3. PREPARASI ALL’INCONTRO
3.6 Un gruppo, più istituzioni, più professionalità, più ricerche
Dopo l‟imbarco del materiale scientifico e allestimento dei laboratori, alle 17.00 l‟Urania lascia il Porto di Napoli per raggiungere la prima stazione del transetto
come previsto dal programma (st. VTM5 - 40°36’43 N, 14°08’63 E). All‟arrivo, alle
20.15 circa, tutti i ricercatori, aiutati dai tecnici scientifici e alcuni membri dell‟equipaggio, si mettono all‟opera per effettuare la prima calata di rosette fino al
fondo (675 m), una retinata verticale di fitoplancton37 (da 100 m fino alla superficie)
ed una retinata verticale di zooplancton38 (da 200 m fino alla superficie). Come già
accennato, in questa prima stazione tutti i ricercatori sono coinvolti, quindi mi sembra l‟occasione giusta per riprendere le operazioni e distinguere le relazioni preesistenti da quelle che si vengono a creare per necessità lavorativa.
Intanto noto immediatamente che i due laboratori, secco e umido, hanno cambiato volto: da spogli e freddi che erano prima della partenza, ora sono caldi, arredati e soprattutto pieni di attività. Ogni singolo spazio dei locali è occupato da strumentazioni e dagli attrezzi del mestiere dei ricercatori, e dove risulta ancora libero viene subito ricoperto da giacche, scarpe, libri, etc. (foto 1-2)
37 l'insieme degli organismi autotrofi fotosintetizzanti presenti nel plancton, ovvero da quegli organismi in grado di sintetizzare
sostanza organica a partire dalle sostanze inorganiche disciolte, utilizzando la radiazione solare come fonte di energia. Il fitoplancton si trova alla base della catena alimentare nella stragrande maggioranza degli ecosistemi acquatici.
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Lo spazio si popola così di artefatti39 che danno forma e senso agli oggetti naturali
presenti nel luogo vissuto dalla comunità e contemporaneamente anche significato alle azioni degli stessi attori sociali.
L‟aumento della complessità sociale genera al contempo anche la coesistenza di luoghi diversi nello stesso spazio, laboratorio asciutto e umido, con crescente inadeguatezza degli assetti spaziali e organizzativi, accompagnati dall‟irrompere di artefatti di ogni tipo, da quelli sempre più sofisticati a quelli più semplici, capaci di rimettere in questione la stessa concezione dello spazio.
foto 1 foto 2
Non ci sono sedie per tutti, ognuno si accomoda come può: una cassa, un tavolinetto, tutto si trasforma per incanto in postazioni di fortuna per lavorare (prendere dati dai terminali della nave) o per discutere con il proprio collega per programmare le attività successive (foto 3-4).
foto 3 foto 4
39 La parola artefatto significa: fatto con arte, fatto ad arte, dove arte significa attività umana regolata da accorgimenti tecnici e
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Ferdinando si lamenta della cabina perché gli hanno assegnato la numero 6 e a Napoli questo numero porta male, rappresenta „il demonio‟ (foto 5). I colleghi che stanno ad ascoltarlo scoppiano a ridere.
foto 5
Ma c‟è anche chi sistema gli strumenti e li mette in sicurezza contro il mare grosso che potrebbe far rullare la nave e quindi danneggiarli (foto 6).
foto 6
In attesa dell‟arrivo, incontro il I Ufficiale della nave, Iaccarino, che mi dà alcune informazioni sulla sicurezza a bordo:
“…questa è una situazione da „Grande Fratello‟, siamo tutti sorvegliati… per la legge sulla security e antiterrorismo”.
Poi mi mostra un cartello - molto probabilmente ha intuito che sono alla prima missione – per riconoscere, in caso di emergenza, i vari tipi di segnali acustici trasmessi dal comandante (foto 7).
65 foto 7
Queste informazioni, devo dire, mi agitano un po‟. Il mare è in burrasca, le attrezzature vengono messe in sicurezza: mi chiedo se non vi sia qualche pericolo imminente…
A questo punto l‟ansia mi assale, ma non posso mostrarla. Mi guardo intorno per captare se i colleghi hanno i miei stessi timori; cerco quindi, più come novizia che come osservatore, di avvicinarmi ai ricercatori più esperti per essere in qualche modo rassicurata. Ma da parte loro non percepisco alcun timore. Quindi mi tranquillizzo. Non appena la nave si ferma, in balia delle onde, il ritmo delle attività è talmente frenetico che non solo dimentico le paure, ma paradossalmente diventa convulso anche il mio lavoro di osservazione.
Non so chi riprendere, perché le ricerche si svolgono contemporaneamente sia dentro i laboratori sia fuori sul ponte.
Cosa devo privilegiare per la mia ricerca? Dove devo puntare lo sguardo? Come gestire l‟osservazione? È tutto talmente veloce che riuscire a focalizzare dei momenti rappresentativi, è davvero difficile.
E poi quanto sono importanti le parole dette in quei contesti per „apprendere a guardare‟ ciò che sta accadendo?
Ogni ricercatore sa cosa deve fare, non c‟è un regista che dirige le loro operazioni: sembrano tutti degli „automi‟. Anche gli studenti sembrano conoscere bene i loro compiti e sembrano „esperti‟. Come si può vedere nell‟immagine che segue (foto 6):
66 foto 6
Maria Letizia prepara (da sola) le provette per le operazioni successive collegate al prelevamento dei campioni d‟acqua alle diverse profondità del mare.
Una competenza d‟uso dovuta molto probabilmente alla competenza professionale distribuita all‟interno della comunità di pratiche di cui fa parte Letizia. La partecipazione costituisce quindi tale processo di appropriazione, consentendo il raggiungimento della competenza nello svolgimento della specifica attività.
Secondo Rogoff (1995, pag. 154) infatti, “L‟approccio dinamico della appropriazione partecipata non definisce l‟attività cognitiva come una collezione di proprietà immagazzinate (quali pensieri, rappresentazioni, ricordi, piani) ma invece considera il pensare, il rappresentare, il ricordare, il pianificare come processi attivi che non possono essere ridotti all‟interazione con oggetti immagazzinati nella testa
dell‟individuo”.
Io, al contrario, non facendo ancora parte, operativamente parlando, della stessa comunità di pratiche, mi sento impacciata e inadeguata e non riesco a gestire la miriade di attività che si svolge intorno a me.
Faccio un respiro profondo e decido di „buttarmi‟: mi inserisco nel gruppo dei ricercatori riprendendo il più possibile movimenti, parole, atteggiamenti e pratiche che mi sembrano significativi per l‟indagine.
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