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§2.1. Tool no 1. Il modello delle cinque savoir: quali competenze insegnare? Il modello delle cinque savoir combina «conoscenze», «attitudini» ed «abilità» con i «sistemi di valori» connessi alla società d‘origine e ai molteplici sensi di appartenenza dell‘individuo, delineando in tal modo i cinque fondamentali fattori della comunicazione interculturale:

Skills

interpret and relate (savoir comprendre)

Knowledge

of self and other; of interaction: individual and societal

(saviors)

Education

political education critical cultural awareness

(savoir s‟enganger) Attitudes relativising self valuing other (savoir être) Skills

discover and/or interact (savoir apprendre/faire)

Tab. 2.1 – I cinque fattori della comunicazione interculturale1

Come già accennato, ciascuna savoir è in varia misura connessa con le sei dimensioni della competenza comunicativa (CC) di van Ek, utilizzate da Byram come

105 punto di partenza per costruire, seppur con significativi apporti, il suo modello di competenza comunicativa interculturale (iCC). Ripensate e riformulate sulla scorta di un diverso modello di parlante – l‟Intercultural Speaker – queste «sub-competencies» incorporano e sussumono, come stiamo per mostrare, uno o più fattori della comunicazione interculturale, specialmente le «conoscenze» e le «abilità»:

 «Competenza linguistica»: saper applicare la conoscenza che si possiede delle regole della lingua standard per codificare e/o decodificare il parlato e lo scritto.

(v. savoirs/knowledge of interaction.)

 «Competenza sociolinguistica»: saper attribuire agli atti locutivi ed illocutivi del proprio interlocutore – nativo e non – i significati (e gli effetti perlocutivi) da questi implicitamente attribuiti e/o negoziati durante le interazioni comunicative2.

(v. savoir comprendre/skills of intepreting and relating)

 «Competenza discorsiva»: saper mettere in atto, scoprire e negoziare strategie per la costruzione e/o l‘interpretazione di testi conversazionali in cui le convenzioni culturali dell‘interlocutore siano usate come sistema di riferimento (monologhi e dialoghi).

(v. savoir apprendre-faire/skills of discovering and interacting)

 «Competenza strategica»: saper attuare strategie conversazionali (p.es, riformulazioni, richieste di chiarimento, etc.) per un‘accurata comunicazione dei messaggi in entrata ed uscita.

(v. savoir apprendre-faire/skills of discovering and interacting)

 «Competenza socio-culturale»: saper sviluppare una conoscenza del contesto socio- pragmatico (e del relativo reference frame) in cui ogni linguaggio opera traendo i suoi specifici usi e significati.

106  «Competenza sociale»: saper gestire una interazione con parlanti ‗culturalmente‘ diversi (sia in L1 che in L2) grazie anche a componenti attitudinali e psicologiche quali l‘empatia, la sicurezza in se stessi, la curiosità, la disponibilità vero il ‗nuovo‘, etc. (v. savoir être/attitudes of relativising self and valuing other; ma anche, savoir comprendre/skills of intepreting and relating; e savoir apprendre-faire/skills of discovering and interacting).

Ma quali competenze si possono effettivamente insegnare con un approccio didattico «mediato» dal C1s travelogue? Rispondere a questo interrogativo è compito della ricerca empirica, di cui il nostro studio rappresenta solo un primo modesto contributo. È tuttavia possibile circoscrivere, già in sede programmatica e preliminare, gli obiettivi da sottoporre al vaglio dell‘indagine empirica, al fine di selezionare le tappe di un ipotetico percorso apprenditivo e ritagliarle il più possibile sulle qualità e peculiarità del testo odeporico. Questo lavoro risulta facilitato da un esame più puntuale delle singole savoir, che Byram ha opportunamente formulato in termini di «obiettivi»3.

§2.1.1. La savoir être e il C1s travelogue

Benché l‘indipendenza e la non-propedeuticità tra le savoir sia stata da Byram più volte enfatizzata, si ritiene che le componenti attitudinali (savoir être) siano la conditio sine qua non perché si manifestino processi di apprendimento culturale ed inter-culturale (relativizzazione del Sé, empatia, decentramento, criticità, capacità di comprensione delle disfunzioni comunicative, di mediazione e negoziazione fra punti di vista contraddittori, etc.)4.

Nota anche come capacità di «decentrare», la savoir être (in italiano, ‗saper essere‘) non è una vera e propria competenza (anche se svolge un ruolo di prim‘ordine

107 nell‘acquisizione dell‘iCC), ma più un sentire, un atteggiamento, una disposizione emotiva e psicologica che, se impossibile da insegnare, può però essere stimolata e/o potenziata. Descritta da Byram come «curiosity and openness, readiness to suspend disbelief about other cultures and belief about one‘s own»5, consiste nell‘essere disposti

ad assegnare un valore relativo ai propri framework culturali e a non presupporre che essi siano indiscutibilmente corretti, perché percepiti come ‗naturali‘. A questo modus sentiendi si associa anche la capacità di immedesimarsi nel punto di vista di un outsider e a guardare alle proprie coordinate concettuali da un‘altra prospettiva, anch‘essa «culturalmente determinata».

Sono cinque (a-e) gli obiettivi che Byram riconduce a questo specifico «sapere»; soltanto tre sono, tuttavia, le attitudini che a nostro avviso è possibile promuovere mediante un approccio travelogue-related. Il confronto con il punto di vista di un viaggiatore ‗straniero‘ su aspetti del proprio retroterra culturale dovrebbe rendere il discente disposto e/o desideroso:

(obj.a) to seek out or take up opportunities to engage with otherness in a relationship of equality, distinct from seeking out the exotic or the profitable;

(obj.b) to discover other perspectives on interpretation of familiar and unfamiliar phenomena both in one‘s own and in other cultures and cultural practices;

(obj.c) to question the values and presuppositions in cultural practices and products in one‘s own environment.6

Qualità fondante del C1s travelogue è, come evidenziato in precedenza, la tendenza a sollecitare nel lettore-discente una lettura critica dei «propri» valori e codici culturali (v. obj.c), in virtù di quella forza «straniante» – sprigionata dalla presenza di un‘ottica ‗esterna‘ al mondo culturale del discente ‗nativo‘ – che agisce sui suoi processi di lettura e comprensione, orientandoli verso posizioni ‗critiche‘. Questa stessa forza è responsabile della «scoperta» di prospettive inedite in relazione a ciò che è noto,

108 familiare e/o dato per scontato e, viceversa, della «familiarizzazione» con quegli aspetti delle cultur-e target che il contatto con un contesto culturale «domestico» rende manifesti e, pertanto, osservabili (v. obj.b). Per quanto concerne l‘obiettivo (a), il C1s travelogue offre, a nostro avviso, varie «opportunità» per accrescere il coinvolgimento e l‘interesse del discente nei confronti dell‘alterità, s‘intendano per «alterità» anche quegli aspetti dell-e C1 che sono poco usuali o del tutto sconosciuti, e che per qualche ragione (il vissuto familiare, le disposizioni psicologiche, lo status, il luogo di socializzazione, l‘età, il sesso, etc.), vengono percepiti come Altro-da-Sé. Indice, p.es., di un‘accresciuta savoir être in un discente naturalizzato in Sicilia, può essere la curiosità di esplorare un paesino dell‘entroterra dell‘Isola, in seguito a quanto si è letto e appreso nel resoconto di un viaggiatore anglofono; la disponibilità a scrivere del proprio background culturale nella lingua target o a recuperarne tradizioni, usi e costumi dimenticati e/o sottostimati (e che il punto di vista del viaggiatore dovrebbe contribuire a ri-valutare o a far conoscere per la prima volta); il desiderio di condividere con i propri pari quanto si conosce già del contesto culturale del travel writer e/o della Sicilia (p. es., ciò che si è appreso da familiari e parenti residenti nel paese target o in zone poco conosciute e/o più arretrate dell‘Isola, da studenti internazionali ospitati nella propria famiglia o dall‘esperienza diretta acquisita come ‗viaggiatori‘).

Come sottolinea Byram a proposito dell‘obiettivo (a), occorre distinguere il genuino ed autentico interesse per l‘alterità (come esemplificato sopra) con un‘attrazione superficiale verso ciò che è stravagante ed esotico, un atteggiamento che caratterizza il «turista» e non il «viaggiatore-sojourner» e che non si accompagna ad un effettivo desiderio di incidere sul contesto target, evidente invece nella disponibilità ad adottarne codici e modi di pensare (ad accogliere, cioè, il cambiamento), a partecipare

109 ad ‗oscure‘ ritualità e pratiche sociali e a stabilire relazioni durature con le popolazioni locali7.

§2.1.2. Le savoirs e il C1s travelogue

Per savoirs (‗saperi, conoscenze‘), Byram intende un tipo di conoscenza «relazionale» («of social groups and their products and practices in one‘s own and in one‘s interlocutor‘s country»8), vale a dire, la percezione che due interlocutori hanno

del proprio luogo d‘origine e del paese target. Si tratta, in altre parole, delle conoscenze (per lo più stereotipizzate) che l‘uno possiede dell‘altro via socializzazione primaria e secondaria e che condizionano non poco l‘esito dei processi comunicativi.

Le savoirs si estrinsecano nei ‗discorsi‘ sui rispettivi retaggi storici (la «memoria nazionale» e i relativi cliché, miti, tabù, immagini mediatiche e valori culturali9: p.es., la

Sicilia ‗mafiosa‘ e l‘Inghilterra ‗liberale‘, la British reserve e la socievolezza siciliana, i dolcetti di marzapane e il pudding, le bombette della City londinese e le ‗coppole‘ del contadino siciliano); in termini spaziali e geografici, dove i confini territoriali coincidono di norma con i confini culturali e linguistici (sicché si è investiti del «carattere» che l‘interlocutore associa al nostro gruppo-nazione e persino al nostro idioma); e, infine, sotto forma di alleanze politiche ed economiche fra i rispettivi paesi, che possono creare una posizione di dominanza o subalternità nello scambio comunicativo.

Oltre a consistere nelle rappresentazioni dell‘Altro ad opera del Sé e viceversa – includendo i rispettivi mondi simbolici, storici, geografici, letterari, politici ed economici – le savoirs comprendono anche «the general processes of societal and individual interaction»10, ovvero, i segni di distinzione sociale (i social marker: lo status

110 sociale, il sesso, la professione, la religione, l‘etnia, etc.), i fattori linguistici, paralinguistici ed extralinguistici della comunicazione (p. es., il fatto di parlare una lingua minoritaria, gli stili comunicativi, il significato sociale attribuito agli accenti, la cinesica, la prossemica, la vestemica, l‘oggettemica, etc.) e le convenzioni socio- pragmatiche (inter alia, le mosse comunicative, i titoli e gli appellativi, il grado di formalità ed informalità, e simili)11.

Degli undici obiettivi (a-m) segnalati da Byram per questa savoir, riteniamo che il testo odeporico (il C1s travelogue, in particolare) possa accoglierne almeno sette, contribuendo a sviluppare nel discente «a knowledge of/about…»,

(obj.a) historical and contemporary relationship between one‘s own and one‘s interlocutor‘s countries;

(obj.c) the types of cause and process of misunderstanding between interlocutors of different cultural origins;

(obj.d) the national memory of one‘s own country and how its events are related to and seen from the perspective of other countries;

(obj.e) the national memory of one‘s interlocutor‘s country and the perspective on them from one‘s own country;

(obj.f) the national definitions of geographical space in one‘s own country and how these are perceived from the perspective of other countries;

(obj.g) the national definitions of geographical space in one‘s interlocutor‘s country and the perspective on them from one‘s own;

(obj.i) Social distinctions and their principal markers, in one‘s own country and one‘s interlocutor‘s.12

Quando un viaggiatore compone la sua ricostruzione diaristica di un luogo, non manca in genere di rintracciarne le ‗autentiche‘ radici storiche e culturali, per rispetto di una convenzione narrativa e/o per un bisogno personale. La sua percezione è in un certo senso ‗viziata‘ dall‘eredità storico-letteraria di quel luogo, sulla quale in genere si documenta ancor prima che abbia luogo l‘esperienza conoscitiva on site (attraverso una

111 rete di testi e discorsi che confluiscono poi nell‘intertestualità del suo account); un‘eredità che può anche costituire l‘obiettivo primario della sua quest.

Per esempio, lo sviluppo della civiltà ellenica in Sicilia a partire dall‘VIII secolo a.C. (per citare solo una delle tante dominazioni che ne compongono il variegato substrato storico-culturale e linguistico) è da sempre motivo di fascino e suggestione per lo scrittore-viaggiatore straniero, indotto a visitare l‘Isola anche per quella sua imperturbata immagine di terra magica e misteriosa, depositaria di una arcadica bellezza e di suprema perfezione artistica. Non dimentichiamo che la Sicilia è anche una delle tappe geografiche dell‘avventuroso viaggio dell‘eroe dell‘Odissea e che le sue sponde conservano ancora il riflesso di quei luoghi e personaggi che affollano la mitologia, la letteratura e persino l‘immaginario cinematografico e mediatico. All‘eccezionale varietà delle (ri-)costruzioni storiche, seguita dalla fissità e persistenza di miti e topoi, si aggiungono poi quegli emblemi geografici e topografici che scandiscono le tappe obbligate dell‘itinerario del viaggiatore-turista, fino alla tanto agognata way of life siciliana che ogni travel writer spera di catturare ed offrire ai suoi lettori, e dove un presente «arcaico» fa in genere da contrappunto ad un passato «arcadico».

In un racconto in cui si condensa tutto o parte di questo, un lettore siciliano può confrontarsi con la prospettiva di un outsider sui più svariati aspetti, remoti o contemporanei, del proprio background culturale (v. obj.a; obj.d; obj.f); ma può anche essere stimolato a rendere «espliciti» gli stereotipi, i simboli, i sistemi di valori e le immagini (storiche, geografiche, letterarie, etc.) che inconsapevolmente associa alla società del viaggiatore (v. obj.a; obj.e; obj.g) e che formano i framework concettuali con cui elabora aspettative e giudizi sugli interlocutori stranieri. Inoltre, attraverso una discussione critica sui clash culturali (i rich point narrativi), il discente può mettere a

112 fuoco le principali cause delle disfunzioni comunicative, sviluppando una sempre maggiore consapevolezza del ruolo degli orientamenti valoriali e dei codici verbali e non verbali ai fini di una comunicazione efficace – in L1 o L2 – e senza malintesi o incidenti (v. obj.c; obj.i).

§2.1.3. La savoir comprendre e il C1s travelogue

Per una comprensione dei rich point il discente necessita anche di abilità di analisi e comparazione che gli consentano di interpretare idee, eventi e documenti da altre prospettive («ability to interpret a document or event from another culture, to explain it and relate it to documents from one‘s own13»). Byram chiama queste abilità savoir

comprendre (‗saper comprendere‘).

I documenti in cui si rappresentano culture altre – i diari di viaggio, le guide turistiche e gli stessi textbook linguistici – non offrono mai un ritratto dalle sfumature neutre ed imparziali, avulso da sentimenti etnocentrici e filtri ideologici. Sviluppare abilità di lettura che consentano di smascherare i meccanismi, non di rado inconsci, dell‘etnocentrismo e della stereotipizzazione, rappresenta quindi una risorsa di estrema utilità per prevenire e/o spiegare le cause dei fraintendimenti culturali. Queste strategie di analisi si avvalgono anche di strumenti di relazione e comparazione che permettono di cogliere le differenze culturali fra le due ottiche interagenti. La savoir comprendre è pertanto strettamente connessa con le savoirs (che, come si ricorderà, forniscono una conoscenza relazionale e comparativa del Sé-nell‘Altro e dell‘Altro-nel-Sé), non solo perché una lettura competente dell‘esperienza è una fonte di conoscenza spendibile in altri contesti, ma anche perché è sulla «conoscenza» che le abilità analitiche e comparative si costruiscono in prima istanza, e, in modo particolare, sulla

113 «consapevolezza» di come i processi di socializzazione primaria e secondaria conducano ad atteggiamenti pregiudiziali ed etnocentrici.

Sono quattro (a-d) le skills of interpreting and relating specificate da Byram nel suo modello. Abbiamo selezionato per il travelogue le uniche due abilità che riguardano la fruizione di un testo scritto. Saper «identificare»:

(obj.a) ethnocentric perspectives in a document or event and explain their origins;

(obj.b) areas of misunderstanding and dysfunction in an interaction and explain them in terms of each of the cultural systems present14.

Sono questi gli obiettivi che il C1s travelogue consente di investigare più a fondo e con maggiore frequenza. E questo grazie ai due fondamentali ritmi narrativi che il testo odeporico tipicamente alterna – la riflessione e l‘azione – che possiamo accostare alla distinzione Jamesiana fra telling e showing o a quella platoniana fra ‗diegesi‘ e ‗mimesi‘. Da una parte, si hanno quindi pause monologiche e digressive in cui il viaggiatore esce dal tempo della narrazione e si ferma a valutare gli incontri e le esperienze vissute, estrinsecando le proprie vedute culturali; dall‘altra, ci si imbatte in simpatici aneddoti e tirate dialogiche in cui lo scrittore, tornato personaggio, si mostra nell‘atto di interagire con persone, fatti e situazioni di ardua decifrabilità, andando incontro ad equivoci e fraintendimenti. Nel primo caso (v. obj.a), è virtualmente possibile dotare il discente delle strumentalità per de-costruire il punto di vista dello scrittore-viaggiatore, portandone alla luce stereotipi, preconcetti, e connotazioni implicite. Nel secondo (v. obj.b), si possono congegnare attività in grado di guidarlo verso una ricognizione consapevole delle possibili cause del fraintendimento o malinteso conversazionale (legato, p. es, all‘uso di termini e concetti apparentemente simili – le cosiddette cultural word – ma caratterizzati da significati e connotazioni

114 diverse, alle reazioni inconsce sollecitate da un comportamento non verbale inatteso, ai disagi causati da un diverso concetto di spazio interpersonale e di temporalità, agli equivoci legati all‘uso della voce, per citare solo le problematiche più comuni).

§2.1.4. La savoir apprendre/faire e il C1s travelogue

Questa savoir si può in parte considerare complementare alla precedente, dal momento che la capacità di comprendere, in quanto competenza matetica, è un aspetto del ‗saper apprendere‘ (savoir apprendre). La principale differenza, riconducibile questa volta alla componente del ‗saper fare‘ (savoir faire), consiste nel fatto che l‘acquisizione di nuovi dati di cultura (skills of discovery) non avviene per via diegetica, attraverso, cioè, l‘interpretazione di un testo orale o scritto, ma nel corso di una vera e propria interazione comunicativa (skills of interaction). Byram descrive questa savoir come «[the] ability to acquire new knowledge of a culture and cultural practices and the ability to operate knowledge, attitudes and skills under the constraints of real-time communication and interaction»15.

Il fatto di aver incorniciato il testo di viaggio entro percorsi di apprendimento che prevedono anche fasi «etnografiche» ed esperienziali – al di fuori del contesto-classe, ma sempre in stretto connubio con i temi del travelogue – ci consente di prendere in considerazione anche queste abilità, o almeno parte di esse. Solo tre dei sette obiettivi contemplati nel modello di Byram (a-g), ci sembrano tuttavia conciliabili con un apprendimento centrato sul C1s travelogue. L‘abilità di:

(obj.a) elicit from an interlocutor the concepts and values of documents or events and develop an explanatory system susceptible of application of other phenomena; (obj.b) identify significant references within and across cultures and elicit their significance

and connotations;

(obj.c) use in real-time an appropriate combination of knowledge, skills and attitudes to interact with interlocutors from a different country and culture taking into

115

consideration the degree of one‘s existing familiarity with the country, culture and language and the extent of difference between one‘s own and the other16.

Un‘esperienza etnografica (anche breve) che conduca il discente a «ri-scoprire» i luoghi presumibilmente noti e familiari che un viaggiatore straniero descrive nel suo diario – un adattamento ai nostri scopi dell‘approccio didattico etnografico anglosassone – costituisce un‘opportunità estremamente motivante per esercitare tutti gli obiettivi della savoir apprendre/faire, come mostreremo nel §2.2.

La savoir apprendre/faire può essere anche intesa come obiettivo trasversale per qualunque tipo di intervento didattico, in quanto competenza comunicativa par excellence. Poiché in un contesto FLT gli scambi comunicativi con interlocutori stranieri sono in genere piuttosto rari, questa abilità può applicarsi anche alle interazioni «[between] cultures sharing the ―same‖ language»17.

§2.1.5. La savoir s‟enganger e il C1s travelogue

La savoir s‟enganger – nota anche come critical cultural awareness/political education (in italiano ‗criticità‘) – è la capacità di valutare i propri frame culturali e quelli di altre società «critically and on the basis of explicit criteria18». È una competenza che si

sviluppa elettivamente negli ambienti di formazione e che trae dall‘insegnante e dal contesto di apprendimento un‘ insostituibile spinta catalizzatrice.

Educare alla «criticità» significa prendere coscienza delle proprie gerarchie di valori e di quanto queste influenzino il modo in cui guardiamo gli altri e in cui gli altri ci guardano. Per essere in grado di «mediare» con ogni genere di diversità, è indispensabile una consapevolezza critica di se stessi e delle proprie cornici concettuali, prima ancora di quelle dei nostri interlocutori. Ed è compito dell‘educazione promuoverla.

116 Educare non significa «cambiare» i valori degli studenti, né intervenire in modo coercitivo sui loro giudizi, cosa che il docente dovrebbe sempre astenersi dal fare, per ragioni prima di tutto etiche. Il vero obiettivo dell‘educazione (‗interculturale‘ o di altro genere) è incoraggiare i discenti a domandarsi, ad ogni loro valutazione, quali valori e presupposizioni «in-formino» quella valutazione. Non si tratta dunque di indicare loro una via «giusta» o «sbagliata», ma di indurli, consapevolmente e a prescindere dalla natura del giudizio espresso, «to make the basis for their judgement explicit, and expect them to be consistent in their judgements of their own society as well as others.»19

Per la centralità assegnata dalla FLT ai processi apprenditivi del discente, tutti gli obiettivi previsti per questa savoir possono a nostro avviso raccordarsi con un approccio didattico mediato dal C1s travelogue:

(obj.a) identify and interpret explicit or implicit values in documents and events in one‘s own and other cultures;

(obj.b) make an evaluative analysis of the documents and events which refers to an implicit perspective and criteria;

(obj.c) interact and mediate in intercultural exchanges in accordance with explicit criteria, negotiating where necessary a degree of acceptance of them by drawing upon one‘s knowledge, skills and attitudes.20

La rilevanza della savoir s‟enganger ai fini del nostro studio è testimoniata dalla scelta

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