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4.1 Definizione

La variabilità glicemica è, entro certi limiti, un fenomeno fisiologico, che si verifica anche in soggetti con normale tolleranza glucidica, essendo sia una diretta conseguenza del ritmo circadiano degli ormoni coinvolti nel metabolismo glucidico, sia una risposta all’apporto di carboidrati che si realizza nel corso della giornata.84

Per variabilità glicemica si intendono tutte quelle oscillazioni dei livelli ematici di glucosio che si verificano nel corso della giornata, includendo sia i picchi glicemici post-prandiali sia i periodi di ipoglicemie. La frequenza e/o l’ampiezza di tali oscillazioni sono correlate nei pazienti diabetici ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari.85

La variabilità glicemica è un ben noto problema nel trattamento dei pazienti affetti da DM1 e DM2, e risulta indipendente dai valori medi di glicemia e di HbA1c: pazienti diabetici che raggiungono valori medi di glicemia compresi all’interno del range euglicemico, possono essere comunque a rischio di complicanze acute o a lungo termine se presentano alti livelli di variabilità glicemica; allo stesso modo, pazienti con bassi livelli di HbA1c sono maggiormente a rischio di sviluppare tali complicanze se presentano alti livelli di variabilità glicemica86.

Alti livelli di variabilità glicemica sono stati infatti correlati ad un aumentato rischio di sviluppare severi episodi di ipoglicemia, complicanze microvascolari, deficit cognitivo e distress fisico ed emozionale che porta ad una riduzione della qualità di vita e influisce negativamente sul tono dell’umore.87

Le fluttuazioni della glicemia intra-giornaliere in uno stesso individuo si sono rivelate più pericolose di una cronica e stabile iperglicemia: studi in vitro hanno documentato un maggior effetto apoptotico indotto da concentrazioni variabili di glucosio, rispetto a concentrazioni stabilmente elevate, su cellule renali, endoteliali e sulle β-cellule pancreatiche88; mentre studi in modelli animali hanno dimostrato come tali

fluttuazioni determinassero un’accelerata adesione dei macrofagi alle cellule endoteliali e la formazione di lesioni aterosclerotiche 89.

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Infine in ambito clinico si è osservato che soggetti con una maggior variabilità glicemica presentano livelli più elevati di citochine infiammatorie in circolo, e quindi un aumentato stress ossidativo, disfunzione endoteliale, e in ultima analisi un aumentato spessore intimale carotideo e della massa ventricolare90.

Solo un sistema di monitoraggio continuo della glicemia poteva mettere in evidenza queste fluttuazioni glicemiche intra-giornaliere, mentre gli sporadici stick glicemici del SMBG potrebbero risultare sempre in range euglicemico e non cogliere le oscillazioni al di fuori di questo range (figura 7).

Figura 7: reale profilo glicemico vs monitoraggio glicemico con SMBG

Ecco perché l’elevata variabilità glicemica presente in molti pazienti diabetici è stata quasi un’incidentale scoperta dei primi studi clinici che hanno utilizzato i sistemi CGM: essi non solo hanno mostrato l’esistenza di questa variabilità glicemica, ma hanno inoltre osservato come essa si riducesse in un sottogruppo di pazienti dopo meno di 10 giorni di utilizzo del sistema CGM. 91

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4.2 Indicatori di variabilità glicemica

Per misurare la variabilità glicemica sono stati proposti diversi indicatori, e tutt’oggi non esiste un gold standard. Tra quelli maggiormente utilizzati ricordiamo la SD (standard deviation) e il MAGE (mean amplitude of glycemic excursions).

La SD è una misura della dispersione della glicemia attorno alla media: maggiore è la SD, maggiore è la dispersione dei dati attorno alla media, quindi la curva di distribuzione risulterà più piatta (figura 8). Il valore di SD, unitamente al valore di media glicemica giornaliera, si è rivelato di estrema utilità per predire il rischio di ipoglicemie per ciascun paziente.92

Figura 8: curve di distribuzione relative a differenti valori di SD

Il MAGE è invece la media delle escursioni glicemiche giornaliere che eccedono la SD (standard deviation) misurata nelle 24 ore, e si è rivelato un buon indicatore della variabilità glicemica, assumendo valori più elevati in diabetici instabili rispetto a diabetici stabili, che a loro volta presentano valori maggiori rispetto a controlli sani93.

La formula per il calcolo del MAGE è la seguente:

con

· ne :il numero di escursioni glicemiche giornaliere che eccedono la SD

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L’obiettivo di questo indicatore è quello di considerare solo le escursioni glicemiche maggiori, oltre una SD, e ignorare quelle meno importanti. Nel suo calcolo include solo le escursioni dai picchi ai nadir o dai nadir ai picchi, a seconda di quella che è la prima escursione che si verifica nel corso della giornata.

Per le sue caratteristiche il MAGE è particolarmente idoneo per valutare la variabilità glicemica quando si usano sistemi CGM per il monitoraggio della glicemia.94

Altri indicatori di variabilità glicemica, identificati grazie ai dati glicemici forniti dai sistemi di monitoraggio continuo della glicemia, sono riportati nella tabella 3.

Marcatori biologici come l’HbA1c e la fruttosamina hanno invece scarsa sensibilità nel registrare le rapide variazioni glicemiche: è stato dimostrato infatti che l’HbA1c può persistere su valori normali in soggetti in cui si verificano variazioni rapide della glicemia post-prandiale anche al di sopra di 200 mg/dl; d’altra parte la riduzione delle iperglicemie post-prandiali, mediante l’uso di analoghi di insulina, non si associa a sostanziali variazioni dei valori di HbA1c. Pertanto né l’HbA1c né la fruttosamina possono essere considerate indicatori completi della qualità del compenso metabolico nei soggetti diabetici, ma devono essere affiancati a indicatori che riflettono meglio le fluttuazioni della glicemia95.

In figura 9 è possibile osservare infatti come ad uno stesso valore medio giornaliero di glicemia, e quindi di HbA1c, possono corrispondere fluttuazioni glicemiche molto diverse.

Figura 9: Diverse fluttuazioni glicemiche corrispondono ad uno stesso valore

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Sono stati invece identificati altri marker biologici come possibili indicatori di variabilità glicemica, tra cui l’albumina glicata (GA) e l’1,5-anidroglucitolo (1,5-AG), che possono avere un’utilità clinica per valutare la variabilità glicemica e predire il rischio di complicanze96.

In particolare GA si è rivelato un indice di glicazione più affidabile rispetto a HbA1c per monitorare il controllo glicemico nel breve termine, e un alto rapporto GA/HbA1c riflette maggiori escursioni glicemiche97; allo stesso modo i livelli di 1,5-AG riflettono

maggiormente il controllo glicemico nel breve termine, le iperglicemie postprandiali e la variabilità glicemica rispetto a HbA1c98.

È stato inoltre dimostrato che questi marker correlano significativamente con tutti i parametri di variabilità glicemica derivati dai CGM99. In particolare, il MAGE correla

con i livelli sierici di 1,5-AG e con l’escrezione urinaria di PGF2 (8-iso-prostaglandin F2), marker di stress ossidativo. 100

In tabella 3 sono riportati i principali indicatori di variabilità glicemica, biologici e non.

Tabella 3: Principali indicatori di variabilità glicemica derivati dal CGM e sierici. Serum

Glycated albumin (GA) 1,5-anhydroglucitol (1,5-AG) Glycated albumin/glycosylated hemoglobin ratio

Continuous glucose monitoring (CGM)

Mean (average)±standard deviation (SD) Mean amplitude of glucose excursion (MAGE) Low blood glucose index (LBGI)

High blood glucose index (HBGI) J index

Coefficient of variance (CoV) Low blood glucose index (LBGI) Average daily risk range (ADDR) Mean of daily differences (MODD)

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