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Francesco Saverio marini1

Avvocato cassazionista

1. Il principio unitario e le sue molteplici eccezioni

insegnava Salvatore Satta che la problematica della giurisdizione non può essere trascurata da chiunque studi il diritto e in qualsivoglia set- tore, atteso che il problema della giurisdizione costituisce il presupposto di tutti gli altri problemi2. Eppure, se si passa in rassegna la dottrina costi- tuzionalistica sulla pluralità delle giurisdizioni, il tema può apparire ne- gletto o colpevolmente sottovalutato3. tale apparente disinteresse potreb- be trovare una spiegazione nel carattere ambiguo della relativa normativa costituzionale, che lascia spazi interpretativi molto ampi e di conseguenza espone qualsiasi ricostruzione a rilievi critici.

Ad una prima lettura, invero, l’art. 102 Cost. parrebbe affermare chiara- mente il principio dell’unità della giurisdizione: esso dispone che la funzio- ne giurisdizionale “è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario” e vieta l’istituzione di giudici straordi- nari e speciali. Parole che trovano la propria eco nei lavori dell’Assemblea costituente e, in particolare, nel solenne discorso pronunciato da Meuccio Ruini nell’ultima seduta dell’organo. in quell’occasione, infatti, il Presidente ebbe a rilevare che “per quanto concerne la magistratura, vi possono essere rilievi e riserve; ma in sostanza si è fatto un passo decisivo, il solo possibile, non ancora raggiunto in molti altri paesi, verso la unicità della giurisdizione, con l’obbligo di trasformare in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari le attuali giurisdizionali speciali, esclusi soltanto per necessità im- prescindibili delle loro funzioni il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti”4.

Sempre nello stesso senso si potrebbe invocare la dottrina prevalente, a partire da Cannada Bartoli5, nonché la giurisprudenza costituzionale, nella quale, sin dalla sentenza n. 41 del 1957, la Corte, pur non discono- scendo l’esistenza di deroghe, ha ravvisato una netta opzione da parte del Costituente per il principio unitario6.

Se, tuttavia, si considerano l’ampiezza e l’entità delle deroghe a tale principio, ci si potrebbe convincere, con Spagna Musso7, che le menzio- nate disposizioni costituzionali contenute nell’art. 102 siano solo formu- le vuote e prive di significato o, al più, delle utopiche aspirazioni di una parte dei Costituenti. in altri termini, ci si chiede come possa predicarsi il principio unitario quando poi la stessa Costituzione prevede o comunque consente, in ordine sparso e senza pretesa di completezza: la giurisdizione amministrativa, la giurisdizione contabile, la giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche, le giurisdizioni speciali in materia eletto- rale, la giurisdizione tributaria, il Commissario degli usi civici, la Sezione disciplinare del CSM, la giurisdizione arbitrale, la giurisdizione militare, la giurisdizione costituzionale, la giurisdizione comunitaria e la giurisdi- zione internazionale. insomma, le eccezioni sono così numerose e signifi- cative da rendere legittimo il dubbio che esse fondino una regola opposta, quella cioè del pluralismo della giurisdizione.

Altrettanto sostenibili sono, poi, le posizioni “intermedie”, come quel- la di Morelli8, il quale vede nell’ordinamento costituzionale un equilibrato tentativo di fusione dei due opposti principi dell’unità e della pluralità del- la giurisdizione. Da tale presupposto muovono le opzioni interpretative che hanno visto nella disciplina costituzionale della giurisdizione “l’unità nella pluralità” o “la pluralità nell’unità”. tuttavia, dietro queste formule suggestive è evidente il rischio di risolvere il problema esegetico attraverso un gioco di parole, più o meno elaborato.

Sembra corretto ritenere, piuttosto, che rispetto ad un testo equivoco, vani, se non preconcetti, finiscano per essere i tentativi di trarre in via di astrazione generalizzatrice un principio – unitario o pluralistico che sia – condizionante l’intera attività giurisdizionale. Più stimolante è indagare come quelle norme si siano inverate nella prassi, quali siano le esigenze che quei principi mirano a soddisfare e, alla luce di ciò, riflettere sulle possibili evoluzioni della disciplina costituzionale.

Per provare a rispondere a questi interrogativi, non si può però dare per scontato il presupposto del ragionamento: ossia, l’attuale nozione di giurisdizione.

2. Cenni sulla nozione di giurisdizione

Ovviamente, la definizione non è agevole, né è questione che possa trattarsi incidentalmente; tuttavia, su un punto pare sussistere una gene- rale condivisione: la rigida tripartizione elaborata dal Montesquieu dei poteri pubblici, che pure ha rappresentato storicamente il presupposto logico dell’introduzione dello Stato di diritto, non rappresenta più un me- todo adeguato di classificazione dei poteri degli Stati contemporanei. La complessità, funzionale e organizzativa, di questi ultimi ha imposto una differenziazione e frammentazione dei poteri pubblici, che si è tradotta nell’introduzione di una molteplicità di organi che, anzitutto per legit- timazione e funzioni, non si prestano ad essere inquadrati nella catego- rizzazione del Montesquieu. Basti pensare alle Corti costituzionali o agli organi di “autogoverno” della magistratura o alle autorità indipendenti (l’Antitrust, la Consob, ecc.).

Anche muovendo da questo presupposto, in sede teoretica si riscon- trano una molteplicità di tentativi definitori che hanno fatto leva preva- lentemente sullo scopo della giurisdizione: ossia, l’attuazione del diritto che si realizza attraverso la composizione delle liti e l’esercizio del potere sanzionatorio. Sempre sotto il profilo funzionale, vi è, poi, chi ha ravvi- sato il proprium della giurisdizione nel procedimento logico che precede e forma l’atto che ne è espressione: la legislazione sarebbe libera nel fine, l’amministrazione consisterebbe in un’attività discrezionale, mentre la giurisdizione rappresenterebbe un’attività vincolata. Altre volte, ancora, si è invece individuata la funzione attraverso le caratteristiche dell’orga- no che la esercita: si è così posto in rilievo la garanzia di indipendenza del titolare di essa rispetto alle parti del giudizio e agli altri organi dello Stato.

Per ciò che qui interessa, tuttavia, il problema va analizzato e risolto non in una prospettiva di teoria generale, ma nel più circoscritto ambito

del diritto positivo italiano. Occorre, cioè, cercare di capire il significa- to del termine nella Costituzione italiana. E, in un’apparente inversione logica del ragionamento, la risposta non può che trarsi proprio dall’in- sieme delle norme costituzionali che regolano tale funzione. in tal modo si può arrivare alla conclusione, che si ritrova nelle pagine di Salvatore Satta9, che gli accennati tentativi definitori sono tutti corretti e tutti par- ziali, nel senso che colgono e si concentrano su un aspetto di una funzio- ne poliedrica. Così la soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, comma 2), la terzietà del giudice (art. 111, comma 2) e la ricorribilità in Cassazione per violazione di legge (art. 111, comma 7) sono norme riconducibili alla definizione di Mortara della funzione giurisdizionale come “difesa del diritto obiettivo, per virtù della quale, ottengono prote- zione le facoltà soggettive del medesimo conformi”10. La definizione di Carnelutti11 della giurisdizione come attività di composizione delle liti sembra riecheggiare nel principio del contraddittorio (art. 111, commi 2, 4 e 5) o nel potere di tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri dirit- ti e interessi legittimi (art. 24). La tesi di Chiovenda12 che vede nella giu- risdizione la sostituzione di un’attività pubblica ad un’attività altrui pare, poi, trovare conferma nei profili organici dell’ordinamento giudiziario (artt. 102, 104, 105 e 106), così come nel potere dei giudici di disporre della polizia giudiziaria (art. 109). Ma altrettanti elementi sintomatici della funzione sono la necessità della motivazione (art. 111, comma 6), le garanzie di indipendenza (art. 101, comma 2; art. 104, comma 1; art. 107), la regola del concorso per l’accesso alla titolarità dell’organo (art. 106, comma 1), le garanzie del diritto di difesa (art. 111, comma 3), la definitività del giudicato (presupposta dall’art. 111, commi 7 e 8), il po- tere di sollevare le questioni di costituzionalità (art. 137; art. 1, l. cost. n. 1 del 1948) o di sollevare le analoghe questioni di fronte agli organi di giustizia dell’unione Europea (art. 11 in combinato disposto con l’art. 267 tFuE).

Anzi, proprio la Corte di Giustizia13 ha avuto più volte occasione di interrogarsi sulla nozione di giudice nazionale ai sensi dell’art. 267 tFuE e ha enunciato, a questo proposito, una serie di requisiti che l’organo in questione deve presentare, quali la sua origine legale, il suo carattere per- manente, l’obbligatorietà della giurisdizione, la natura contraddittoria del

procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e, last but

not least, l’indipendenza dell’organo.

Sotto quest’ultimo profilo si è fatto leva, anzitutto, sull’esistenza di di- sposizioni relative alla composizione dell’organo e alla nomina, le quali si devono fondare, di regola, sull’accertamento delle capacità tecnico-at- titudinali del soggetto, attraverso la modalità del concorso e non quel- la dell’elezione o della scelta rimesse ad organi appartenenti al circuito democratico-rappresentativo. Rilevante è anche la durata delle funzioni: è intuitivo, infatti, che il rapporto a tempo in-

determinato, a vita o fino al raggiungimento dell’età pensionabile, rappresenti una garan- zia di indipendenza, escludendo radicalmen- te forme anche indirette o velate di respon- sabilità politica, connesse al rinnovo della nomina o al conseguimento di incarichi in altri organi.

Nella stessa prospettiva possono inqua- drarsi i casi di astensione, ricusazione e deca-

denza: ad esempio, non sarebbe compatibile con la natura giurisdizionale la previsione dello spoils system, il quale implica un rapporto fiduciario con il nominante e mina l’esclusiva soggezione alla legge del giudice.

Sulla base di analoghi fattori – e in particolare della posizione super

partes dell’organo giudicante e della definitività del giudicato – la Corte

costituzionale italiana è stata chiamata sia a giudicare in ordine alla le- gittimazione degli organi a sollevare le questioni di costituzionalità, sia a valutare la legittimità dei giudici speciali ai sensi dell’art. 102 Cost. Per quanto concerne il primo profilo, la Corte ha ritenuto che la formula utilizzata dal legislatore per individuare gli organi legittimati a sollevare in via incidentale le questioni di costituzionalità (“un giudice nel corso di un giudizio”), si riferisse a requisiti alternativi e non cumulativi. il ca- rattere giurisdizionale è stato, cioè, ravvisato sia nel requisito soggettivo, che in quello oggettivo14. Con riguardo invece al divieto di istituzioni di giudici speciali ex art. 102 Cost., nella giurisprudenza costituzionale si riscontra un uso molto parsimonioso delle sentenze di accoglimento15, che ha condotto all’eliminazione solo di pochi giudici speciali, come il

Inevitabile

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