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Un pensiero gestuale Lo sguardo geofilosofico

DI UN PROCESSO ENTROPICO

3. Un pensiero gestuale Lo sguardo geofilosofico

Ciò che si palesa come necessario è il ripensamento dell’abitare umano sulla Terra, in quanto il processo di territorializzazione messo in atto ha portato ad uno sfasamento degli equilibri, conosciuti, presenti nel globo terracqueo e questi stanno, via via, sempre più influendo sull’esistenza dell’uomo e di tante specie di esseri viventi, sulla presenza di una bellezza così profonda e varia, su questo piane- ta. Questa trasformazione, forse, doveva già avvenire, ma certamente l’uomo, con la sua attività, ha influenzato non poco questo processo, forse l’ha modificato tanto da renderlo un fenomeno globale non eco-sistemico, non ecologico, ma un prodotto meramente tecnico e antropico, quindi antropo- sistemico. Forse per questo ha senso parlare di una nuova epoca e dunque di Antropocene. Proprio nel momento in cui tutto questo si rende sempre più palese, nasce e cresce l’urgenza di una svolta, di un ripensamento e di un cambiamento del paradigma culturale che ha guidato l’agire umano, soprattutto negli ultimi 250 anni. Del resto, come ha pensato e scritto Urlich Beck, il mondo attuale è incompren- sibile, anzi esso si presenta come processo in divenire che continuamente evolve attraverso l’ordine e il caos, subendo un processo metamorfico (Beck, 2017). La metamorfosi non è un processo determini-

LUOGHI ABBANDONATI, LUOGHI RITROVATI 2047

stico, non è evolutivo, non è positivo, ma nemmeno negativo, semplicemente è la messa in evidenza di una crisi e in quanto tale apertura di scenari e prospettive più o meno chiare e delineate (Beck, 2017, pp. 18-24). Proprio per questo, ritornare al pensiero e al suo legame con il territorio e la terra è urgen- te. L’uomo è un ente partecipante del mondo tra gli altri (Morton, 2010; 2013). Come ricorda Simon Springer: «we are connected to existence as equals, with none taking precedence over another» (Springer, 2016). La teoria geografia e anarchica di Springer ben si confà a questa visione, in quanto racconta l’estrema necessità di una revisione del paradigma che lega l’uomo alla terra, come l’uomo agli altri esseri e l’essere umano all’interno della propria specie.

La geofilosofia, seguendo l’ultima decodificazione di Caterina Resta (1996), si pone dunque il com- pito di riportare il pensiero alla terra, assumendo come orizzonte epocale in cui posizionare le proprie analisi quello del nichilismo. Si tratta quindi di ripensare in quest’ottica il senso dello spazio e dell’abitare umano - temi anche questi di chiaro interesse geografico - ricordando l’ammonimento nie- tzschiano circa il deserto che cresce. Si tratta, dunque, di ripensare e reinsegnare, soprattutto in chiave pedagogica il senso del buon rapporto con il mondo, ripartendo da quel processo di sradicamento (Entortung per Schmitt e Heimatlosigkeit per Heidegger) in cui l’uomo è attualmente invischiato. Pro- prio per questo la geofilosofia è attenta e studia gli equilibri geo-politici stabilitisi con l’incedere e il procedere dell’epoca moderna, da intendersi quindi come un ripensamento e una riflessione sulle di- stribuzioni degli equilibri socio-politici che si stanno delineando nel nostro tempo.

All’intero di quest’ottica globale la geofilosofia si pone come modalità d’approccio in grado di rias- sumere, senza annullare, in sé le differenze insite e presenti nelle varie forme di pensiero e le varie culture che nell’epoca della globalizzazione si incontrano e rischiano di scontrarsi. Il pensiero geofilo- sofico vuole ripartire dalla pluralità costitutiva delle località, a varia scala, presenti nel globo, dalle lo- ro formazioni e identità culturali che nel processo di capitalizzazione si stanno perdendo. Questo an- che grazie ad «un’assunzione qualitativa dello spazio, nel rispetto delle sue peculiarità storiche, lin- guistiche e geografiche. Solo esse consentono ad uno spazio di diventare luogo, nel rispetto della sua propria irriducibile fisionomia. Ciò che tiene insieme e impedisce la dispersione dei luoghi, è poi un senso di appartenenza e di identità volta per volta più vasto, incessantemente aperto dal confronto con l'altro, che tuttavia non può essere imposto dall'alto, scaturendo sempre dal comune riconosci- mento di somiglianze e differenze» (Resta, 1996).

Per fare questo la geofilosofia vede nel ripensamento radicale dell’origine un superamento delle ideologie estreme occludenti che dimenticano che ogni cosa ha un’origine molteplice e che quindi ogni origine è simbolica e che il reale è un punto d’incontro, una manifestazione spaziale del procede- re delle cose, del loro divenire (Bonesio, Resta, 2010). Per questo incentiva al pensiero simbolico e ad un recupero dell’idea del mito quale narrazione simbolica del reale ripopolando, inoltre, la metaforo- logia simbolica che Deleuze e Guattari hanno usato per spiegare le particolarità e le complessità del mondo e dell’uomo. Uno dei progetti della geofilosofia, nell’unione tra geografia e filosofia, è quello della riscoperta del senso dei luoghi, cercando di ridestare un senso di appartenenza «senza di cui si può dare solo degrado e disagio» (Bonesio, Resta, 2010). Una dimensione cioè realissima, ma «al tem- po stesso inattingibile in grado di consentire un diverso orientamento» (Resta, 1996). La geofilosofia «riconosce in ogni luogo un aspetto, un’espressione inconfondibile, un volto che ne manifesta il carat- tere singolare. Il fatto che si riconosca un’anima al paesaggio, comporta non solo l’apprezzamento del carattere intrinsecamente spirituale e simbolico di ogni sito, ma anche la consapevolezza di ogni pos- sibile manomissione e abuso nei suoi confronti, funzionale tanto ad una logica di sfruttamento mate- riale, che di sfruttamento ‚estetico‛, qual è quello turistico. Quest’ultimo, in un’epoca di estetizzazio- ne diffusa e di consumo di massa come la nostra, risulta tanto più minaccioso e distruttivo, quanto meno riesce a scorgere il paradosso dell’assunto sul quale si fonda: la fruizione garantita a tutti di una natura incontaminata» (Resta, 1996). Ogni luogo è quindi latore di identità storica, geografica, antro-

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pica o più ampiamente ecologica, e da qui è necessario ripartire per riattualizzare il rapporto tra pen- siero e terra, in luce delle trasformazioni geografiche e quindi anche filosofiche che il globo sta affron- tando.

Si vede così il profondo e stretto legame tra il concetto di metamorfosi di Beck e la prospettiva di una nuova teorizzazione del rapporto tra uomo e Terra, soprattutto nell’ottica esposta qui nella pro- spettiva geofilosofica. Proprio in questa prospettiva si vogliono inserire i luoghi abbandonati quali luoghi che incarnano le dimensioni della crisi, della metamorfosi, ma allo stesso tempo di una nuova forma di territorializzazione prospettica in grado di mostrare dinamicamente sia il passato sia il pre- sente, accennando alle ombre del futuro.