Tra gli articoli del codice penale ricompresi nel 51 co. 3 bis, c.p.p. la sezione relativa ai delitti contro la personalità individuale353 è quella maggiormente rappresentata; infatti, sono di competenza delle procure distrettuali: la riduzione e il mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.); la tratta di persone (art. 601 c.p.); l'acquisto e l'alienazione di schiavi (art. 602 c.p.) e l'associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione dei tre delitti appena elencati. L'architettura penale è stata realizzata attraverso l'introduzione delle novella al vecchio art. 600 c.p., e dei due reati citati con la legge n. 228 del 2003. La legge è il frutto dell'introduzione nel nostro ordinamento delle raccomandazioni previste dal protocollo aggiuntivo della Conferenza sulla criminalità organizzata tenutasi a Palermo nel 2000354.
§ 11.1 L’evoluzione storica
Il codice Zanardelli riteneva già passibile di incriminazione chi si fosse reso responsabile del reato di riduzione in schiavitù. L‟art. 145 del codice penale del 1889 recitava sotto la rubrica «plagio»: “Chiunque riduce una persona in schiavitù o in altra condizione analoga è
353F. Resta, Vecchie e nuove schiavitù. Dalla tratta allo sfruttamento sessuale, Giuffrè, Milano 2008, pp. 12-36.
G. Marinucci, E. Dolcini (a cura di), Trattato di diritto penale. S. Aprile, I delitti contro la personalità
individuale. Schiavitù e sfruttamento sessuale dei minori. Parte speciale, Vol. VI. Cedam, Padova 2006, pp. 3 e
ss.
354
D. Mancini, Traffico di migranti e tratta di persone. Tutela dei diritti umani e tecniche di contrasto, Franco Angeli Milano 2008, p.146-153. S. Fachile, F. Nicodemi, M. Conti Nibali, G. Alteri, La tratta di persone in
Italia. Vol. 2. Le norme di tutela delle vittime e di contrasto alla criminalità; S. Fachile, La riduzione in schiavitù e la tratta di persone nella letteratura giuridica italiana, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 13-50. Per la
bibliografia selezionata sul tema cfr. F. Carchedi, I. Orfano (a cura di), La tratta di persone in Italia. Vol. 1.
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punito con la reclusione da dodici a venti anni”. La norma, deficitaria sul piano della tassatività e della determinatezza, esprimeva la volontà del legislatore di conformarsi ad un principio fondamentale del diritto, sancito dal Congresso di Vienna del 1815 che qualificava la schiavitù come contraria al diritto delle genti e alla morale internazionale, ribadito dal trattato di Londra del 1841, dalla conferenza di Brussell del 1880 e dalla conferenza di Berlino del 1888, che riprendevano le dichiarazioni dei diritti individuali scaturite dalle rivoluzioni americana e francese355. Come sottolinea Resta, la multiforme categoria dell'asservimento della persona veniva ricondotta dalla giurisprudenza relativa all'applicazione dell'art. 145 del codice Zanardelli356 in un unico alveo, mentre la dottrina era divisa tra chi nel tentativo di conferire maggiore determinatezza alla fattispecie incentrava la propria elaborazione sull'espressione ''condizione analoga '' riferendola alle condizioni giuridiche assimilabili alla schiavitù e chi, fedele alle intenzioni del legislatore, riferiva le proprie formulazioni dottrinali alle situazioni di ''mero fatto'' caratterizzate dall'assoggettamento servile di una persona ad un'altra. Questo confronto tra giuristi ha dominato il dibattito interno, in sintonia con quanto accadeva a livello internazionale, a cavallo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. L'accordo sul contrasto alle pratiche di schiavitù sancito dalla Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926357, il cui art. 1 definisce la “schiavitù” come «lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi» pur evidenziando la propensione verso l'orientamento giuridico, non risolveva la questione. Di questo orientamento «maggioritario» risentì, però, la struttura del nuovo codice penale italiano.
Nel codice penale italiano del 1930, fu introdotto, sia l‟art. 600 c.p.- sostanzialmente una fotocopia del 145 se eccettua la riduzione di pena358 – con intestazione della rubrica non più “plagio”, ma riduzione in schiavitù. Nella stessa sezione, la I, del nuovo codice trovano posto l'art. 601 “tratta e commercio di schiavi”, l'art. 602 “alienazione e acquisto di schiavi” e l‟art. 603 c.p. sul reato di plagio: «Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da indurla in totale stato di soggezione è punito con la reclusione da 5 a 15 anni». In questo modo, mentre nel primo caso venivano sanzionate le condotte che fisicamente riducevano un soggetto in schiavitù; nel secondo (art. 603 c.p.), oggetto della sanzione era l‟aggressione psichica nei confronti del soggetto tesa ad annullare ogni sua volontà. La formulazione così
355
F. Resta, Vecchie e nuove schiavitù. Dalla tratta allo sfruttamento sessuale, Giuffrè, Milano 2008, pp. 27-29.
356Ivi, p. 29.
357approvata in Italia con regio decreto del 26 aprile 1928, n. 1723. 358
Art. 600 c.p."Chiunque riduce una persona in stato di schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da 5 a 15 anni", pena ridotta rispetto a quella prevista dall'art. 145, reclusione da 12 a 20 anni.
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predisposta provocò la disapplicazione dell‟art. 600 c.p. poiché la schiavitù come condizione di diritto, già da tempo bandita dall'ordinamento italiano, poteva riferirsi esclusivamente a fatti commessi all'estero ai danni di cittadini italiani359, mentre 603 c.p. comportava esiti problematici nel suo effettivo utilizzo proprio a causa della sua formulazione.
§ 11.2 I valori Costituzionali
Con l'avvento della Repubblica, un ulteriore limite dell‟interpretazione c.d. “di fatto”, priva cioè di apprezzabilità giuridica, secondo la dottrina prevalente fu ravvisato nella violazione del principio di riserva assoluta di legge in materia penale, e quindi gli artt. 1 c.p. e 14 delle disposizioni preliminari del Codice Civile, e dal dettato costituzionale dell‟art. 25, co. 2. L'orientamento che concepiva la schiavitù come una esclusiva condizione di diritto veniva però contraddetto a livello internazionale dalla Convenzione supplementare firmata a Ginevra il 7 settembre 1956360, ma la giurisprudenza di legittimità361, incurante di quella realtà continuò a ricondurre tutti gli eventi di assoggettamento di fatto al solo reato di plagio previsto dall'art. 603 c.p.
Soltanto nel 1981, la Corte Costituzionale362, dichiarata costituzionalmente illegittima la norma per la sua imprecisione e indeterminatezza, in quanto in contrasto proprio con l'art. 25, co. 2, della Costituzione «[...] fece riaprire il dibattito sul reale contenuto della nozione di schiavitù di cui all'art. 600 c.p. »363. Secondo il parere della Corte, l'art. 600 c.p. era idoneo a perseguire sia l'assoggettamento di diritto, sia quello di fatto, nei limiti previsti dalla
359
Cfr. V. Manzini, Trattato di diritto Penale Italiano. Vol. VIII, Utet , Torino 19865, pp. 662 e ss.
360Convenzione supplementare sull'abolizione della schiavitù, ratificata con L. 20 dicembre 1957, n. 1307. Parte 1- Pratiche analoghe alla schiavitù - art 1 le “istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù”: a) schiavitù per debiti, cioè lo stato o la condizione risultante dal fatto che un debitore si è impegnato a fornire a garanzia di un debito i suoi servizi personali o quelli di qualcuno sul quale ha autorità, se l‟equo valore di questi servizi non è destinato alla liquidazione del debito ovvero la durata di questi servizi non è limitata né il suo carattere definito; b) servitù della gleba, cioè la condizione di chiunque è tenuto in base alla legge, alla consuetudine o ad un patto, a vivere e lavorare su una terra che appartiene ad un‟altra persona ed a fornire a quest‟ultima, dietro compenso o gratuitamente, determinati servizi, senza poter cambiare la sua condizione; c) ogni istituto o pratica in forza della quale: 1) una donna, senza che abbia diritto di rifiutare, è promessa o data in matrimonio mediante una contropartita in specie o in natura versata ai genitori, al suo tutore, alla sua famiglia, o ad ogni altra persona o gruppo di persone; 2) il marito di una donna, la famiglia o il clan di quest‟ultimo hanno il diritto di cederla ad un terzo, a titolo oneroso o altrimenti; 3) la donna può, alla morte del marito, esser trasmessa per successione ad altra persona; d) ogni istituzione o pratica in vista della quale un fanciullo o un adolescente minore degli anni diciotto è consegnato, sia dai suoi genitori o da uno di loro, sia dal tutore, ad un terzo, contro pagamento o meno, in vista dello sfruttamento della persona e del lavoro di detto fanciullo o adolescente.
361 Con tale termine si intendono le sentenze emesse della Corte di cassazione. 362
Corte Cost., sent. 6 agosto 1981, n. 96. La Corte, dopo aver ricostruito analiticamente sia l'etimologia della parola plagio che originariamente coincideva con quella di riduzione in schiavitù, sia l'introduzione del reato di plagio nel diritto interno con significato lessicale completamente innovato rispetto alla tradizione ed aver mostrato la differenza con altre realtà del diritto europeo, mostrava come, trattandosi di un condizionamento psicologico, lo stesso fosse inapplicabile.
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convenzione del 1956. Gli effetti sulla giurisprudenza di legittimità furono immediati: interpretazione in termini tassativi dell'elenco previsto dall'art. 1 lett. d) della convenzione del '56, che non aspirava invece a proporsi come catalogo delle possibili forme attribuibili al delitto di riduzione in schiavitù364. Dalla seconda metà degli anni '80, alcune Corti di merito orientarono le loro pronunce sulle indicazioni della Corte costituzionale, è condannarono gli imputati per aver ridotto in schiavitù i propri figli sfruttandoli con il fine di fargli commettere dei reati contro il patrimonio e/o pratiche di accattonaggio, considerando tali pratiche determinate dal potere di soggezione di fatto esercitato nei confronti dei minori argati. Il nuovo indirizzo interpretativo venne fatto proprio dalla Corte di Cassazione che, nel caso Ceric, giunse ad affermare esplicitamente: «essendosi ormai tradotto il concetto di schiavitù in una nozione storica e culturale, il significato della locuzione ''condizione analoga'' può essere determinativamente recepito dai destinatari del precetto penale come espressivo della condizione di un individuo che - per via dell'attività di altri esplicata sulla sua persona – venga a trovarsi (pur conservando nominativamente lo status di soggetto dell'ordinamento giuridico) ridotto nell'esclusiva signoria dell'agente, il quale materialmente ne usi, ne tragga frutto o profitto o ne disponga, similmente al modo in cui - le conoscenze storiche, confluite nell'attuale patrimonio socio-culturale dei membri della collettività – il ''padrone'', un tempo, esercitava la propria signoria sullo schiavo»365 pertanto, la schiavitù e le condizioni analoghe ad essa possono essere costituite sia da situazioni di diritto che di fatto366.
Lo sforzo ermeneutico fatto dalla giurisprudenza e dalla dottrina, successivamente alla sentenza Ceric, s'indirizzò verso l'elaborazione di principi in grado di delimitare e specificare semanticamente la nozione di schiavitù in campo penale, ciò avvenne attraverso alcune pronunce che affermarono: l'irrilevanza della genesi del potere di signoria esercitato dal reo, da cui conseguisse la riduzione in schiavitù anche nel caso in cui chi ne fosse stato vittima avesse dato il proprio consenso all'ingresso in un'organizzazione criminale, o accettato volontariamente di svolgere attività illecite oppure illegali; la rilevanza penale della condotta nel caso in cui questa fosse stata idonea a realizzare una sostanziale reificazione della persona offesa, per cui la sua condizione materiale di schiavo, o il fatto che nei suoi confronti fosse possibile esercitare un qualunque potere di disposizione, consentiva al reo di esercitare nei confronti della vittima un potere corrispondente a quello di proprietà. Nella fase di transizione
364
In dottrina, cfr. A. Di Martino, «Servi sunt, immo homines». Schiavitù e condizione analoga
nell'interpretazione di una sentenza di una corte di merito, CXIX «Foro Italiano», II, 1994, pp. 298-306, p.299.
365Cass. Pen. Sez. Un., Ceric, 20 novembre 1996, «Foro italiano» II, 1997, pp.324 ss. 366
Una sintetica ed esaustiva cronaca degli eventi in S. Fachile, La riduzione in schiavitù e la tratta di persone
nella letteratura giuridica italiana, op. cit. pp. 16-17, nn. 19 e 20. Sullo stesso tema cfr. F. Resta, Vecchie e nuove schiavitù, op. cit., pp.34-36.
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dalla vecchia alla nuova formulazione dell'art. 600 c.p. la Corte di Cassazione arrivò a ritenere penalmente rilevante non solo la condotta tesa all'assoggettamento esclusivo, ma anche la compressione significativa delle libertà personale posta in essere mediante la privazione della capacità di determinarsi autonomamente367. Questo percorso della Cassazione è stato agevolato dallo scenario comunitario e internazionale368.
a) L'ambito comunitario
In ambito di cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, l'adozione dell'azione comune del 1997 da parte del Consiglio per armonizzare la legislazione dei paesi membri dell'Unione nel contrasto della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento sessuale dei minori369. l'anno successivo, un piano d'azione comune dello stesso Consiglio e della Commissione finalizzato all'introduzione di misure idonee alla introduzione di norme minime capaci di delineare gli elementi costitutivi e le sanzioni nei confronti dei responsabili di tratta di persone e sfruttamento sessuale dei minori, che il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel maggio 1999, all'art. 29, ha ritenuto obiettivo di primaria importanza nella cooperazione di polizia e giudiziaria. Nell'ottobre dello stesso anno, il consiglio europeo di Tampere ha considerato prioritario il contrasto a queste pratiche criminali370. Nell'ottica della convergenza e armonizzazione del quadro legislativo va ricordata la Decisione quadro del luglio del 19 luglio 2002 sulla lotta al traffico di essere umani e quella del 22 dicembre del 2003, diretta al contrasto dello sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile.
b) L'ambito Internazionale
Nella stessa direzione, sul piano internazionale, si colloca la convenzione di Varsavia promossa dal Consiglio di Europa, nel maggio del 2005, ed entrata in vigore il primo febbraio
367Cass. Pen. Sez. III, Xhakja, 5 maggio 2004, «Cassazione Penale» 3, p. 786, sentenza emessa in epoca
successiva all'introduzione della nuova normativa, ma secondo la disciplina precedente; possibilità, questa, dovuta dell'effetto della successione delle leggi nel tempo e del contenuto della vecchia norma che è sostanzialmente il medesimo di quello dell'art. 600 c.p. novellato dalla legge 228/2003, quindi le due norme si pongono in regime di continuità, ma temporalmente tutti i procedimenti per reti commessi anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge - cioè prima dell'ottobre 2003 - verranno giudicati e puniti facendo riferimento al vecchio dettato normativo.
368Per un approfondimento cfr. D. Mancini, Traffico di migranti e tratta di persone, op. cit., pp. 67-70.
36997/154/GAI: Azione comune del 24 febbraio 1997 adottata dal Consiglio sulla base dell'articolo K.3 del
trattato sull'Unione europea per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini. Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, serie L, n. 63 E del 4.3.1997, pp. 2-6.
370Consiglio Europeo di Tampere, 15-16 ottobre 1999, Conclusioni della Presidenza, Verso un'Unione di libertà,
sicurezza e giustizia: i capisaldi di Tampere, Sez. IV «Gestione flussi migratori» punti 22, 23, 26, e Sez. IX “Potenziamento della cooperazione contro la criminalità”, punto 48; reperibile sul sito del Parlamento Europeo all'indirizzo: http://www.europarl.europa.eu/summits/tam_it.htm#a. Anche la carta dei diritti fondamentali del trattato di Nizza, art. 5, ribadisce la proibizione della tratta di persone e la schiavitù.
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del 2008, il cui aspetto innovativo è costituito dal riferimento al principio di tutela dei diritti umani, dal monitoraggio indipendente esercitato dallo stesso Consiglio d'Europa sull'applicazione delle norme nei singoli paesi aderenti e dal fatto che il contrasto alla tratta di essere umani prescinde dall'esistenza di un'organizzazione criminale che la ponga in essere371. In quest'ultimo elemento si rinviene la maggiore portata, simbolica più che effettiva, della convenzione di Varsavia rispetto alla Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale firmata a Palermo nel 2000. La convenzione ONU – nel caso specifico, il protocollo addizionale sulla prevenzione, repressione e punizione della tratta di persone, in particolare donne e bambini, al quale si affianca quello sul contrasto del traffico di migranti via mare, o via aria - è stata ratificata dal Parlamento italiano nel 2006, ma l'adesione ha condizionato in modo significativo le modifiche legislative apportate al diritto interno nel 2003372.
12 La riforma
La legge n. 228, infatti, ha modificato gli artt. 600, 601 e 602, ha introdotto una nuova figura di reato associativo finalizzata alla commissione di quei reati, così da poter inserire i reati in argomento tra quelli previsti dall'art. 51 co 3 bis, c.p.p., trasferendo le competenze del giudice inquirente, passate dalle procura ordinarie alle direzioni distrettuali antimafia; ha modificato la competenza giudicare passata dalle corti di assise ai Tribunali373. Un dato di grande valore è il fatto che alle modifiche apportate all'impianto di contrasto sul piano penale si sono affiancate misure legislative altrettanto importanti sul piano della protezione delle
371Art. 3: «promozione e protezione delle vittime di tratta devono essere assicurate senza discriminazioni basate
sul sesso; la razza; il colore; la lingua; la religione; le opinioni; l'origine nazionale o sociale; L'appartenenza ad una minoranza nazionale; la ricchezza; la nascita o su qualunque altro tipo di condizione o status attribuito.».
372Camera dei Deputati, XIV Legislatura (AC 1255) lavori preparatori,disegno di legge presentato dall'on. A.
Finocchiaro, il 9 luglio 2001, Come emerge dai lavori preparatori, le priorità erano quelle di adeguare il testo codicistico dell'art. 600 all'orientamento giurisprudenziale successivo alla sentenza della Corte Costituzionale del 1981, ma soprattutto quella di «riprodurre nel nostro codice una definizione di schiavitù coerente con gli atti internazionali adottati[...]Gli stati membri dell'Unione europea hanno adottato in occasione della Conferenza interministeriale tenutasi all'Aja il 26 aprile 1997, il proprio impegno[...]nella lotta al traffico di esseri umani[...]Il Consiglio dell'Unione europea ha adottato, il 24 febbraio 1997, una Azione comune che obbliga fra l'altro gli stati membri a criminalizzare il traffico e a proteggere adeguatamente i testimoni, nonché ad assistere le vittime della tratta. [...] è stata approvata il 12 dicembre 2000[...] la convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale[...]», p. 2.
373«La forma del reato associativo è stata scelta per ossequio al principio di tipicità, e per affidare le indagini alla
Direzione Nazionale Antimafia ed alle sue articolazioni territoriali (le Direzioni Distrettuali, n.d.a.) al fine di favorire il coordinamento delle indagini anche con organi inquirenti di altri Paesi attesa la natura transnazionale del fenomeno criminale[...]» Ivi, p. 3.
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vittime di questi delitti, ponendo l'Italia ed un esiguo numero di altri stati europei all'avanguardia nelle politiche penali in questo particolare settore374.
a) L'art. 600 c.p.
nella sua nuova formulazione l'art. 600 c.p. riduzione o mantenimento in schiavitù: «Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà
ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni. La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi". I problemi di tassatività e
precisione della norma che affliggevano la formulazione dell'art.600 c.p. di vecchio conio sono riemerse per la nozione di ''soggezione continuativa'', mentre appare chiaro il riferimento al protocollo addizionale di Palermo nella parte che descrive analiticamente quali siano le modalità di ottenimento della soggezione continuativa375, ma non il contenuto, che secondo l'interpretazione di Mancini dovrebbe intendersi nella nozione di «abuse of vulnerability» come elaborata nel protocollo addizionale di Palermo e, successivamente nella decisione quadro dell'Unione europea del 19 luglio 2002376. Dalla lettura del testo della norma si possono ricavare alcuni degli scopi perseguiti dalla riduzione in schiavitù: Lo sfruttamento a fini sessuali, quello finalizzato a sfruttamento ai fini del lavoro, quello relativo allo sfruttamento dei minori e quello dello sfruttamento per i prelievo di organi. Non si tratta di un
374 Cfr. M. Conti Nibali, G. Alteri, La legislazione nazionale, comunitaria e internazionale per la lotta alla tratta
e la tutela delle vittime, p. 127.; S. Fachile, F. Nicodemi, M. Conti Nibali, G. Alteri, La tratta di persone in Italia. Vol. 2. op. cit. Nel 2007; solo altri sette paesi dell'Unione si erano dotati di una legge ad hoc a protezione
delle vittime di questo tipo di crimini.
375
Cfr. S. Scarpa, Trafficking in Human beings. Modern slavery, Oxford University press, Oxford 2008, pp.123- 131. S. Fachile, La riduzione in schiavitù e la tratta di persone nella letteratura giuridica italiana, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 13-50. M. De Ioris, la via italiana alla lotta contro la tratta delle persone: la nuova
legge n. 228 del 11 agosto 2003 e il suo impatto sulla situazione esistente, «Diritto e Formazione» n. 11, 2003,
pp.1554 e ss.