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Le unioni di comuni nell’ambito dei processi di riforma territoriale

CAPITOLO 1 – QUADRO TEORICO DELLA RICERCA

5. I L GOVERNO LOCALE COME CAMPO D ’ INDAGINE

5.3 Le unioni di comuni nell’ambito dei processi di riforma territoriale

Studiare le unioni di comuni nell’ambito del governo locale, come anticipato in precedenza, assume una rilevanza particolare negli ultimi anni. Infatti, la loro incentivazione in quanto possibile strumento di risoluzione dei problemi connessi alla frammentazione comunale, rientra in un più generale processo che sta interessando il governo locale a livello europeo. Stiamo parlando delle c.d. riforme di riordino territoriale e, più in particolare, dei processi di rescaling che stanno interessando i comuni e gli altri livelli di governo sub-statali.

In realtà, l’utilizzo del termine riordino può apparire discutibile poiché non solo presuppone che l’oggetto su cui si va a intervenire sia disordinato, ma anche che l’effetto dell’azione intrapresa sia quello di ottenere l’ordine. Entrambi questi presupposti, soprattutto con riferimento alle politiche oggetto del presente studio, non è detto che ci siano. Tuttavia, il termine è ormai diffusamente utilizzato sia nel dibattito scientifico che in quello pubblico. In maniera assolutamente neutra, con esso si intende una nuova configurazione delle pre- esistenti regole e dinamiche nelle relazioni tra istituzioni e attori territoriali, nonché – in alcuni casi – degli stessi confini.

Ed è proprio quello che sta accadendo nel caso italiano, dove le politiche messe in atto a partire dal 1990, hanno ridefinito le relazioni tra i vari livelli di governo del territorio. Tale

C APITO LO 1 – QU AD R O TE ORICO D ELLA R ICERC A 63 processo ha portato, tra le altre cose e per le ragioni già ampiamente menzionate in precedenza, alla necessità di individuare enti sovracomunali in cui gli amministratori dei singoli comuni agiscano nel loro ruolo di decision maker. Rientrano a pieno titolo in questa categoria le unioni di comuni, le quali rappresentano un’arena nuova in cui vengono a confrontarsi attori e istituzioni che prima agivano in maniera singola.

Le riforme di riordino territoriale tutt’ora in essere anche in Italia (ma non solo, come avremo modo di vedere) trovano una spinta, soprattutto nella fase attuale, principalmente a partire da tre fattori. Innanzitutto, il processo di integrazione europea che – tra le altre cose – ha determinato un maggiore coinvolgimento degli enti locali, con un importante ruolo nell’ambito policy making comunitario, sia nella fase ascendente che in quella discendente (Marks et al. 1996, Jeffery 2000). Tale processo, inquadrabile nel periodo tra gli anni Settanta e Duemila, ha fatto sì che i governi locali in Europa si siano riposizionati, rafforzandosi, nelle relazioni con il proprio Stato centrale (Bobbio 2002, Dente 1997). In anni più recenti, però, si assiste a dinamiche diametralmente diverse. In particolare, gli effetti della crisi globale hanno interrotto il paradigma del decentramento e quasi ovunque si assiste a tendenze volte alla ri- centralizzazione di funzioni e poteri (Bolgherini 2015). Dunque, un nuovo spostamento, questa volta verso il centro, che ha portato come conseguenza il dover ripensare e riordinare nuovamente le relazioni esistenti tra livelli di governo, in un continuo processo di adattamento.

Una seconda spinta al riordino deriva dall’approccio alla gestione della cosa pubblica. Analogamente alle dinamiche di decentramento e accentramento, infatti, per quanto attiene alla gestione amministrativa si assiste all’ascesa e alla caduta dell’approccio del New Public Management (NPM) (Hood 1991). Infatti, negli stessi anni in cui imperava il paradigma del decentramento, la scena delle gestione amministrativa era dominata dall’approccio del NPM, dalla dipartimentalizzazione e dalla frammentazione nella gestione dei servizi pubblici. In anni recenti questo paradigma si è affievolito e sono emersi molti dei suoi limiti, al punto che si parla da tempo di post-NPM (Christensen 2012). Ciò a determinato una passaggio a modelli di ri-centralizzazione e di joined-up government (Pollitt 2003), vale a dire di condivisione e accorpamento delle funzioni amministrative e di governo (Filmreite, Christensen e Lægreid 2013). Anche questo spostamento, come il precedente, è avvenuto negli anni della crisi globale. Accanto a una ripresa di un ruolo preminente nelle relazioni centro-periferia, i governi centrali sono stati anche spinti dalla crisi a varare una serie di provvedimenti orientati

C APITO LO 1 – QU AD R O TE ORICO D ELLA R ICERC A 64 fortemente alla riduzione della spesa pubblica. Ri-centralizzazione ed economicità sembrano prevalere negli approcci recenti di riforma del settore pubblico, ed entrambi questi principi hanno imposto di ripensare le relazioni tra enti e poteri. Da questo punto di vista, provvedimenti volti a accorpare le unità territoriali nei vari settori della pubblica amministrazione sono ormai particolarmente diffusi, sia in Italia (Bolgherini e Dallara 2016) che all’estero (Peters 2015, Kuhlmann e Bouckaert 2016, Kickert et al. 2015).

Infine, oltre alle trasformazioni di cui si è parlato poco sopra, anche la questione dei servizi erogati dalle istituzioni locali, sia in una prospettiva di qualità che di quantità, diventa centrale per valutare quando e come ripensare gli assetti esistenti di relazione e di potere tra livelli di governo. Siamo, infatti, in epoca di sovraccarico delle democrazie (Flinders 2012), in cui – da una parte – è aumentata l’aspettativa nei confronti della politica e dei governi e – dall’altra - si è consolidata una interdipendenza di politiche, persone, livelli di amministrazione e di governo e sfere di attività. A ciò si aggiunga la crisi di bilancio, iniziata ormai da alcuni decenni (Batley e Stoker 1991) e acuitasi con la recente crisi globale, e il conseguente progressivo ridimensionamento delle risorse a disposizione degli enti pubblici. In questo contesto, la questione di chi ha il potere su che cosa – il cuore delle politiche costituenti come quella di riordino territoriale – diventa dirimente proprio per poter rispondere alle domande dei cittadini rispetto ai servizi pubblici e alla qualità degli stessi.

Questi, dunque, i maggiori fattori (sui quali si ritornerà anche nel capitolo 2) che hanno contribuito a portare l’esigenza del riordino territoriale nell’agenda dei governi.

Nel caso italiano, il perseguimento di nuove configurazioni di assetti e confini (dunque, del riordino) si è palesato sotto forma di quello che si definisce rescaling, ovvero un cambiamento di scala degli enti locali coinvolti.

Il concetto, nato nell’ambito delle scienze geografiche, urbanistiche e dello spatial planning, e dell’economia politica, è poi approdato alla scienza politica (Brenner 2009, Keating 1998). Rispetto ai processi in atto in Italia, più che di rescaling tout court (che, in generale, si riferisce alla migrazione di sistemi economici, sociali, politici e di regolazione a nuovi livelli spaziali, sopra, sotto e traversali allo Stato-nazione (Swyngedouw 2004)), occorre parlare di rescaling istituzionale riferendosi, in particolare, ai cambiamenti che avvengono nelle strutture territoriali di governo. Inoltre, rispetto all’oggetto di studio del presente lavoro, occorre parlare di up-scaling, ovvero di un aumento delle dimensioni e,

C APITO LO 1 – QU AD R O TE ORICO D ELLA R ICERC A 65 quindi, del territorio quale ambito di intervento. Ad ogni modo, l’aumento delle dimensioni non comporta necessariamente una variazione definitiva dei confini amministrativi e onnicomprensiva rispetto alle funzioni gestite (come nel caso delle fusioni), ma può determinare anche solo un riassetto temporaneo del territorio e/o limitato alla gestione di determinate funzioni (come nel caso delle unioni e delle altre forme di intercomunalità).

I periodi di crisi possono accelerare i processi di rescaling. Ciò, principalmente, a causa di due ragioni. In primo luogo, in tempo di crisi le soluzioni che portano, almeno teoricamente, economie di scala e risparmi sono ovviamente guardate con favore. In secondo luogo, in anni di crisi economica gli enti locali, soprattutto quelli di piccole dimensioni hanno risentito molto dei vincoli di bilancio, dei tagli lineari e della diminuzione dei trasferimenti dal centro alla periferia, misure messe in atto quasi dappertutto (Randma-Liiv et al. 2016) e che hanno spesso fortemente minato la capacità degli enti locali di fornire servizi ai propri cittadini e di svolgere pienamente le funzioni alle quali sono preposti.

L’obiettivo di permettere di adempiere a compiti e funzioni è una delle ragioni per le quali si tende a riscalare verso l’alto le dimensioni degli enti locali, soprattutto quelle dei comuni. Il cambiamento di scala verso alto (upscaling), nei termini istituzionali e territoriali, è definito anche come accorpamento (consolidation, nei termini della letteratura internazionale).

Politiche e riforme di accorpamento territoriale si sono dunque moltiplicate in quest’ultimo decennio (Swianiewicz 2010), anche se processi di up-scaling sono avvenuti anche in passato, soprattutto, nel Nord Europa (paesi scandinavi, Germania, Regno Unito) (Council of Europe 1988, Swianiewicz 2002). L’obiettivo dell’aumento di scala è stato perseguito quasi sempre attraverso misure di riordino che implicavano l’utilizzo, più o meno volontario, di forme di cooperazione e di fusioni di comuni. Unioni e fusioni di comuni sono in altre parole due classici strumenti di upscaling territoriale tramite accorpamento.

Siamo, dunque, nell’ambito delle strategie di deframmentazione, vale a dire di riduzione della frammentazione del tessuto comunale a seguito della quale, sostanzialmente, si cerca di incidere sul numero e le dimensioni dei comuni, nonché sull’adeguatezza di questi ultimi rispetto ai servizi erogati. Non si tratta, ad ogni modo, di un fenomeno nuovo poiché, a più riprese nel corso dei decenni (come avremo modo di vedere nel dettaglio nel capitolo 2), si sono registrati in Europa tentativi in direzione della deframmentazione. Negli anni ‘50 furono i paesi scandinavi a introdurre riforme di accorpamento di comuni tramite fusione, poi, negli anni ’60 e ’70 e in seguito ’80, riforme di riordino territoriale tese a diminuire la

C APITO LO 1 – QU AD R O TE ORICO D ELLA R ICERC A 66 frammentazione municipale si ebbero in quasi tutti i paesi europei (Spalla 2006, Council of Europe 1988), con poche eccezioni e con risultati diversi.

In conclusione, la questione della cosiddetta frammentazione municipale non è nuova. Piuttosto, in epoca di crisi, riforme tendenti all’accorpamento degli enti locali sono state ri- avviate e hanno trovato nuovo vigore in molti paesi europei, Italia compresa, soprattutto per le ragioni di contenimento dei costi di cui si è detto.

Per tali ragioni, dunque, lo studio di dinamiche connesse alle unioni di comuni e alla loro diffusione riveste di particolare importanza, posto che le stesse si inseriscono – come visto - in un più ampio contesto di riordino territoriale, guidato da un criterio di rescaling, con l’obiettivo principale della deframmentazione del tessuto comunale italiano.

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