Aggiornamento della valutazione delle dosi per i lavoratori in condizioni di normale attività e per esposizioni potenziali
7. VALUTAZIONE DELLE DOSI PER ESPOSIZIONI POTENZIALI (EVENTI ANOMALI O INCIDENTALI)
Nelle valutazioni sopra riportate per le normali condizioni operative si è già presa in considerazione l’eventualità di piccole contaminazioni, per le quali occorra procedere a decontaminazione, delle quali si è già tenuto conto nella valutazione della dose agli operatori.
Parimenti si sono considerate le normali attività di assistenza al paziente.
Le attività di manipolazione di sorgenti radioattive non sigillate in Medicina Nucleare sono caratterizzate da metodiche generalmente standardizzabili e prevedono esecuzioni precise delle varie operazioni. Le preparazioni dei radiofarmaci vengono eseguite all’interno delle celle di radiochimica da personale ben addestrato e dotato dei necessari presidi di radioprotezione.
Non si può tuttavia escludere una errata manipolazione dei radionuclidi che possa comportare, ad esempio, lo sversamento di liquido radioattivo al di fuori della cella di manipolazione.
Ai fini delle valutazioni delle dosi assorbite dal personale in caso di eventi anomali/incidentali (esposizioni potenziali), si sono presi in considerazione tre scenari, di seguito descritti e il cui risultato delle valutazioni delle possibili dosi assorbite dall’operatore a seguito degli eventi di esposizione potenziale è riportato nelle Tabella XI, Tabella XII e Tabella XIII.
Le prime due tipologie possono interessare tutti gli operatori dei vari settori della U.O. Medicina Nucleare e quelli della U.O. Fisica Sanitaria.
L’ultima tipologia (emergenza clinica) riguarda tipicamente solo il personale della U.O. Medicina Nucleare addetto ai settori di Diagnostica e Terapia, ma potrebbe vedere coinvolti anche operatori sanitari di altre UU.OO.
Spargimento di una intera confezione di radiofarmaco al di fuori di una cella:
Per quanto riguarda una valutazione della possibile irradiazione esterna, a seguito di contaminazione anomala di particolare gravità, si può ipotizzare lo spargimento di un intero flacone/siringa contenente il radiofarmaco, oppure, nel caso di un episodio di incontinenza o di malore (vomito) di un paziente, lo spargimento di tutto il contenuto della vescica o dello stomaco poco dopo l’ingestione di una capsula con la massima quantità di radioattività di cui si può prevedere la somministrazione.
• per ciascun radionuclide si considera l’attività rovesciata pari alla massima attività generalmente presente in una vial o siringa pronta di radiofarmaco; nel caso dello I-131 si considera la massima attività che è possibile somministrare (capsula per o.s. da 7400 MBq); non si considera come incidente plausibile lo sversamento fuori dalla cella dell’intero prodotto del generatore di Mo-99/Tc-99m poiché questo viene eluito direttamente dentro alla cella schermata e non viene mai estratto dalla stessa;
• l’operatore coinvolto nell’incidente indossa i guanti monouso e rimuove la contaminazione superficiale in 15 minuti, tempo durante il quale si trova con il corpo e gli occhi mediamente a 50 cm dalla sorgente; per le mani si sono considerate le distanze media peri a 20 cm o 50 cm;
• viene inalata dall’operatore una frazione pari a 10-6 (fattore di Brodsky [11]) dell’attività dispersa sulla superficie.
Rispettando corrette procedure operative (uso di guanti, minimizzazione tempi intervento, allontanamento personale non necessario), le dosi derivanti da incidenti di questo tipo risultano contenute, tranne che nel caso dei radiofarmaci beta emittenti (terapia MN), dove un incidente con completo sversamento dell’intero contenuto di un flacone potrebbe comportare dosi molto elevate alle mani degli operatori addetti alle operazioni di decontaminazione, per via dell’emissione beta.
Nel caso del settore di terapia medico nucleare, infatti, si sono stimate dosi efficaci entro 0,5 uSv e dosi equivalenti al cristallino dello stesso ordine di grandezza, mentre le dosi alle estremità risultano
molto elevate se si opera con le mani a distanza ravvicinata (fino a 400 mSv per interventi da 15 min a 20 cm di distanza nel caso di Lu-177 o I-131, che si riduce a circa 70 mSv per distanze pari a 50 cm).
Nel caso della diagnostica convenzionale, invece, si sono stimate dosi molto più contenute: dose efficace entro 20 uSv e dosi equivalenti a cristallino e estremità dello stesso ordine di grandezza, tranne nel caso dello I-131, dove un eventuale svuotamento dell’intero contenuto dello stomaco subito dopo la somministrazione di una capsula diagnostica potrebbe comportare una dose alle mani fino a 9 mSv.
Nel caso dei laboratori, le dosi risultano decisamente molto più contenute.
Situazioni di questo tipo devono essere gestite con estrema attenzione e adottando tutte le precauzioni possibili: le procedure operative devono prevedere l’utilizzo di attrezzi con manico lungo per rimuovere il materiale contaminato, evitando di raccogliere il materiale con le mani, e il personale deve essere correttamente informato e addestrato.
Contaminazione della cute:
Gli operatori, soprattutto la durante la preparazione e somministrazione del radiofarmaco, operano sempre con le mani protette da guanti.
A titolo speculativo, però, si ipotizza la contaminazione della cute, non protetta, con una goccia di soluzione pronta per la somministrazione: i radiofarmaci a maggior rischio in tal senso sono quelli per terapia (alte concentrazioni di attività, beta e alfa emittenti, tempi di dimezzamento medio lunghi).
• per ciascun radionuclide si considera di contaminare la cute con una goccia (10 ul) di sostanza alla massima concentrazione di attività possibile;
• la contaminazione si distribuisce su una superficie di pelle pari a 100 cm2
• l’operatore coinvolto nell’incidente impiega 15 minuti a rimuovere la contaminazione.
In situazioni di contaminazione della cute, occorre agire con tempestività, soprattutto nel caso di radiofarmaci beta e alfa emettitori.
È fondamentale che gli operatori rispettino scrupolosamente le istruzioni per minimizzare il rischio di contaminazione, che si controllino spesso con gli appositi strumenti di misura e che provvedano tempestivamente alle operazioni di decontaminazione personale in caso di contaminazione.
In questo caso, è fondamentale rimuovere il più presto possibile la contaminazione, soprattutto nel caso dei farmaci per terapia e PET, poiché sono beta e alfa emettitori e nel primo caso presentano tempo di dimezzamento medio lunghi; per questi, nelle ipotesi sopra indicate, la stima di dose equivalente alla cute può arrivare a qualche decina di mSv. Si valutano dosi decisamente inferiori per i farmaci da diagnostica convenzionale e lo I-125.
Emergenza assistenziale:
Una ultima ipotesi incidentale considerata è la necessità di assistere a lungo e a distanza ravvicinata un paziente in caso di emergenza clinica (diagnostica convenzionale e terapia), nelle seguenti ipotesi di calcolo:
• per ciascun radionuclide è stata somministrata la massima attività prevista;
• si trascurano il decadimento fisico del radionuclide e l’escrezione biologica;
• l’operatore coinvolto presta assistenza al paziente per un’ora, trovandosi con il corpo e gli occhi mediamente a 50 cm dal paziente e le mani a 20 cm.
Nelle condizioni sopra descritte, le stime di dose per esposizione da paziente sono piuttosto contenute (entro 0,2 mSv) tranne nel caso della terapia ad altre dosi con I-131, dove le dosi potrebbero essere significative: si è stimata una dose di circa 1,4 mSv per assistenza ravvicinata (50 cm) per un’ora.
Durante un caso di emergenza assistenziale, la priorità è sicuramente la completa assistenza clinica al paziente, quindi occorre operare senza indugi e con decisione; è necessario che il personale della U.O. Medicina Nucleare provveda ad assistere l’eventuale personale di altre U.O., soprattutto se lavoratori non classificati (interventi di pronto soccorso), fornendo il supporto necessario a minimizzare i rischi (distanza, tempo, DPI), eventualmente richiedendo un cambio.
In casi di emergenza, il personale che assiste il paziente deve indossare guanti, indumenti da lavoro, il camice schermato ed essere fornito un dosimetro a lettura diretta (soprattutto se non già dotato di dosimetro personale), la cui lettura va annotata e comunicata alla U.O. Fisica Sanitaria.
In conclusione, rispettando le corrette procedure operative (uso di DPI, minimizzazione tempi intervento, allontanamento personale non necessario), le dosi derivanti da incidenti di questo tipo risultano in genere contenute, tranne che:
• nel caso dei radiofarmaci beta emittenti (terapia MN), dove un incidente con completo sversamento dell’intero contenuto di un flacone potrebbe comportare dosi molto elevate alle mani degli operatori addetti alle operazioni di decontaminazione, per via dell’emissione beta;
• per assistenza prolungata e ravvicinata dei pazienti trattati con I-131;
• nel caso di importanti contaminazioni della cute con beta e alfa emittitori
In ogni situazione incidentale di questo tipo, o che comunque comporti un rischio radiologico significativo, è necessario allertare immediatamente la U.O. Fisica Sanitaria, al fine di consentire l’esame e l’analisi degli infortuni e delle situazioni incidentali e l’adozione delle azioni di rimedio appropriate.