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L’uscita dalla Società delle Nazioni e una nuova parola d’ordine: autarchia

All’aggressione imperialistica ai danni dell’Etiopia da parte del regime fascista non corrisponde un autorevole intervento degli altri Stati europei e degli USA. La stessa della Società delle Nazioni, con il varo di sanzioni economiche contro l’Italia, evidenzia tutti i limiti e le debolezze di questa organizzazione internazionale nata nel 1919, a latere della firma del Trattato di Versailles28, più come un’imposizione dei vincitori sui vinti che non come l’affermazione della volontà di pace e di sviluppo dopo la tragica esperienza della Prima Guerra mondiale.

In un contesto del genere, nel quale, peraltro, la Germania e gli USA oltre a non approvare il provvedimento proseguono i loro commerci con l’Italia, l’applicazione delle sanzioni produce effetti limitati mentre presta il fianco al regime fascista per una dimostrazione di forza contro quello che viene definito l’«assedio economico» e per il suo accreditamento tra le potenze coloniali.

L’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni, che risale all’11 dicembre 193529, risponde a questa logica e ha, al tempo stesso, un valore simbolico e strumentale: serve al regime fascista per serrare le fila del consenso interno, in risposta a quello che viene definito «l’assedio economico» dell’Italia. L’azione propagandistica non si esaurisce con l’abbandono del seggio in seno alla Società delle Nazioni; anzi, esso fa da traino al ritiro generalizzato dei rappresentanti italiani da tutte le istituzioni internazionali, come specificato nella comunicazione classificata «RISERVATA»30 che, il 18 gennaio 1938-XVI, il Ministero dell’Educazione Nazionale indirizza al Presidente dell’Accademia della Crusca:

L’On. Presidenza del Consiglio dei Ministri ha inviato a questo Gabinetto la circolare seguente: “Il Ministero degli affari esteri ha rappresentato la necessità che, in seguito all’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni, in dipendenza delle deliberazioni del Gran Consiglio del Fascismo dell’11 corrente, sia interrotto con tutte le Organizzazioni ed Istituzioni ginevrine ogni e qualsiasi rapporto sin qui tenuto da Enti o da personalità, dipendenti dalle diverse Amministrazioni ed Istituzioni statali, parastatali e confederali italiane. Si prega pertanto codesto Ministero di provvedere a che funzionari dipendenti e le persone, designate da Amministrazioni od enti sottoposti alla vigilanza di codesto On. Dicastero che, a qualsiasi titolo, ricoprano una carica od esercitino una funzione nei vari Comitati, Commissioni, od Organizzazioni facenti capo alla Società delle Nazioni e alla Organizzazione Internazionale del Lavoro inviino subito le proprie dimissioni. Si prega di favorire un cenno di assicurazione ed, appena possibile di inviare l’elenco completo, per la parte di competenza, dei dimissionari con l’indicazione dell’incarico che avevano e dell’Ente che rappresentavano.

La nota informativa firmata dal Direttore Generale Scardamaglia si conclude con una richiesta rivolta al Presidente Mazzoni:

Nel comunicare quanto precede si prega la S.V. Ill.ma di far conoscere se vi siano membri di codesto Istituto che facciano parte delle Istituzioni ginevrine a qualsiasi titolo e nel caso affermativo di dare assicurazione che essi abbiano rassegnato le dimissioni dalle istituzioni predette.

                    57   L’isolamento internazionale è, in qualche modo funzionale alla rappresentazione propagandistica del processo autarchico che non è tanto la risposta alle sanzioni quanto, piuttosto, il tentativo di supplire al fallimento del corporativismo, che comincia a essere evidente anche all’interno delle gerarchie del fascismo.

La stagione dell’autarchia fascista (v. A. Gagliardi, L'impossibile autarchia. La politica economica

del fascismo e il Ministero scambi e valute, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2007) viene

inaugurata il 23 marzo 1936, alla seconda assemblea delle corporazioni. In quell’occasione Mussolini ne definisce i contorni, lanciando l’idea del «piano regolatore dell’economia» per realizzare «nel più breve tempo possibile il massimo possibile di autonomia nella vita economica della nazione». Il concetto di autarchia può essere può essere sintetizzato nello sviluppo industriale forzato di pezzi del settore industriale: chimica, siderurgia, idroelettrica, fibre artificiali. Con un’intesa fra lo Stato e i maggiori gruppi capitalistici, per un controllo totale sull’economia e sul commercio estero31, e il bilancio dello Stato viene sempre più assorbito dalle spese militari:

Nel quadriennio 1935-36/1938-39 su un totale di 48 miliardi e 788 milioni di pagamenti eccezionali, 41 miliardi e 154 milioni si dovettero ad esigenze militari, mentre solo 7 miliardi e 632 milioni si dovettero ad esigenze civili32.

Di conseguenza, lo sforzo bellico riduce drasticamente ogni altro intervento. La «clamorosa e martellante propaganda»33 per l’uso di materiali autarchici finisce per mettere a nudo il vero problema: la carenza di materie prime. Un problema che si aggrava al punto dover procedere al razionamento di una quantità sempre crescente di materiali e generi di varia natura.

Il clima di guerra sovrintende ogni altra azione e, giorno dopo giorno, il parossismo assume toni da crociata. Lo si capisce bene dal senso di una circolare come quella del 3 settembre 1937-XV, classificata «Segreto», avente per oggetto i «materiali siderurgici per usi civili»34, recapitata pure alle Accademie e alle altre istituzioni culturali che, ovviamente, non hanno a che fare con tali materiali nella loro attività d’istituto.

A sei mesi di distanza, i medesimi destinatari ricevono una nuova circolare «autarchica»35 che, sottolineando l’importanza di scegliere i prodotti nazionali, è costretta a riconoscere le crescenti difficoltà e a denunciare:

In qualche caso, il personale che materialmente presenta i buoni d’acquisto concernenti i materiali in questione, di provenienza italiana, esigerebbe invece dal fornitore prodotti esteri sia pure in quantità minore.

L’autarchia si occupa pure della lingua: si reprimono le minoranze linguistiche, si italianizzano i cognomi e la toponomastica ed è lotta alle parole straniere. Sono alcuni degli aspetti dell’impegno che il regime profonde, anche attraverso un’apposita legislazione - la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 14 aprile 1938-XVI per l’abolizione del «Lei» nella corrispondenza ne è una prova - , per costruire una nuova espressività della lingua in sintonia con la dottrina fascista. E, per altro verso, lo testimonia anche la richiesta della Confederazione Fascista degli Industriali-

Federazione Nazionale Fascista degli Industriali del Legno che, il 21 maggio 1938, interpella la Crusca:

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Codesta R. Accademia vorrà indicarci quale nome italiano si potrebbe attribuire ai pavimenti in legno duro chiamati «parquets». Ci risulta che attualmente vengono chiamati «palchetti»; ma a prescindere dalla considerazione che non sembra buon italiano riteniamo anche tale denominazione impropria giacché alcuni chiamano palchetti i pavimenti a lastroni lunghi, mentre noi intenderemmo pavimenti a pezzi corti e stretti in legno duro, posati a spina di pesce o a disegno36.

La nota del 26 luglio 1939-XVII37 impartisce invece disposizioni per la produzione di timbri e sigilli: devono essere realizzati in «alluminio e zingo, materiali autarchici per eccellenza».

Il 10 febbraio del ’40 è la volta di un altro divieto autarchico: l’acquisto di mobilio in ferro per ufficio «al fine di limitare sempre più l’impiego di materiali non autarchici in tutti i casi in cui non se ne ravvisa la inderogabile necessità»38.

«Poco successo ebbero peraltro i tentativi di produrre in Italia grossi quantitativi di cellulosa necessari per la produzione della carta»39 ed è esplicita l’ammissione delle difficoltà nel normale approvvigionamento di carta, come viene specificato nella nota del Ministero dell’Educazione Nazionale, inviata alla Crusca alla fine d’aprile del ’42, nella quale viene esposto il problema della produzione di cellulosa in misura inferiore rispetto alle necessità a causa delle «gravi deficienze di energia elettrica e di carbone» e, contestualmente, è ribadita la priorità di soddisfare innanzitutto il fabbisogno militare40.