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Uso del dispositivo da parte di terzi autorizzati dal titolare:

5. Il regime delle responsabilità applicabile al caso di firma

5.1. Uso del dispositivo da parte di terzi autorizzati dal titolare:

Solo a partire dal 2006 è espressamente previsto che « Il titolare del certificato di firma è […] tenuto ad utilizzare personalmente il dispositivo di firma. »266. Prima di allora, il Codice

dell’amministrazione digitale si limitava a stabilire che « Il titolare

264 Umberto BRECCIA “La forma”, in Vincenzo ROPPO (a cura di) “Trattato del contratto”,

Giuffrè Editore, Milano 2006, vol. I, pag. 621.

265 Ibidem, con una citazione tratta da Salvatore SICA “Atti che devono farsi per iscritto.

Art. 1350”, Giuffrè Editore, Milano 2003.

266 Articolo 32 comma 1 del D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82, come modificato dall’articolo 14

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del certificato di firma è tenuto ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri ed a custodire e utilizzare il dispositivo di firma con la diligenza del buon padre di famiglia. ». La dottrina, allora, si interrogava sull’ammissibilità di una delega nell’uso del dispositivo di firma.

La situazione di fatto era caratterizzata da un’alta frequenza del caso in esame: si scriveva che « è noto, ad esempio, che gli amministratori di società consegnano le smart cards ai propri commercialisti! […] la redazione del documento informatico con firma digitale da parte di soggetti diversi da colui che risulta autore può ritenersi non una ipotesi eccezionale, ma un fatto frequente ed anzi ordinario. »267. Il fenomeno veniva ricondotto all’istituto della

rappresentanza, ciò determinando che il contratto, stipulato dal terzo (in qualità di procuratore), producesse i suoi effetti direttamente in capo al titolare della firma (rappresentato)268.

Sennonché, l’inquadramento della fattispecie nell’àmbito della rappresentanza appariva ed appare problematico. Infatti, se la rappresentanza ordinaria può avvenire con o senza contemplatio domini, nel caso in parola, invece, il nome del rappresentato sarebbe sempre speso (essendo a lui intestata la firma apposta al contratto), mentre sarebbe il nome del rappresentante ad essere eventualmente taciuto. In altre parole, sarebbe possibile — per così dire — evitare la contemplatio procuratoris: la controparte contratterebbe col procuratore, credendo di contrattare direttamente col titolare della firma. Si può dire che il rappresentante, anziché agire in nome del rappresentato, agirebbe sotto il nome di lui269.

267 Ermanno CALZOLAIO “L’imputazione della dichiarazione nel documento informatico

tra volontà e affidamento: spunti per una riflessione”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 03, pag. 933 ss.

268 Cfr. Raimondo ZAGAMI “Firma digitale e sicurezza giuridica” (cit.), pag. 281 ss.;

Marco DOLZANI “Il regime delle responsabilità. Obblighi dei soggetti interessati e spunti per un inquadramento sistematico”, in AA.VV. “Firme elettroniche. Questioni ed esperienze di diritto privato”, Giuffrè Editore, Milano 2003, pag. 65 ss.

269 Ciononostante, secondo Mario MICCOLI (“Documento e commercio telematico. Guida

al regolamento italiano (D.P.R. 513/97)”, Ipsoa Wolters Kluwer, Milano 1998, pag. 35 ss.) si trattava comunque di « un’ipotesi di mandato, sia pure con un tipo di rappresentanza sui

generis: […] nel nostro caso, sarà l’identità del mandatario a rimanere sconosciuta alla

controparte, essendo quest’ultima convinta di trattare direttamente con il mandante e non con colui cui è stato confidato il mandato per mezzo del relativo affidamento del sigillo informatico di pertinenza del mandante. Non potrà, quindi, parlarsi di rappresentanza diretta poiché è pur vero che non manca la contemplatio domini, la spendita del nome del rappresentato, manca però, quella del rappresentante, che non appare agli occhi della controparte, né può tantomeno parlarsi di rappresentanza indiretta, in quanto gli effetti si

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In ogni caso, l’intervento legislativo del 2006 ha spazzato via la possibilità di un consenso all’uso del proprio dispositivo di firma da parte di terzi. La norma, tuttavia, non chiarisce quali siano le conseguenze — sul piano sostanziale — di un’eventuale violazione del divieto. Il tema non è nuovo, giacché anche una tradizionale sottoscrizione chirografa può essere apposta da un terzo, su incarico del firmatario apparente; ma in tal caso soccorre la possibilità di una perizia calligrafica, che permetta di accertare la falsità della firma e la conseguente nullità del contratto270. Nondimeno, nel caso in

esame sembra corretto applicare il cosiddetto principio dell’apparenza imputabile271.

L’apparenza imputabile è « una situazione di fatto che manifesta come reale una situazione giuridica non reale »272. In base

a tale principio, « se taluno lascia che una dichiarazione appaia da lui emessa, subisce gli effetti della dichiarazione, nei confronti di chi, senza colpa, abbia confidato nella dichiarazione medesima »273. Se

producono direttamente in capo al rappresentato e, pur mancando la conoscibilità del rappresentante, quella del rappresentato esiste molto chiaramente ».

Contra, Marco DOLZANI (“Il regime delle responsabilità. Obblighi dei soggetti interessati e spunti per un inquadramento sistematico”, in AA.VV. “Firme elettroniche. Questioni ed esperienze di diritto privato”, Giuffrè Editore, Milano 2003, pag. 65 ss.): « A noi sembra invece che, nell’ipotesi considerata, non si rientri più nell’ambito della rappresentanza in quanto manca la distinzione formale tra rappresentante e rappresentato. La dottrina ha già ampiamente in passato posto il luce tale differenza chiarendo che altra cosa è agire in nome altrui ed altra è agire sotto nome o veste altrui: nel primo caso si rientra nel campo della rappresentanza diretta, nel secondo no. Di norma infatti colui che avesse ricevuto un incarico, anche tacito, da parte di un altro soggetto, spende il nome di quest’ultimo; ma nel mondo informatico, se ciò non avviene il terzo rimane oggettivamente persuaso di contrarre direttamente con il soggetto in capo al quale sono indirizzati gli effetti dell’atto. In sostanza il terzo contraente non sa, né può sapere, che chi appone la firma è persona diversa dal suo titolare e pertanto non è neppure tenuto ad effettuare quelle verifiche che la presenza di un potere di rappresentanza determinerebbero. ».

270 Cfr. Stefano PAGLIANTINI, commento all’articolo 1350, in Enrico GABRIELLI (a cura di)

“Commentario del Codice civile”, Utet, Torino 2011, sezione “Dei contratti in generale” diretta da Emanuela NAVARRETTA e Andrea ORESTANO, vol. II, pag. 98), il quale ricorda che « nel caso di “firma apocrifa” apposta da un terzo su incarico del firmatario apparente, la giurisprudenza è costante: il contratto è nullo, stante il difetto di valore di una firma da qualificarsi comunque come “falsa”, e non rileva il fatto che il soggetto ratifichi poi per iscritto l’operato del firmatario apparente (non avendo costui partecipato all’atto neppure a titolo personale). » e cita le sentenze della Corte d’Appello di Milano 11/01/2005 e del Tribunale di Catania 12/02/2002.

271 Cfr., ex multis, Raimondo ZAGAMI “Firma digitale e sicurezza giuridica” (cit.), pag. 283

ss.; Marco DOLZANI “Il regime delle responsabilità. Obblighi dei soggetti interessati e spunti per un inquadramento sistematico”, in AA.VV. “Firme elettroniche. Questioni ed esperienze di diritto privato”, Giuffrè Editore, Milano 2003, pag. 65 ss.; Cesare Massimo BIANCA “Documento digitale e atto notarile”, in Vita notarile, 1/2009, pag. 449.

272 Angelo FALZEA “Apparenza”, in Enciclopedia del diritto, vol. II, Milano 1958, pag. 682

ss.

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ne deduce, in conclusione, che il titolare della firma digitale rimane soggetto alle obbligazioni contrattuali nascenti dal documento firmato, con un dispositivo a lui riconducibile, da terzi a ciò da lui (illecitamente) autorizzati.

Il principio, naturalmente, opera solo se l’affidamento della controparte (o, comunque, del destinatario del documento) è incolpevole. Ciò in quanto la fattispecie dell’apparenza è integrata esclusivamente in presenza di tutti i seguenti elementi274:

a) una situazione di fatto non corrispondente allo stato di diritto;

b) una serie di circostanze oggettive ed univoche, idonee a trarre in inganno il terzo;

c) un ragionevole convincimento del terzo che lo stato di fatto sia conforme ad una realtà giuridica;

d) un errore scusabile del terzo.

È, pertanto, da escludere in radice l’applicabilità dell’apparenza nel caso in cui la controparte sia stata informata, prima della stipula, della discrasia tra titolare della firma e soggetto che materialmente l’appone, non essendoci alcun ragionevole convincimento di identità tra sottoscrittore e titolare del dispositivo di firma. In simile ipotesi il contratto è valido, ma annullabile su istanza del titolare della firma, se quest’ultimo riesce a vincere in giudizio la presunzione di paternità del documento che il C.A.D. collega all’uso di una firma digitale. Se la controprova riesce (e il rappresentante non riesce a dimostrare l’esistenza di una procura), il titolare è liberato da qualsiasi obbligazione, sia contrattuale che risarcitoria; conseguentemente, la controparte non potrà chiedere né l’adempimento né un risarcimento — neppure a chi ha effettivamente firmato! — in quanto con l’ordinaria diligenza e correttezza avrebbe potuto evitare il danno.

274 Cfr. Mario BESSONE, Massimo DI PAOLO “Apparenza”, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. II, Roma 1988, vol. 2.

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