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Nonostante la Sicilia fosse divenuta provincia romana in parte nel 241 e interamente nel 211 a.C., l’impatto di Roma sull’urbanistica e sull’architettura dell’isola fu inizial- mente assai limitato, ed è anzi risaputo che fu il mondo romano a essere influenzato dal- la cultura greca più che il contrario. Le città dell’isola rimasero culturalmente greche o, per meglio dire, ellenistiche e questo si evince anche dall’aspetto delle città siceliote nei due secoli che seguirono la conquista.

Nell’isola si registrano parallelamente, dalla fine del III secolo a.C., fenomeni di rura- lizzazione accanto a casi di nuova e innovativa urbanizzazione; tale fenomeno ha per anni tratto in inganno gli studiosi, sia storici sia archeologi, che, percependo i due fe- nomeni come antitetici, hanno attribuito troppo spesso alla conquista romana conse- guenze drammatiche che, a un’analisi più approfondita, non le appartennero68. Secondo

questa linea di pensiero, la conquista romana di Siracusa avrebbe costituito un categori- co terminus post quem non per l’inquadramento di tutte le testimonianze riferibili all’esperienza ellenistica in Sicilia69. La persistenza di quest’ottica di stampo classicisti-

co nei confronti della provincia ha portato, in molti casi, a conferire datazioni “alte” alle grandi innovazioni urbanistiche e architettoniche e alla florida vitalità dei centri della costa tirrenica, tutti fenomeni che, in questo modo, sono stati datati al periodo che va dalla fine del IV alla metà del III secolo a.C., mentre, nel caso della parte orientale dell’isola, rimasta sotto l’egemonia di Siracusa fino al 211 a.C., il grande sviluppo ur-

66CLEMENTE, 1980, pp. 210-211. 67OSANNA, 2012, p. 270.

68LA TORRE, 2004, p. 112. 69CAMPAGNA, 2006, p. 15.

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banistico-architettonico sarebbe da inquadrare tra la fine del IV secolo e la morte di Ie- rone II (215 a.C.)70

Parafrasando Gioacchino Francesco La Torre71, ciò che questo modo di ragionare ha

prodotto è la mancanza di una datazione oggettiva basata su “dati archeologici incon- trovertibili”, per la maggioranza dei documenti architettonici, artistici ed artigianali del- la Sicilia ellenistica, a cui sono state spesso attribuite diverse datazioni, non di rado con- trastanti, basate sul parere personale degli studiosi che se ne sono occupati e tendenti per lo più verso un inquadramento del fenomeno ellenistico tra la fine del IV secolo e la metà del III a.C. A partire dai primi anni novanta, tuttavia, si è registrata una decisa in- versione di tendenza maturata grazie alla nuova letteratura archeologica72 e alle nume-

rose ricerche sul campo, svoltesi soprattutto nei centri della Sicilia settentrionale, che sembrano rendere possibile un inquadramento della facies ellenistica di centri quali Li- libeo, Tindari, Termini Imerese, Solunto, Segesta, al II-I a.C. A questo periodo vanno riferiti i teatri di Tindari, Solunto e Segesta, la nuova edificazione del Quartiere Elleni- stico Romano di Agrigento, oltre alla grande monumentalizzazione degli spazi pubblici di Segesta, Alesa e Solunto73.

Al momento della conquista i Romani trovarono in Sicilia città dotate già da secoli di un impianto stradale regolare con πλατείαι incrociate da στενωπόι a formare gli isolati all’interno dei quali si inserivano le unità abitative e i monumenti cittadini. Guardando alle piante delle greche Agrigento, Megara Hyblaea, Naxos, Selinunte, Camarina, Tin- dari o delle puniche Lilibeo e Panormo, organizzate anche loro secondo schemi regolari, ci si rende conto di come tale concezione della città fosse un fenomeno diffuso su tutta l’isola. Tali impianti cittadini non furono alterati all’arrivo dei romani e raramente si procedette a modifiche dell’impianto urbano da parte della nuova potenza dominante; due casi particolari potrebbero essere rappresentati dagli interventi presso il decumano

70 Si veda a questo proposito CAMPAGNA, 2003. 71 LA TORRE, 2004, p. 113. 72 Il principale fautore del nuovo inquadramento cronologico dell’ellenismo siciliano risulta essere senza dubbio Wilson: WILSON 1990; WILSON 1990B. 73 Quello della monumentalizzazione delle ἀγοράι dei centri della Sicilia ellenistica è un argomento che richiederebbe molto più spazio di quello che gli si può concedere in questo elaborato. Per una visione più ampia dell’argomento: DE MIRO, 2012; TIGANO, 2012; WOLF, 2012; AMPOLO, PARRA, 2012; FACELLA, OLIVITO, 2012.

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che delimitava a nord il terrazzo del βουλεθτήριον di Agrigento o le modifiche apporta- te a Lilibeo nell’area della cosiddetta insula I74.

Se l’impianto stradale subì raramente modifiche, non sempre lo stesso si può dire degli spazi pubblici come ad esempio le ἀγοράι che, dalla prima età imperiale, furono interes- sate da interventi di diverse tipologie: a Segesta, ad esempio, il forum è ubicato in un’area adiacente a quella dell’antica piazza ellenistica e consiste in una piazza di forma grossomodo triangolare di dimensioni nettamente minori rispetto alla grande ἀγορά; questo nuovo spazio è stato identificato come forum da un’iscrizione incisa su una delle lastre di copertura di un tratto del sistema di smaltimento delle acque chiare che dall’ἀγορά superiore conduceva a valle. Tale iscrizione ha inoltre restituito i nomi dei due evergeti, [On]asus et So[polis] che, s(ua) p(ecunia), finanziarono la costruzione della nuova piazza75. Ad Agrigento, invece, come si dirà in seguito, una nuova piazza

chiusa da portici fu costruita a nord del βουλεθήριον in uno spazio non edificato in pre- cedenza.

A partire dagli anni della colonizzazione augustea, le città della Sicilia, in particolare le nuove coloniae, furono spesso interessate dall’edificazione di nuovi spazi, o dalla modifica dei vecchi, perché potessero accogliere i nuovi simboli dell’ideologia imperia- le. Presso il principale santuario urbano di Siracusa e presso i fora Termini e Tindari, la cui ubicazione rimane ancora incerta nonostante lo si collochi quasi all’unanimità nell’area a est della cosiddetta basilica, furono collocati cicli statuari della famiglia im- periale76. Il potere centrale, si serve adesso degli aspetti urbanistici delle città della pro-

vincia per diffondere il culto imperiale e l’ideologia romana. A tale principio rispondo- no probabilmente anche l’anfiteatro e l’arco onorario augusteo, nuovo monumentale in- gresso alla νεἀπολις, costruiti a Siracusa. Sorgono in molte città della Sicilia anche nuo- vi edifici templari di tradizione italica destinati ad ospitare il culto imperiale; ottimi esempi ne sono il tempio all’interno del forum di Agrigento o il tempietto di Capo Mo- lini presso Acireale77.

Anche in campo architettonico nei primi due secoli di vita della provincia Sicilia l’impatto di Roma sulle costruzioni dell’isola è minimo. Una delle principali caratteri- stiche dell’architettura siciliana di II-I a.C. è, infatti, la pressoché totale mancanza di uti-

74 Di questi due casi si tratterà più dettagliatamente nei paragrafi successivi. 75 AMPOLO, PARRA, 2012, pp. 274-275.

76 BELVEDERE, 1997, p. 19; AIOSA, 2016, p. 202. 77 WILSON, 1990, p. 105.

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lizzo dell’opus caementicium. Tale tecnica, che si era già sviluppata in ambito laziale, in Sicilia fu a lungo utilizzata quasi esclusivamente per la rara edificazione di ambienti voltati78. Quando applicata in ambiente siceliota, essa si caratterizza per alcune sue pe-

culiarità quali l’utilizzo di materiali locali come paramento del cemento come avviene ad esempio a Siracusa e Termini Imerese dove prevale l’uso del calcare bianco, o a Ca- tania dove è spesso utilizzato il basalto nero dell’Etna. Tutto ciò conferisce agli edifici in cementizio della provincia un aspetto ben differente da quello dei contemporanei edi- fici di area italica, dove è predominante l’uso dei mattoni79. Peculiari sono altresì i mat-

toni in laterizio utilizzati nell’isola, poiché, quando faranno la loro comparsa, presente- ranno non di rado dimensioni ben diverse rispetto a quelle dei tipici mattoni d’area ro- mana: se in ambiente italico è infatti estremamente difficile che i mattoni siano di spes- sore maggiore di 3,5 cm, non è raro che in Sicilia essi presentino uno spessore di 7 o addirittura 10 cm80. Un caso particolare può essere quello rappresentato dai mattoni uti-

lizzati per la pavimentazione dell’ἀγορά di Halaesa: Wilson81 fornisce le dimensioni

approssimative dei mattoni utilizzati nella στοά (0,33 x 0,50 m, dimensioni che corri- spondono a circa 1 x 1,5 piedi dorici di 0,326 cm) e nell’ἀγορά (mattoni quadrati di 0,33 m per lato, corrispondenti dunque ad 1 piede dorico per lato). Peculiare è anche lo spes- sore, compreso tra gli 8 e i 9 cm, dei mattoni utilizzati per la costruzione di muri e co- lonne nel sito di Tindari82, dimensione prossima al valore del palmo dorico (0,081 m).

La tecnica cementizia fa la sua comparsa in Sicilia solamente in età imperiale, pur non caratterizzando tutti i centri dell’isola. Essa fu impiegata quasi esclusivamente nelle co- loniae augustee, salvo Tindari dove, come ad Agrigentum e Lilybaeum, si continueranno a prediligere costruzioni che utilizzano pietrame irregolare tenuto insieme da malta o, come nel caso del Quartiere Ellenistico Romano di Agrigento, blocchi squadrati di grandi dimensioni come da tradizione greca.

Si assiste spesso a una commistione di stili negli edifici di nuova edificazione, un ot- timo esempio di ciò può essere il cosiddetto Oratorio di Falaride83, costruito presso la

cosiddetta ἀγορά superiore di Agrigento e datato tra la fine del II e l’inizio del I secolo 78 WILSON, 1990, p. 323. 79 WILSON, 1990, p. 322. 80 WILSON, 1979, pp. 11-43. 81 WILSON, 1990, p. 11. 82 Come si vedrà nel capitolo dedicato al centro in questione. 83Maggiori dettagli sia per questo edificio, sia per gli altri trattati in questo capitolo, saranno forniti nei successivi capitoli di questo elaborato.

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a.C.84 Il tempietto è un prostilo-tetrastilo, dorico-ionico su podio85; sopra il podio è col-

locata una cella preceduta da un pronao tra due ante con base attico-ionica e capitello dorico, la facciata si presentava, invece, con quattro colonne ioniche sormontate da un fregio di tipo dorico a metope e triglifi86. Siamo dunque in presenza di un edificio tem-

plare di tipo italico, tuttavia, l’utilizzo di grandi blocchi squadrati in tufo messi in opera senza l’uso di malta87 in un periodo in cui l’opera cementizia ha già fatto la sua compar-

sa in edifici della medesima tipologia in area italica, rappresenta certamente una pecu- liarità che rimanda a caratteristiche costruttive di origine greca. Non va ignorato, allo stesso modo, l’utilizzo combinato di ordine dorico e ionico, caratteristico, come fa nota- re Wilson88, dell’irriverenza isolana nei confronti delle norme architettoniche classiche.

Particolare rilievo assume poi un’iscrizione ritrovata nei pressi dell’edificio, una delle pochissime dediche in latino della Sicilia negli anni che precedono la riconquista augu- stea dell’isola89. L’iscrizione90è lacunosa su entrambe le linee nella parte iniziale e si

mostra come una dedica da parte di un privato cittadino romano, posta in onore della madre defunta. Su questa iscrizione si è molto discusso e i pareri a riguardo sono con- trastanti: Marconi la considerava come un’iscrizione di dedica dell’edificio da lui inter- pretato come heroon; diversa è l’opinione di Campagna91che ritiene l’iscrizione perti-

nente a un altro monumento, “forse una statua eretta privatamente dal personaggio alla propria madre”; secondo Wilson92, infine, l’iscrizione sarebbe da interpretare come una

dedica da parte del finanziatore del monumento, un cittadino privato di origine italica che, stando alla tecnica edilizia utilizzata per la costruzione dell’edificio, potrebbe aver commissionato il lavoro ad un architetto di origine locale93.

Un’altra costruzione particolarmente degna di nota poiché rappresentante una tipolo- gia ibrida, in un periodo ben più avanzato rispetto all’edificio precedente, è la cosiddetta basilica di Tindari. Situata sul lato nord-est dell’ipotetico foro, essa si compone di 84 MARCONI, 1923, p. 106. 85 OSANNA, 2012, p. 295. 86 DE MIRO, 2006, p. 78. 87 WILSON, 1990B, p. 75. 88 WILSON, 1990B, p. 75 89 MARCONI, 1929, p. 123. 90 MARCONI, 1926, p.111, fig. 14 (= CIL 1(2), II, 1, 2649). 91 CAMPAGNA, 2007, pp.119-120. 92 WILSON, 1990B, p. 75. 93 Della storia di Agrigento romana si parlerà in maniera più approfondita nel capitolo riguardante il centro in questione.

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un’aula centrale coperta, intervallata da nove archi di pietra, e di due ali di passaggio esterne; nell’aula centrale lo spazio tra ogni arco era chiuso da delle volte a botte in ce- mentizio.

Inizialmente, considerando l’utilizzo combinato di tecniche romane (le volte in cemen- tizio) e di tecniche marcatamente conservatrici di matrice greca (l’uso di grandi blocchi squadrati in arenaria), si pensò che l’edificio fosse da datare agli ultimi anni della Re- pubblica o all’inizio dell’età imperiale, tuttavia, alcuni scavi avrebbero messo in luce come l’edificio sia stato costruito sulle rovine di alcune abitazioni distrutte probabil- mente da un terremoto e datate ai primi anni del IV sec. d.C. Luigi Bernabò Brea94, ba-

sandosi su questo dato e sui materiali rinvenuti all’interno delle fondamenta, collocò la costruzione in un periodo non molto precedente al 380-400 d.C., datazione accettata an- che da Roger Wilson95 e, recentemente, da Cristian Aiosa96. La collocazione cronologica

dell’edificio resta incerta, contro l’opinione di Bernabò Brea, vanno infatti altri studio- si97 che ritengono necessario abbassare la datazione della basilica alla prima età impe- riale.

Un altro ambito che presenta rilevanti tracce di conservatorismo architettonico è quel- lo dell’edilizia privata. Accanto a chiare influenze di matrice italica quali possono esse- re le pitture nelle abitazioni di Solunto che richiamano al Terzo e al Quarto stile Pom- peiano, o i numerosi pavimenti in opus signinum come quello, rimanendo a Solunto, all’interno della casa di “via Ippodamo da Mileto”, sono riscontrabili chiari segni di tra- dizionalismo costruttivo. A tale conservatorismo rimanda il mancato utilizzo della tec- nica del cementizio nella costruzione dei muri nelle abitazioni del cosiddetto Quartiere Ellenistico Romano di Agrigento e in alcune delle abitazioni di Marsala, oltre che l’impostazione degli ambienti domestici attorno ad un peristilio in centri quali Solunto (casa di Leda), Tindari (insula IV), Lilibeo (domus di Capo Boeo), Agrigento (Quartiere Ellenistico Romano) e Palermo (Piazza della Vittoria), solo per citare gli esempi meglio noti. In luogo dei muri in cementizio non è raro che siano costruiti muri in pietrame ir- regolare, in blocchi squadrati o, come nel caso delle abitazioni di Lilibeo (via Sibilla e Via Garraffa), in opus africanum.

94 BERNABO’ BREA, 1972, pp. 161-179. 95 WILSON, 1990, pp. 52-56.

96 AIOSA, 2016, p. 201.

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