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alentineR e la connoisseurship della scultuRa

Il Valentiner, che [Previtali] considerava il più grande conoscitore della scultura italiana del Tre e Quattrocento

Luciano BeLLoSi, Previtali e la scultura

Per chi abbia avuto a che fare con gli studi sulla scultura del medioevo italiano Valentiner sarà di certo una figura familiare. Nella miriade di scritti che si dipanano a partire dalla fine degli anni Dieci sino a tutti gli anni Cinquanta del Novecento, è possibile infatti circoscrivere alcuni nuclei forti degli interessi dello studioso in questo ambito.

A ben vedere, però, questo interesse nasce da una doppia radice. Da un lato, infatti (e non lo si sottolineerà mai abbastanza), Valentiner è allievo del più grande cono- scitore di scultura allora vivente, e proprio da Bode apprese il modo di avvicinarsi alle opere ed ai loro creatori. Dall’altro, sulla spinta degli avvenimenti rivoluzionari e post-rivoluzionari, il rinnovamento artistico del presente ha fatto sì che si operas- se un proficuo e fruttuoso recupero dell’arte del passato. Sono queste le basi sulle quali cresce e matura, come una miccia lenta, la sua passione per le sculture.

Per comprendere come l’interesse per gli scultori medievali sia di fatto l’altra faccia del problema posto dalle sculture contemporanee di Kolbe o Rodin, sarà allora necessario seguire questi scritti nel loro dipanarsi, e tentando di cogliere i punti di contatto più forti. Ma sempre tenendo presenti le due facce del problema, sforzandosi di non compiere semplificazioni indebite rispetto a problemi ben altri- menti stratificati.

La passione per uno scultore come Tino di Camaino, l’interesse per la scultura pisana del Trecento, le indagini sulla scultura di Giovanni di Balduccio, sono tutti aspetti che hanno nell’esperienza espressionista un forte momento di maturazione, ma che non si spiegherebbero senza la vicinanza con Bode (e quindi con i suoi strumenti di analisi) e senza un progressivo e inesorabile affermarsi della Storia dell’arte come disciplina scientifica (e dunque dotata di uno specifico disciplinare, che pone anche problemi di linguaggio al critico che voglia dedicarvisi).

Non si potrà, però, non rilevare quanto giuste e sensate fossero molte attribu- zioni dello studioso, che spesso riuscì a cogliere la specificità di alcune opere in

modo perspicuo e, per i tempi, nuovo. Proprio sulla base di queste grandissime e riconosciute doti di connoisseur si è giocata gran parte della fortuna dei suoi studi nel corso degli anni. Ancora, però, è stato un fenomeno lento, che ha dovuto aspet- tare una ripresa (soprattutto da parte italiana) degli studi sulla scultura rispetto a quelli sulla pittura del Medioevo. All’inizio, infatti, i contributi dello studioso sono rimasti quasi isolati, raccolti da pochi studiosi (Enzo Carli, Giulia Brunetti, Carlo L. Ragghianti). Nel momento in cui gli strumenti di analisi si sono affinati e questi temi sono diventati oggetto di studio da parte di una generazione più giovane di stu- diosi (Previtali, ad esempio) i pareri, le attribuzioni, le proposte di Valentiner sono state recuperate. E, molto spesso, confermate.

1. Presupposti

Assieme alla progressiva separazione della Storia dell’arte dall’ambito delle scienze filosofiche (dall’estetica in particolare), ed alla sua affermazione come au- tonoma materia di studio nelle Università tedesche, crebbe l’attenzione verso il Medioevo, e verso uno studio dell’arte di quei secoli inteso su nuove basi ‘scienti-

fiche’1. L’interesse per le opere ed i monumenti medievali (basti pensare alle catte-

drali romaniche e gotiche) affondava infatti le sue radici in un momento ben pre- cedente a quello dell’istituzionalizzazione della disciplina, e trovava spazio nelle trattazioni generali dedicate alla Kunstgeschichte di area tedesca, o all’Histoire de l’art francese, giungendo, in piena epoca romantica, ad un vero e proprio apice di

popolarità (tanto in Germania quanto in Francia)2; e, spesso, questa riscoperta si

1 Sulla progressiva affermazione della Storia dell’arte come autonoma materia di studio negli atenei

tedeschi mi sono già soffermato nel corso di queste pagine: non riporterò pertanto le voci biblio- grafiche utili ad un inquadramento della problematica, rimandando il lettore ai precedenti capitoli.

2 Si pensi, a titolo puramente esemplificativo, a Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, pubblicato

nel 1831. Per una disamina della letteratura Otto Novecentesca, sino a Wagner, cfr. M. Dome- nichelli, Miti di una letteratura medievale. Il Nord, in E. Castelnuovo, G. Sergi (a cura di), Arti

e Storia nel Medioevo, vol. IV, Il Medioevo al passato e al presente, Torino 2004, pp. 293-325.

Non mi addentro qui in una disamina dettagliata dello sconfinato fenomeno della riscoperta ed ap- prezzamento del Medioevo. Di volta in volta si indicheranno in nota i necessari riferimenti. Resta fermo il riferimento all’ormai classico P. Frankl, The Gothic. Literary Sources and Interpretations

through Eight Centuries, Princeton 1960. A questo, punto di partenza imprescindibile, per i temi

che qui interessano si possono affiancare K. Brush, The Shaping of Art History: Wilhelm Vöge,

Adolph Goldschmidt, and the Study of Medieval Art, Cambridge-New York 1996; E. Castelnuovo, Il fantasma della Cattedrale, in E. Castelnuovo, G. Sergi (a cura di), Arti e Storia nel Medioevo…

cit., pp. 2-29, ma tutto il volume costituisce un utilissimo strumento per mettere a fuoco, secondo i casi, implicazioni ed aspetti specifici di quella che è una problematica ampia e che rivestì un ruolo centrale non solo nel dibattito storico-artistico.

inseriva in una più generale interpretazione in chiave ‘politica’ del passato3.

In tal senso fu fondamentale il clima che si definì a partire dagli anni Ottanta del XIX secolo, quando, dopo le guerre franco-prussiane, da entrambi i lati del Reno si registrò un fiorire di studi sul Medioevo artistico4: il Gotico e le sue origini, in par-

ticolare, furono il banco di prova privilegiato per la messa a punto e la definizione degli strumenti degli storici.

In questo contesto il ruolo di Riegl non può essere sottovalutato. Un filo saldo lega infatti i suoi studi e quelli della generazione successiva: senza il suo esempio, e la sua rivalutazione in sede storico-critica di quei periodi di decadenza e transizio-

ne, non si sarebbe giunti ad una piena mise en valeur dell’epoca medievale5. In un

campo d’azione che vedeva coinvolte soprattutto Francia e Germania, quest’ultima, in special modo dopo la raggiunta unità politica, riconobbe il Gotico come la vera

espressione del carattere artistico del nord Europa6. In questo senso, le polemiche

che divamparono tra August Schmarsow e Georg Dehio a proposito dello Spätgotik e della sua posizione nel più ampio panorama dell’arte tedesca, sono l’esempio

migliore di questa temperie culturale7. Emergeva con forza in questi anni, in un

costante incontro-scontro con la critica francese8, il problema che abbiamo visto

affiorare più volte nel corso di queste pagine9: la ricerca, cioè di una via tutta tede-

sca all’arte, che fosse in grado di circoscrivere la specifica ‘germanicità’ di alcuni

3 Ha richiamato opportunamente l’attenzione su questo aspetto K. Brush, The Naumburg Master:

A Chapter in the Development of Medieval Art History, in ‘Gazette des beaux-arts’, 122, 6, pp.

109-122. E cfr. anche Ead., Gothic Sculpture as a Locus for the Polemics of National Identity, in S. Forde, L. Johnson, A. V. Murray (a cura di), Concepts of National Identity in Middle Ages, Leeds 1995, pp. 189-213.

4 A questo proposito sono molto importanti, per il contesto tedesco, le considerazioni di K. Brush,

The Shaping of Art History… cit., pp. 19-53.

5 Per un quadro su questi problemi cfr. il capitolo III, par. 1, e par. 3. Per lo specifico del rapporto

tra Riegl e la rivalutazione del gotico cfr. P. Frankl, The Gothic… cit., pp. 627-638; K. Brush,

Sculptures as a Locus… cit.; Ead., The Shaping of Art History… cit., pp. 68-69 (soprattutto per

l’influenza di Riegl su Vöge). Cfr. anche S. Scarrocchia, Oltre la Storia dell’Arte. Alois Riegl vita

e opere di un protagonista della cultura viennese, Milano 2006, passim.

6 La complessità della questione necessiterebbe ben altro spazio, che ci porterebbe però troppo lon-

tano dal filo principale del discorso. Per un primo inquadramento cfr. P. Frankl, cit., pp. 650-686, cui si possono affiancare i riferimenti bibliografici dati nel capitolo precedente.

7 A questo proposito si veda adesso M. Passini, La fabrique de l’art national. Le nationalisme et les

origines de l’histoire de l’art en France et en Allemagne, 1870-1933, Parigi 2012, pp. 168-180.

Si ricordi che Valentiner ebbe modo di seguire i corsi di Schmarsow a Lipsia nel 1904-1905: cfr.

supra capitolo III, par. 2.

8 Uno sguardo d’insieme recente su queste vicende è offerto da M. Passini, La fabrique de l’art

National… cit., in particolare pp. 145-228; con l’avvertenza, però, che il testo va integrato per lo

meno con le considerazioni svolte da Kathryn Brush, per cui cfr. infra le note successive.

momenti e fenomeni artistici.

Non si deve sottovalutare, inoltre, che negli anni universitari Valentiner ebbe modo di entrare per tempo in contatto con le teorie di Karl Lamprecht, seguendo i

suoi corsi a Lipsia10. Come è noto, lo studioso fu uno dei principali promotori di una

rivalutazione del medioevo artistico, tassello di un più ampio mosaico in chiave di storia culturale; e proprio la volontà di volgere lo sguardo, in un’ampia trattazione storica, agli oggetti d’arte medioevali come testimonianze storiche tout court fu uno degli elementi che contribuirono a convogliare l’attenzione degli studiosi verso quel periodo storico.

L’alunnato presso Henry Thode deve, anche in questo caso, aver giocato un ruo- lo catalizzatore. Il suo studio su san Francesco d’Assisi (1885) si era posto come un esempio di una lettura del medioevo in certo senso complementare rispetto a quella offerta da Lamprecht: le maggiori differenze si situavano nella ricerca dell’origine dei fenomeni artistici, legati a questioni socio-culturali per quest’ultimo; originati da un profondo fermento religioso, di cui sono la traccia, per Thode. Questa lettura, venata di irrazionalismo, nondimeno offriva a Valentiner una chiave di accesso a fenomeni artistici di indubbia portata. La particolare lettura che Thode avrebbe dato in seguito anche di altri fenomeni, così legata al suo fervore wagneriano e quindi al culto per le personalità artistiche, si ritrova già nel Franz von Assisi, significativa- mente dedicato, oltre che al Poverello di Assisi, anche agli Anfänge der Kunst der Renaissance in Italien11.

All’altezza del 1906 Valentiner, inoltre, registrava prontamente il saggio di Alois

Riegl sul Ritratto di Gruppo nella pittura olandese12. Il peso che gli studi di Riegl

dovettero avere nell’evoluzione dell’approccio di Valentiner si può ricavare solo indirettamente, e tuttavia dovette essere di primaria importanza. È proprio a partire

10 Per il ruolo che Lamprecht ebbe nella nascita di una moderna storia dell’arte cfr. K. Brush, The

Cultural Historian Karl Lamprecht: Practitioner and Progenitor of Art History, in ‘Central Eu-

ropean History’, 26, 2, 1993, pp. 139-164.

11 H. Thode, Franz von Assisi und die Anfänge der Kunst der Renaissance in Italien, Berlino 1885.

A questa seguì una seconda edizione ampliata, nel 1904. Il testo è stato tradotto, a partire dalla prima edizione, solo recentemente in italiano: Id., Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del

Rinascimento in Italia, Roma 1993. Si veda la Prefazione di Luciano Bellosi (pp. IX-XX) per un

efficace inquadramento del testo nel percorso di Thode. Giustamente Bellosi notava che quello studio era scaturito dalla penna di un giovane ventottenne “di religione protestante e di convinzio- ni antipositivistiche e neoromantiche, che concepisce per l’argomento della propria vasta ricerca un entusiasmo quasi da nuovo apostolo” e, proseguiva Bellosi, “non c’è dubbio che l’entusiasmo del Thode per San Francesco è ben in sintonia col proprio tempo e con l’ambiente cui era legato”, cit., pp. XV-XVI.

dai contributi dello studioso austriaco, infatti, che si poté strutturare una vera e pro- pria messa a fuoco, che uscisse dall’ambito dell’estica e aprisse la strada per un set- tore di studi che si concentrasse sulla specificità dei fenomeni artistici medioevali. Le grandi sintesi di studiosi quali Vöge o Goldschmidt, ad esempio, o l’impresa di catalogazione di Paul Clemen, in un certo senso sono il frutto proprio di questi

presupposti13. Di pari passo si pose il problema, cogente, della definizione e della

messa a punto di un ‘linguaggio specifico’ per la descrizione delle opere, per rile- varne i caratteri formali, per coglierne le specificità (e si pensi, su tutti, al caso di Wölfflin)14.

Nel momento in cui sempre più si cercava di proporre una Kunstwissenschaft do- tata di strumenti propri, vale a dire di approntare strumenti in grado di liberare la disciplina dalle maglie dell’estetica, si comprenderà l’importanza dello studio delle opere d’arte del medioevo. Proprio in un ambito in cui, spesso, le opere non offro- no allo studioso né nomi cui ancorarle né tantomeno date, poteva essere fruttuoso l’esercizio del loro studio in base a presupposti nuovi, che aiutavano a cogliere la specificità delle opere, ad analizzare il loro stile, ad istituire nessi che permettevano di creare dei corpora.

Il caso della scultura delle cattedrali francesi e tedesche è sintomatico, ed offre uno degli esempi migliori sul modo di procedere dei giovani storici dell’arte impe- gnati ad affinare i loro strumenti di ricerca. A tale proposito si può considerare la posizione di Dehio che, in un articolo del 1890, leggeva il gruppo della Visitazio- ne della cattedrale di Bamberga, capolavoro riconosciuto del gotico tedesco, come opera d’ispirazione francese, legata alla circolazione dei maestri della cattedrale di

Reims15. Una simile proposta, al di là della posizione specifica dello studioso, che

13 V. Vöge, Die Anfänge des monumentalen Stile sim Mittelalter. Eine Untersuchung über die erste

Blütezeit der französischen Plastik, Strasburgo 1894; A. Goldschimidt, Der Albanipsalter in Hil- desheim und seine Beziehung zur simbolischen Kirchensculptur des XII. Jahrhunderts, Berlino

1895; P. Clemen, Die Kunstdenkmäler der Rheinprovinz, im Auftrage des Provinzialverbandes, Düsseldorf 1891-1919. Una particolareggiata analisi dei rapporti tra questi studiosi, legati da una comune formazione, la si ricava da K. Brush, The Shaping of Art History… cit., passim; utile è anche Ead., The Cultural Historian Karl Lamprecht… cit.

14 In questo senso mi pare che manchi una riflessione organica. Il miglior punto di partenza, anche

per la linea di ricerca di queste pagine, è costituito dagli spunti offerti dagli studi di Alina Payne: cfr. Ead., On sculptural relief: malerisch, the autonomy of artistic media and the beginning of

Baroque studies, in H. Hills (a cura di), Rethinking the Baroque, Londra 2011, pp. 38-64; Ead., Portable Ruins: the Pergamon Altar, Heinrich Wölfflin and German Art History at the fin de siècle, in ‘Res. Journal of Aesthetics and Antrhopology’, 53, 4, 2008, pp. 168-189; Ead., From Ornament to Object: Genealogies of Architectural Modernism, New Haven-Londra 2012.

15 G. Dehio, Zu den Skulpturen des Bamberger Doms, in ‘Jahrbuch der preußischen Kunstsammlun-

si segnala per la sua indipendenza rispetto alle idee espresse da molti colleghi tede- schi, è tanto più significativa se considerata come il frutto di uno studio cresciuto sui nuovi metodi della Kunstwissenschaft.

Su simili presupposti si può facilmente comprendere come il portato di questo acceso clima culturale trovasse un suo privilegiato campo d’applicazione nella pra- tica museale. È infatti all’interno dei musei – ed in particolare dei musei della nuova capitale tedesca – che sempre di più gli strumenti della moderna Kunstkennerschaft trovavano una viva applicazione: è un aspetto, questo, che rivestirà un’importanza centrale per il percorso di Valentiner e per i suoi interessi. E, ancora una volta, l’e- sempio d’eccezione di Wilhelm Bode avrebbe permesso al più giovane assistente di entrare nel vivo di un’esperienza ancora in fieri.

2. Il modello di Bode: sculture per il museo, sculture nel museo

Affermare che Wilhelm Bode è stato uno dei più grandi conoscitori di scultura sembra, oggi, quasi un’ovvietà. Al momento del suo ingresso nei ranghi dell’am- ministrazione museale di Berlino (1872) venne incaricato ufficialmente alla Anti- kensammlung, ma avrebbe svolto anche un’intensa attività per la Gemäldegalerie,

accrescendone sensibilmente le collezioni16.

Per lo studioso di Braunschweig, aveva giocato un ruolo cruciale e determinante il lavoro per la seconda edizione del Cicerone di Jacob Burckhardt, pubblicato nel 1874: una fucina difficilmente sottovalutabile, sia nel percorso dello studioso che,

più in generale, per lo sviluppo della disciplina17. Bode aveva avuto carta bianca

che Valentiner dedicherà una delle sue ultime fatiche proprio alle sculture del duomo di Bam- berga: Id., The Bamberg Rider. Studies of Medieval German Sculpture, Los Angeles 1956 (per la Visitazione, che Valentiner tendeva a slegare dall’esempio di Reims, nel tentativo di una resti- tuzione di più forte originalità, pp. 81-97). Per quanto in sostanziale ritardo rispetto al dibattito che si svolse a inizio secolo, il testo reca la traccia proprio di quella temperie culturale, con cui lo studioso dovette entrare in contatto negli anni della sua formazione.

16 Come precisò lo stesso Bode: “Berufen wurde ich an die Königlichen Museen in Berlin als As-

sistent der Gemäldegalerie oder richtiger – da 1872 kein Assistentenposten an dieser Abteilung vorhanded war – als Assistent der Antikensammlung mit dem Auftrage, auch an der Galerie den gleichen Posten zu versehen.”, Id., Fünfzig Jahre Museumsarbeit, Bielefeld-Lipsia 1922, p. 13; Id., Mein Leben, a cura di T. W. Gaehtgens e B. Paul, 2 voll., Berlino 1997, I, pp. 47-55, dove Bode descrive anche i colleghi attivi allora nei vari dipartimenti dei Königlichen Museen: si noti, per inciso, che il direttore della sezione egittologica era Richard Lepsius, il nonno materno di Valentiner (ibid., p. 48). Cfr. anche supra capitolo III, par. 4.

17 Come ha sottolineato Volker Krahn “die Mitarbeit am »Cicerone« prägte Bode als Wissenschaftler

und als Museumsmann. Sie bildete die geistige Grundlage für seine zahlreichen Veröfflentlichun- gen zur italienischen Kunst und vertiefte nicht nur seine Denkmälerkenntnis, sondern vermittelte

tanto per la revisione del testo quanto per la sua integrazione18: lo studioso ampliava

così l’altrimenti succinto testo dello storico di Basilea, e lì veniva precipitato tut- to il sapere della sua Kunstkennerschaft, facendo delle riedizioni del Cicerone un

vero “grande monumento della Kunstwissenschaft”19; e, del resto, proprio il legame

privilegiato con Burckhardt offre la migliore (e al contempo più semplice, ma non meno efficace) spiegazione della distanza incolmabile tra Bode e Giovanni Morelli. Oltre al fatto che Morelli avesse ignorato la scultura, è anche l’impianto generale della sua teoria che Bode rifiutava: alle note valutazioni di Morelli, ricavate a parti- re dai dettagli, egli opponeva la rivendicazione di una valutazione più complessiva, che contemplasse anche altri aspetti, quali il colore, la tecnica pittorica, la valuta-

zione delle ‘firme’20. Proprio l’esempio di Burckhardt offriva a Bode gli strumenti

per non rinunciare ad un impianto storico nella trattazione dell’arte italiana, un me- todo che gli avrebbe permesso non “di interpretare singole opere, ma di dar ragione delle forze motrici e delle condizioni che dominano il tutto”, secondo le parole dello stesso Burckhardt premesse ad un lavoro sulla scultura italiana rimasto inedito. Le scelte e l’organizzazione che egli aveva dato al suo manoscritto sarebbero infatti

ihm gleichzeitig ein facettenreiches Bild von der Kunst und Kultur der italienischen Renaissance, so wie es Burckhardt vorgezeichnet hatte. Bode sah in Burckhardt, der als Historiker die Kunst als etwas Gewordenes, als Teil der gesamten Kulturentwicklung ansah, seinen eigentlichen Lehrer”, Id., Wilhelm von Bode und die italienische Skulptur. Forschen-Sammeln-Präsentieren, in T. W. Gaehtgens, P.-K. Schuster (a cura di) ‘Kennerschaft’… cit., pp. 105-119, la citazione è a p. 106. Ma si veda, ad ogni modo, quanto ebbe a scrivere Bode stesso nelle sue memorie a proposito dell’importanza del lavoro al Cicerone burckhardtiano per il suo studio della scultura: Id., Mein

Leben, cit., p. 96. Bode aveva anticipato alcune aggiunte al Cicerone sin dal 1872: Id., Zusätze und Berichtigungen zu Burckhardt’s »Cicerone«, in ‘Jahrbücher für Kunstwissenschaft’, 5, 1872,

pp. 1-45. Su Bode e Burckhadrt è imprescindibile M. Seidel, Il Renaissance Museum di Berlino.

Wilhelm Bode “allievo” di Jacob Burckhardt, in Id., Arte italiana del Medioevo e del Rinasci-