• Non ci sono risultati.

Una prima, importante sfida da fronteggiare riguarda la traduzione dei titoli dei nove racconti che compongono la raccolta. Spesso è l’editore del testo a riservarsi l’ultima parola sulla traduzione del titolo, poiché esso dovrebbe corrispondere a delle precise linee editoriali e, perché no, anche a delle dinamiche di marketing. La scelta del titolo risulta cruciale, infatti, non solo perché è un primo segnale che lascia presagire il senso del testo, ma perché è il primo elemento che cattura l’attenzione del lettore. Nel decidere come rendere, in traduzione, i titoli originali, ho sempre preso in considerazione l'ottica di quello che ho ipotizzato come il “mio lettore ideale”. Riassumo i titoli dei racconti nella seguente tabella:

Alphinland Alphinland

Revenant Revenant

Dark Lady Dark Lady

Lusus Naturae Lusus Naturae

I Dream of Zenia with the Bright Red Teeth

Ho sognato Zenia dai denti rossi e lucenti

The Dead Hand Loves You The Dead Hand Loves You

Stone Mattress Materasso di pietra

Torching the Dusties Fuoco alle polveri

Come si può notare, per i primi tra racconti – che vanno a costruire una trilogia – ho deciso di trasporre semplicemente il titolo originale, per ragioni diverse che prenderemo in esame.

“Alphinland” è un nome inventato, il toponimo del regno di fantasia creato dalla protagonista del racconto, Constance, che diventa poi anche il titolo dell’intera saga fantasy nata dalla sua penna. Escludendo la letteratura per l'infanzia, è sempre buona prassi evitare di tradurre i nomi propri, in particolare nel caso di un'opera fantasy, per far percepire al lettore l’estraneità che connota il testo fonte: è uno strumento utile a stuzzicare la sua creatività e indurre il lettore a risvegliare immagini e rappresentazioni di una realtà lontana. Tuttavia, “Alphinland” è un nome che ha una sua precisa derivazione, come spiega la sua creatrice, impossibile da trascurare nel momento in cui si traduce. L’intento di Constance era quello di fare riferimento al fiume sacro presente nel Kubla

Khan di Coleridge: Alph. Nelle traduzioni, il fiume viene nominato Alf,

ricorrendo a una trasposizione fonetica del nome originale. Il riferimento all’opera di Coleridge non è però l'unico richiamo di cui tenere conto: “Alphinland” trae origine anche da “Alfa” (“Alpha”, in inglese), la prima lettera dell’alfabeto greco. Nonostante la grafia sia leggermente diversa, in entrambi i casi la pronuncia rimane identica. Quindi, la trasposizione preserva sia il nome originale che i riferimenti intertestuali impliciti.

Inoltre, nel corso di un’intervista, Constance viene interrogata sulla scelta del nome. L’ipotesi dell’intervistatore è che esso derivi da “alpha”, perché questo bizzarro regno immaginario è “pieno di maschi alpha”. Per prendersi

gioco del suo interlocutore, Constance ironizza spiegando come “Alphinland” derivi in realtà da una marca di cereali prodotti in Svizzera, “Alpen”, da Constance storpiato in “Alpine”. Anche in questo caso, seppur con meno immediatezza, è utile riprodurre in traduzione l’assonanza tra “alpine” e “Alphinland”. Per rendere, però, meno artificioso il gioco di parole, ho preferito “storpiare” a mia volta l’ortografia e trasformarla in “Alpin”.

“I don’t think so. Not alpha males. It just sort of happened that way. Maybe… I always loved that breakfast cereal. Alpine?”

“Non credo. Niente maschi alfa. È stato un po’ un caso. Forse… perché ho sempre adorato quei cereali per la colazione. Alpin?”

Un discorso diverso riguarda invece il titolo “Revenant”. In questo caso non mi sono confrontata con etimologie e assonanze, bensì con il significato profondo del racconto. In “Revenant”, Gavin “dissotterra” il suo vecchio amore Constance perché, giunto alla fine della sua esistenza, si ritrova a fare i conti con la malcelata nostalgia che prova verso di lei. Quando, nel finale, viene colto da un infarto, prima di morire immagina di essere accolto, di nuovo e per un’ultima volta, tra le braccia dell’amata. Il titolo è in un certo senso ambiguo perché la figura del Revenant, del redivivo, potrebbe essere applicata tanto a Constance (che ritorna nella memoria di Gavin), quanto a Gavin (che immagina di tornare tra le braccia di Constance). Tradurre il titolo con “Redivivo” o “Rediviva” avrebbe forzato l’interpretazione in uno o nell’altro senso e, anche cercando sinonimi che non specificassero il genere, l’idea di trascrivere il titolo mi è parsa congeniale. Inoltre, ho reputato che, per il “lettore ideale” dell’opera, lasciare il titolo in inglese, con tutti i significati che evoca, non sia un ostacolo alla lettura né alla comprensione del testo, piuttosto uno stimolo perché possa interpretarne il significato e coglierne le allusioni.

Il titolo “Dark Lady” è rimasto invariato per una ragione più semplice: è il titolo della raccolta poetica che, in gioventù, Gavin aveva dedicato all’amante, riprendendo la figura della lady della tradizione shakespeariana e distorcendola in un’ottica erotica. Di rimando al senhal “lady”, mantenuto in lingua originale – per creare un riferimento più diretto all’ispirazione cinquecentesca e per non decontestualizzare i componimenti poetici dalla realtà altra a cui appartengono – anche il titolo “Dark Lady” è stato lasciato in lingua originale. D’altronde, in questo caso più che in “Revenant”, ho reputato che, per un lettore incuriosito dalla diversità culturale, non fosse poi così complicato risalire al precedente intertestuale e, tramite esso, al significato semantico.

“Lusus naturae” è invece un’espressione latina usata sia in italiano che in inglese, adottata per la prima volta dagli scienziati naturalisti del sedicesimo e diciassettesimo secolo per denominare i fenomeni che sembravano fuoriuscire dall’ordine naturale delle cose. In questo caso, il lusus naturae è la protagonista del racconto, una ragazza che, per una malattia genetica, si tramuta in una specie di vampiro. La spiegazione del titolo è fornita all’interno dello stesso racconto, grazie a una breve chiosa:

“She’s a lusus naturae,” he’d said.

“What does that mean?” said my grandmother. “Freak of nature,” the doctor said.

“È un lusus naturae,” aveva detto.

“Che cosa significa?” aveva detto la nonna. “Scherzo della natura,” aveva detto il dottore.

Il racconto successivo, “The Freeze-dried Groom” è un horror grottesco dai toni a tratti comici, intriso di un umorismo irrisorio e cinico. Era importante, nella scelta del traducente più felice, replicare lo stesso senso di assurdità e comicità presente nell’originale. Per il malcapitato sposo imbalsamato e poi impacchettato all’interno di un magazzino venduto all’asta, ho scelto

l’aggettivo “mummificato”, poiché mi pareva avesse una connotazione più surreale e ironica rispetto ad altri traducenti quali “essiccato” o “liofilizzato” (quest’ultimo, per quanto bizzarro da accostare a uno sposo, e quindi ironico, non rispecchia pienamente la condizione in cui l’uomo viene rinvenuto), opzione che mi è stata comunque suggerita dal testo stesso:

And behind that, in the farthest, darkest corner, is the groom. […] The man’s face looks desiccated, as if the guy had dried out like a mummy.

E dietro i bagagli, nell’angolo più lontano e buio, c’è lo sposo. […] Il

volto dell’uomo sembra

incartapecorito, quasi si fosse essiccato come una mummia.

Con il titolo “I Dream of Zenia with the Red Bright Teeth” ho dovuto confrontarmi con un tratto abbastanza peculiare della prosa di Atwood: la costruzione di immagini molto vivide (e quasi sempre dal sottotono sardonico) grazie alla giustapposizione di aggettivi in sequenza. In italiano risulta artificioso giustapporre più aggettivi, e abbiamo la tendenza a separarli con una virgola o una congiunzione. Allo stesso modo, appariva insolito anche l’uso del verbo al presente, “sogno”, ed è stato quindi necessario trasporre156 il titolo del

testo fonte, per renderlo più spontaneo e naturale all’interno dell’orizzonte linguistico d’arrivo: “Ho sognato Zenia dai denti rossi e lucenti”.

Il racconto successivo, “The Dead Hand Loves You”, trae il titolo dal romanzo che Jack Dace, protagonista della storia, compone da giovane studente universitario. Come abbiamo avuto modo di notare, il racconto è un bizzarro e grottesco esempio di “metadiegesi”, in quanto include una storia secondaria all’interno della storia principale. Così come il titolo del romanzo doveva essere lasciato in originale (si sarebbe fatto un torto all’autore, nel tradurlo), è risultato 156 La trasposizione è una strategia traduttiva che consiste nel cambiamento della struttura

opportuno, di conseguenza, evitare di tradurre anche il titolo del racconto (si tratta, più o meno, dello stesso procedimento applicato a “Dark Lady”).

Con “Stone Mattress” si è rivelata necessaria qualche riflessione ulteriore: il titolo del racconto è anche il titolo che dà il nome alla raccolta. La scelta traduttiva è stata condizionata da un passaggio all’interno della narrazione:

What is a stromatolite? He asks rhetorically, his eyes gleaming. The

word comes from the Greek stroma, a mattress, coupled with the root word for stone. Stone mattress: a fossilized cushion,

formed by layer upon layer of blue- green algae building up into a mound or dome.

Cos’è una stromatolite? Chiede con sussiego, e gli occhi che brillano.

Il nome deriva dal greco stroma, materasso, unito alla radice della parola pietra. Materasso di pietra: un cuscino fossilizzato, formato da

strati su strati di alghe verdazzurre, fino a formare un tumulo o una cupola.

L’arma del delitto utilizzata dalla protagonista del racconto per vendicarsi del suo stupratore è proprio una stromatolite, letteralmente “materasso di pietra”, che diventa in questo contesto anche una metafora di una sessualità che assume connotazioni negative. Dal momento in cui, all’interno dello stesso racconto, viene esplicitata la radice greca del nome stromatolite, chiarendo dunque l’allusione al titolo, una traduzione alla lettera (nel rispetto dell’etimologia greca) è stata l’opzione più rispettosa del testo: la scelta un sinonimo, magari anche più evocativo (“coltre di pietra”, per esempio) avrebbe occultato l’etimologia della parola e il ri-uso ironico del tecnicismo.

L’ultimo racconto presenta il titolo provocatorio “Torching the Dusties”. La storia, appartenente al genere distopico, caro ad Atwood, ritrae due anziani residenti in un ospizio, la cui vita viene messa a rischio da un gruppo di giovani manifestanti che vorrebbe dare fuoco alla struttura, nella convinzione che sia giunto il momento che i vecchi lascino spazio alle nuove generazioni. Il

racconto ha quindi una chiave interpretativa sociale e politica, a cui ben si adatta il grido di battaglia “Torching the Dusties”. Esso ha una doppia valenza, riferendosi al contempo al comando che dà avvio a un combattimento (con rimando alla polvere da sparo), ma anche agli anziani, visti dai manifestanti come “batuffoli di polvere sotto il letto”. La corrispondente traduzione letterale “Fuoco alle polveri” mi ha permesso di mantenermi vicinissima al testo fonte, preservando entrambe le sfumature di significato. L’unico intervento è stato compiuto sul verbo: all’infinito “Dare fuoco alle polveri”, ho preferito invece la frase nominale, anche questa volta richiamando un brano del testo in cui si esplicita l’uso del termine “polvere” per riferirsi agli anziani di cui sbarazzarsi:

Our Turn is a movement, it’s international, it appears aimed at clearing away what on of the demonstrators refers to as “the parasitic dead wood at the top” and another one terms “the dustballs

under the bed.”

Our Turn è un movimento, è

internazionale, sembra intenzionato a liberarsi di ciò che uno dei dimostranti ha definito “i rami secchi parassiti in cima” e un altro “i

batuffoli di polvere sotto al letto.”

Anche il grido di battaglia è adottabile come titolo sulla base di un passo testuale:

More people are gathering outside the lion gate; they’re brandishing their usual signs […] plus some new ones: Times up. Torch the dusties.

Altri ancora si radunano fuori dal cancello col leone; brandiscono le solite insegne […] e anche alcune nuove: Tempo scaduto. Fuoco alle

polveri.

Infine, ovviamente, un ultima riflessione da fare riguarda la traduzione del titolo dell’opera: Stone Mattress: Nine Wicked Tales, che diventa, in italiano,

raccolta è mutuato dal titolo di un racconto, per cui ho deciso di adottare lo stesso titolo anche in traduzione. Per quanto riguarda invece il sottotitolo, in lingua originale c’è un richiamo abbastanza evidente alla tradizione dei

Canterbury Tales di Geoffry Chaucer. Anche in italiano, quindi, ho adottato il

traducente “racconti”, scelta ulteriormente motivata dalla postfazione dell’opera redatta dalla stessa autrice: Atwood sottolinea infatti, come abbiamo già avuto modo di osservare, che i testi che propone nella sua raccolta non sono “storie” ancorate alla realtà contingente, bensì racconti che affondano le loro radici in una dimensione immaginaria, avulsa dal reale. Per quanto riguarda l’aggettivo “wicked”, invece, al traducente “malvagio” ho preferito “perfido”. Una lettura attenta dei racconti, in effetti, ci rivela che i personaggi che animano la raccolta non sono dotati di un’indole propriamente malvagia: stando alla definizione offerta da Treccani, “malvagia” è una persona che opera il male compiacendosene, o restando indifferente alle sue conseguenze. Nel caso di

Stone Mattress, i protagonisti sono perlopiù mossi, nelle loro azioni, da perfidia,

da una volontà più subdola e sottile di recare del male a chi, tempo prima, li aveva feriti. Inoltre, mi è parso che la mia scelta fosse più attenta anche da un punto di vista fonetico: accostando racconti e perfidi, la ripetizione di consonanti dentali nel finale delle due parole crea un’assonanza che risulta funzionale alla resa.

3.3 “O for Oat: it’s a sort of pun” – Giocare con i suoni e le

parole

Josiane Podeur identifica nei giochi di parole il luogo dell’intraducibilità: “celui qui déterminera le plus souvent l’intervention d’une note en bas de page.

L’impossibilité ne concerne pas les jeux d’esprit, jeux sur le signifiée, mais les jeux de mots, jeux sur le signifiant: de ces jeux qui se basent sur l’ambiguité, sur le double sens, sur l’allitération, sur l’assonance.”157

Nell’approcciarmi al testo da tradurre, però, mi sono discostata da questa linea di pensiero e ho interiorizzato l’assunto secondo cui la traduzione è sempre un atto di negoziazione158 in cui non è detto che perdere una sfumatura

di significato, o un particolare gioco di suoni esistente nel testo fonte, implichi il fatto che esso non possa poi essere recuperato, magari anche sotto diverse forme. Margaret Atwood è una scrittrice che gioca con le parole, le manipola per creare un effetto di satira irridente ma leggera. Nel sottotitolo della raccolta tradotta, inoltre, mette in luce il fatto che i racconti con cui il lettore si confronta sono, in realtà, dei tales che si discostano dalla narrazione fedele della realtà e si sviluppano in una dimensione immaginaria, talvolta quasi fantastica. Tratto peculiare della narrazione fantastica è quello di inventare nomi e parole che già dal suono sappiano suscitare particolari suggestioni ed evocare un immaginario singolare. Per utilizzare una funzionale metafora introdotta da Eco, tradurre – soprattutto quando ci si confronta con passaggi in cui l’originalità e l’abilità dello scrittore si esalta – implica spesso comprendere le regole di un gioco e poi giocare la propria partita. Nel tradurre giochi di suoni e di parole, è stato fondamentale, di conseguenza, giocare a mia volta.

Il primo racconto, “Alphinland”, offre un gran numero di casi del genere poiché si ambienta, in parte, in un regno fantastico popolato da creature magiche. La protagonista del racconto si proietta nel regno di sua invenzione quando per strada si imbatte in una scia di cenere – “ashes” – recitando la formula: “Ashes, bashes, crashes, dashes, gnashes, mashes, splashes”.

157 Joisiane Podeur, Jeux de traduction/ Giochi di traduzione, Napoli, Liguori, 2008, p. 68. 158 Per un approfondimento, si veda Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di

In questa situazione mi sono ritrovata a negoziare tra suono e senso: era fondamentale riportare nel testo d’arrivo lo stesso gioco fonetico delle rime in [iz]. “Ashes” è stato tradotto come “cenere” perché, rispetto a “polvere”, possiede un valore più evocativo e anche rituale che ben si confà al contesto fiabesco in cui è inserito. È stato necessario, poi, rintracciare parole che rimassero con “cenere”, anche sacrificando il significato dei lemmi presenti nell’originale. Il risultato è stato:

“Ashes, bashes, crashes, dashes, gnashes, mashes, splashes”

“Cenere, Venere, fremere, premere, spremere”

Sebbene non ci sia un’aderenza alla lettera, e anche il numero delle parole che rimano sia leggermente diminuito, è stato comunque possibile restituire il ritmo cadenzato, quasi da nursery rhyme, presente nell’originale. Ho inoltre sacrificato l’ordine alfabetico delle parole perché posizionare “Venere” alla fine della sequenza avrebbe interrotto la musicalità e, guadagno che compensa la perdita, spezzato l’evocativa sequenza cenere-Venere.

Risulta poi interessante notare come siano stati tradotti i nomi degli abitanti fantastici di Alphinland, spesso ispirati a riferimenti mitologici, ad antiche etimologie o ad altre saghe fantasy:

Milzreth of the Red Hand Milzreth dalla Mano Rossa

Hairy Hank-Imps Diavolacci Irsuti

Cyanoreens Cianocorvi

Firepiggles Fiammoratti

Frenosia of the Fragrant

Antannae Frenosia dalle Fragranti Antenne

Pheromonya of the Sapphire Tresses

Feromonia dalle Trecce di Zaffiro Skinkrot the Time-Swallower Skinkrot l'InghiottiTempo

La particolarità di questi nomi, come spesso succede nelle saghe fantasy, è che lasciano trasparire le caratteristiche tipiche dei personaggi che li possiedono e, in alcuni casi, quali siano i poteri speciali che detengono. Era quindi importante conservare anche in italiano l’aura evocativa dei nomi. E se con i nomi collettivi è stato più semplice intervenire, è risultata più delicata l’operazione di adattare i nomi propri.

Gli “Hairy Hank-Imps” sono sì dei folletti (“imp”) ricoperti di peluria, ma l’aggiunta dell’attributo “hank” crea anche una sorta di contrasto: stando al dizionario online “Urban Dictionary”, il nome “Hank” ha assunto la connotazione di “forte, robusto” ed è stato poi impiegato anche in forma aggettivata (“hanked”) per riferirsi a persone dotate di una certa forza fisica. La difficoltà è stata quella di integrare all’immaginario comune sui folletti anche la caratteristica della robustezza: la soluzione che alla fine ho deciso di adottare è stata quella di tradurre “Hairy Hank-Imps” con “Diavolacci Irsuti”, in cui “diavolacci” riesce a veicolare sia la natura di spiritello maligno propria di “imp” che l’idea di un’entità dotata di una certa possenza fisica.

Tanto più semplice invece con il nome “Cyanoreens”. Il termine “reen” si usa per descrivere “any boy with a birdlike appearence” e ho quindi dedotto che fosse stato utilizzato per designare delle creature simili a uccelli (e in effetti scopriamo che queste creature usano il becco per infastidire i nemici). Ho optato per adattare il nome originale a “Cianocorvi”, perché avevo qui la possibilità di conservare un suono quasi identico (“cyano”/“ciano”) e, allo stesso tempo, suggerire lo stesso tratto fisico di una creatura malaticcia, nefasta (cianotica); per mantenere la connessione con il regno dei volatili, ho sostituito il generico “reens” con l’iponimo “corvi”, uccelli del malaugurio per

eccellenza, compiendo così una scelta che mi ha permesso di dare maggiore prominenza all’idea che queste siano creature negative.

“Firepiggles” indica dei mostriciattoli dalle dimensioni ridotte (“piggles” viene usato per riferirsi ai porcellini d’India) ma comunque dotate di un potere pericoloso. Tra le varie opzioni prese in considerazione in un primo momento, c’era quella di tradurre questo nome con “Porcellini Infernali”, reputando che si confacesse a un inventario favolistico distorto, quale quello ritratto da Atwood. Ho preferito, però, come nel caso di “Cianocorvi”, preservare il blend esistente nel testo fonte e la scelta è ricaduta su “Fiammoratti”, scelta che mi ha consentito di non allontanarmi troppo dall’originale ricreando in una lingua diversa la stessa immagine di animali piccoli ma letali, grazie a un nome dal suono bizzarro che fa pensare a delle piccole palle di pelo infuocate.

Con “Pheromonya of the Zapphire Tresses” e “Frenosia of the Fragrant Antennae” la scelta è stata più immediata, poiché la derivazione latina di questi

Documenti correlati