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IL “MISTERO” DI USTICA TRA FORME DI TEMATIZZAZIONE, STRUMENTALIZZAZIONI E SILENZI (1980-1986)

1.5 Una tematizzazione mancata: l'ipotesi terroristica

Il 30 giugno 1980, il Corriere della Sera pubblicò in prima pagina un editoriale a firma dello storico Leo Valiani – l'unico editoriale che il quotidiano milanese dedicò alla vicenda di Ustica in sei anni – che invitava a considerare la tragedia di Ustica, che aveva avuto luogo appena due giorni prima, alla stregua di una “normale” disgrazia aerea, e a non lasciarsi “paralizzare dai sospetti e dalle insinuazioni” che continuavano a “circolare”: “Il sospetto: questo sottile veleno i terroristi sono riusciti a diffonderlo. (…) Il loro tentativo di incutere timore e, parallelamente, di reclutare gli immaturi che si esaltano all’idea di ritrovarsi tra vendicatori temuti da tutti, qualche successo l’hanno però riportato”83

. Di fronte alla possibilità che, come un “sottile veleno”, il sospetto di “strage colposa o dolosa” si accreditasse presso l'opinione pubblica, Valiani attribuiva alle autorità il compito di “ripristinare la credibilità dei pubblici poteri”, ovvero dello Stato, negando al terrorismo la capacità di distorcere la realtà, auspicando una sorta di “fermezza” nel giudizio. Effettivamente, all'epoca, l'impressione che il DC-9 fosse esploso a causa di un attentato terroristico avrebbe legittimamente potuto fare breccia nell'immaginario collettivo. Né sarebbe parso esagerato che la stampa avanzasse tale ipotesi, non solo dal momento che essa era realmente concreta, ma anche perché nel 1980 il paese stava assistendo a una violenta impennata senza precedenti del terrorismo interno, sia rosso che nero. La tragica conclusione del rapimento di Aldo Moro, unito al potenziamento delle forze armate e alla legge del febbraio 1980 che conferiva rilevanza giuridica al

“pentimento” dei terroristi, avevano portato nello stesso anno alle prime significative sconfitte del terrorismo di sinistra, ma proprio perché si trovavano in un momento di fragilità, i gruppi armati intrapresero un gran numero di azioni violente. Il 1980 fu il più sanguinoso dei cosiddetti “anni di piombo”, con un lungo elenco di omicidi. Caddero sotto colpi di arma da fuoco numerosi carabinieri, ufficiali di polizia, dirigenti e funzionari, docenti universitari, tra cui il presidente del Csm Vittorio Bachelet, giudici, procuratori, pubblici ministeri, esponenti politici delle amministrazioni locali, e poi il giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi. Al triste bilancio bisognerà sommare, in seguito, gli 85 morti e i 177 feriti della strage del 2 agosto alla stazione di Bologna. Non meno cruento fu il terrorismo internazionale di cui l'Italia in quel periodo fu teatro: il paese divenne una sorta di “campo di battaglia” per gruppi terroristici stranieri in lotta contro i governi della loro madrepatria, tra loro o contro obiettivi americani, israeliani ed europei. Diversi attentati vennero rivendicati da gruppi nazionalisti armeni – tra febbraio e marzo, a Roma, esplosero delle bombe davanti alle sedi di compagnie aeree israeliana, svizzera, tedesca e turca, provocando la morte di due persone, e altre esplosioni ebbero luogo nel mese di novembre. Il 4 giugno, inoltre, un commando islamico assaltò l'ambasciata irachena a Roma: durante l'azione rimasero uccise due persone. Vi fu in seguito una serie di attentati di matrice internazionale, che fortunatamente non provocò morti ma che comunque contribuì a segnare il clima di un'epoca84

. Spesso, le azioni terroristiche internazionali avvennero in aeroporti: tuttavia, l'ipotesi che anche il DC-9 dell'Itavia potesse essere rimasto coinvolto, sia pure involontariamente, in un'azione di quel tipo non fu mai avanzata né dalla stampa né da rappresentanti politici.

A posteriori, sembrerebbe infatti che l'auspicio di Leo Valiani si sia concretizzato. Sebbene il disastro di Ustica sia stato sin dall'inizio contraddistinto da aggettivi quale “strano” e “misterioso”, l'ipotesi che l'aereo fosse esploso a causa di un attentato terroristico non fece breccia nell'opinione pubblica. Eppure, che la causa dell'esplosione fosse da attribuire a una deflagrazione interna all'aereo – in poche parole, a una bomba – restò sempre una delle ipotesi ufficialmente tenute in considerazione dalla commissione d'inchiesta ministeriale e dalla magistratura, accanto a quella, che invece ricevette maggiore attenzione dalla stampa, della collisione con un missile.

Non erano nemmeno mancati alcuni elementi che avrebbero potuto contribuire a diffondere quel

84 L'attentato a Milano contro un magazzino della Mondadori, società editrice della rivista Panorama che, secondo gli

autori dell'atto appartenenti all'“Organizzazione Armena per la Lotta Armata”, aveva distorto le dichiarazioni di un leader della resistenza armena; un attentato a danno degli uffici delle linee aeree turche a Milano, rivendicato dalla stessa organizzazione armena; un attentato contro gli uffici dell'Alitalia a Madrid, rivendicato dall'“Esercito Segreto per la Liberazione dell'Armenia”; un attentato alla nave libica Dat Asswari, ormeggiata per lavori a Genova, rivendicato dal “Fronte Nazionalista Maltese”.

“sottile veleno del sospetto” da cui Leo Valiani aveva messo in guardia. Il giorno successivo alla tragedia aerea, vi fu una rivendicazione telefonica, pervenuta alla redazione romana del Corriere della Sera, a nome del gruppo di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), secondo cui sull'aereo precipitato si sarebbe trovato il “camerata” Marco Affatigato per una non meglio precisata “missione”85

. Il giorno seguente la prima pagina del Corriere della Sera prospettò lo scenario dell'attentato, pubblicando un sommario in grassetto “I NAR annunciano che a bordo c'era uno dei loro (aveva una bomba?)”, accanto al titolo di apertura che citava: “Il tragico “giallo” del DC-9 precipitato: l'unica ipotesi per ora è l'esplosione”86

. Il giorno stesso, però, la notizia del coinvolgimento di Affatigato si rivelò falsa. L'infondatezza della rivendicazione, unita alle notizie già in circolo relative al possibile coinvolgimento di aerei militari, adombrarono l'ipotesi dell'attentato. A distanza di poco più di un mese, tuttavia, essa riemerse nell'ambito delle indagini successive alla strage del 2 agosto alla stazione di Bologna, quando il nome del militante dei NAR Affatigato comparì nella lista dei possibili sospettati per il gravissimo attentato. Il 19 agosto i magistrati inquirenti delle due inchieste, di Ustica e di Bologna, si incontrarono per valutare le “singolari coincidenze” tra i due tragici eventi: oltre al nome di Affatigato87

, anche il coinvolgimento della città di Bologna, da cui il DC-9 dell'Itavia era decollato prima di esplodere. Il Corriere della Sera diede risalto alle connessioni esistenti tra la strage bolognese e il disastro di Ustica, pubblicando la notizia dell'intreccio delle due inchieste in prima pagina88. Una settimana più tardi, il giornale milanese pubblicò la notizia dell'esistenza di un altro legame tra le due stragi, ovvero il fatto che l’organizzazione criminale di estrema destra Fronte Nazionale Rivoluzionario (FNR) stesse progettando di dirottare un volo internazionale per chiedere la liberazione di Franco

85 Queste le parole esatte della telefonata pervenuta al Corriere della Sera: “Qui i NAR. Informiamo che nell’aereo

caduto sulla rotta Bologna-Palermo si trovava un nostro camerata, Marco Affatigato. Era sotto falso nome. Doveva compiere una missione a Palermo. Per riconoscerlo aveva al polso un “Baume Mercier”. Interrompiamo la comunicazione. Grazie”. Cfr. «Corriere della Sera» del 29 giugno 1980

86 «Corriere della Sera», 29 giugno 1980, p. 1

87 Sul punto, il provvedimento conclusivo dell’istruzione per la strage di Bologna così affermava: “L’ipotesi di un

coinvolgimento dell’Affatigato si rilevò ben presto priva di fondamento. Ciò non di meno, servì a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal sospetto di responsabilità militari nella distruzione dell’aereo. Solo qualche tempo dopo fu possibile comprendere che l’operazione, con ogni probabilità era stata condotta dal SISMI al fine di disorientare l’opinione pubblica e mascherare la delittuosa imprudenza dei reparti impiegati in una esercitazione militare”. Cfr. Ordinanza di rinvio a giudizio del giudice istruttore Rosario Priore sul caso Ustica, p. 4597

88 Monti, Vittorio, Strage di Bologna e DC-9 esploso nel cielo di Ustica. Le inchieste si intrecciano, in «Corriere della

Freda in cambio della vita dei passeggeri89

. Le notizie di questi possibili legami tra i due tragici eventi arricchirono di elementi l'aura di mistero e di sospetto che andava formandosi intorno al disastro di Ustica, senza avere tuttavia l'effetto di accreditare l'ipotesi dell'attentato terroristico come probabile causa di quella misteriosa esplosione. Molti anni più tardi, l'ipotesi di un legame tra le due stragi venne autorevolmente sostenuta dall'allora sottosegretario agli Esteri Giuseppe Zamberletti, che nel 1995 pubblicò anche un libro sull'argomento90

. Ma per i primi anni, oltre alla “falsa pista” del cedimento strutturale nelle prime settimane, fu piuttosto l'ipotesi della collisione, prima con un altro aereo e poi con un missile, a dominare gli orientamenti della stampa.

Nonostante, dunque, l'ipotesi della bomba fosse ufficialmente rimasta nel novero dei possibili scenari contemplati dall'autorità giudiziaria e dalla commissione d'inchiesta ministeriale, essa non acquisì credibilità sulle pagine dei giornali. Così, a soli tre giorni dalla tragedia, la Repubblica scrisse che l'ipotesi del sabotaggio sembrava essere “definitivamente esclusa”91

. Come si è visto, il quotidiano diretto da Eugenio Scalfari si impegnò all'inizio in una campagna di discredito dell'Itavia che individuava nel cedimento delle strutture la causa della tragedia aerea. Una volta che la compagnia fu costretta a sospendere il servizio, per dichiarare in seguito il fallimento, la Repubblica passò a sostenere l'ipotesi della collisione con un missile. Nonostante il contesto potesse indurre legittimamente a ipotizzare un atto di terrorismo, questa eventualità restò sullo sfondo, senza mai arrivare, per lo meno in questa fase, non solo a concretizzarsi, ma nemmeno a imporsi come ipotesi credibile presso l'opinione pubblica. Le narrative dominanti intorno alle cause del disastro si polarizzarono piuttosto intorno alle due ipotesi del cedimento strutturale e del missile partito nell'ambito di manovre militari aeree. Ciò valse soprattutto nel caso di due quotidiani a larga diffusione di orientamento moderato come il Corriere della Sera e La Stampa.

89 Monti, Vittorio, Bologna: nell’inchiesta torna il DC-9 dell’Itavia, in «Corriere della Sera», 26 agosto 1980, p. 6 90 Cfr. Zamberletti, Giuseppe, La minaccia e la vendetta. Ustica e Bologna: un filo tra due stragi, Milano, Franco

Angeli, 1995. Nel libro, Zamberletti ipotizza un collegamento tra la strage di Ustica e quella di Bologna, mettendo i due eventi in relazione con l'accordo che l'Italia siglò con il governo di Malta il giorno stesso dell'esplosione alla stazione del capoluogo emiliano. L'accordo, che Zamberletti stesso portò a termine in qualità di sottosegretario agli Esteri del governo Cossiga, garantiva a La Valletta neutralità e autonomia, sottraendo di fatto l'isola alla sfera di influenza libica. Secondo Zamberletti l'accordo Italia-Malta fu preceduto da “minacciosi avvertimenti” da parte di Tripoli, tra cui – ipotizza l'ex politico democristiano – potrebbe esserci stata la strage di Ustica.