza sette stereotipi queer, che però non convincono. La prima categoria che individua è lo stereotipo del queer d’arte,37 categoria che Bocchi critica attraverso la breve analisidi Claude, personaggio gay di Le invasioni

barbariche e Il declino dell’impero americano, due film di Denys Arcand. Ma se

di queer si può parlare rispetto ai due film di Arcand, non bisogna certo ricercato nel personaggio di Claude, stereotipo più che altro dell’omosessuale intellettuale libertino che per Bocchi, «non porta a nessuna visione utile, né di una specificità, né dell’umanità tout-court. Il suo queer è accostato a una più ampia panoramica umana che, se vuole farsi beffe dei concetti imperialistici quali la coppia, la fedeltà il matrimonio, fino a spingersi ai massimi sistemi come l’amore e la felicità, finisce per celebrare la bontà di un’unione e addirittura del matrimonio stesso che resta nonostante tutto un rifugio di sicurezza, perdono, tranquillità secolare.».38 Nella mia visione, prospettiva di rappresentazione di alterità non-normative, che possiamo classificare, secondo la categorizzazione di Bocchi, come personaggi Ruolo-sociale che agiscono nello spazio diegetico tra il gruppo e la coppia senza che si perda mai la soggettivizzazione dell’Altro, il soggetto queer non è l’omosessuale Claude, ma Remy, il cui matrimonio è tutt’altro che rifugio di sicurezza, perdono, tranquillità secolare: è appiglio di un uomo che annaspa alla fine della sua vita; tant’è che non le basta la moglie al capezzale, insieme agli amici

37 Ivi, p.131. 38 Ivi, p. 133.

(26)

26

entrano nell’universo diegetico due vecchie amanti che agiscono all’interno delle dinamiche di coppia (tra Remy e l’ex moglie) e di gruppo, come Caratteri molto ironici che rivendicando e ricordano un po’ malinconicamente le loro avventure sessuali. È Remy il personaggio queer: per il suo status di eterosessuale non-normativo, anti-familista, per la sua posizione in fin dei conti, di reietto, di malato terminale che sceglie l’eutanasia per mezzo dell’eroina; queer è anche Nathalie, il vero e proprio Altro all’interno dell’universo narrativo delle Invasioni Barbariche, che viene alla fine, inglobata dal gruppo sotto lo sguardo costituente, di Arcand. Se prendiamo per esempio, il film Kaboom di Gregg Araki, esponente del New Queer, vincitore della Queer Palm nel 2010, risulta complicato analizzare il film, soprattutto alcuni dei suoi personaggi, all’interno del percorso dalla prefigurazione allo sguardo descritto da Billi. In Kaboom sia la diegetizzazione dell’alterità e lo sguardo su di essa sono così estremizzati, polarizzati, che è difficile rintracciare il significato dell’elaborazione e della rappresentazione degli stereotipi. Kaboom un film difficilmente contestualizzabile all’interno dei generi cinematografici: sicuramente è un film parodico e grottesco che si prende gioco dei teen-horror; ma oltre ad essere una commedia, un teen-horror, un film a tematica LGBT, mescola fantascienza, cyberpunk e fantasy con grande consapevolezza del mezzo e delle tecniche di narrazione cinematografiche. Il protagonista, Smith è un ragazzo appena arrivato all’Università: si identifica come omosessuale, non disprezza la compagnia femminile e non ha fatto coming out, se non con l’amica lesbica Stella. Smith divide la stanza con il surfista Thor, il cliché del metrosessuale tutto muscoli e senza cervello, convinto eterosessuale che non si accorge nemmeno di avere atteggiamenti omosessuali con il su migliore amico. Smith comincia a fare dei sogni

(27)

27

strani che lo porteranno a seguire le tracce di una ragazza scomparsa, rapita da uomini con teste di animali, i quali seguono gli ordini di una setta che fa capo al padre di Smith; nel rocambolesco tentativo di raggiungere i membri della setta, tra poteri paranormali e computer autocoscienti, i protagonisti provocheranno l’apocalisse. Stella, la cinica amica lesbica di Smith, si innamora di una ragazza bellissima di nome Lorelei e inizia a frequentarla. Presto scoprirà che Lorelei è una specie di strega dai poteri orgasmici sovrannaturali; spaventata da lei e dalla sua eccessiva morbosità tenta di lasciarla; Lorelei che grida vendetta fa Stella oggetto di strani riti voodoo e stregonerie varie; prova ad ucciderla nel bagno del dormitorio, ma Stella con un semplice getto d’acqua riesce letteralmente a scioglierla come se la stesse bruciando con dell’acido. Facendo una breve analisi: nel film siamo di fronte a personaggi ruoli-socioculturali, in cui Lorelei potrebbe essere il personaggio Altro (strega) rispetto al gruppo (umani), in quanto dotata di poteri sovrannaturali; il narratore attinge dallo stereotipo socio-culturale dell’amore morboso della lesbica nel momento del suo coming-of-age attraverso la dinamica della caratterizzazione alterizzante, la stigmatizza nella ragazza dark, che viene posizionato all’interno della diegesi nelle dinamiche di coppia, come Nemesi, non interagendo mai veramente col gruppo di personaggi. La caricatura del personaggio Lorelei, tra Carattere e Nemesi è così iperbolica da svelare il parossismo sia dei film del genere teen-horror sia dei teen-movie a tematica LGBT.

(28)

28

2.2 Film a tematica gay

Mine Vaganti è un film scritto da Ivan Cotroneo e diretto da Ferzan Ozpetek, uscito

nelle sale italiane nel 2010; protagonista è Tommaso, giovane pugliese trapiantato a Roma che torna a Lecce con il proposito di fare coming-out in famiglia. La sera in cui decide di farlo viene però preceduto dal fratello maggiore Antonio, anche lui gay, che si dichiara omosessuale durante la cena causando un infarto al padre. Antonio viene cacciato fuori di casa e Tommaso prende il suo posto al pastificio, troppo preoccupato della salute del padre per rifiutarsi. Arrivano gli amici da Roma, tutti gay, che rimarranno in famiglia per un paio di giorni cercando maldestramente di tenere nascosta la loro omosessualità. Il narratore prefigura il personaggio di Tommaso attraverso la dinamica della categorizzazione alterizzante, inserendolo nella diegesi tra il modello-Famiglia e il Gruppo. A causa del coming-out del fratello però, viene inglobato nella narrazione da una tendenza che Billi chiama

eterofagica, causata da uno sguardo tipizzante. Non c’è mai un vero scontro

dialettico tra la famiglia e Tommaso (EE/A) che finirà a fare coming-out come scrittore (rinnegando il ruolo che gli era stato assegnato dal padre in azienda) anziché come omosessuale.

Tale modalità di messa in immagini e in racconto, di riduzione dell’alterità a un solo tratto o a pochi tratti caratterizzanti, determina la fagocitazione della differenza stessa. Non vi è dialettica tra identità e alterità, ma semplicemente una normalizzazione di quest’ultima, che entra nel racconto non già per “dialogare” o mettere in crisi la Norma, ma per ratificarla indirettamente assoggettandovisi.39

(29)

29

gli amici gay di Tommaso sono invece prefigurati attraverso la reificazione caratterizzante producendo una serie di personaggi-Carattere stigmatizzati nella loro effeminatezza. Nella scena della spiaggia, in cui il gruppo si esibisce in uno spettacolino in cui il loro essere checche viene portato all’estremo, si arriva alla parodia; il gruppo, ben lontano dagli sguardi della famiglia (entità EE) è finalmente libero di esprimere la propria gaytudine, ammiccando al pubblico che si chiede come sia possibile che la famiglia non si accorga della forzatura dei loro atteggiamenti da macho che continuano a procurare gaffe su gaffe. Anche Antonio vorrebbe essere un personaggio-Ruolo socioculturale: ma il suo coming-out suona più come una vendetta nei confronti della famiglia e del fratello, che ha avuto la possibilità di vivere e studiare a Roma; anche Antonio finirà per essere

eterofagocitato così come lo sono tutti i personaggi che in potenza potrebbero

rompere la norma: la zia alcolizzata che vive con il fratello e la moglie di lui piuttosto che rivelare i propri incontri notturni preferisce fingere che entri un ladro in camera sua ogni notte, in un clima in cui tutti sanno ma nessuno dice. Il film si conclude con la riappacificazione della famiglia che, unita, segue il corteo funebre della nonna, suicidatasi con una cornucopia di dolci, che è probabilmente il vero outsider del film: anche lei a suo tempo aveva tenuto nascosto l’amore per il cognato, è forse l’unica della famiglia che accetta l’omosessualità dei nipoti, suicidandosi con i dolci compie un gesto di rivolta rispetto alla sua malattia che le vietava di farlo, un gesto che è anche dimostrativo del leitmotiv che l’aveva accompagnata per tutto il film: non farti mai dire dagli altri ciò che devi o non devi fare.

(30)

30

In Diverso da chi?, Piero è un omosessuale dichiarato, attivista, politicamente impegnato che viene candidato alle primarie di un partito di una città del nord, con il solo scopo di far perdere voti all’avversario. Dopo una serie di eventi, alcuni casuali, diventa l’effettivo candidato del partito. A lui viene affiancata Adele, stereotipo della donna conservatrice troppo rigida perché amorosamente e sessualmente infelice. Nonostante Piero abbia un compagno da quattordici anni, perde la testa per Adele, tradendolo. Mentre la prima parte del film è incentrata sulla campagna elettorale e sul problema di candidare un omosessuale in una cittadina conservatrice, nella seconda metà il triangolo amoroso è al centro della narrazione. Il messaggio che vorrebbe confusamente passare nel film è che Piero sia vittima della definizione omosessuale, del suo stesso stereotipo. Ma la linea narrativa i cui snodi sono spesso più pretestuosi e accidentali che causali rendono la situazione non poco confusa in cui il problema principale di Piero non sembra essere l’identità sessuale in sé ma la sua definizione: lui stesso dice di non aver mai provato attrazione per una donna fino all’esperienza con Adele, di cui si innamora, ciò basta non solo per mettere in crisi la sua identità di omosessuale ma per ridefinirsi bisessuale alla luce del nuovo innamoramento; il personaggio si pone il problema di rifare coming-out con i genitori che accettano già la sua omosessualità. In pratica è un personaggio che vorrebbe uscire dagli schemi ma rimane incastrato nei binarismi senza mai chiedersi se effettivamente abbia senso continuare a definirsi e a ridefinirsi. Risulta poco credibile che la sua identità sessuale sia messa in discussione da un solo rapporto con una donna e non viene nemmeno presa in considerazione l’idea che un soggetto sessuale possa trovarsi tra gli interstizi delle definizioni e degli orientamenti. Il film si risolve quando Adele scopre di essere

(31)

31

incinta: il finale lascia intendere che i tre cresceranno il bambino insieme e il problema dell’identità sessuale viene messo in secondo piano rispetto ai discorsi che fanno capo all’insopportabile retorica del “bene del bambino” che viene prima di tutto. Anche in questo caso siamo di fronte ad un personaggio Ruolo-socioculturale la cui identità alla fine non viene costituita, anzi la sua “doppia differenza” di omosessuale prima e di omosessuale dissidente poi viene appiattita anziché esaltata e dissolta nel finale, in cui i personaggi piombano nel più banale dei cliché della commedia romantica.

Più buio di mezzanotte è l’opera prima di Sebastiano Riso. Il protagonista è Davide,

un quattordicenne cross-gender che scappa di casa per unirsi casualmente ad una banda di ragazzi, ragazze e trans che si prostituiscono. I componenti della banda sono tutti prefigurati come personaggi-Carattere che sono Nemesi agli occhi dell’identità EE, ma che sono descritti dal benevolo sguardo della macchina da presa che permette allo spettatore di empatizzare con loro in diverse occasioni: dall’attacco omofobo che subiscono all’uccisione di uno di loro. Gli elementi del profilmico fanno riferimento in maniera poco chiara sia gli anni ottanta che ai più recenti anni duemila. La dinamica circolare tra Mondo I e Mondo II si fa molto labile: abbiamo dei personaggi che sicuramente fanno riferimento allo stile di vita disagiato di prostitute, trans, e alla fauna suburbana che viveva negli anni ottanta catanesi, per certi versi l’ambientazione è assimilabile ai sobborghi palermitani di

Mery per sempre. La linea narrativa è intervallata da frequenti flashback che

mostrano la vita di Davide all’interno della famiglia: la madre quasi (fisicamente) cieca impotente di fronte alle violenze del padre che non solo lo picchiava ma lo sottoponeva a delle cure ormonali per farlo diventare “normale”. Davide finisce in

(32)

32

un giro di prostituzione, ma gli atti sessuali sono sempre “fuori campo”, fatta eccezione per il suo primo rapporto sessuale che avviene con un ragazzo di cui si innamora. Il rapporto è comunque “velato” da una porta a vetri molto spessi dietro la quale si cela l’occhio della macchina da presa. Il padre riuscirà a riprendere Davide con la forza per farlo tornare a casa; il ragazzo si taglia la gola appena salito in macchina, con un pezzo di vetro che aveva recuperato a Villa Bellini. Il film si chiude all’ospedale; il padre si sentirà in colpa per quello che è successo: in una delle ultime scene del film lui, vestito di bianco e “macchiato dal sangue del figlio”, in una sorta di crisi psicotica si difenderà dagli sguardi accusatori degli altri pazienti urlando «non sono stato io». L’ultima inquadratura è un reflection-shot su Davide che alzatosi dal lettino urla allo specchio tutta la sua frustrazione. Davide è un personaggi dalle forti connotazioni androgine che cerca un riscatto nella società a fronte dei problemi familiari. L’omosessualità adolescenziale è raramente rappresentata nel cinema italiano recente e quando lo è viene fortemente problematizzata, più che uno stereotipo vero e proprio il personaggio di Davide fa perno su un luogo comune che si può riassumere nelle parole di Piergiorgio Paterlini

Se parliamo di adolescenti li supponiamo tutti eterosessuali, se parliamo di omosessuali li pensiamo tutti adulti, se parliamo di adolescenti che hanno rapporti omosessuali li immaginiamo tutti “ragazzi di vita”.40

(33)

33

2.3 Film a tematica lesbica

Viola di mare è un film tratto dal romanzo Minchia di Re41di Giacomo Pilati. Il film narra le vicende di due donne innamorate in un’isola siciliana alla fine dell’ottocento. Riusciranno a stare insieme solo quando Angela deciderà di travestirsi da uomo e cambiare nome. Il cambiamento di genere viene accettato nel paese grazie alla posizione sociale della famiglia di lui, il parroco verrà ricattato per tacere. Le due donne riescono a sposarsi e al momento di procreare sarà coinvolto un terzo personaggio con il compito di ingravidare Sara, che morirà durante il parto. La storia vera però parla di un ermafrodita, nel film il personaggio di Angela (interpretato da Valeria Solarino) non ha alcun tratto di ermafroditismo, è femminea senza nessun dubbio, per questo le motivazioni che portano il paesino ad accettare il suo cambiamento di genere sembrano più una trovata, un escamotage narrativo palese agli occhi del pubblico. Anche qui siamo davanti ad un personaggio prefigurato come Ruolo-socioculturale; lo sguardo del narratore è polarizzante e non è affatto complicato parteggiare per l’amore delle due schiacciato da un contesto connotato da forti dinamiche patriarcali, anche queste fortemente stereotipate. Se non fosse per gli elementi profilmici, sarebbe difficile distinguere se la storia si stia svolgendo nella Sicilia dell’ottocento o degli anni trenta e quaranta del novecento. Sarà solo con la morte della compagna che Angelo si ripresenterà in pubblico, al funerale di lei, nuovamente nelle vesti di donna a rafforzare l’idea che la vera causa della morte di Sara siano state le regole imposte dalla società: la costrizione al travestimento, al rapporto normativo e alla procreazione

(34)

34

In Tutta colpa di Freud, Sara dopo la fine della relazione con la sua compagna torna a Roma con l’intento di cambiare orientamento sessuale. Lo stereotipo qui si basa soprattutto sui ruoli di genere: una lesbica mascolina se vuole conquistare un uomo deve comportarsi da etero assecondando gli uomini con cui esce. Non deve scegliere il ristorante, perché a farlo è l’uomo, né la carta dei vini, deve farsi venire a prendere in macchina, deve vestire in maniera femminile, deve farsi pagare il conto. Come se ciò avesse qualche implicazione nell’orientamento sessuale. Sara è un personaggio caricaturale, un personaggio-Carattere che il narratore esplora attraverso uno sguardo polarizzante, le situazioni e i modi di agire di lei sono così stigmatizzati (quando si eccita starnutisce, è sempre sovraeccitata, rispetto agli altri personaggi è quella che più si serve di imprecazioni) da scivolare nella farsa. Lo sguardo dei personaggi EE con cui si approccia nella speranza di esserne attratta, la bollano come eccentrica, come sarebbe guardato un sissy con piume di struzzo e paillettes, più per il suo carattere mascolino che per la sua omosessualità che lei cerca di tenere ben nascosta. Il suo segreto viene utilizzato come miccia per dare vita a della banalissime gag: ad esempio nel descrivere l’ex ad un ragazzo con cui ha un appuntamento sbaglia pronome (lei/lui) e si corregge più volte.

- Da quello che ho capito è lui che t’ha lasciata - Il giorno in cui gli ho chiesto di sposarmi - Ah tu gli hai chiesto di sposarlo?

- Lui… mi ha chiesto di sposarmi… il giorno in cui lui mi ha chiesto di sposarlo.

Sara troverà casualmente l’uomo giusto con cui avrà il suo primo rapporto sessuale etero e avrà precisi consigli dalla sorella su come comportarsi a letto con uomo e

(35)

35

cioè lasciare che sia lui a dominare, a prendere l’iniziativa; dal padre avrà il consiglio di non essere troppo libera la prima sera perché “a volte i maschi tendono a confondere l’entusiasmo con la frivolezza”. Anche il rapporto etero quindi è inglobato da stereotipi etero-normativi che sono oramai obsoleti, inseriti in uno schema narrativo governato da cliché, come nota Billi:

Esistono figure omosessuali, esistono situazioni narrative che, col tempo, hanno perduto il senso e la funzione originari divenendo formule.42

(36)

36

Capitolo III

Sguardi divergenti nel cinema europeo

3.1. L’inconnu du lac: spazio queer e il desiderio synthomosessuale.

Frank trascorre l’estate sulle rive di un lago nel sud della Francia. Il lago è un luogo di nudismo e battuage frequentato da soli uomini gay, i cui rapporti occasionali si consumano nel boschetto adiacente. Tra i vari habitué ce n’è uno che non si denuda mai e sta nei pressi della riva più isolata, si chiama Henri ed è un uomo di mezza età, dall’aspetto un po’ sgradevole; lui a differenza di tutti gli altri uomini non cerca mai di approcciare nessuno, né si addentra nel bosco. Incuriosito dal suo comportamento Frank gli si avvicina e i due fanno amicizia. Michel è un uomo aitante che fa gola a molti, anche a Frank, ma è sempre in compagnia del suo amante. Frank si addentra nel bosco sperando di trovarlo da solo, invece lo trova mentre fa sesso con l’amante, Michel si accorge di Frank e i due si scambiano degli sguardi. Durante l’ennesimo pomeriggio al lago, Frank adesca un uomo e vanno insieme nel bosco; quando sta per far buio e tutti sono andati via Frank diventa testimone di un omicidio: guardando verso il lago e stando ben attento a non farsi vedere, nota che Michel annega il suo amante. Ciò non gli impedisce di andarci a letto insieme, di innamorarsi di lui e quando un detective arriva al lago per indagare sull’omicidio, tiene tutto nascosto. Anche Henri capisce che ad annegare il ragazzo è stato Michel e anche lui fa finta di niente per un po’. Quando un giorno Henri fa intendere a Michel che sa dell’omicidio e che ha intenzione di parlare questo lo uccide ed uccide anche il detective. Il film si conclude su Frank che cerca di

(37)

37

scappare da Michel, si nasconde; al calar della sera, raggiunta la propria macchina, anziché andare via grida il suo nome.

Tale “indipendenza” rispetto ai saperi non implica una consustanziale proposizione di anti-stereotipi – la produzione di un anti-stereotipo è un atto politico, dunque sociale ed identitario -, ma il dispiegamento di strutture e forme nuove effettivamente “altre”. Il sociale non è mai determinante nella costruzione del personaggio-Soggetto, personaggio tutto corpo, contraddistinto da un’identità narrativa debole, un “Io” che quasi si sfalda di fronte all’altro da sé, opaco indefinibile e non riconducibile ad una categoria socioculturale che «non si conosce e forse non si conoscerà mai.»43

La dinamica prefigurativa che il narraturo adotta è quella dell’incorporazione soggettivante; tutti i personaggi prodotti dalle altre dinamiche (Caratteri, Nemesi, Ruoli socioculturali), mantengono un legame così forte con le rappresentazioni sociali del Mondo, che lo stereotipo li priva della loro corporeità per astrazione. Nel film di Guirauidie il sociale non solo non è determinante, è tagliato fuori dalla rappresentazione, che anzi diventa anti-sociale e impolitico. Lo spazio-tempo del film è uno spazio/tempo queer non fondamentalmente perché è luogo di cruising ma perché diventa paesaggio di alienazione erotica,44 nel quale i soggetti-corpi si muovono in base ai propri desideri e impulsi, lontano da qualsivoglia struttura sociale. Le vite di Michel e Frank non si incrociano mai aldilà del lago. La loro storia inizia, prosegue e finisce in quello spazio e in quel tempo. Il detective, che si impone come autorità etero-normativa, è incredulo quando indagando scopre che gli amanti spesso non conoscono nemmeno i loro reciproci nomi, né si scambiano altre informazioni sulle loro vite al di fuori del lago.

43 Ivi. p.54.

44 https://www.academia.edu/12274491/_I_want_you._But_if_I_come_I_die_Homo_-sexuality_and_the_Death_Drive_in_Alain_Guiraudie_s_Cinema_

(38)

38

Nel suo libro, Halberstam definisce così le nozioni di spazio e tempo queer

Gli usi queer del tempo e dello spazio si sviluppano almeno in parte in opposizione alle istituzioni della famiglia, dell’eterosessualità e della riproduzione. Essi seguono altre logiche di posizionamento, spostamento e identificazione. Se proviamo a pensare al queer come al risultato di temporalità anomale, di progetti di vita creativi e di pratiche economiche eccentriche, separiamo il queer dall’identità sessuale.45

La concezione di spazio o tempo queer quindi potrebbe svincolarsi in realtà dalle identità sessuali. Nel caso dello spazio del lago e del bosco come luoghi di cruising però il riferimento all’identità sessuale è chiaro e forte, ma più che essere strettamente connesso alle identità omosessuali, potrebbe essere definito come spazio rivendicativo i identità synthomosessuali

In alcuni casi le collettività gay hanno risposto al pericolo dell’AIDS attraverso un ripensamento dell’importanza attribuita convenzionalmente alla longevità e al futuro, e con la formazione di legami comunitari intorno al rischio, alla malattia, al contagio e alla morte. Tuttavia, anche quando emerge dalla crisi dell’AIDS, il tempo queer non è soltanto compressione e annichilimento; esso rappresenta anche il potenziale insito in ogni forma di esistenza non inscritta nelle convenzioni della famglia, della riproduzione e della crescita dei figli.46

Lo sguardo con il quale il narratore mostra i personaggi è uno sguardo personalizzante: non solo i personaggi ma l’intero universo diegetico funziona come sistema autopoietico. Il film è interamente composto da sequenze che iniziano con estabilishing-shot all’interno del parcheggio del lago e finiscono con estabilishing-shot all’interno dello stesso parcheggio o coincidono con l’arrivo o la partenza giornaliera di Frank. Lo spazio del lago viene quindi rappresentato

45 Halberstam J., Maschilità senza uomini, a cura di Federica Fabretti, Pisa, ETS, 2010. p.125. 46 Ivi. pp. 126-127.

(39)

39

attraverso una rete di sequenze naturalistiche (il film è privo di qualsiasi commento musicale ed è girato alla luce naturale), che sembrano riprodursi ritualmente e lasciare che lo spettatore guardi l’ingresso dei personaggi.

The periphery of the lake and the surrounding cruising area is an assertion of physicality, carnality, an assertion of the meaninglessness of the drive, whose cinematic rendition cannot help but bring to the foreground an erect penis in the mouth of the young – otherwies “innocent” looking – protagonist.47

Henri entrerà nel bosco solamente una volta, quando sarà ucciso da Michel; nei dialoghi con Frank esprime il proprio disinteresse nei confronti del sesso, ma è un disinteresse che nasce dalla non accettazione della propria fisicità, è un disinteresse guidato dalla delusione, - mi prenderebbero per pazzo – risponde a Frank quando gli chiede perché non cerca nessuno o perché non provi mai a spostarsi nella riva frequentata del lago. Quando decide di passare sull’altra riva è per avvicinarsi a Michel, che è l’unico personaggio che interagisce con lui a parte Frank, insinua in lui il dubbio che possa dire qualcosa alla polizia a proposito dell’omicidio di Ramiére e lo congeda dicendogli che andrà a passeggiare ne bosco. Quando Frank proverà a salvarlo, cercando di tamponargli la ferita alla gola, la sua battuta prima di morire non lascia dubbi

-Va tutto bene Franck, lascia stare. Ho ottenuto quello che volevo. L’unica cosa che mi tratteneva era la paura del dolore.

47 «La periferia del lago e la zona circostante di cruising è un'affermazione della fisicità, carnalità, l'affermazione del non senso della pulsione (di morte), la cui resa cinematografica non può fare a meno di portare in primo piano un pene eretto nella bocca del giovane - altrimenti "innocente"

razzolante – protagonista.».

https://www.academia.edu/12274491/_I_want_you._But_if_I_come_I_die_Homo_-sexuality_and_the_Death_Drive_in_Alain_Guiraudie_s_Cinema_

Riferimenti

Documenti correlati

Ecco perché il senso di colpa è stato spesso correlato con più elevati livelli di empatia rispetto alla vergogna: le persone che sono naturalmente empatiche hanno maggior

Il Tesoriere La Tour fu riammesso nell’ordine proprio grazie all’intercessione di Clemente V, provvedimento che in sostanza faceva figurare tutto l’evento come un incidente

Purpose Assessing construct, face and content validity of the camera handling trainer (CHT), a novel low-fidelity training device for 30° laparoscope navigation skills.. Methods

Grjaznevič, fournissait les données les plus récentes historiques, archéologiques et épigraphiques, aussi que les résultats des missions russes sur le territoire

Entrambi gli interventi hanno dato un risultato significativo per quello che concerne la diminuzione del dolore misurato con la scala VAS e della disabilità

In particular, we discuss (i) how such tools can be applied as a privacy enhancing technology (PET) in the Privacy by Design (PbD) approach, (ii) what types of different static

Dalla rilevazione della presenza/assenza di cortice sono stati individuati 12 supporti tra schegge e lame (il 2% del totale dei prodotti di scheggiatura) con superficie corticata

La minore velocità in corrispondenza dell'apice pala dipende sia da un minor carico palare in tale zona sia da un secondo eetto, per il quale è necessario considerare l'andamento