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1.3 Dragaggio e tecnologie di trattamento di recupero e/o riutilizzo dei sedimenti marin

1.3.3 Trattamento e decontaminazione per i sedimenti dragat

1.3.3.2 Trattamenti fisico-chimic

Queste tecnologie si “basano sul passaggio di fase dei contaminanti, in modo da rendere più facile la loro rimozione o neutralizzazione nelle fasi successive del processo” [10]. I trattamenti chimico-fisici sono quelli che presentano, in tempi moderatamente brevi, le maggiori efficienze di rimozione dei contaminanti, anche se in genere sono i più costosi e determinano delle variazioni delle caratteristiche originarie del materiale.

- Soil and sediment washing (SW): è un trattamento molto efficace nel caso di terreni con matrice prevalentemente sabbiosa, mentre risulta inadeguata nel caso di matrici limose-argillose e consiste nel lavaggio intensivo dei suoli/sedimenti trattati mediante una soluzione costituita da semplice acqua oppure da acqua additivata. Questa tecnica consente di veicolare le sostanze inquinanti presenti trasferendole nella frazione fine (limi, argille) dalla fase solida alla fase liquida, permettendo così il recupero della frazione inerte con granulometria maggiore (sabbie, ghiaie) che può essere avviata al riutilizzo. La mobilizzazione dei contaminanti si ottiene grazie alla dissoluzione nella soluzione di lavaggio (che in genere è costituita da acqua + tensioattivi che facilitano il desorbimento della parte degli inquinanti adesa alle particelle del terreno) e grazie alla sospensione all’interno di quest’ultima per effetto dell’azione abrasiva tra le particelle del suolo stesse.

Di seguito si riportano varie scelte tecniche relative alla soluzione di lavaggio che può essere utilizzata:

 acqua semplice: l’effetto dell’incremento della temperatura aumenta la mobilità e la solubilità dei contaminanti;

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 soluzioni acide: più aumentano le condizioni di acidità maggiore è la capacità di adsorbimento e quindi di rimozione dei contaminanti (in modo particolare i metalli pesanti), anche se bisogna prestare attenzione alla forte aggressività chimica nei confronti della matrice solida;

 acqua con tensioattivi: questi ultimi favoriscono la dispersione in acqua dei contaminanti, in particolar modo i composti organici a bassa solubilità (PCB, pesticidi, etc.).

La soluzione contaminata poi, dopo il successivo trattamento di depurazione, può essere riclicata e riutilizzata [10].

Figura 22: Soil and sediment washing

- Ossidazione chimica: ha lo scopo di ridurre le concentrazioni dei contaminanti organici, quali ad esempio gli idrocarburi e consiste nell’immissione di agenti chimici ossidanti nel suolo (quelli maggiormente utilizzati sono l’ozono, il permanganato di potassio, il perossido di idrogeno ed il persolfato di sodio). È necessaria una fase di studio preliminare del materiale/terreno da decontaminare,

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poiché questa tecnica risulta efficace nel caso in cui vi sia assenza di eterogeneità stratigrafica e buona permeabilità. I prodotti finali derivanti da questo tipo di trattamento sono acqua e anidride carbonica;

- Soil Vapour Extraction (o Soil Venting): si utilizza per la rimozione dei composti organici volatili e idrocarburi e consiste nella realizzazione di pozzi di aspirazione mantenuti in leggera depressione (tramite una soffiante) con la quale si riesce a volatilizzare e captare i contaminanti. Grazie alla depressione causata, si riesce ad ottenere un abbassamento della temperatura di ebollizione dei composti volatili che passano in fase vapore e possono essere captati attraverso dispositivi di aspirazione (pozzi), trasportati in superficie e trattati in opportuni impianti. Se la contaminazione è presente anche al di sotto del livello di falda il Soil Venting è associato all’Air Sparging, che “consiste nell’insufflare aria in falda al fine di permettere lo strippaggio dei contaminanti volatili disciolti in acqua. Il gas si sposta verso l’alto e viene captato in corrispondenza della zona insatura del terreno” [47].

Figura 23: Soil Vapour Extraction 1.3.3.3 Trattamenti biologici

I trattamenti biologici si basano sull’attività metabolica dei microrganismi (batteri, funghi, piante). Questa tecnica non è efficace nei confronti dei metalli e delle sostanze non biodegradabili in quanto, se presenti con elevate concentrazioni, possono provocare l’abbattimento della popolazione microbica. L’applicazione di questo tipo di tecniche richiede ossigeno e, rispetto ai trattamenti chimico-fisici, richiede più tempo (da parecchie settimane fino all’anno per sedimenti molto contaminati) e le efficienze di rimozione sono più basse. Però l’aspetto positivo di questi processi è il minimo impatto sulle caratteristiche originali del sito.

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- Phytoremediation: è un processo di decontaminazione dei suoli che consiste nell’uso di specie vegetali, riuscendo queste ultime a captare e degradare alcune tipologie di contaminanti. Le piante sono costituite da una zona radicale ed una zona aerea: grazie alle radici riescono ad immobilizzare e mineralizzare composti organici tossici, mentre i metalli e gli altri composti inorganici sono accumulati e concentrati nella porzione aerea [10]. Praticamente le radici possono essere pensate quindi come un “sistema di captazione” degli inquinanti che con il tempo cresce e si amplia aumentando l’efficienza del sistema stesso. I meccanismi coinvolti sono essenzialmente 3:

 rizodegradazione: si intende la simbiosi che viene a crearsi tra le piante e i microrganismi circostanti. Aumenta il numero di batteri nella zona circostante l’apparato radicale e migliora quindi la capacità biodegradativa della rizosfera, che è la porzione di suolo che circonda le radici delle piante;  fitoestrazione: si intende “la capacità di alcune piante, dette metallo- accumulatrici, di assorbire i metalli presenti nel terreno mediante l’apparato radicale e di trasferirli alle foglie” [10];

 fitodegradazione: è il meccanismo che consiste nell’assorbimento di contaminanti presenti nel suolo e la loro successiva trasformazione all’interno delle piante.

Un vantaggio di questo tipo di intervento, oltre all’economicità, è la semplicità della configurazione dell’impianto, trattandosi solamente di

piantumazione di un sito e relativi impianti di irrigazione. Lo svantaggio è invece la limitata estensione dell’apparato radicale: infatti questa tecnologia di bonifica è da preferire quando la superficie da risanare è estesa ma con profondità di contaminazione ridotta;

- Landfarming: è un processo di biorisanamento che si basa sull'azione biodegradativa dei microrganismi selezionati per l'intervento, i quali devono essere in grado di nutrirsi degli agenti inquinanti, ovvero devono essere in grado di degradarli e quindi di risanare il sito compromesso. In questo tipo di tecnica i processi metabolici aerobici della microflora batterica sono incentivati, “garantendo un’opportuna

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esposizione del terreno all’ossigeno atmosferico ed ottimizzando le condizioni operative (in termini di nutrienti, umidità e temperatura)” [10]. Prima del trattamento il terreno da decontaminare deve essere sottoposto ad un pre-trattamento durante il quale si deve prevedere alla rimozione di eventuali rocce, al dosaggio dei nutrienti ed al controllo del pH. Al fine di accelerare il processo è possibile aggiungere nel terreno un inoculo di batteri, costituito ad esempio da fango scaturito da un impianto di depurazione di acque reflue civili.

La composizione stratigrafica del landfarming è la seguente: un sottile strato di terreno contaminato (40-50 cm) viene steso sopra ad un letto drenante di sabbia o ghiaia in modo che l’aria filtri e penetri in maniera naturale all’interno della matrice. Quest’ultimo viene poi disposto su uno strato impermeabile di PVC oppure su uno strato di base argilloso che ha lo scopo di impedire la dispersione del percolato nel terreno sottostante [10];

Figura 25:Sezione verticale di un bacino di landfarming (1. strato di base argilloso; 2. argini; 3. letto in sabbia con rete di drenaggio; 4. terreno da decontaminare; 5. vasca di stoccaggio)

- Biopile: in questo processo “i suoli sono scavati e messi a dimora in luoghi chiusi e impermeabilizzati sul fondo. Questa tecnica frutta la capacità di numerosi ceppi batterici e fungini di attaccare un largo spettro di molecole trasformandole in energia e nutrimento” [11]. Il terreno contaminato viene quindi inserito nei cosiddetti “pile” all’interno dei quali vengono ottimizzati tutti i parametri fisico-nutrizionali (temperatura, pH, umidità, etc.) e nutrizionali al fine di migliorare e velocizzare la biodegradazione;

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Figura 26: Biopile

- Bioreattori: questo processo prevede la collocazione del terreno all’interno di reattori cilindrici di acciaio inox. I contaminanti trattabili con questa metodologia, comprendono solventi, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), pesticidi ed idrocarburi del petrolio. I bioreattori possono essere suddivisi in due categorie: i reattori drymatter che operano con terreni con contenuto di acqua <20% ed i reattori slurry che operano in fase semisolida. In particolar modo il trattamento nei Bioslurry prevede una prima setacciatura della matrice per la rimozione del materiale di dimensioni grossolane (> 2mm) e successivamente l’aggiunta di acqua per il 40-90% in peso e nutrienti [41]. La miscela quindi

può essere inviata al reattore dove l’ossigeno viene insufflato mediante diffusori di aria compressa e le condizioni di temperatura e umidità sono controllate ed ottimizzate. Al termine del processo la miscela viene rimossa e disidratata;

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