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L’Italia degli anni Settanta conobbe un notevole aumento della criminalità e una crescita repentina del numero dei delitti fu registrata nel corso dell’intero decennio238. A destare preoccupazione non fu soltanto l’aumento dei reati connessi alla contestazione o al terrorismo, ma videro una decisa crescita anche tutti quei delitti legati alla criminalità comune e alla criminalità organizzata come i furti, le rapine e i sequestri239. Per contro, l’Italia era il paese con il più alto numero di poliziotti per abitante (considerando tutte le polizie nel loro complesso) dell’intera Europa occidentale240.

237 Alberto Bernardi, La riforma della polizia. Smilitarizzazione e sindacato, Torino, Einaudi, 1979, p. 29. 238 Per alcuni dati sull’incremento vertiginoso dei delitti si veda: Dario Melossi, Andamento economico, incarcerazione, omicidi e allarme sociale in Italia: 1863-1994, in Storia D’Italia, Annali 12, La criminalità, a cura di

Luciano Violante, Torino, Einaudi, 1997, pp. 37-62. Cfr. anche Maurizio Barbagli – Uberto Gatti (a cura di), La criminalità in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002.

239 Si vedano ad esempio i grafici sui sequestri e sui furti citati nel volume curato da Barbagli e Gatti: Pietro Marongiu, I sequestri di persona in Barbagli-Gatti, (a cura di), La criminalità in Italia cit., p. 92 e Asher Colombo, I furti, in Ivi, p. 140.

Nella bozza di una relazione sui problemi del coordinamento delle forze di polizia conservata tra le carte di Aldo Moro, si ammetteva che in Italia ci fosse il più alto rapporto tra polizia e popolazione d’Europa:

Da un lato il nostro Paese ha un rapporto “forza di polizia – popolazione” il più alto d’Europa, cui non corrisponde però una superiorità o almeno una parità di “indici” sul piano del risultato, né nel campo della prevenzione, né nel campo della repressione. Dall’altro sono noti, anche se solo parzialmente, i fenomeni di “concorrenza e sovrapposizione”, di duplicazione di servizi e di interventi delle varie forze di polizia. Basta pensare al fatto che nelle grandi città, in cui sarebbe necessaria un’unità di strategia e di operatività per il controllo del territorio a fini di prevenzione e repressione del crimine, è notoria ed è anzi addirittura oggetto di propaganda la circostanza che esistono sale operative e servizi di pronto intervento, distinti e preparati tra di loro, sul piano operativo, su quello dell’ “allertamento” e dell’utilizzazione da parte del cittadino e su quello tecnico (ad esempio delle telecomunicazioni)241.

Più in generale, i problemi dell’istituzione potevano riassumersi in quattro punti fondamentali: assenza di democrazia e diritti per il personale, mancanza di formazione, disorganizzazione e militarizzazione. Una lunga relazione del prefetto Aldo Buoncristiano, (compilata nel biennio 1976/1977) fece il punto sui guasti causati dalla militarizzazione di alcuni settori vitali della polizia:

[A]lla polizia venne data una organizzazione completamente opposta a quella da molti auspicata: essa cioè, che era composta anche da funzionari, da esperti civili, da segretari di polizia, da personale archivistico ecc., venne (ad eccezione dei funzionari) completamente militarizzata. Fu un trauma le cui conseguenze sono divenute, di anno in anno, sempre più gravi, perché l’organizzazione mutilata del personale civile, ha subito palesato le sue insufficienze di fronte alla criminalità divenuta più agguerrita e al terrorismo politico. Tutti ricordano il disappunto dei dirigenti per essere stati privati della necessaria collaborazione […]. A tali carenze si è tentato di far fronte con brevi corsi per tecnici di tutte le specialità, per interpreti, per stenografi, ecc., con la conseguenza che la Amministrazione è l’unica in Europa a non avere personale veramente specializzato242.

Nella stessa relazione il prefetto evidenziava come, in un periodo di grave penuria di uomini e mezzi per contrastare la criminalità, risultasse incomprensibile l’esistenza di costose strutture militarizzate di natura puramente tecnica (come gli cit., p. 41. Dati simili sono riportati anche in Bill Tupman – Alison Tupman, Policing in Europe. Uniform in

Diversity, Bristol, Intellect books, 1999, pp. 9-13. Si consideri che questo primato è rimasto quasi invariato

fino a periodi abbastanza recenti: secondo le statistiche dell’Eurostat prendendo come campione il decennio (1996-2005) in Europa (non soltanto occidentale) l’Italia era seconda soltanto alla Turchia come numero di police officers in termini assoluti.

http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/submitViewTableAction.do Alcuni dati comparati sugli organici

del comparto forze dell’ordine sono disponibili in Marzio Barbagli – Laura Sartori, Law enforcement activities

in Italy, in «Journal of Modern Italian Studies», 9 (2), 2004, pp. 161-185.

241 Bozza di relazione sui problemi del coordinamento delle forze di polizia, ACS, Archivio Aldo Moro, b. 119, Ordine Pubblico.

242 Studio del prefetto Buoncristiano sulla nuova organizzazione della P.S. redatto nel biennio 1976-1977 e inviato al Ministro il 21 novembre del 1983. ACS, MI GAB 1981-1985, b. 136, fasc 11070/140/4, sottof. 5.

autocentri di Polizia) che privavano la polizia di uomini e risorse. Lo sperpero di risorse ed energie umane appariva evidente. Nel clima particolarmente rovente di quegli anni appariva quantomeno fuori luogo la presenza di poliziotti addetti a servizi completamente estranei al lavoro di polizia: «In un momento come l’attuale, il poliziotto meccanico, verniciatore, carrozziere, barista o bagnino è veramente un controsenso. La eliminazione di queste evidenti storture, oltre a recuperare uomini, avrebbe un effetto indubbiamente morale su una polizia che si intende chiamare a svolgere soltanto difficili compiti d’istituto»243.

Un problema simile connesso all’impiego degli uomini, ma legato anche alla completa assenza di diritti, era rappresentato dall’utilizzo di militari di PS per servizi non d’istituto: i cosiddetti sciacquini. Si trattava di episodi diffusi e particolarmente imbarazzanti per l’Amministrazione. Nel 1975 Franco Fedeli descrisse il fenomeno come una pratica «diffusissima e umiliante». I militari di PS erano spesso utilizzati dai vertici in mansioni come «cameriere, famiglio, sbrigafaccende» e tutto ciò avveniva nonostante numerose circolari e precise leggi votate dal parlamento244. Nonostante i tentativi da parte dell’Amministrazione centrale di contenere il fenomeno245, esso ebbe vita lunga e fu più volte denunciato, anche a mezzo stampa, dal movimento per la smilitarizzazione.

Tra i tanti episodi incresciosi, vale la pena citare una testimonianza del 1978, il racconto di un militare di PS impiegato come domestico – insieme ad altre guardie – presso l’abitazione di un prefetto:

La nostra attività consisteva essenzialmente nel tenere in ordine l'alloggio del Prefetto, si pulivano i pavimenti, le finestre, i mobili; si lavava, spazzava e spolverava. Nei lavori più pesanti si indossava una giacchetta verde con delle piccole righe scure e bottoni dorati. Si serviva a tavola, quando il prefetto e i suoi familiari pranzavano e cenavano: in tali occasioni, che avvenivano quotidianamente, s'indossavano la giacca bianca ed i guanti... Le disposizioni circa i lavori da fare ce le dava prevalentemente la moglie del prefetto [omissis], oltre a quest'ultimo... Nei giorni festivi, quando non c'era la donna di servizio, io e i miei colleghi provvedevamo anche a fare i letti... Il lavoro iniziava al mattino, direi alle 8 circa; si preparava la colazione per il prefetto ed i suoi familiari... Per il lavaggio dei piatti, bicchieri e

243 Ibidem.

244 Fedeli, Sindacato Polizia cit., pp. 23-24. Sui vari casi di utilizzo improprio di militari si veda anche Lehner, Dalla parte dei poliziotti cit., pp. 216-218.

245 Il 13 gennaio 1973 una circolare del Ministro Rumor inviata a tutti i prefetti aveva chiesto di conoscere immediatamente il numero di militari a disposizione di ciascun prefetto, richiamando tutto il personale al rispetto di circolari già emanate in passato. Si veda: Utilizzazione di militari in servizi non d’istituto. ACS, MI GAB 1971-1975, b. 121, fasc. 11070/121.

posate c'era la lavapiatti automatica. Quando però si trattava di lavare bicchieri di cristallo o posate d'argento, l'incarico veniva dato a noi, che dovevamo fare il lavoro a mano246.

Era stata segnalata più volte, inoltre, una questione molto grave che riguardava la distribuzione dei funzionari di polizia sul territorio. Mentre alcune questure dei centri più grandi, maggiormente impegnate nel contrasto dei fenomeni criminali, si trovavano a fronteggiare gravi carenze d’organico, altre provincie (Reggio Calabria, Brescia, Brindisi, Alessandria, Catanzaro, Cosenza, Lucca, Ragusa) disponevano di personale in eccedenza; molte piccole provincie erano «a pieno organico» senza che i funzionari avessero grosse mansioni operative247.

Lo stesso prefetto Buoncristiano aveva suggerito di procedere con un lieve indebolimento delle piccole provincie per poter fronteggiare l’emergenza dei grandi centri più esposti alla criminalità:

Concentrare i migliori dirigenti e il maggior numero possibile di personale nei grandi centri, più esposti ai colpi della criminalità. In tal modo, alcuni aspetti più gravi della delinquenza […] potrebbero essere meglio fronteggiati. I centri piccoli e medi, infatti, hanno talvolta esuberanza di personale (cosa fanno 7-8 funzionari e più di 150 uomini a Potenza, Lecce, Brindisi, Teramo, Chieti, Pesaro, Asti, Sondrio, ecc.?) e un loro indebolimento può essere compensato da un più coordinato impiego delle diverse forze di polizia. Anche qualche Commissariato distaccato potrebbe essere soppresso, in particolare in quei comuni dove ha sede anche la Compagnia Carabinieri248.

Alla irrazionale distribuzione degli uomini si univano le deficienze strutturali delle questure che necessitavano di un ammodernamento che le rendesse più dinamiche ed efficienti e soprattutto maggiormente coordinate tra di loro249.

Oltre le importanti questioni organizzative, sul piano pratico alcuni poliziotti del movimento per la smilitarizzazione rilevarono spesso come una grossa fetta dell’organico della PS fosse destinata a servizi legati al controllo dell’ordine pubblico

246 La testimonianza era emersa nel corso del processo in cui fu coinvolto il prefetto di Padova (successivamente assolto). Guido Gioia, Sciacquini e padrini, in «Ordine Pubblico», a. XXVII (1978), n. 10, pp. 37-38.

247 Relazione del Capo della polizia per il ministro Cossiga contenente la dislocazione del personale della PS (23 aprile 1976). ACS, MI GAB 1976-1980, b. 144, fasc. 11070/140/1.

248 Studio del prefetto Buoncristiano sulla nuova organizzazione della P.S. redatto nel biennio 1976-1977 e inviato al Ministro il 21 novembre del 1983. ACS, MI GAB 1981-1985, b. 136, fasc 11070/140/4, sottof. 5.

249 Buoncristiano aveva scritto nella stessa relazione già citata: «Per quanto concerne le questure, necessitano, sul piano tecnico, di un completo ammodernamento; in alcune sono state approntate le sale operative, in altre sono stati modificati i sistemi di archivio, […] ma nel complesso non esiste un Ufficio centrale il quale sovrintenda all’organizzazione delle Questure, curando che queste si mantengano tutte al dovuto livello tecnologico». Ibidem.

(inteso come gestione della piazza) mentre un’altra rilevante porzione dell’organico era invece impegnata in una serie di servizi burocratici di polizia amministrativa250.

A causa di ciò, riprendendo un dato riportato da Franco Fedeli nel 1975, gli effettivi in servizio nelle squadre mobili della Penisola, in altre parole coloro che avrebbero dovuto occuparsi principalmente di contrastare la criminalità, erano soltanto 5.145 su un organico di quasi ottantamila uomini251.

Anche all’interno dell’Amministrazione centrale, era stato rilevato nel personale uno schiacciamento deciso su compiti burocratici e amministrativi e un diffuso disinteresse per le questioni operative più importanti e per le problematiche più scottanti. All’interno del Ministero gran parte del personale preferiva rifugiarsi nei più semplici compiti connessi all’ordinaria amministrazione:

Le funzioni del Ministero, anziché trasformarsi in una continua interferenza nelle funzioni periferiche, dovrebbero compiere un salto di qualità, per divenire, soprattutto, funzioni di studio, di alta dirigenza e di consulenza nei confronti degli organi periferici stessi. Fintanto che il Ministero riterrà di doversi interessare della tinteggiatura di una caserma o della concessione di un sussidio anche di 5.000 lire ad una guardia di P.S. (il che deve avvenire attraverso un probante carteggio), gli Uffici centrali dimostreranno di rifugiarsi nella ordinaria amministrazione (assai semplice) e di rifuggire dai loro compiti, quelli sopra accennati, che comportano qualità professionali ed impegno sul piano professionali ed impegno sul piano della eccezionalità252.

In termini operativi il cattivo addestramento del personale causava disagi notevoli al servizio e penalizzava in primo luogo gli stessi operatori. Tra le tante pecche della formazione una delle contraddizioni più evidenti consisteva nella scarsa preparazione al tiro e al maneggio delle armi riservato alle guardie di PS: una stranezza per un organismo militare che a quel tipo di addestramento dedicava ampio spazio. Eppure, alle guardie di PS s’insegnava a sparare poco e male; le armi in dotazione, inoltre, non erano il massimo dell’efficienza253.

Dato l'elevato numero di agenti morti negli scontri a fuoco, vittime della criminalità e del terrorismo, «Ordine Pubblico» segnalava nel 1976 la necessità di provvedere a un migliore addestramento al tiro, sottolineando anche l'esigenza di

250 Criminalità, ordine pubblico e ruolo del poliziotto nello Stato democratico, intervento nel corso della giornata di studio su “Ordine pubblico e riforma della polizia”, Torino 15-17 aprile 1978. ACS, MI GAB 1976-1980, b. 145, fasc. 11070/140/1.

251 Fedeli, Sindacato Polizia cit., p. 23.

252 Studio del prefetto Buoncristiano sulla nuova organizzazione della P.S. redatto nel biennio 1976-1977 e inviato al Ministro il 21 novembre del 1983. ACS, MI GAB 1981-1985, b. 136, fasc. 11070/140/4, sottof. 5.

adottare armi di ordinanza diverse, come ad esempio pistole a tamburo – che richiedevano una minore manutenzione – anziché armi semi-automatiche (come le Beretta cal. 7.65 e cal. 9 corto) tendenti ad incepparsi se non ben lubrificate254.

Anche «Polizia Moderna», sebbene con molta cautela, prese atto dell'effettiva carenza dell'addestramento al tiro del personale di PS:

Episodi anche recenti sembrano dimostrare che in questa direzione restano ancora da compiere molti passi. È accaduto che uomini delle Forze dell'Ordine, in servizio, sono stati travolti dall'emozione del momento drammatico e hanno sparato, pur se, in una valutazione a mente fredda, forse l'impiego delle armi poteva essere escluso. È accaduto anche che costretti a sparare abbiano usato male l'arma in dotazione. È accaduto persino, in due recenti, dolorosi episodi, che due militari di PS abbiano perduto la vita a causa di commilitoni che distrattamente maneggiavano quelle armi. […] [C]erti episodi restano […] a dimostrare che in genere tra i nostri uomini la confidenza con l'armamento in dotazione deve essere migliorata, in quanto per la loro funzione e per il loro altissimo ruolo sociale, è necessario che essi posseggano un perfetto addestramento sia tecnico che psicologico255.

La situazione era di particolare gravità, tanto che il Ministero, il 21 febbraio 1978, inviò al personale una direttiva sul maneggio delle armi e sull’addestramento: «In relazione ad alcuni luttuosi incidenti, verificatisi per accidentale esplosione di colpi di arma da fuoco in dotazione al personale del Corpo, si è constatato che le cause prevalenti consistono nella eccessiva confidenza, nell’imprudenza o nella imperizia nel maneggio delle armi suddette»256. Occorreva, secondo la stessa direttiva, oltre che una maggiore preparazione al tiro, una migliore accortezza nella detenzione:

[O]ltre alla consueta preparazione nell’uso delle armi (caricamento, pulizia, addestramento al maneggio e al tiro, ecc.) [che] ogni utile occasione sia colta per sensibilizzare i dipendenti militari al più rigoroso rispetto delle semplici norme tecniche che garantiscono dal pericolo di errori. In particolare dovrà essere attuata una più coerente linea addestrativa: intensa presso i reparti d’istruzione; periodica presso i reparti di impiego, integrata da efficaci interventi correttivi257.

La catena di eventi luttuosi (causati anche dallo scarso addestramento) che, dalla metà degli anni Settanta, vide molti uomini delle forze di polizia cadere sotto i colpi della criminalità, aumentò la tensione all’interno di un corpo già attraversato da fermenti.

254 “Un bersaglio facile”, in «Ordine Pubblico», a. XXV (1976), n. 1, p. 11.

255 L'addestramento al tiro del personale della Pubblica Sicurezza, in «Polizia Moderna», a. XXVIII (1976), n. 3, pp. 8-9.

256 Maneggio delle armi, addestramento del personale (21 febbraio 1978). ACS, MI GAB 1976-1980, b. 148, fasc. 11070/143.

Perché tanti morti? titolava, nel febbraio 1978, «Nuova Polizia e Riforma dello

Stato»258. Nel suo editoriale, Franco Fedeli, direttore della rivista e animatore del movimento, espresse tutto lo sdegno che aveva colpito i poliziotti dopo l’ennesimo assassinio ricordando come l’inefficienza fosse uno dei problemi peggiori: «I lavoratori di polizia continuano a morire, a morire sotto i colpi non solo del criminale e del killer, ma anche dell’inefficienza istituzionalizzata del Corpo. Si persevera, dunque, su questa strada lastricata di sangue, dove la vita umana rappresenta il sacrificio necessario, e per nulla «fatale», da immolare sull’altare delle distorsioni criminali dell’istituzione»259.

Tra le “distorsioni criminali” citate da Fedeli il mancato coordinamento tra polizie era forse una delle questioni di maggiore importanza. Come abbiamo già accennato l’Italia era il paese con il più alto numero di poliziotti dell’Europa occidentale ma le sue molte polizie non lavoravano affatto in maniera sinergica260.

Corpo Forza in servizio (Forza organica)

Pubblica Sicurezza 77.454 (85.380)261 Arma dei Carabinieri 83.799

Guardia di Finanza 43.798

Totale 205.051 (212.977)

Tabella 14: Personale in servizio di Pubblica Sicurezza, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza a confronto262.

La questione del coordinamento divenne cruciale soprattutto nel momento in cui le forze dell’ordine sembrarono soccombere sotto la spinta dei fenomeni che attraversavano la società italiana: terrorismo, criminalità organizzate e criminalità comune. Per garantire un contrasto più efficace della delinquenza, almeno le due principali polizie del Paese – PS e Arma dei carabinieri – andavano coordinate e soprattutto messe in comunicazione più attiva l’una con l’altra. Non si trattava di un problema recente: il dualismo tra carabinieri e pubblica sicurezza era un problema antico

258 «Nuova Polizia e Riforma dello Stato», a. II (1978), n. 2, p. 1. 259 Franco Fedeli, Adesso basta! in Ivi, p. 3.

260 Isman, I forzati dell'ordine cit., p. 23.

261 La Ps era sotto organico di: 437 funzionari, 50 ispettrici e assistenti di polizia femminile, 49 ufficiali e 7.402 sottufficiali, appuntati e guardie. L’organico previsto era di 85.380 uomini e donne di cui: 2086 funzionari, 553 ispettrici e assistenti di Polizia Femminile, 1291 ufficiali, 81.450 sottufficiali, appuntati e guardie. I dati sono in: ACS, MI GAB 1976-1980, b. 144, fasc. 11070/140/1.

262 I dati sulla Guardia di Finanza, sulla Pubblica Sicurezza e sull’Arma dei Carabinieri sono tratti da tre relazioni inviate al Ministro Cossiga redatte rispettivamente dal Comando Generale della Guardia di Finanza (18 settembre 1976), dal Capo della Polizia (23 aprile 1976), dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri (22 ottobre 1976). ACS, MI GAB 1976-1980, b. 144, fasc. 11070/140/1.

e di difficile soluzione. Spesso tra i due principali attori della sicurezza dell’Italia contemporanea si erano verificati attriti, incomprensioni, gelosie corporative o, nel migliore dei casi, assenza di comunicazione263. All’inizio degli anni Settanta il problema del coordinamento fu definito imprescindibile per qualsiasi ricerca sulle polizie italiane264.

Ai problemi di collegamento tra i due corpi di polizia maggiori dovevano aggiungersi, complicando ancor di più la situazione, la Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato e tutti gli altri corpi minori – locali e nazionali – che contribuivano a formare l’enorme “comparto sicurezza” del Paese. «A portrait of istitutional confusion», scrisse Richard Collin descrivendo l’organizzazione delle polizie italiane all’inizio degli anni Ottanta265.

La situazione, particolarmente articolata e complessa, fu riassunta in un articolo pubblicato su «Rivista di Polizia» (una rivista tecnica destinata a funzionari e ufficiali di PS) già nel 1966. L’insieme delle molte polizie d’Italia si mostrava parecchio ingarbugliato e difficile da coordinare, collegare o unificare:

Accanto all'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, dipendente dal Ministero dell'Interno, opera l'Arma dei carabinieri, amministrativamente dipendente dal Ministero della Difesa e per quanto riguarda invece il servizio d'istituto, d'ordine e di sicurezza pubblica, l'accasermamento ed il casermaggio dal Ministero dell'Interno. Agiscono altresì, in settori più limitati, il Corpo della Guardia di Finanza, dipendente dal Ministero delle Finanze, il Corpo Forestale dello Stato, dipendente dal Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, il Corpo degli Agenti di Custodia, dipendente dal Ministero di Grazia e Giustizia. Senza contare gli organi di Polizia ausiliaria vale a dire la cosiddetta polizia locale, alle dipendenze del Comune e della Provincia, e le guardie particolari giurate alle dipendenze di privati e di istituti privati autorizzati alla vigilanza ed alle investigazioni. Emerge chiaramente dalla sintetica enumerazione fatta che gli organi di Polizia sono davvero molti in Italia266.

Prendendo spunto dall’articolo appena citato, un colonnello dei Carabinieri pose, nello stesso anno, un interrogativo realistico e ancora attuale: «Come si fa ad eliminare armi e corpi che hanno antiche e nobili tradizioni o soltanto privarli di parte dei loro compiti?» si chiedeva l’ufficiale dell’Arma267. Chi tra polizia, carabinieri e finanza avrebbe rinunciato alle proprie tradizioni e ai propri privilegi? Quale corpo avrebbe accettato di

263 Il dualismo tra Arma dei Carabinieri e Pubblica Sicurezza era un male antico, le polemiche e le rivalità tra i due corpi si trascinavano sin dall’Ottocento. Cfr. John A. Davis, Legge e ordine. Autorità e conflitti

nell'Italia dell'800, Milano, Franco Angeli, 1989, passim. 264 D’Orsi, Il potere repressivo cit., pp. 116-117.

265 Richard O. Collin, The blunt instruments: Italy and the police, in John Roach – Jürgen Thomaneck, Police and public order in Europe, London-Sydney, Croom Helm, 1985, p. 187.