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Quale trionfo.

Nel documento Issue 4, “Costantino il Grande” (pagine 33-37)

L’ARCO DI COSTANTINO

4. Quale trionfo.

Giunti a questo punto, occorre ritornare alle osservazioni iniziali sul simbolismo degli archi di trionfo. Lo facciamo per precisare che il motivo della “porta del cielo”, richiamato dalla tipologia dell’arco trionfale, solo in termini parziali si poteva ritenere adatto ad esprimere la dimensione già di per sé divina della maestà imperiale nel tardo antico.

Infatti, citando la Mac Cormack:

Ai tetrarchi non era necessario essere accolti tra le stelle, come invece ci suggeriscono le prime emissioni di monete imperiali a proposito degli imperatori consacrati, poiché il loro status era già stabilito al momento dell’ascesa al trono.84

In altri termini, al di là dello specifico tema della consecratio citato dalla Mac Cormack e considerando bensì le specifiche funzioni simboliche degli archi trionfali, occorre rilevare come l’imperatore del dominato non necessitasse di oltrepassare alcuna porta simbolica per accedere alla condizione di divinità e di futura immortalità, in quanto queste caratteristiche erano già proprie del suo status.85

Ecco quindi che, da questo punto di vista, la situazione cambia, tant’è che nelle rappresentazioni presenti sull’arco di Costantino, piuttosto che il motivo del trionfo, venne espresso quello dell’adventus.

4.1. L’adventus e la sua importanza nel periodo del dominato. 4.1.1. Nozioni generali sull’adventus.

L’adventus era un’antica cerimonia che celebrava l’arrivo imperiale in una città:

Di tutte le cerimonie che coinvolgevano l’imperatore, quella dell’adventus pare la più banale: a causa delle rudimentali vie di comunicazione nell’impero romano, dei frequenti spostamenti e quindi delle frequenti visite imperiali, l’adventus potrebbe sembrare un fatto così ovviamente necessario da non richiedere ampi commenti. Una visita imperiale era preceduta da un periodo di frenetica attività organizzativa: doveva essere un evento solenne, a cui era poco raccomandabile non partecipare e poteva trasformarsi, per i più accorti, in una occasione di profitto. (…) Anche i risultati erano altrettanto prevedibili. Nel migliore dei

83 L’ORANGE, L’impero romano, p. 180. 84

MaCCORMACK, Arte e cerimoniale, pp. 157-158: «Gli imperatori che già erano prescelti dagli dei, non avevano

alcun bisogno della consecratio e dell’approvazione umana che questa comportava perché, già dal momento dell’ascesa, la loro condizione diventava, in maniera sempre crescente, sovraumana».

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casi un breve periodo di governo diretto, e per questo fermo, avrebbe illuminato, come un raggio di sole, la comunità. Quando sua divinità, Massimino Daia, portò la sua luce a Stratonicea, il brigantaggio nelle montagne della Caria ebbe un attimo di pausa; per le città di frontiera, l’arrivo dell’imperatore significava un felice periodo di sicurezza.86

Quindi, come già anticipato, sotto la tetrarchia l’adventus acquistò ulteriori significati in relazione all’ormai definita dimensione divina dell’imperatore:

Sotto i tetrarchi, la cerimonia veniva quindi giustificata in modo da enfatizzarne un aspetto in particolare, l’arrivo del deus praesens, l’imperatore, capace di aiutare e proteggere i suoi sudditi in quanto presente e immediatamente disponibile.87

Ne conseguiva che il giungere del dominus divinizzato era paragonabile ad una vera epifania di luce cui certamente non era estranea la succitata dimensione solare richiamata dagli imperatori della fine del III secolo. Riporta il panegirista del 310:

Ti sei degnato di illuminare quella città [di Autun] che solo per il fatto di attenderti visse nella prosperità. (…) O dei immortali, quale giorno rifulse su di noi, quando tu varcasti le porte di tale città, primo segno della nostra salvezza, e le porte, protese all’interno e affiancate da torri gemelle parevano accoglierti in una sorta di abbraccio.88

Dal punto di vista simbolico, l’adventus finì dunque per rappresentare una sorta di discesa della luce divina del deus praesens sulla città ove la sua sacra immagine si affacciava; mentre nella cerimonia del triumphus vero e proprio l’imperator si innalzava a raggiungere divinità degli dei del cielo.

È doveroso poi indicare che (al di là dei mutamenti ideologici avvenuti – o meglio definiti – durante la tetrarchia) almeno sino ai tempi di Diocleziano la tradizionale cerimonia

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MaC CORMACK, Arte e cerimoniale, p. 46: «Come diceva Atanasio: “Quando un grande re ha visitato una

qualche grande città, e preso dimora in una delle sue case, tale città viene grandemente onorata e più nessun nemico o bandito osa muovere contro di essa, anzi viene trattata con riguardo perché il re ha dimorato in una delle sue case: così deve essere anche con il Re di ogni cosa”».

87

MaCCORMACK, Arte e cerimoniale, p. 32.

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trionfale fu comunque rispettata nei suoi contenuti religiosi fondamentali, i quali richiedevano l’ascesa dell’imperatore al tempio dedicato a Giove sul Campidoglio ove, per rendere grazie al dio, si deponeva una corona nel suo grembo.89

4.1.2. L’adventus sull’arco di Costantino.

Per le ragioni sopra citate, nell’arco di Costantino sul lato corto verso il Palatino, sotto il tondo con il tramonto della Luna, si trova la rappresentazione della profectio (partenza) da Milano e sul lato opposto, sotto l’immagine del Sole che sorge, è raffigurato, appunto, l’adventus di Costantino a Roma. Su questo tema vale la pena di citare ancora S. Mac Cormack:

Sull’arco di Costantino, l’immagine di Sole che sorge dall’oceano (…) è comunque associata al rilievo che rappresenta l’entrata trionfale di Costantino a Roma nel 312 e che raffigura la processione imperiale tra la Porta Flaminia e l’arco ad elefante di Domiziano. Non c’è nessuno a porgere il benvenuto. A indicarne il tema troviamo la Vittoria Alata, che vola al di sopra della carrozza imperiale ma, a differenza dei trionfatori, Costantino si trova seduto nella carrozza invece che in piedi sul carro trionfale.90

I rilievi che raffigurano l’adventus e al profectio sono posti sull’arco in modo da segnare l’alternanza dei motivi rappresentati sulle due facciate. Sul lato opposto alla città troviamo un paio di rilievi che rappresentano scene di guerra: l’assedio di Verona e la battaglia del Ponte Milvio. I due pannelli che descrivono le virtù militari dell’imperatore sono controbilanciati – sulla parte dell’arco volta verso la città – da pannelli che ne illustrano le virtù civili di comandante. Le aquile di legionari, secondo l’espressione di Claudiano, hanno ceduto il posto ai littori. Sempre su questo lato dell’arco troviamo un’immagine dell’imperatore, in piedi sui rostra, in una scena di adlocutio e in un’altra che lo mostra sul trono mentre distribuisce doni munifici.

Questi due rilievi, che rivestono un’importanza marcatamente civile e urbana, descrivono il secondo stadio dell’adventus, quello dell’incontro diretto tra governante e sudditi, uno degli elementi normalmente descritti nei panegirici. L’arco mostra quindi la cerimonia dell’adventus nei suoi due aspetti, gli stessi del periodo della tetrarchia. L’interpretazione della cerimonia era comunque cambiata: il linguaggio dell’arco è ancora pagano ma esprime anche il fatto che Costantino si era completamente allontanato dalle immagini religiose usate durante la tetrarchia.

89

FRASCHETTIA., La conversione da Roma pagana a Roma cristiana ( = FRASCHETTI, La conversione), Bari 1999, p. 245.

90

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4.2. Ubique victor.

Come già accennato, caratteristica dei tradizionali archi trionfali era quella di riportare in immagini, oltre che in iscrizioni, le imprese per cui al trionfatore era concesso di “superare” simbolicamente la porta celeste e, grazie appunto alle sue gesta memorabili, accedere all’immortalità.

Questi concetti – ribadiamo – non si adattavano pienamente alla figura del deus praesens, ovvero all’imperatore divinizzato del tardo impero: non si poteva pensare che il suo accesso al cielo fosse concesso per specifiche imprese, per quanto gloriose, poiché era la stessa origine “celeste” della carica imperiale ad implicare l’idea dell’imperator ubique victor, ovvero ovunque (e sempre) vincitore.

Quindi, poiché il toto orbe victor91 nelle sue vittorie non trovava che semplice conferma al proprio status divino, occorreva che la loro rappresentazione fosse inserita in un contesto che chiarisse la dimensione assoluta e non contingente delle imprese da lui compiute.

Come si è detto, ciò era ottenuto mediante forme stilizzate ed “astratte”, e attraverso l’organizzazione delle immagini indicata da H.P. L’Orange.92 Naturalmente questi concetti, così come erano espressi implicitamente nei modi coi quali erano raffigurate le immagini, tanto più lo erano, diciamo “esplicitamente” nei contenuti espressi dall’iconografia delle scene.

Per cui, se sulla facciata meridionale dell’arco si trovano scene riguardanti le battaglie sostenute da Costantino e sul lato opposto troviamo le sue opere pacifiche,93 tali scene sono scandite da altre rappresentazioni di evidente contenuto cosmologico finalizzate ad inserire le gesta del deus praesens

91

MaCCORMACK, Arte e cerimoniale, pp. 247 sgg.

92

Per individuare i riferimenti filosofico-estetici di questo genere di immagini cfr. GRABARA., Le origini dell’estetica

medievale, Milano 2001.

93

CALCANIG., La serie dei tondi da Adriano a Costantino ( = CALCANI, La serie dei tondi), in CONFORTO,

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nella prospettiva adeguata alla carica da lui ricoperta: la prospettiva, appunto, dell’assolutezza e dell’atemporalità.

A contribuire a questo genere di iconografia sono, naturalmente, i già citati tondi del Sole e della Luna, le personificazioni delle stagioni, nonché le divinità fluviali. Secondo Giuliana Calcani, infatti, la celebrazione del vincitore presente nell’arco «offriva l’occasione per divulgare un messaggio di più ampio significato: l’idea dell’equilibrio perpetuo garantito dal nuovo signore dell’impero.»94

Continua la Calcani, a questo proposito:

Nel discorso in onore di Costantino, pronunciato da Eusebio alla presenza di Costantino, si parla dell’eternità indivisibile e priva di forma che Dio ha diviso in segmenti, rendendola armonica nella lineare partizione in mesi e date, stagioni, anni e reciproci intervalli di notti e giorni . Ed è ciò che troviamo riflesso nella decorazione dell’arco, dove sono rappresentati il giorno e la notte (personificazione di Sole e Luna), i mesi (tondi adrianei con scene di sacrifici e cacce), le stagioni (genietti)95 e, quindi, l’anno.

Questa espressione divina dell’ordinamento universale viene formulata attraverso l’apparato decorativo dell’arco che fa emergere l’azione del sovrano, il quale diventa l’immagine stessa dell’ordine sociale, in contrapposizione ai nemici dell’impero che rappresentano il caos.96

In definitiva, il regno di Costantino, seguendo l’iconografia presente sul suo arco, rappresenterebbe un momento di equilibrio e felicità “cosmica”, ove la dimensione temporale è rappresentata dalle figure riguardanti lo scorrere dei giorni e delle stagioni, mentre quella spaziale dai quattro fiumi.

5. Le parti reimpiegate.

Nel documento Issue 4, “Costantino il Grande” (pagine 33-37)

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