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3.3 Campione esaminato

3.3.1 Trascrizione fonetica

Una delle strategie di brand naming maggiormente impiegate dalle aziende analizzate risulta essere la trascrizione basata sulla sola componente fonetica. Dall’indagine condotta è infatti emerso che il 38% delle suddette sia ricorsa a questo metodo per tradurre il proprio brand

name in Cina.

Quanto esposto in via teorica nel secondo capitolo (par. 2.4.1) in relazione al fatto che la trascrizione del suono originale venga solitamente utilizzata per i patronimici (Canigiani, 2001), ovvero per la traduzione dei nomi di persona, è stato confermato anche nella pratica, come nel caso di Giorgio Armani (Qiáozhì Āmǎní 乔治·阿玛尼), Cesare Paciotti (Xīsàěr

Pàqíàotí 西萨尔·帕奇奥提), Sergio Rossi (Sāiqiáo Luóxī 塞乔·罗西), Roberto Cavalli

(Luóbótè Kǎwòlì 罗伯特·卡沃利 ), Stefano Ricci (Shǐtífēnláo Nízhì 史提芬劳 ·尼治), Alberto Guardiani (Ābèikǎdíní 阿贝卡迪尼), Patrizia Pepe (Bàicuìshā Pèipèi 柏翠莎·佩佩) e molti altri ancora (vedi tabella 1). Essendo i nomi italiani formati da più di due sillabe, la trascrizione basata sulla sola componente fonetica non segue il principio linguistico guida del

brand naming cinese che predilige l’uso dei nomi bisillabici (Chan & Huang, 1997) e dà

quindi origine a composti formati da tre o più caratteri (l’unica eccezione è rappresentata dal marchio Miu Miu del gruppo Prada, in cinese Miùmiù 缪缪). Si consideri, ad esempio, il caso di Alberta Ferretti (Āérbótè Fēiérdì 阿尔伯特·菲尔蒂) o di Brunello Cucinelli (Bùlǔnàiluó

Kùqínèilì 布 鲁 奈 罗 · 库 奇 内 利 ), la cui trascrizione fonetica ha creato composti

rispettivamente di sette e di otto caratteri. Nomi simili sono estranei al sistema linguistico cinese tanto per la loro lunghezza quanto per la mancanza di significato e risultano perciò ostici al consumatore che incontrerà difficoltà nel pronunciarli e nel memorizzarli. L’indagine ha comunque mostrato la tendenza ad utilizzare principalmente composti più corti di quelli appena citati: il 41% dei brand name del campione in questione (come nel caso di Prada

Pǔlādá 普拉达, Tod’s Tuōdésī 托德斯, Benetton Bèinàtōng 贝纳通, Sisley Xīsīlí 希思黎 e

Safilo Xiáfēinuò 霞飞诺) è infatti formato da tre caratteri, il 28% da quattro caratteri (ad esempio Byblos Bìbóláosī 毕伯劳斯, Coccinelle Kěqínàiěr 可奇奈尔 e Max Mara Màisīmǎlā 麦丝玛拉) e il 12,5% da cinque caratteri (come nel caso dei marchi Brooksfield Bōkèsīfēiěr 波克斯菲尔 e Corneliani Kèláilìyàní 克莱利亚尼); le percentuali dei brand name formati da sei, sette e otto caratteri sono invece molto basse (rispettivamente il 7,5%, il 5% e il 2,5%). Dall’analisi emerge inoltre che alcuni nomi di marca sono stati trascritti foneticamente solo in parte, forse proprio per ovviare al problema della loro eccessiva lunghezza, come nel caso di Bottega Veneta (in cinese Bǎotíjiā 宝缇嘉), di Ermenegildo Zegna e di Maurizio Baldassarri

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(che nella versione cinese presentano la sola trascrizione del cognome: Jiéníyà 杰尼亚 e

Bādásàlǐ 巴达萨里).

La scelta di attuare una strategia di branding basata sulla trascrizione del suono originale del nome potrebbe essere dettata dalla volontà dell’azienda di risparmiare tempo e risorse (questo processo di traduzione è infatti il più rapido e non richiede l’impiego di competenze specifiche), dalla mancata esigenza di conferire un significato logico al composto cinese semplicemente perché anche la versione originale del nome non ne è corredata o ancora dalla necessità di creare una traduzione ufficiale del marchio prima che ne vengano diffuse di non autentiche ad opera di terzi.

Il fatto che la trascrizione fonetica rappresenti la strada più semplice e veloce da percorrere non implica però la completa noncuranza nella selezione dei caratteri che andranno a formare il nome e la disattenzione nei confronti delle accezioni negative o positive delle quali essi si fanno portatori. Per trascrivere i fonemi “li” e “ci” presenti in diversi brand name (come nel caso di Braccialini, Pollini, Corneliani, Coccinelle e Tombolini), ad esempio, sono stati utilizzati i caratteri lì 利 e qí 奇, positivamente percepiti dal consumatore poiché significano rispettivamente “vantaggio” e “raro”. Molte aziende, inoltre, potrebbero aver scelto consapevolmente dei caratteri che l’acquirente cinese può associare positivamente all’Italia poiché impiegati nella trascrizione di toponimi italiani, come nel caso del carattere luó 罗 che, nonostante sia impiegato fin dall’epoca dell’introduzione del Buddhismo in Cina per le parole sanscrite e per la resa della maggior parte dei prestiti moderni, è anche presente nella versione cinese di “Roma” (Luómǎ 罗马) ed è usato da Sergio Rossi per trascrivere il fonema “ro” o del carattere mǐ 米, contenuto nel composto di “Milano” (Mǐlán 米兰) e selezionato da Missoni per trascrivere il fonema “mi”. La scelta di richiamare queste due città, la prima sinonimo di magnificenza e internazionalmente nota come città eterna e la seconda conosciuta all’estero come simbolo di moda e modernità, potrebbe essere il frutto di una strategia mirata ad affascinare ulteriormente il consumatore. Sempre in quest’ottica potremo comprendere la decisione di Cesare Paciotti di servirsi del carattere xī 西, che significa “occidente”, per riprodurre il suono “ce”. Dall’indagine emerge anche l’impiego frequente di alcuni caratteri per trascrivere determinati fonemi, come lā 拉 , ní 尼, sī 斯, ěr 尔, yà 亚 e bù 布.

È possibile inoltre constatare come l’82% delle aziende che ha adottato questa strategia sia entrata solo di recente nel mercato cinese, a partire dai primi anni del XXI secolo (vedi tabella 1). Realizzare una sola trascrizione fonetica del nome potrebbe dunque anche essere stata una decisione temporanea, dettata dalla scarsa conoscenza del contesto socio-culturale locale.

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Tutte le aziende esaminate progettano infatti di espandersi ulteriormente in Cina e potrebbero, una volta maturata una significativa esperienza sul campo, optare per una diversa tattica di traduzione.