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Per una definizione antropologica di turismo culturale

II.1 L’uso dell’aggettivo “culturale”.

Nell’ampio sistema dell’industria turistica mondiale il turismo culturale, dopo decenni di vistosa crescita e accelerazione, risulta esserne oggi uno dei comparti più importanti e articolati (cfr. P.Kotler 2003, 128). Rimane ad ogni modo difficile da valutare, da definire e quantificare. Questo problema nasce soprattutto dalla difficoltà di dare una definizione chiara e univoca di cultura e di turista culturale. Si può essere tentati di trovare una definizione di turismo culturale tout court ma come vedremo le soluzioni rischiano sempre, o di ridurre il fenomeno a dati statistici utili soprattutto al mercato, o di comprendere nel fenomeno qualsiasi attività umana legata al viaggio e al tempo libero. Questo perché forse, nel turismo si compie nettamente il passaggio da una concezione di cultura quale insieme olistico e coeso di valori credenze e comportamenti ad una concezione di cultura centrata su processi di negoziazione complessi e differenziati (cfr. Clifford :1993, 137).

Di fatto il turismo culturale è oggi uno dei fenomeni che veicolano e orientano la conoscenza e la fruizione del mondo per milioni di individui. Non è di fatto possibile definire univocamente il turista, rimane però la possibilità di intuire nel turismo culturale di massa uno dei

Autore: Rossi Francesco

Titolo : Il turismo culturale a Roma. Analisi etnografica del contesto turistico Colosseo-Palatino. Dottorato in Antropologia

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fenomeni che contribuisce a modellare da circa mezzo secolo il concetto di cultura. Soffermarsi sulla pratica del turismo culturale da un punto di vista antropologico significa tentare di analizzare e decostruire un fenomeno con valenze di forte attualità, complesso e stratificato.

Una prima domanda che è lecito porsi è la seguente: l’aggettivo “culturale” che qualifica un certo tipo di turismo è sufficiente a spiegare, a tracciare le linee di confine di tale pratica o viceversa necessita senza meno di essere spiegato e analizzato? Siamo di fronte a un possibile paradosso: quale tipologia turistica infatti non rientra - almeno – per l’antropologo nell’ambito della cultura, della pratica culturale? L’antropologo non è tenuto a considerare fenomeno culturale anche la “tintarella” e il “minigolf” pratiche che pur essendo turistiche non vengono solitamente assimilate al turismo culturale? “Si tratta” - afferma Simonicca - “di una questione nevralgica che impegna la riflessione antropologica a riesaminare i suoi presupposti fondativi: il principio dell’olismo è un principio cui difficilmente l’antropologo può sottrarsi, in quanto rappresenta il modo della pensabilità antropologica delle culture altre; la difficoltà sta nel fatto che questo principio di fondo (metateoretico e trascendentale) si scontra ogni volta con mondi e campi di senso assai diversificati, frammentati e o ibridi, la cui caotica varietà

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sfida ogni volta le esigenze della coerenza concettuale e dell’unitaria intelligibilità”(Simonicca 1997, 224).

A nostro avviso, una buona soluzione per orientarsi nell’ampio campo del turismo culturale è in primo luogo tentare di stabilire da chi e in che modo venga usato l’aggettivo culturale per qualificare l’attività turistica ad esso riferita. Esistono infatti come gia accennato molteplici definizioni che derivano da altrettanti approcci alla materia in questione.

Tenteremo dunque, anche tramite una reinterpretazione delle più importanti definizioni di turismo nate in ambito socio-antropologico, di delineare quelli che sono i confini e gli approdi del così detto turismo culturale.

Approcci antropologici al turismo culturale

E’ a partire dagli anni ’60 che prende corpo e si rinnova l’elaborazione di prospettiva antropologica sul turismo culturale, non casualmente negli anni che vedono la prima affermazione del turismo di massa. D’obbligo, anzitutto, il rinvio al noto volume di Boorstin (The image. A guide to pseudoevents in America, 1964) e agli altri contributi ascrivibili al filone di “critica della cultura” (dovuti ad Armanski, Adler,

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Turner-Ash et alii) che prospettano del turismo un’immagine strettamente connessa al consumismo e all’alienazione che caratterizza i nuovi tempi. In realtà il volume di Boorstin muove da un ambito tematico più generale, e particolarmente dall’assunto che l’esperienza umana contemporanea (osservata nello specifico statunitense) viene sempre più connotandosi come artificiale, distante cioè dalla realtà dei fatti e delle cose, fondata su pseudo-eventi. In questo quadro, il turista ‘di massa’ si colloca in maniera congruente in quanto -diversamente dal viaggiatore del passato- si caratterizza come spettatore passivo che, proiettandosi al di fuori della sfera abituale di vita, muove edonisticamente alla ricerca dell’esotico, catturato da attrazioni artificiose, da eventi determinati ad uso e consumo delle comitive di viaggio, inconsapevole ed estraneo alla dimensione ‘vera’ della società che visita. Tutto ciò -sostiene Boorstin- incentiva operatori e nativi a propagare un’ immagine dei luoghi e delle comunità sempre più lontane dal reale, sempre più artefatte, tutto ciò producendo un circuito che vive separatamente da quanto connota l’esistenza ‘vera’ di comunità e culture. L’uomo contemporaneo, dunque, è condannato, secondo questo studioso, a vivere la sua alienazione anche nei momenti in cui, astraendo

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dalle incombenze del quotidiano, potrebbe recuperare una diversa dimensione.

Sempre negli anni ’60-’70 le posizioni di Boorstin, cui si rimproverava, fra l’altro, un’eccessiva generalizzazione, subirono la critica serrata di quanti -in testa a tutti Mac Cannel- posero con fermezza il problema della ‘ricerca dell’autenticità’. E’ questa a caratterizzare più di ogni altra cosa -asserisce Mac Cannel- l’atteggiamento del turista; novello pellegrino dei giorni nostri, egli paga il proprio tributo alle ‘attrazioni’, simbolo di una modernità che ingloba, musealizza ed espone il ‘premoderno’, i segni del passato. Ma, diversamente che per Boorstin, le attrazioni sono per Mac Cannel solidamente ‘significanti’ sul piano sociale e culturale. La ricerca dell’autenticità in altri luoghi -egli aggiunge- è vissuta dall’uomo moderno come compensazione all’alienazione dal suo mondo; per dare buon esito alla stessa, mosso da un impulso sincero, egli è disposto a spingersi anche nelle regioni meno agevolmente raggiungibili (back regions; si veda su questo anche Goffman). L’eventuale ‘inautenticità’ delle sue esperienze non è da ascrivere alla volontà del turista, che si accontenterebbe di illusioni, ma all’intento speculativo di chi, approfittando del suo stato d’animo, crea, per il proprio guadagno, attrazioni ‘false’, che nulla esprimono della tradizione ‘reale’.

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A Mac Cannel è stata rimproverata una certa rigidità di approccio nonché l’eccessiva ‘seriosità’ del ‘suo’ turista, ma innegabilmente è venuto dalle sue elaborazioni un forte e produttivo richiamo alla necessità per l’analisi di tener conto dell’autonomia dell’esperienza individuale (che non può considerarsi annichilita dall’invadenza dell’industria turistica). Un terzo percorso di riflessione che merita di essere segnalato è quello intrapreso negli anni ’70 da Turner, cui l’applicazione alla dimensione turistica del modello di ‘liminalità’ dallo stesso applicato all’analisi del pellegrinaggio consente un’interessante percorso interpretativo. Tanto il turista che il pellegrino si impegnano su un itinerario che li conduce dal luogo domestico ad un ‘altrove’ (center out there); l’alterità del ‘luogo lontano’ permette l’espressione di quei valori che restano inespressi nel quotidiano (spontaneità, socievolezza, etc.) e il dispiegarsi della propensione ludica, il cui rilievo nell’esperienza turistica è stata evidenziata in studi recenti riconducibili all’elaborazione di Turner (Wagner, Lett). Ecco che il turista turneriano appare dunque in posizione mediana fra il turista ‘serio’ di Mac Cannel e quello ricreazionale e inguaribilmente ‘superficiale’ di Boorstin.

Ai tre paradigmi di ricerca illustrati un quarto si tratta di aggiungere che dei precedenti tiene conto muovendo dal carattere esperienziale del

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fenomeno turistico: quello di Cohen. Egli fonda il suo ragionamento 1) sulla considerazione della situazione turista-sito; 2) sulla concezione del sito da parte del turista (riferita all’autenticità del sito medesimo); 3) sulla modalità d’incontro con il sito (ricreazionale, diversazionale, esperienziale, sperimentale, esistenziale).

Da quanto esposto risulta evidente come, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso sia venuta crescendo nel settore degli studi cui ci riferiamo una nuova consapevolezza teorica e terminologica, necessaria premessa all’elaborazione di modelli che hanno reso possibile l’avvio di una non approssimativa riflessione antropologica sul turismo culturale. Resta indiscussa la necessità per i ricercatori di interagire con altri percorsi disciplinari -che qui possiamo solo richiamare- in grado di arricchire le analisi di ambito: il riferimento è, in particolare, all’approccio psico- dinamico motivazionale, a quello politico-culturale per quanto concerne la promozione e gestione degli eventi turistici, a quello geografico in ordine allo spazio turistico.

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