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La tutela della musica nella prospettiva del diritto d’autore Il fondo “Canzone

Nel documento Analisi musicale e popular music (pagine 109-116)

napoletana” della Biblioteca Nazionale di

Napoli

Solo fino a qualche anno fa, alla domanda “cosa si intende per bene musicale?” sarebbe seguita una risposta a dir poco vaga; infatti, prima del decreto legisla- tivo n. 112/1998 e del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni

culturali e ambientali del 1999, le partiture musicali non erano considerate un

bene al pari di un dipinto o di un sito archeologico. Il prolungato disinteresse da parte della legislazione italiana ha purtroppo finito col danneggiare il patri- monio musicale, poiché la musica — non essendo per l’appunto considerata un bene — non era protetta dall’incuria e dal tempo: molti manoscritti ed edizioni musicali a stampa hanno così subito danni talvolta irreversibili, lasciati deterio- rare in archivi e biblioteche senza alcun intervento di inventariato, catalogazio- ne, restauro o microfilmatura. Solo grazie all’iniziativa di alcuni musicologi, che da tempo denunciano la situazione di degrado e abbandono delle biblioteche musicali, alcuni fondi sono stati catalogati e molte partiture restaurate, trascritte o pubblicate. Tuttavia, anche se nel corso degli anni sono stati molteplici gli sforzi tesi ad inserire a pieno titolo la musica tra i beni culturali, ancora molto va fatto perché essa figuri come categoria a sé, distinta dalle altre in forza delle sue prerogative.1

La tutela del patrimonio musicale pubblico avviene in modi diversi a seconda dell’oggetto: il manoscritto musicale necessita di essere restaurato, microfilmato, trascritto o pubblicato, il disco in vinile digitalizzato e lo strumento antico con- servato in un luogo appropriato; ma alcuni criteri di base sono gli stessi, come la realizzazione di inventari, cataloghi o repertori che indicano in quale deter- minato fondo, biblioteca o museo sia conservato un particolare manoscritto o

strumento musicale.2 Proprio a causa del deterioramento cartaceo — ma anche al fine di consentire all’utente una fruizione più agevole direttamente da casa sua tramite il web — la Biblioteca Nazionale di Napoli ha digitalizzato l’intero fondo “Canzone napoletana” della sezione Lucchesi Palli, contenente centina- ia di riviste risalenti al periodo “aureo” della storia di questo genere musicale (soprattutto «Piedigrotta» dei vari editori partenopei pubblicate nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento). Per la gran parte di questo materiale, trat- tandosi di immagini di spartiti, esiste tuttavia un problema di diritti d’autore che complica la procedura in atto di pubblicazione on-line sul sito della Biblioteca. Come noto la proprietà sui cosiddetti “prodotti dell’ingegno” vige fino a 70 anni dalla morte dell’autore, pertanto prima di pubblicare l’immagine di uno spartito la Biblioteca deve accertarsi che su questo siano già scaduti i diritti d’autore; in caso contrario, infatti, andrebbero pagate le dovute spettanze, cosa che un ente pubblico non può assolutamente permettersi in tempi di spending review.

Al fine di evitare questo rischio, la sezione Lucchesi Palli verifica l’esistenza o meno di tutela Siae degli spartiti di canzoni napoletane classiche che sotto forma di immagini digitali sono via via pubblicati on-line.3 Questo lavoro, da tempo in corso d’opera, è stato condotto dalla sottoscritta per alcuni mesi come attività finalizzata alla stesura della propria tesi di laurea del corso triennale in Cultura e

amministrazione dei beni culturali del Dipartimento di Studi Umanistici dell’U-

niversità degli Studi di Napoli “Federico II”.4 Dopo un periodo iniziale dedicato all’approfondimento delle problematiche legate al diritto d’autore, il mio compi- to è stato appunto quello di stabilire — relativamente ad una parte dell’enorme fondo “Canzone napoletana” — quali canzoni fossero ancora tutelate. Ma prima di illustrare i risultati di questa attività bisogna soffermarsi sulle questioni legi- slative con le quali essa necessariamente si è intrecciata.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo stabilisce che ciascun indivi- duo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da una qualunque produzione scientifica, letteraria o artistica della quale egli è autore. Di conseguenza, ogni volta che un’opera viene rappresentata in pubblico, ese- guita, diffusa, riprodotta, utilizzata nelle forme più diverse, il suo autore ha il diritto di esigere un compenso in relazione a questo utilizzo del suo lavoro. È ciò che si chiama “diritto d’autore”, e che spesso viene erroneamente ritenuto una tassa mentre, in realtà, è la giusta retribuzione dovuta a chi ha creato un’opera.

2. Ibid., pp. 19-30.

3. Il bibliotecario responsabile del progetto di verifica è il dott. Gennaro Alifuoco, che voglio qui ringraziare per gli utili suggerimenti e consigli dati a sostegno del mio lavoro di tesi.

4. Di Leva Assunta Anna, La tutela della musica nella prospettiva del diritto d’autore. Il fondo

“Canzone napoletana” della Biblioteca Nazionale di Napoli, tesi di laurea triennale in Cultura e amministrazione dei beni culturali, relatore prof. Enrico Careri, Dipartimento di Studi

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Il diritto d’autore, dunque, riguarda la facoltà esclusiva di diffusione e sfrutta- mento di un’opera della creatività quale riconoscimento e tutela del lavoro in- tellettuale del suo autore. La nascita di tale diritto va fatta risalire al momento in cui la coscienza giuridica comprese la necessità di distinguere il corpus mysti-

cum dell’opera da quello materiale, riconoscendo al primo una tutela distinta

da quella tradizionalmente accordata al secondo. Questo momento, che fonda le sue radici nel rispetto dell’intelligenza umana e delle sue creazioni, coincise — forse non casualmente — con l’invenzione della stampa a caratteri mobili e il conseguente sfruttamento economico delle opere.5

Il diritto d’autore è un argomento delicato, una materia particolarmente vasta e complessa sia dal punto di vista dei beni e delle posizioni giuridiche coinvolte sia dal punto di vista delle possibili violazioni di cui lo stesso diritto d’autore può essere oggetto. Per tentare di comprenderlo al meglio bisogna esaminare il suo tradizionale assetto normativo, con occhio rivolto non solo a quanto dispo- sto nell’ordinamento interno, ma anche ai suggerimenti provenienti dall’ambito comunitario e dalle convenzioni internazionali. La prima vera legge italiana sul diritto d’autore risale al 1865 (poi tradotta nel Testo unico del 19 settembre 1881 n. 1012), e restò in vigore fino al 1925. Essa — al pari delle varie leggi degli Stati italiani preunitari che l’avevano preceduta — s’ispirava totalmente al modello francese — a sua volta fondato sui principi liberisti del Codice napoleonico — al fine di elaborare una nozione di proprietà intellettuale trasmissibile agli eredi, avente gli stessi caratteri di assolutezza che erano attribuiti al diritto di proprietà sui beni materiali.

Quando invece si parla della nascita del diritto d’autore nello specifico ambito artistico è quasi scontato far riferimento al rapporto professionale che legò Giu- seppe Verdi (1813-1901) al suo primo editore, Giovanni Ricordi (1785-1853) — un rapporto che aiuta a spiegare il complesso legame da sempre sussistente tra arte e industria, quell’oscillazione tra creatività e imprenditorialità quale fattore in- trinseco della produzione artistica, e che pone le basi del diritto d’autore garan- tito prima in Italia e poi su scala internazionale. Fu infatti l’editore milanese a fornire quegli strumenti — che oggi diremmo propri delle cosiddette “industrie creative” — sia organizzativi sia promozionali e di intermediazione in grado di favorire l’affermazione di Verdi a livello mondiale. Il mercato musicale in cui inizialmente si trovò ad operare Ricordi era dominato dagli impresari teatrali, i quali non riconoscevano ai compositori alcun diritto d’autore ma unicamente

5. La stampa a caratteri fissi era già nota ai cinesi parecchi secoli prima della nascita di Cristo, mentre quella a caratteri mobili nacque a Magonza per opera di Johannes Gensfleisch, noto con il nome di Johannes Gutenberg, dalla cui officina uscì tra il 1454 e il 1456 il primo libro stampato, La Bibbia di Mazzarino. In Italia la stampa a caratteri mobili fu introdotta nel 1465, e la prima opera stampata fu il De oratore di Cicerone, che uscì da una stamperia di Subiaco.

un compenso alla prima cessione dello spartito. Quando l’opera doveva essere rappresentata, l’attività di trascrizione e riduzione in parti dello spartito origina- le era affidata a copisti, ai quali era sovente chiesto di riarrangiare le diverse parti sulla base delle esigenze che di volta in volta potevano manifestarsi. I copisti, poi, in cambio del loro lavoro acquisivano il diritto di comporre e commercializzare spartiti per canto e pianoforte o riduzioni varie delle opere trascritte, venduti localmente. Ciò aiuta a capire quanto fosse complicato proteggere i diritti di un autore di opere liriche: bastava infatti un musicista esperto che avesse assistito ad una rappresentazione per trascrivere e poi diffondere le arie principali. Poiché nulla di quest’attività di diffusione della musica copiata o stampata ritornava al compositore, il reddito di quest’ultimo era quindi legato unicamente alla sua capacità di scrivere opere sempre nuove.6 Giovanni Ricordi, che agiva in un si- mile scenario, riuscì nell’arco di appena due decenni a rivoluzionare il modo di intendere l’editoria musicale proprio attraverso lo sviluppo della sua attività di copista prima e di editore musicale poi.7 Il mutato sistema di produzione poneva al proprio centro l’autorialità del compositore, difendendola strenuamente: una svolta radicale, dalle conseguenze determinanti non solo sulla diffusione delle opere ma anche sull’intero sistema produttivo — incluse le strategie professio- nali e creative della figura dell’artista, finalmente non più pressato dall’esigenza di continue consegne di musiche sempre nuove.

6. Su questi aspetti si veda almeno Baia Curioni Stefano, Mercanti dell’Opera. Storie di Casa

Ricordi, Il Saggiatore, Milano, 2011, pp. 62-3.

7. Giovanni Ricordi costituì un ampio catalogo realizzato non solo mediante le opere affidate alla sua copisteria ma anche attraverso l’acquisto di archivi già esistenti. Egli ebbe l’idea ingegnosa di aggiungere una clausola ai suoi contratti con i vari teatri in virtù della quale, terminate le rappresentazioni di un’opera, tutto il materiale d’esecuzione da lui copiato sarebbe rimasto di sua proprietà. Da qui la concezione di un grande archivio a disposizione di qualsiasi teatro, e da qui la consolidazione di ciò che oggi chiamiamo” repertorio”. Quando nel 1808 Ricordi intraprese l’attività editoriale pretendeva anche la proprietà delle partiture autografe, così dando inizio ad una vera e propria industria editoriale moderna e segnando una svolta determinante: la proprietà di un’opera passò dalle mani dell’impresario a quelle dell’editore; o meglio, anche l’editore divenne di fatto un impresario. Questo passaggio fu ovviamente graduale e arrivò a piena maturazione solo nella seconda metà dell’Ottocento. La prassi precedente prevedeva invece che l’autografo rimanesse nelle mani dell’impresario committente, quindi il compositore riceveva un compenso per la composizione ma nessuna percentuale sulle successive rappresentazioni derivanti dal noleggio della composizione ad altri teatri. L’intuizione di Giovanni Ricordi di costituire un catalogo che permettesse di conservare le partiture originali e noleggiare il materiale d’esecuzione permise la graduale creazione di un commercio redditizio, e finì col tutelare i compositori da una diffusa pirateria resa ancor più dannosa dalla mancanza di una vera e propria legge a tutela del diritto d’autore (cfr. almeno Dotto Gabriele, Verdi e l’editoria, in Giuseppe Verdi: l’uomo, l’opera, il mito, a cura di Francesco Degrada, Skira, Milano, 2000, p. 97).

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Di certo oggigiorno il diritto d’autore costituisce un’area giuridica di grande rilevanza ed attualità, per via di tutte le questioni — non ancora risolte definiti- vamente — legate al fenomeno, particolarmente accentuato nell’era di internet, della globalizzazione informativa e culturale. Tuttavia è da molti decenni che le varie tecnologie mass-mediatiche quali i dischi, la radio, il cinema, la televisione, pongono all’attenzione del legislatore il problema del diritto d’autore. In Italia la Legge speciale del 22 aprile 1941 n. 633 istituì la tutela delle opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro, al cinema. A tale legge fece riferimento il Codice Civile del 1942 con ben nove articoli, questi contenenti di fatto l’intera struttura del di- ritto d’autore così come lo conosciamo ancor oggi. Sintetizzando,la tutela consi- ste nel diritto esclusivo di utilizzazione economica dell’opera, che rappresenta il diritto patrimoniale dell’autore; e consiste nel diritto morale a tutela della perso- nalità dell’autore, conservato anche dopo la cessione del diritto di utilizzazione economica.8

Proprio il diritto di utilizzazione economica è risultato essere quello di mag- gior rilevanza relativamente al mio lavoro di catalogazione del fondo “Canzone napoletana”. Tale diritto dura per tutta la vita dell’autore, e per la legislazione italiana così come per quella europea dura anche per un periodo di 70 anni suc- cessivo alla sua morte. Trascorso tale periodo l’opera cade in pubblico dominio, diventa cioè liberamente utilizzabile, quindi senza alcuna autorizzazione e senza dover corrispondere alcun compenso (ciò purché si tratti dell’opera originale e non di una sua successiva elaborazione ancora protetta). Nel caso non infre- quente — soprattutto nel genere canzone — di opere realizzate in collaborazio- ne, il termine ultimo va calcolato in riferimento alla data di decesso del coautore morto per ultimo.9 Questo vuol dire che esistono opere il cui autore principale è deceduto da oltre 70 anni ma ancora tutelate, poiché ancora tutelata è la pro- duzione del coautore — e più avanti faremo riferimento al caso emblematico di

’O sole mio.

8. Come tutte le opere dell’ingegno, anche quelle musicali devono avere carattere creativo per essere tutelate, ovvero devono essere rappresentative della personalità del loro autore — anche se questa personalità, ma in una logica preordinata dallo stesso autore, è stata filtrata dall’uso di macchine. A tal proposito Zara Algardi afferma — a mio avviso giustamente — che la creatività può consistere sia nel fatto che l’uomo ha provocato le variazioni acustiche volute sia nel fatto che di fronte a vibrazioni sonore ottenute aleatoriamente l’uomo ha operato una scelta eliminandone alcune e collegandone altre con un preciso criterio coordinatore (cfr. Algardi Zara, La tutela dell’opera dell’ingegno e il plagio, Cedam, Padova, 1978, p. 194). 9. Per le opere di Paesi extra-europei il calcolo può essere complesso, poiché occorre valutare

i rapporti giuridici internazionali tra l’Italia e il Paese di origine dell’opera comparando le rispettive legislazioni.

L’ente che si occupa di salvaguardare i diritti degli autori in Italia — come noto — è la Società Italiana Autori ed Editori (Siae), che insieme alle opere mu- sicali tutela quelle letterarie, dell’arte visiva, teatrali, radiotelevisive, cinemato- grafiche.10 L’autore che decide di aderire a questa società, di fatto delega ad essa il compito di seguire tanto in Italia quanto nel mondo il percorso delle proprie opere, di concedere licenze ed autorizzazioni, di riscuotere i relativi compensi. Un compito necessario e non semplice, un lavoro non creativo al servizio di un lavoro creativo, che però permette all’artista di dedicarsi interamente alla pro- pria attività. Inoltre la Siae — aspetto molto interessante nell’era del digitale — è una delle prime società d’autori al mondo ad aver predisposto, seppur in via sperimentale, una licenza per la tutela della musica sul web.

Proprio le nuove tecnologie hanno di recente lanciato nuove e temibili sfide al diritto d’autore, musicale e non. La rivoluzione digitale ha di necessità porta- to ad una riconsiderazione di tale diritto, che nell’inedito panorama deve tener conto non soltanto degli interessi economici, ma anche delle fondamentali que- stioni della privacy e dell’autotutela. L’era del digitale ha provocato molti cam- biamenti sia nella produzione sia nella distribuzione delle opere d’ingegno, e il web è diventato la sede dove si gioca la partita tra diffusione e tutela del sapere. Le nuove tecnologie hanno creato un diffuso malinteso consistente nella falsa convinzione che ci si possa appropriare liberamente, per via della sua natura im- materiale, di tutto ciò che circola sul web.11 E le opere musicali trovano nel web un terreno di produzione e diffusione particolarmente fertile: basti solo pensare ai social network o a you-tube.12

10. Le società degli autori sono nate nel corso dell’Ottocento per agevolare agli autori il difficile compito di seguire e sfruttare con contratti privatistici le proprie opere. La Siae è stata fondata nel 1882 a Milano come associazione privata, e nel 1941 la Legge speciale le accordò un monopolio legale dell’intermediazione per l’esercizio dei diritti di rappresentazione, esecuzione, recitazione, radiodiffusione, ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate. L’adesione alla Siae non è obbligatoria ma libera e volontaria. L’autore può teoricamente decidere di curare direttamente i rapporti con gli utilizzatori per tutelare i propri diritti, ma di fatto l’intermediazione di un’organizzazione specializzata e capillare risulta indispensabile. Dal momento in cui l’autore aderisce alla Siae, deve sempre avvalersi della sua intermediazione; pertanto, se interpellato direttamente dagli utilizzatori, dovrà indirizzarli alla Siae per il rilascio delle autorizzazioni (per approfondimenti su questi aspetti cfr. De Sanctis Vittorio-Fabiani Mario, I contratti di

diritto di autore, Giuffrè, Milano, 2007; Ercolani Stefania, Il diritto d’autore e i diritti connessi,

Giappichelli, Torino, 2004).

11. In realtà la rete dovrebbe essere da tutti considerata come un’evoluzione della società civile e di quelle che sono le sue regole, e non come un “mondo a parte” dove tutto è possibile. È chiaro che il diritto d’autore va inteso nel nuovo contesto tecnologico, che offre infinite possibilità di accesso ad un’infinità di contenuti.

12. Sui vantaggi e sui rischi tanto per chi produce informazione e sapere tanto per chi ne fruisce nell’età dell’Information Technology, cfr. Ziccardi Giovanni, Il diritto d’autore nell’era digitale.

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Con l’avvento di internet, anche istituzioni quali le biblioteche hanno svilup- pato l’esigenza di adeguarsi alle nuove tecnologie e magari sfruttarle. È il caso — cui si accennava sopra — della sezione Lucchesi Palli della Biblioteca Nazionale di Napoli, nata nel 1888 quando il conte Febo Edoardo Lucchesi Palli dei principi di Campofranco donò la sua ricca biblioteca con annesso archivio musicale allo Stato italiano. Originariamente la biblioteca era costituita da circa 30.000 volu- mi fra libretti d’opera, drammi, commedie, giornali, riviste, spartiti e partiture (di cui molti autografi), e comprendeva persino una ricca collezione di opere let- terarie giapponesi e una sezione legale fornita di memorie giuridiche. Il nucleo primitivo si è via via incrementato mediante acquisti e doni, nelle tre direzioni delle arti musicali, teatrali e cinematografiche. La preziosa raccolta manoscritta comprende documenti di notevole interesse come, ad esempio, una cospicua collezione di lettere autografe di Giuseppe Verdi e la “Raccolta Di Giacomo”, questa costituita da opere manoscritte e a stampa del poeta nonché bibliotecario della stessa Lucchesi Palli.

Come molte altre biblioteche anche la Lucchesi Palli ha dovuto periodica- mente risolvere problematiche legate alla riorganizzazione degli spazi a sua disposizione all’interno del palazzo reale borbonico dove trova sede, al fine di superare quei limiti che comprimono lo sviluppo delle collezioni in termini di aggiornamento bibliografico. Da questo punto di vista le tecnologie informati- che e multimediali hanno offerto un aiuto decisivo, permettendo infatti di rac- chiudere nello spazio ridotto di un compact disc un contenuto equivalente a molti volumi cartacei. Il processo di digitalizzazione ha interessato pure la ricca collezione del fondo “Canzone napoletana”, ossia gli innumerevoli spartiti e le molteplici riviste «Piedigrotta» del periodo compreso soprattutto tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e quelli iniziali del secolo successivo, collezione oggi con- sultabile sul posto mediante una serie di cd-rom. Al fine di un’ulteriore tutela di questo immenso patrimonioe per consentire agli utenti una più agevole fruizio- ne, al contempo adeguandosi alle nuove possibilità di diffusione del sapere of- ferte da internet, la Lucchesi Palli ha da qualche tempo avviato la pubblicazione on-line delle immagini digitali degli spartiti del fondo, oggi consultabili sul sito della Biblioteca Nazionale di Napoli (www.bnnonline.it/bibliotecadigitale) e sul portale nazionale delle risorse digitali (www.internetculturale.it).

Si tratta, tuttavia, di un work in progress — al quale, come detto, ho perso-

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