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Monitoraggio glicemico con sistema flash in pazienti pediatrici affetti da diabete mellito tipo 1A. Utilità nella pratica clinica.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologia in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Monitoraggio glicemico con sistema flash

in pazienti pediatrici affetti da diabete mellito 1A.

Utilità nella pratica clinica

RELATORE

Chiar.mo Prof. Diego Peroni

CORRELATORE

Dott.ssa Emioli Randazzo

CANDIDATO

Fabrizia Citro

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2

INDICE

RIASSUNTO

……….……….

pag. 5

INTRODUZIONE

1. Il diabete mellito

1.1. Definizione………..……….pag. 10

1.2. Epidemiologia ……….…………..pag. 11

1.3. Classificazione……….………..pag. 12

1.4. Diagnosi ……….………pag. 14

2. Il diabete mellito tipo 1

2.1. Epidemiologia………..…..pag. 15

2.2. Fisiopatologia……….…pag. 16

2.3. Clinica………..pag. 20

2.4. Complicanze croniche…..………...pag. 23

2.5. Terapia……….pag. 26

3. Monitoraggio del glucosio

3.1. Ruolo del monitoraggio……….……….pag. 30

3.2. Monitoraggio continuo del glucosio………..………pag. 31

3.3. Monitoraggio flash del glucosio

3.3.1. Significato………..…….pag.32

3.3.2. Caratteristiche……….pag. 33

3.3.3. Confronto tra CGM e FGM……….pag. 34

3.3.4. Evidenze scientifiche………..pag. 35

(3)

3

4. Variabilità glicemica

4.1. Definizione………pag. 37

4.2. Indicatori di variabilità glicemica………...………..pag. 39

SCOPO DELLA TESI

………..

pag. 42

MATERIALI E METODI

1. Caratteristiche dei partecipanti……….………..

pag. 43

2. Protocollo di studio……….……….

pag. 44

3. Analisi statistica

3.1. Analisi della variabilità glicemica………..pag. 46

3.2. Analisi del controllo metabolico………pag. 48

RISULTATI

1. Variabilità glicemica……….……..

.pag. 49

2. Controllo metabolico………..

pag. 54

3. Relazione tra MAGE e HbA1c……….

pag. 56

DISCUSSIONE

1. Significato clinico………...……

pag. 61

2. Considerazioni sulla terapia insulinica……….………

pag. 62

3. Eventi ipoglicemici e iperglicemieci………....……pag

. 63

4. Valutazione del controllo metabolico………..….……….

pag. 65

(4)

4

CONCLUSIONI

……….………..………..pag.70

ABBREVIAZIONI

………..…..……….pag. 74

(5)

5

RIASSUNTO

INTRODUZIONE

Il Diabete Mellito (DM) comprende un gruppo di disordini metabolici accomunati dall’iperglicemia, derivante da un difetto nella secrezione e/o nell’azione dell’insulina.

Il Diabete Mellito tipo 1 (DM1) è la forma di DM più comune in età pediatrica, ed è definito come una sindrome clinica ad eziologia multifattoriale e a patogenesi autoimmune.

Una corretta terapia, che garantisca un buon controllo metabolico, è necessaria per ridurre il rischio delle complicanze acute (ipoglicemia e chetoacidosi) e a lungo termine microvascolari (retinopatia, nefropatia, neuropatia) e macrovascolari (patologia cardiovascolare e cerebrovascolare) associate al diabete. Terapia insulinica sostitutiva, dieta e attività fisica costituiscono i 3 cardini fondamentali della terapia, che però non può prescindere anche dal monitoraggio delle glicemie, sulla cui base sarà possibile ottimizzare e personalizzare la terapia a seconda delle esigenze individuali del momento.

Il monitoraggio può essere eseguito attraverso il tradizionale SMBG (ossia stick glicemici su sangue capillare) o attraverso un sistema di monitoraggio continuo del glucosio interstiziale (CGM).

Un sistema innovativo di monitoraggio del glucosio interstiziale è rappresentato dal monitoraggio Flash (FGM), che può essere considerato una variante dei sistemi CGM. Il FGM, inizialmente approvato solo per la maggiore età, è stato recentemente autorizzato anche per bambini e adolescenti diabetici (4-17 anni) e sfrutta un sensore del glucosio interstiziale che, posizionato attraverso un applicatore monouso, per 14 giorni rileva i valori del glucosio ad intervalli di 1 minuto, senza necessitare di calibrazioni su sangue capillare (a differenza dei CGM), essendo tarato in fabbrica. Scansionando il sensore con l’apposito lettore sarà possibile visualizzare l’attuale valore di glicemia e un grafico che mostra l’andamento delle ultime 8 ore; collegando il lettore al computer sarà poi possibile visualizzare, con l’apposito software, una serie di report dettagliati sul profilo glicemico delle ultime 4 settimane. Inoltre, il lettore memorizza i dati delle glicemie degli ultimi 90 giorni ad intervalli di 15 minuti.

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Gli evidenti vantaggi che un sistema del genere offre, in primis la riduzione del numero di digitopunture da effettuare (che sono comunque necessarie in presenza di ipoglicemie o in presenza di sintomi non corrispondenti ai livelli glicemici registrati dal sistema) e dunque il miglioramento della qualità di vita dei soggetti, si accompagnano ad altri vantaggi che stanno sempre più emergendo, e che in ultima analisi portano ad un miglioramento del controllo glucometabolico dei pazienti, valutato attraverso i valori di emoglobina glicata (HbA1c), glicemie a digiuno e post-prandiali.

Il controllo glicemico così calcolato risulta però indipendente dalla variabilità glicemica intragiornaliera, e valori soddisfacenti di glicemie medie giornaliere e di HbA1c possono essere associati ad ampie, così come a modiche, fluttuazioni glicemiche. Diversi studi hanno ormai dimostrato come un’ampia variabilità glicemica aumenti il rischio di complicanze acute e a lungo termine, anche in presenza di un buon controllo glicemico, pertanto la variabilità glicemica è, al pari dell’emoglobina glicata, un parametro da prendere in considerazione per valutare il raggiungimento di un buon controllo metabolico complessivo del paziente diabetico.

Attualmente non esistono però in letteratura studi relativi al miglioramento, in termini di variabilità glicemica, ottenuto grazie all’utilizzo di un sistema di monitoraggio flash della glicemia, mentre tale miglioramento è stato già dimostrato per i sistemi CGM.

La nostra ipotesi è che, al pari dei CGM, anche un FGM conduca nel tempo ad una riduzione della variabilità glicemica intragiornaliera, grazie alla maggior aderenza all’automonitoraggio glicemico che l’assenza delle digitopunture comporta, e grazie alla possibilità che il software offre di evidenziare momenti della giornata in cui è necessario effettuare degli aggiustamenti terapeutici.

Esistono diversi indicatori di variabilità glicemica, e ad oggi non ne esiste ancora uno standard, abbiamo pertanto deciso di utilizzare per il nostro studio il MAGE (mean amplitude of glycemic excursions), parametro che prende in considerazione solo le escursioni glicemiche più significative, ossia quelle oltre una deviazione standard (SD).

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SCOPO DELLA TESI

Il primo obiettivo della nostra tesi è di valutare la variabilità glicemica di pazienti pediatrici che utilizzano un sistema di monitoraggio flash della glicemia, confrontando per ciascun soggetto il MAGE a inizio e a fine di un periodo delle 2 settimane di utilizzo di un singolo sensore FGM e, successivamente, confrontando tali dati con il MAGE ottenuto dopo 3 mesi di utilizzo del sistema FGM.

Il secondo obiettivo è quello di valutare se l’uso di un sistema di monitoraggio flash glicemico consenta di ottenere un migliore controllo metabolico complessivo.

MATERIALI E METODI

Abbiamo reclutato 28 pazienti pediatrici affetti da DM1 che utilizzano un sistema di monitoraggio flash del glucosio. Abbiamo scaricato i dati, memorizzati dal lettore, delle glicemie dei 90 giorni precedenti (ossia degli ultimi tre mesi); quindi abbiamo scelto 8 giornate, 4 relative al primo mese e 4 relative al terzo mese, scegliendo per ciascun mese il primo, il secondo, il tredicesimo e il quattordicesimo giorno di utilizzo di un sensore (sensore che ricordiamo va sostituito ogni 14 giorni).

Tramite il software Easy GV version 9.0.R2 abbiamo calcolato il MAGE relativo ad ogni giornata considerata. Dopo aver normalizzato i MAGE ottenuti, li abbiamo confrontati fra di loro attraverso il test T-student per dati appaiati. Per l’analisi statistica abbiamo usato il software SPSS statistics 17.0 , e abbiamo considerato significativo un valore di p<0.05.

Per la valutazione del controllo metabolico abbiamo applicato il test T-student per dati appaiati al confronto tra i valori di HbA1c, unità totali giornaliere di insulina (UI), LBGI e HBGI al primo e al terzo mese di utilizzo del sistema FGM.

RISULTATI

Dall’analisi statistica è emerso come non vi sia differenza significativa nella variabilità glicemica dei soggetti tra l’inizio e la fine del periodo di 2 settimane di utilizzo di un singolo sensore. Al contrario, si assiste ad una riduzione statisticamente significativa (p=0.007) della variabilità glicemica dei soggetti dopo 3 mesi di utilizzo di un sistema di monitoraggio flash della glicemia.

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La riduzione della variabilità glicemica che abbiamo osservato nel nostro campione si accompagna anche ad una riduzione significativa del valore di HbA1c a distanza di 3 mesi, come dimostra il test T-student per dati appaiati (p=0.043). Dal nostro studio emerge che più della metà dei soggetti (17 su 28) ha ridotto sia i valori di MAGE sia quelli di HbA1c, nonostante i due parametri siano tra loro indipendenti, come confermato dal calcolo del coefficiente di correlazione di Pearson r=0.082.

Non si assiste invece ad una riduzione significativa dei valori di UI, LBGI e HBGI.

DISCUSSIONE

La riduzione della variabilità glicemica e dell’HbA1c che si ottiene nella maggior parte dei pazienti lascia immaginare che in essi il sistema FGM abbia effettivamente comportato un miglior controllo metabolico complessivo con una riduzione del rischio di complicanze.

La mancata riduzione della terapia insulinica dei soggetti a distanza di 3 mesi può essere spiegata in vario modo ed è in linea con i risultati soprastanti: infatti il miglior controllo metabolico è verosimilmente stato raggiunto mediante un adeguamento della terapia insulinica, reso possibile grazie alle informazioni derivanti dal FGM. Per quanto riguarda LBGI e HBGI, seppur in assenza di una riduzione statisticamente significativa, è possibile osservare un trend in discesa specialmente per HBGI, e probabilmente ulteriori studi che prendano in considerazione campioni più numerosi e seguiti per più tempo potranno verificarla; inoltre, questi parametri risultano utili per caratterizzare meglio il controllo metabolico di ciascun soggetto, valutando non solo variabilità glicemica ed emoglobina glicata, ma anche il livello di ipo e iperglicemie.

Dalla nostra analisi è infine emerso come, in alcune situazioni, il MAGE non può essere usato come indicatore di variabilità glicemica: infatti, in presenza di valori glicemici troppo ampiamente distribuiti attorno alla media (ossia elevata SD), il MAGE non riesce a cogliere tale variabilità.

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CONCLUSIONI

I risultati della nostra tesi mostrano che, mentre non è possibile osservare una riduzione significativa della variabilità glicemica del nostro campione di pazienti a inizio e fine di un periodo di due settimane di utilizzo di un sistema di monitoraggio flash della glicemia, si realizza una riduzione significativa di tale variabilità a distanza di 3 mesi.

Allo stesso modo, è possibile osservare una riduzione significativa dei valori di emoglobina glicata dopo 3 mesi di FGM.

Questo risultato suggerisce che il sistema di monitoraggio flash della glicemia comporta un effettivo miglioramento del controllo metabolico complessivo dei soggetti, valutato sia in termini di variabilità glicemica (MAGE), sia di controllo glicemico (HbA1c e glicemie medie giornaliere).

Infatti l’utilizzo di un sistema FGM si accompagna ad una maggior aderenza all’automonitoraggio, eliminando il fastidio associato alle digitopunture, e consente di ricavare facilmente le informazioni necessarie per ottimizzare la terapia insulinica, personalizzandola secondo le esigenze individuali. Quest’ultimo è uno dei motivi per cui non si è assistito ad una riduzione della terapia insulinica giornaliera.

Per identificare i soggetti che hanno raggiunto un effettivo buon controllo metabolico risulta necessario prendere in considerazione diversi parametri: il MAGE come indicatore di variabilità glicemica, HbA1c per valutare il controllo glicemico, LBGI come indicatore del livello di ipoglicemie. Soltanto nei soggetti con bassi livelli di tutti e tre questi parametri sarà possibile affermare che è stato raggiunto un ottimale controllo metabolico.

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INTRODUZIONE

1. IL DIABETE MELLITO

1.1 Definizione

Il Diabete Mellito (DM) comprende un gruppo di disordini metabolici accomunati dall’iperglicemia cronica, che deriva da un difetto nella secrezione e/o nell’azione dell’insulina, e tale difetto comporta alterazioni nel metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine 1.

L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas che consente al glucosio di entrare nelle cellule per essere utilizzato come fonte energetica. Quando questo

meccanismo è alterato il glucosio si accumula nel circolo sanguigno determinando così l’iperglicemia.

L’iperglicemia è responsabile sia della sintomatologia sia delle complicanze, acute o a lungo termine, associate al diabete.

I sintomi includono poliuria, polidipsia, perdita di peso, talora con polifagia e visione confusa; una cronica iperglicemia può inoltre comportare ritardi nella crescita e suscettibilità alle infezioni.

Una complicanza acuta e potenzialmente fatale legata all’iperglicemia è la chetoacidosi diabetica, così come la sindrome iperosmolare non-chetosica. Le complicanze a lungo termine interessano diversi organi, in particolare occhi, rene, nervi, cuore e vasi sanguigni: la retinopatia può comportare la perdita della vista; la nefropatia conduce a insufficienza renale; la neuropatia periferica porta a ulcere ai piedi, amputazioni e “piede di Charcot” mentre la neuropatia autonomica causa disturbi gastrointestinali, cardiovascolari e urogenitali. Inoltre, il diabete aumenta il rischio di sviluppare aterosclerosi, ipertensione arteriosa, malattia cardiovascolare e cerebrovascolare. 2

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1.2 Epidemiologia

Il diabete mellito sta dilagando nel mondo: una crescita inarrestabile, sia nei Paesi sviluppati (Europa, Nord America e Australia) che in quelli in via di sviluppo (Africa, Asia e Sud America), e anzi in questi ultimi la crescita è ancora maggiore.

Attualmente nel mondo circa 422 milioni di persone sono affette da diabete, e la prevalenza dal 1980 ad oggi è quasi raddoppiata, passando dal 4.7 all’8.5% della popolazione mondiale3, e questo numero è destinato a salire, e si pensa che nel 2035

si arriverà a 600 milioni di persone con diabete4.

L’Italia è in linea con questo andamento, infatti i dati Istat mostrano che oltre 3 milioni di italiani sono affetti da diabete, ossia 1 milione in più rispetto al 2000, con un aumento della prevalenza dal 2.9 al 5.3% negli ultimi 30 anni (16.5% degli ultra 65enni). Ciò è dovuto a diversi fattori, tra cui l’invecchiamento della popolazione, l’anticipazione della diagnosi (che evidenzia casi rimasti prima sconosciuti) e l’aumento della sopravvivenza dei malati di diabete. Infatti il diabete si colloca all’ottavo posto tra le principali cause di morte in Italia, perdendo così una posizione rispetto al 2007 in cui rappresentava la settima causa di morte. Andando più nel dettaglio, è possibile osservare però delle differenze per genere e per regione, risultando una più comune causa di morte al Sud e nelle donne. Nel complesso si sono registrati 20.119 morti per diabete in Italia nel 20165.

Figura 2: il diabete mellito in Italia nel 2016

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1.3 Classificazione

A seconda del diverso meccanismo patogenetico alla base dell’iperglicemia si distinguono diversi tipi di diabete, di cui il diabete mellito tipo 1 (DM1) e il diabete mellito tipo 2 (DM2) rappresentano le due forme principali.

• Il DM1 è causato da un deficit assoluto di secrezione di insulina e i soggetti a rischio di sviluppare questa condizione sono spesso identificati grazie all’evidenza sierologica di un processo autoimmune di distruzione delle isole pancreatiche e alla presenza di determinati marker genetici.

La distruzione beta cellulare però, oltre che su base autoimmune, può essere anche idiopatica (nel momento in cui la beta cellula perde completamente la sua funzione ma non si riesce a dimostrare un processo autoimmune alla base): possiamo così distinguere

➢ DM1A (immunomediato) ➢ DM1B (idiopatico)

All’interno del DM1A è poi possibile distinguere una variante LADA (latent autoimmune diabetes in adults), con decorso più lento, che compare nell’adulto.

• Il DM2 rappresenta la forma più frequente ed è caratterizzato dalla combinazione di diminuita sensibilità all’insulina (insulino-resistenza) e, successivamente, diminuita secrezione. Questo difetto progredisce nel tempo, ma in genere non porta mai a carenza assoluta dell’ormone, ed è il più delle volte causato da un deficit parziale di secrezione di insulina (disfunzione beta cellulare) che si instaura su una condizione preesistente e su base multifattoriale di insulino-resistenza.

• Una terza forma di diabete è rappresentata dal diabete gestazionale, causato da difetti funzionali analoghi a quelli del DM2, e che viene diagnosticato per la prima volta in gravidanza e non prima del secondo trimestre di gestazione; in genere regredisce dopo il parto ma può in seguito ripresentarsi, preferenzialmente con le caratteristiche del DM2.

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• Infine esistono altri tipi di diabete dovuti a specifiche cause:

➢ cause genetiche (MODY: forme dovute a un difetto genetico di funzione beta-cellulare o causate da difetti genetici dell’azione insulinica);

➢ malattie del pancreas esocrino; ➢ endocrinopatie;

➢ farmaci o sostanze tossiche; ➢ Infezioni;

➢ rare forme di diabete immuno-mediato

➢ sindromi genetiche rare talora associate al diabete. 6

Le principali differenze tra il DM1 e il DM2 sono illustrate nella tabella 1.

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1.4 Diagnosi

I criteri diagnostici del diabete mellito, universalmente accettati, si basano sul dosaggio del glucosio ematico e sulla presenza o assenza di sintomi:

• In presenza dei sintomi tipici del diabete (poliuria, polidipsia, perdita di peso), la diagnosi è posta con il riscontro, anche in una sola occasione, di una glicemia casuale ≥ 200 mg/dl.

• In assenza di sintomi tipici della malattia la diagnosi di diabete deve essere posta con il riscontro, confermato in almeno due diverse occasioni, di una delle seguenti condizioni:

- glicemia a digiuno ≥126 mg/dl (per digiuno si intende almeno 8 ore di astensione dal cibo)

- glicemia ≥200 mg/dl 2 ore dopo carico orale di glucosio (eseguito con 75 g) - HbA1c ≥48 mmol/mol (6,5%)

Oltre al diabete sono conosciuti altri stati di disglicemia, che identificano soggetti a rischio di sviluppare diabete o malattie cardiovascolari.

Si parla di alterata glicemia a digiuno, o impaired fasting glucose (IFG), per il riscontro di una glicemia a digiuno di 100-125 mg/dl.

Per una glicemia di 140-199 mg/dl dopo 2 ore dal carico orale di glucosio (75g nell’adulto, 75g/1,25 m2 di superficie corporea in età evolutiva) definisce la

condizione di ridotta tolleranza al glucosio, o impaired glucose tolerance (IGT). Altra condizione di disglicemia è data dal riscontro di HbA1c di 42-48 mmol/mol (6-6.49%)6

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2. IL DIABETE MELLITO TIPO 1

2.1 Epidemiologia

Il DM1 è responsabile del 10 % dei casi di diabete nel mondo ed è la forma di diabete più frequente in età pediatrica, nonostante stiano aumentando anche i casi di diabete mellito tipo 2 in questa fascia di età.7

La prevalenza e l’incidenza del DM1 nel mondo variano molto in base a fattori geografici, demografici, biologici e culturali, e la malattia insorge con la massima frequenza nei bianchi di discendenza Nord-Europea: i tassi di incidenza maggiori si osservano in Finlandia, con 64,2 nuovi casi su 100.000 bambini sotto i 15 anni 8, quelli

più bassi in Cina e Venezuela con un tasso di incidenza di 0.1/100.000 l’anno, e la probabilità di sviluppare DM1 in un bambino finlandese è quasi 700 volte superiore rispetto a un bambino cinese. 9 Comunque sia, tanto nei Paesi a bassa prevalenza

quanto in quelli ad alta, l’incidenza è in costante crescita, ad un ritmo del 3% l’anno, e nel 2017 si è arrivati ad oltre 586.000 bambini (0-14 anni) con DM1 nel mondo, con 132.000 nuovi casi di diagnosi.10

Per quanto riguarda l’Italia, si sono registrati in media 11 nuovi casi su 100.000 bambini (0-19 anni) nel 2017, arrivando così a quasi 12.000 bambini affetti da DM1. Ricordiamo che la Sardegna costituisce un’eccezione nel panorama italiano, e infatti qui l’incidenza è molto maggiore rispetto alle medie nazionali e simile a quella finlandese (45/100.000 nuovi casi all’anno, con un picco rilevato nel 2005 di poco superiore a 60/100.000) 11.

Il DM1 può essere diagnosticato ad ogni età, ma si registrano due principali picchi di esordio: uno a 5-7 anni e l’altro in età puberale12. I maschi sono lievemente più colpiti,

a differenza di quanto accade per quasi tutte le altre malattie autoimmuni 13. Inoltre

sono state registrate differenze stagionali nell’incidenza: si ammalano di più bambini nati in primavera, e più casi sono diagnosticati in autunno e in inverno14. Tutto ciò ci

porta a capire come nello sviluppare questa patologia giochino un ruolo chiave tanto fattori genetici quanto ambientali, come illustrato meglio in seguito, e nel complesso l’aumento di incidenza che si sta verificando nelle ultime decadi sia da attribuire principalmente a cambiamenti ambientali. 15

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2.2 Fisiopatologia

Alla base del DM1 ritroviamo, come si diceva prima, un processo di distruzione, prevalentemente su base autoimmune, delle cellule beta delle isole pancreatiche, che conduce nel tempo ad un difetto assoluto della secrezione di insulina. L’eziologia resta sconosciuta, ma sono stati individuati diversi agenti ambientali che, sulla base di un background genetico predisponente, costituirebbero il trigger per lo sviluppo della malattia: virus (rosolia, coxackie, enterovirus ecc.), la ridotta esposizione solare e dunque la carenza di vitamina D, diete (DM1 associato con il latte vaccino e con il glutine, probabilmente per un mimetismo molecolare rispettivamente tra la beta-caseina e la gliadorfina con un epitopo del trasportatore GLUT2 ), tossine (nitrosammine); la cosiddetta teoria dell’igiene 16.

Recenti studi hanno dimostrato come i pazienti diabetici all’esordio presentano, rispetto a controlli sani, più bassi livelli di vitamina D (livelli carenti, ossia <50nmol/L, si ritrovano in oltre il 48% dei pazienti, e solo nel 18% dei controlli) e una positività all’enterovirus nel 65% dei casi (ricerca che risulta negativa nei controlli sani); inoltre i pazienti con più bassi livelli di vitamina D sono anche quelli che presentano la positività all’infezione, e ciò lascia immaginare o che nei diabetici virus-negativi l’evento trigger sia diverso da un’infezione, o che i pazienti con livelli adeguati di vitamina D siano stati in grado di risolvere rapidamente l’infezione.17

Possiamo quindi distinguere diversi stadi nella storia naturale del DM1 (figura 3).

• Il primo stadio è quello in cui il soggetto, in virtù della sua predisposizione

genetica, è a rischio di sviluppare la malattia: ad oggi sono stati individuati oltre

40 loci di suscettibilità genetica, tra cui ritroviamo i geni del complesso HLA sul cromosoma 6. Particolari aplotipi HLA si ritrovano più frequentemente in soggetti affetti da DM1 rispetto a controlli sani, specialmente quelli di classe II, come HLADRB1*DR3/4 e HLADQB1*0201/0302 18.

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• Se su questo background genetico agisce un fattore ambientale, in presenza anche di particolari fattori immunitari individuali che determinano un certo modo di rispondere agli stimoli esterni, si innesca un processo autoimmune di distruzione beta-cellulare e si passa allo stadio 2,

• e quindi allo stadio 3 nel momento in cui si instaura uno stato variabile di insulite: in questa fase la glicemia è ancora normale, grazie all’enorme riserva funzionale pancreatica, e anche la secrezione di insulina è normale, ma in circolo è possibile rilevare la presenza di autoanticorpi e una biopsia pancreatica mostrerebbe il quadro di insulite, ossia isole pancreatiche occupate da un infiltrato infiammatorio cronico (costituito prevalentemente da linfociti T CD8+ e in misura minore da macrofagi, linfociti B, plasmacellule e linfociti T CD4+) e deplete di beta cellule. 19

Gli autoanticorpi rilevati in circolo sono diretti verso gli elementi delle isole pancreatiche, e ritroviamo infatti anticorpi diretti verso l’insulina (IAA), verso la decarbossilasi dell’acido glutammico (GADA), verso l’enzima proteina tirosin-fosfatasi (IA2) e verso il trasportatore dello zinco ZnT8 (ZnT8A), che sono tutti antigeni che si ritrovano nei granuli secretori delle beta-cellule. Questi anticorpi hanno un ruolo diagnostico e prognostico e possono essere utilizzati per predire il rischio individuale di sviluppare DM1 prima del suo esordio clinico, oltre che per seguirne poi la sua storia naturale20.

• Si passa allo stadio 4, di pre-diabete, quando anche la secrezione di insulina risulta alterata, poiché si perde la prima fase di secrezione di insulina. Infatti, facendo una curva da carico di glucosio, si vede che la secrezione di insulina nella prima fase è ridotta: ciò è dovuto allo stato infiammatorio presente nelle isole pancreatiche, che rallenta il rilascio di insulina. La curva che rappresenta la secrezione dell’insulina di conseguenza non sarà più bifasica ma monofasica, e questo andamento è dovuto alla minor risposta insulinica iniziale (valutata con il dosaggio del C-peptide), compensata poi da una maggior secrezione a 2 ore dal

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carico (livelli più alti di C-peptide): pertanto in questa fase si riesce ancora a mantenere una buona omeostasi glucidica.21

• La perdita di beta-cellule va però avanti, più o meno rapidamente a seconda dell’età del soggetto, essendo in genere più lenta nell’adulto e più rapida nel bambino, e quando si arriva ad avere meno del 20% delle isole pancreatiche funzionanti allora il compenso non è più possibile e si manifesta clinicamente il diabete, con un esordio più o meno brusco a seconda dei casi.22

Figura 3: Stadi del diabete tipo 1 in relazione alla riduzione della massa beta

cellulare. La progressione è più o meno rapida in base all’età.

A questo punto infatti l’insulina prodotta non è più sufficiente, e prevale l’azione degli ormoni contro-insulari, primo fra tutti il glucagone.

I tessuti insulino-dipendenti non potranno più far entrare nelle cellule e utilizzare il glucosio, che pertanto si accumula nel sangue determinando iperglicemia. L’iperglicemia è inoltre aggravata dallo stimolo continuo alla glicogenolisi e alla gluconeogenesi, non più frenate dall’azione dell’insulina. Per lo stesso motivo sono stimolate la proteolisi e la lipolisi. Quest’ultima in particolare porterà alla formazione di numerosi acidi grassi liberi che, rilasciati in questa condizione di assenza di insulina, non potranno essere utilizzati per formare trigliceridi e lipoproteine, ma andranno incontro ad una beta-ossidazione che culminerà nella formazione di corpi chetonici a livello epatico per azione del glucagone.

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L’iperglicemia che eccede la soglia renale (180 mg/dl) e l’iperchetonemia causano diuresi osmotica, disidratazione e perdita di elettroliti, che spesso è aggravata dal vomito. Il risultato sarà una chetoacidosi, comune esordio della malattia in età pediatrica, se questo ciclo non viene prima interrotto con la somministrazione esogena di insulina, fluidi ed elettroliti.23

• Ultimo stadio, che spesso si verifica dopo l’inizio della terapia del diabete, è quello della “luna di miele” (rappresentata in figura 4), con durata variabile di mesi o anni 24, caratterizzato dalla temporanea riduzione, a volte fino alla sospensione,

della terapia con insulina, associata ad aumentati livelli di C-peptide e pro-insulina. Alla base di questa osservazione clinica sembra esserci nell’uomo non tanto una proliferazione beta-cellulare, come si osserva nei topolini, quanto una ripresa della funzione delle cellule beta, che si arricchiscono nuovamente di granuli secretori dopo il trattamento insulinico che normalizza i parametri metabolici 25.

Figura 4: rappresentazione della “luna di miele”26: mentre la perdita di massa beta

cellulare continua, si assiste ad una ripresa della loro funzione.

È infine necessario ricordare che nell’ambito del DM1 è possibile ritrovare una grande eterogeneità, e in base alla diversa patogenesi distingueremo un diabete mellito tipo 1A, in cui è possibile dimostrare la presenza di un processo autoimmune (autoanticorpi e geni di suscettibilità) alla base della distruzione beta-cellulare, e un diabete mellito 1B, noto anche come idiopatico, in caso contrario.

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Il primo sottogruppo rappresenta comunque il 70-90% dei casi e ad oggi vi rientrano anche quei casi un tempo considerati una categoria a se’ stante e classificati sotto il nome di LADA (latent autoimmune diabetes of adults): in tal caso l’esordio è nell’adulto (>35 anni), e spesso sono soggetti che all’inizio non necessitano del trattamento insulinico (per i primi 6 mesi dalla diagnosi) 27, però è possibile rilevare

la presenza di autoanticorpi contro le isole pancreatiche, in particolare quelli GADA, e l’associazione con gli stessi aplotipi HLA del diabete dell’infanzia28.

2.3 Clinica

Le alterazioni metaboliche presenti nel DM1 e dovute al deficit di insulina sono responsabili della sintomatologia dei soggetti.

L’iperglicemia è alla base della glicosuria, per saturazione dei trasportatori del glucosio a livello renale, che comporta una diuresi osmotica e quindi poliuria. La risposta alla conseguente disidratazione è la polidipsia.

Dal punto di vista del metabolismo lipidico e proteico, la lipolisi e la proteolisi sono responsabili della perdita di peso e quindi dell’attivazione del centro della fame con successiva polifagia.

Tra gli altri sintomi ricordiamo visione offuscata, infezioni frequenti e ritardo nella guarigione delle ferite, confusione mentale fino alle più gravi condizioni di chetoacidosi e sindrome iperosmolare non chetosica: queste, insieme alla condizione contraria di ipoglicemia, costituiscono le emergenze metaboliche del diabete.2

• Il diabete nel bambino può avere un brusco e improvviso esordio e presentarsi con una grave condizione dismetabolica, potenzialmente mortale, che è la

chetoacidosi (DKA). Questa è il risultato dell’insufficiente produzione d’insulina,

che si verifica in un soggetto, come il bambino, nel quale è più difficile riconoscere i sintomi del diabete mellito, causando un ritardo diagnostico che può avere ricadute drammatiche29. Talora la chetoacidosi si ritrova in soggetti già in terapia

insulinica, a seguito di eventi precipitanti come un’infezione, che aumenta le richieste insuliniche, o anche la non corretta assunzione della terapia, come spesso si può osservare in età adolescenziale.

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I sintomi associati a questa condizione includono nausea, vomito, dolore addominale; il paziente presenterà inoltre glicosuria, ipovolemia e tachicardia, dovuti alla marcata iperglicemia, e ipotensione come risultato dell’ipovolemia e della vasodilatazione periferica. Tipici segni sono il respiro superficiale di Kussmaul e l’alito acetonemico. Da una più lieve forma di letargia si può passare a una più severa forma di ottundimento e confusione mentale fino ad una condizione di coma con eventuale exitus, come precedentemente osservato. La diagnosi biochimica di chetoacidosi si pone riscontrando livelli di bicarbonatemia <15mmol/l e/o un pH venoso <7,25 (<7,30 per quello arterioso/capillare)30: gli ioni bicarbonato sono infatti consumati come sistemi

tampone per compensare l’acidosi metabolica, e il risultato sarà l’aumento del gap anionico. Nelle urine, nel sangue e nell’espirato del soggetto sarà possibile trovare corpi chetonici.

La terapia prevede la somministrazione di fluidi ed elettroliti prima ancora dell’insulina, per ripristinare la volemia, riducendo l’acidosi lattica, e migliorare la filtrazione renale e dunque la clearance di glucosio e chetoni, e ridurre così il rischio di edema cerebrale. La terapia insulinica è comunque essenziale per normalizzare i livelli di glicemia e inibire la lipolisi e la chetogenesi31.

• La sindrome iperosmolare è un’altra emergenza metabolica che può verificarsi in soggetti affetti da DM1, sebbene più comune nel DM2. In tal caso più alti livelli di glicemia (>600 mg/dl), causano una più importante disidratazione e quindi un’elevata osmolarità plasmatica (>320 mOsm/kg), mentre i valori di pH e bicarbonatemia non sono alterati e non si ritrovano quasi chetoni nel sangue e nelle urine32: infatti in questa condizione i livelli di insulina sono ancora sufficienti

a evitare la lipolisi e la chetogenesi ma non a contrastare l’iperglicemia, che conduce ad una seria disidratazione con tutti i suoi segni tipici (secchezza di cute e mucose, ipotensione, tachicardia, ipotermia, oligo/anuria, grave letargia fino a possibile coma); è possibile ritrovare un’acidosi lattica associata, conseguenza dell’ipoperfusione periferica. La terapia si basa sempre sulla somministrazione di fluidi, insulina e sul trattamento dei fattori precipitanti33.

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• La terapia per il diabete (terapia insulinica o con farmaci ipoglicemizzanti secretagoghi come le sulfaniluree) è la causa più frequente di ipoglicemie. Ci sono tre diversi gradi di ipoglicemie:

- lieve: in cui sono presenti solo sintomi neurogenici dovuti alla risposta adrenergica (tremori, palpitazioni e sudorazione algida)

- moderato: in cui ci sono anche sintomi neuroglicopenici (confusione, debolezza)

- severo: in cui l’individuo presenta alterazione dello stato di coscienza e dunque necessita dell’aiuto di terzi per risolvere l’ipoglicemia34.

I sintomi si presentano non tanto ad una soglia precisa di glicemia, ma a glicemie variabili in base allo scompenso glicemico e alla frequenza di pregressi episodi di ipoglicemie; una glicemia di 70 mg/dl viene comunque indicata come soglia di allerta per definire un episodio di ipoglicemia35.

La diagnosi di ipoglicemia può essere posta grazie alla cosiddetta triade di Whipple: presenza di sintomi adrenergici o neuroglicopenici, concomitante riscontro di bassi livelli di glicemia, e rapida risoluzione della sintomatologia con la somministrazione di zuccheri36.

Ripetuti episodi di ipoglicemia sono stati associati a deficit cognitivi oltre che a riduzione della qualità di vita dei bambini, e particolarmente a rischio sono quei soggetti che, per un’alterata sensibilità autonomica, non riconoscono l’ipoglicemia se non a concentrazioni di glucosio molto basse, quando cioè compaiono i sintomi neuroglicopenici: in questi pazienti con ipoglicemie inavvertite è stato recentemente evidenziato alla MRI una piccola riduzione del volume di corteccia cerebrale rispetto ai controlli e anche rispetto a soggetti con ipoglicemie sintomatiche37.

Secondo la nota “regola del 15/15” l’ipoglicemia lieve-moderata dovrebbe essere trattata assumendo 15 g di carboidrati per os (glucosio in tavolette o saccarosio in grani, sciolto in acqua, o 125 ml di una bibita zuccherata o di un succo di frutta, o un cucchiaio da tavola di miele), rivalutando la glicemia dopo 15 minuti e ripetendo il trattamento con altri 15 g di carboidrati sino a che la glicemia non risulti superiore a 100 mg/dl38.

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Il trattamento delle ipoglicemie gravi prevede invece l’assistenza di terzi per un trattamento per via parenterale: in ambiente extraospedaliero la somministrazione di glucagone (1mg in adulti e bambini di età superiore a 12 anni; 0.5mg in bambini di età inferiore a 12 anni) sarà fatta per via intramuscolare o sottocutanea; in ambiente ospedaliero sarà invece possibile procedere ad un’infusione endovenosa di 15-20g di glucosio in soluzioni ipertoniche al 20-30% in 1-3 minuti (in età pediatrica è consigliata una dose di 200-500 mg/kg) 39.

2.4 Complicanze croniche

Con l’introduzione della terapia insulinica nel 1922, i soggetti affetti da DM1 iniziarono a sopravvivere di più, e questo portò alla luce quelle che sono le complicanze a lungo termine del diabete.

Le complicanze a lungo termine del diabete, sia del tipo 1 sia del tipo 2, sono classicamente distinte in macrovascolari e microvascolari.

• La macroangiopatia è fortemente correlata all’aumentato rischio cardiovascolare del soggetto diabetico, in cui le malattie cardiovascolari costituiscono la principale causa di mortalità e morbilità40, tanto che si stima che i diabetici

presentino un rischio di eventi cardiovascolari pari a quello della popolazione non diabetica cardiopatica, rischio che è proporzionale sia alla durata della malattia diabetica sia ai valori di HbA1c41.

Nel diabetico il processo di aterogenesi nei vasi di grosso calibro è infatti accelerato: l’iperglicemia, unita alla dislipidemia, all’ipertensione e allo stato infiammatorio (condizioni che ritroviamo più frequentemente nel DM2 rispetto al DM1) possono danneggiare il glicocalice e determinare una disfunzione endoteliale che consente il passaggio alle LDL e ai leucociti nello spazio sottoendoteliale, dando così avvio al processo di formazione e crescita della placca42.

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• Le complicanze microvascolari interessano i reni, gli occhi e il sistema nervoso periferico e possono condurre a insufficienza renale, cecità e amputazioni43.

Alla base delle complicanze microvascolari c’è l’iperglicemia, tant’è che un buon controllo glicemico, valutato con l’HbA1c, può ridurne o ritardarne l’insorgenza, migliorando a lungo termine la qualità di vita dei pazienti44.

L’iperglicemia conduce alla formazione di prodotti finali di glicazione (AGEs), attiva vie metaboliche e infiammatorie anomale, contribuisce a creare uno stress ossidativo e iperosmolare: tutto ciò comporta edema locale e disfunzione tissutale, a cui segue un’incontrollata rigenerazione vascolare, e infatti la microangiopatia diabetica è caratterizzata da vasi immaturi e altamente permeabili. 45

➢ La nefropatia diabetica si manifesta nel 20-40% dei soggetti affetti da diabete, e il diabete è oggi una delle principali cause di malattia renale terminale (ESRD: end stage renal disease). È possibile distinguere 5 stadi nella nefropatia diabetica, in base ai valori di escrezione urinaria di albumina (AER) e di filtrazione glomerulare (GFR): iperfiltrazione, normoalbuminuria, microalbuminuria (30-300 mg/24h), macroalbuminuria (>300 mg/24h), e insufficienza renale terminale (ESRD)46.

La comparsa della microalbuminuria è associata ad un aumentato rischio cardiovascolare47. Un buon controllo glicemico e pressorio può però

ritardare l’insorgenza e la progressione della nefropatia, e il controllo pressorio è in genere ottenuto grazie alla terapia con ACE-inibitori, che si sono rivelati importanti nefroprotettori48. Fondamentale risulta essere lo

screening della nefropatia, effettuato tramite la valutazione dell’escrezione urinaria di albumina, che viene raccomandato annualmente nel paziente affetto da DM1 da oltre 5 anni e fin dal momento della diagnosi nel DM249.

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➢ La retinopatia diabetica è la più importante complicanza oculare del diabete mellito e costituisce nei Paesi industrializzati la principale causa di cecità tra i soggetti in età lavorativa. Oltre alla retinopatia, il diabete è associato ad altre alterazioni oculari come la cataratta, che non solo è più frequente ma tende a manifestarsi più precocemente, e la sua asportazione chirurgica può avere esiti meno favorevoli per il recupero visivo, rispetto alla popolazione non diabetica.

I principali fattori di rischio per la retinopatia diabetica sono rappresentati dalla durata del diabete, dai livelli di HbA1c, dalla pressione arteriosa e dall’essere affetti da DM1 piuttosto che DM250.

Come per la nefropatia anche per la retinopatia diabetica ottimizzare il controllo glicemico e pressorio è utile per ritardarne l’insorgenza e la progressione43. A tal proposito ricordiamo che la retinopatia si aggrava

progressivamente passando da una forma non proliferante ad una proliferante, con eventuale edema maculare associato.

Lo screening si effettua valutando il fondo oculare a pupilla dilatata per la prima volta dopo 5 anni dalla diagnosi nel DM1 e immediatamente al momento della diagnosi nel DM2, ripetendo i controlli almeno ogni 2 anni in assenza di retinopatia, più frequentemente in presenza di qualche alterazione. Il trattamento delle forme proliferanti si avvale della panfotocoagulazione o dell’iniezione intravitreale di farmaci anti-angiogenici.

➢ La neuropatia diabetica è una patologia eterogenea con diverse forme cliniche, fra cui la polineuropatia simmetrica sensitivo-motoria, che è la forma più comune, ed è attribuibile ad alterazioni metaboliche e microvascolari conseguenti all’esposizione cronica a iperglicemia e a cofattori di rischio cardiovascolare51.

Lo screening della polineuropatia deve essere effettuato utilizzando semplici test clinici, quali la valutazione della sensibilità pressoria mediante il monofilamento di 10 g e della sensibilità vibratoria all’alluce mediante

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diapason; fondamentale è inoltre l’ispezione dei piedi (che possono mostrare deformità, cute secca, calli, infezioni e ulcere), e l’analisi dei riflessi achillei.

Un’altra forma di neuropatia diabetica è quella vegetativa, che può interessare vari apparati come quello cardiovascolare (e il soggetto può presentare tachicardia a riposo, intolleranza all’esercizio fisico e ipotensione ortostatica, allungamento del QT, ischemia miocardica silente, etc.); quello gastrointestinale (causando disfagia, gastroparesi, stipsi, diarrea, incontinenza fecale); quello urogenitale (causando disfunzione vescicale, disfunzione erettile ed eiaculazione retrograda); altre manifestazioni riguardano la possibile compromissione della funzionalità delle ghiandole sudoripare, della capacità di riconoscere i segni dell’ipoglicemia, fino alla comparsa di un quadro anemico secondario a inappropriata secrezione di eritropoietina. 52

2.5 Terapia

Esistono evidenze incontrovertibili che, nel DM1, il miglioramento del controllo glicemico consente di prevenire la comparsa e la progressione delle complicanze acute e a lungo termine, micro e macrovascolari. D’altro canto, la riduzione dell’emoglobina glicata e della glicemia attraverso l’intensificazione della terapia si accompagna ad un aumento del rischio di ipoglicemia53. Pertanto, il trattamento del

DM1 mira al raggiungimento di glicemie non troppo elevate contenendo, per quanto possibile, il rischio di ipoglicemie. Questo può essere ottenuto attraverso l’impiego di schemi terapeutici basal-bolus, che mimano il più possibile la fisiologica secrezione di insulina: tali schemi consistono nella somministrazione di insulina a breve durata d’azione ai pasti (bolus), associata a una insulinizzazione basale ottenuta tramite iniezione sottocutanea di insulina ad azione lenta (terapia multi-iniettiva), oppure attraverso l’infusione sottocutanea continua di insulina ad azione rapida con microinfusori.

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Per quanto riguarda la terapia insulinica multi-iniettiva (MDI), oggi gli analoghi dell’insulina, a breve e a lunga durata d’azione, hanno sostituito le insuline umane (regolare e NPH). In Italia sono disponibili, per l’uso in età evolutiva, tre tipi di analoghi a breve durata d’azione (lispro, aspart, glulisina) e tre analoghi a lunga durata d’azione (glargine, detemir, degludec).

Il fabbisogno individuale di insulina è compreso in genere tra 0,5 e 1,0 UI/kg/giorno. In un regime terapeutico basal-bolus, il 50-70% di questo fabbisogno (comunque in dipendenza del quantitativo di carboidrati assunti) può essere fornito da analoghi ad azione rapida di insulina, il resto dall’insulina ad azione lenta.

Gli analoghi rapidi dell’insulina hanno un inizio di azione più rapido, una durata d’azione più breve e un picco di concentrazione plasmatica più ampio e precoce rispetto all’insulina umana regolare, consentendo un miglior controllo della glicemia in fase prandiale precoce e riducendo il rischio di ipoglicemia in fase post-prandiale tardiva54.

Anche gli analoghi ad azione lenta, avendo un’emivita più lunga rispetto all’insulina umana NPH, maggiore riproducibilità nell’assorbimento da un giorno all’altro e quindi migliore stabilità della glicemia, consentono una riduzione del rischio di ipoglicemia rispetto alle insuline umane. 55

Mentre non esistono sostanziali differenze tra gli analoghi ad azione rapida, per quelli ad azione lenta bisogna dire che detemir ha, rispetto a glargine, una durata d’azione lievemente più breve, per cui a fronte di un simile rischio ipoglicemico e a parità di HbA1c, detemir richiede dosi lievemente più elevate56.

Degludec ha un’emivita superiore alle 24 ore, decisamente più lunga rispetto a glargine o detemir; di conseguenza fornisce concentrazioni pressoché stabili di insulina basale nel corso della giornata. Per le sue caratteristiche cinetiche, raggiunge lo steady state dopo 3-4 giorni dall’inizio del trattamento, mostra una maggiore riproducibilità da un giorno all’altro nell’assorbimento e nell’azione biologica rispetto a glargine, e clinicamente questa caratteristica si traduce in un minor rischio di ipoglicemia notturna rispetto a glargine. Il passaggio da glargine a degludec comporta una riduzione del fabbisogno sia di insulina basale che di insulina prandiale57.

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Nei pazienti con DM1 che, per vari motivi, presentino scarso controllo glicemico e/o ipoglicemie ricorrenti, o che siano agofobici, l’uso della terapia con microinfusore

(CSII) può rappresentare una valida alternativa alla terapia multiiniettiva: non solo si

è rivelato utile nel migliorare il controllo glicemico, riducendo in maniera significativa i livelli di HbA1c e la frequenza di ipoglicemie severe ma, in particolare in età pediatrica, ha anche determinato il miglioramento della qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie 58. Tutto ciò determina, in ultima analisi, una riduzione nello

sviluppo e/o progressione delle complicanze croniche del diabete rispetto alla terapia multiiniettiva: uno studio longitudinale ha infatti evidenziato come la terapia insulinica con microinfusore si associava ad una minor mortalità coronarica, cardiovascolare e per tutte le cause rispetto alla MDI59; studi successivi hanno

mostrato inoltre come la CSII è in grado di ridurre la progressione dell’albuminuria60

e lo sviluppo/progressione della retinopatia e della neuropatia diabetica61 .

Oggi esiste anche un modello di microinfusore integrato con un sensore per il monitoraggio glicemico in continuo (SAP, sensor augmented insulin pump). In persone con DM1, sia adulte che in età pediatrica, la “SAP therapy” riduce i livelli di HbA1c molto più della terapia multiiniettiva o col tradizionale microinfusore, senza aumentare il rischio di ipoglicemia. Peraltro, in alcuni pazienti selezionati, ovvero nei pazienti con DM1 che continuano a presentare ipoglicemia notturna o asintomatica, è utile l’uso di un microinfusore integrato al sensore dotato della funzione LGS (low glucose suspend), in grado di sospendere automaticamente l’infusione di insulina basale per 2 ore in caso di ipoglicemia (la somministrazione di insulina basale può anche essere riattivata prima manualmente dal paziente).

La sospensione di insulina può anche avvenire attraverso la funzione PLGS (predictive low glucose suspend), che sospende l’erogazione di insulina in previsione di un evento ipoglicemico. Come per la funzione LGS, se non vi è intervento da parte del paziente, la somministrazione di insulina ripartirà automaticamente dopo un massimo di 2 ore; peraltro, se il livello di glucosio aumenterà oltre un livello soglia predefinito, la somministrazione di insulina potrà ripartire automaticamente già dopo 30 minuti.

Gli studi finora pubblicati concordano nell’affermare che la SAP con funzione LGS riduce la frequenza di ipoglicemie severe e, nei pazienti con ipoglicemia asintomatica,

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riduce non solo la frequenza delle ipoglicemie severe e moderate ma anche il tempo totale trascorso in ipoglicemia62. Inoltre, il trattamento con LGS è sicuro, non causa

rebound iperglicemico grave ed è gradito ai pazienti63.

Trials randomizzati controllati hanno dimostrato che la funzione PLGS, rispetto a SAP senza funzione di sospensione automatica dell’insulina, riduce la durata e la frequenza di ipoglicemia notturna sia negli adulti che nei bambini/adolescenti64.

I recenti miglioramenti tecnologici hanno inoltre portato alla creazione di un “pancreas artificiale”, ossia di un sistema che non solo integra insieme i microinfusori di insulina e il monitoraggio continuo del glucosio (CGM), ma utilizza un algoritmo computerizzato per riuscire così a formare un sistema closed-loop in grado di fornire insulina quando ve ne è la necessità e di sospendere l’erogazione nei momenti opportuni: sulla base della glicemia che viene letta in real time dal sensore, l’algoritmo, il cervello pensante del sistema, suggerisce al microinfusore quanta insulina infondere per mantenere la glicemia normale. Questo algoritmo inoltre è strutturato in modo di cercare di interpretare le esigenze del corpo; ad esempio, se si sta a riposo farà erogare una quantità maggiore di insulina per abbassare la glicemia, viceversa se si fa attività fisica la quantità di insulina necessaria a mantenere in range la glicemia si riduce. Il tutto senza che il paziente debba intervenire.

I sistemi closed-loop testati finora hanno ottenuto buoni risultati, comparati alle normali terapie SAP, riducendo sia i periodi di iperglicemie che gli episodi di ipoglicemie, e quindi consentendo di raggiungere un miglior compenso glicemico65.

Accanto alla terapia insulinica sostitutiva ricordiamo inoltre come siano fondamentali una corretta e bilanciata alimentazione e una regolare attività fisica. È infatti importante che i pazienti affetti da DM1 seguano una dieta correttamente bilanciata tra carboidrati, lipidi e proteine (50-55% di carboidrati, 30-35% di lipidi e 15-20% di proteine) e imparino a somministrarsi una dose di insulina proporzionale alla quantità di carboidrati assunti66.

Un regolare esercizio fisico infine aiuta i pazienti a controllare il peso corporeo, migliora il controllo glucometabolico e riduce il rischio cardiovascolare. La terapia insulinica verrà personalizzata in base al tipo (aerobico/anaerobico), durata e

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intensità di esercizio fisico, per cercare di evitare le ipoglicemie e/o le iperglicemie post esercizio67.

3. MONITORAGGIO DEL GLUCOSIO

3.1 Ruolo del monitoraggio

Il monitoraggio glicemico nei pazienti diabetici è fondamentale e parte integrante della terapia, e può essere eseguito con diversi sistemi.

Il sistema classico è quello dell’autocontrollo glicemico domiciliare (SMBG: self monitoring blood glucose) tramite lancette pungidito e glucometro, per misurare i livelli di glicemia più volte nel corso della giornata, con diversa periodicità a seconda delle esigenze, effettuando misurazioni extra in caso di malattie intercorrenti, eventi speciali o cambio di terapia, percependo i collegamenti tra specifici comportamenti (alimentazione, attività fisica) e i risultati ottenuti, e mettendo in atto eventuali comportamenti correttivi farmacologici e non. Nel DM1, la maggior parte degli studi clinici ha evidenziato il ruolo centrale dell’autocontrollo nel raggiungimento di un buon controllo glicemico.

E’ pratica clinica ormai radicata consigliare al paziente diabetico tipo 1 il controllo della glicemia prima di ogni iniezione di insulina, in modo tale da aggiustarne il dosaggio, sia in base al valore della glicemia sia al contenuto di carboidrati del pasto successivo68.

È importante ricordare che più frequenti misurazioni della glicemia correlano con un miglior controllo glicemico, evidenziabile con una riduzione dell’HbA1c.69

Ci sono fattori demografici, comportamentali e psicosociali che sono stati correlati alla frequenza di monitoraggio. Ad esempio, si assiste in genere ad una riduzione del numero di controlli in età adolescenziale, ma ciò avviene principalmente nelle famiglie di bassa estrazione sociale, specie in presenza di eventi stressanti e in assenza di un adeguato supporto da parte dei genitori.70

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3.2 Monitoraggio continuo del glucosio

Il tradizionale approccio al DM1 richiede dunque multiple misure della glicemia nel corso della giornata, attraverso frequenti stick glicemici su sangue capillare, per ottimizzare la terapia insulinica e raggiungere un buon controllo glucometabolico che prevenga le complicanze acute e a lungo termine della malattia. Per molti pazienti però questa necessità comporta fastidio e dolore, che possono costituire motivo di non-aderenza al SMBG71.

I sistemi di monitoraggio continuo della glicemia (CGM) hanno superato questo problema: essi utilizzano un sensore sottocutaneo, sostituito ogni 3 giorni, che rileva i livelli del glucosio interstiziale e invia i dati al microinfusore di insulina a cui è accoppiato, dove i dati sono visualizzati a brevissimi intervalli (ogni 5 minuti). Il sensore fornisce così una lettura continua dei dati e, nel caso dei sistemi più avanzati, è anche in grado, attraverso allarmi sonori o visivi, di allertare chi lo indossa consentendogli di evitare o ridurre le oscillazioni glicemiche.

Il grande vantaggio è quindi di avere a disposizione i valori glicemici in tempo reale, identificando fluttuazioni che non sarebbero state identificate con il SMBG, e ciò consente di correggere la terapia in tempo reale e ottimizzare il controllo glucometabolico nel lungo termine.

L’uso del CGM ha migliorato la qualità di vita dei soggetti, che effettueranno la digitopuntura solo due volte al giorno per calibrare il sistema (il segnale bioelettrico generato a livello dell’ago-sensore sottocutaneo deve essere infatti “trasformato” in valore di concentrazione di glucosio; è necessario, pertanto, che i dispositivi di lettura del glucosio interstiziale vengano calibrati con il valore di glucosio plasmatico), e diversi trial clinici hanno dimostrato la loro efficacia nel ridurre i livelli di HbA1c e gli episodi di ipoglicemia 72.

Comunque è importante tenere sempre presente che il glucosio interstiziale richiede un certo intervallo di tempo per equilibrarsi con il glucosio plasmatico. Questo ritardo (definito “lag time”) è tanto maggiore quanto più rapida è la variazione della glicemia. Per questo motivo, il dato di un lettore di glucosio interstiziale è tradizionalmente considerato come aggiuntivo, e non sostitutivo, del SMBG come guida alla gestione terapeutica.

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3.3 Monitoraggio Flash del glucosio

3.3.1 Significato

Dagli ultimi mesi del 2014 è stato messo in commercio dall’azienda Abbott il Freestyle Libre, che costituisce una nuova opzione per il monitoraggio del glucosio definita Flash Glucose Monitoring (FGM). Questo sistema era inizialmente stato approvato solo per la maggiore età, ma più recentemente è stato autorizzato anche nei bambini e negli adolescenti diabetici di età compresa tra i 4 e i 17 anni.

Il FGM costituisce una variante del CGM, poiché utilizza sempre un sensore del glucosio interstiziale ma, a differenza dei sensori del CGM, questo sensore dura 14 giorni e non richiede calibrazioni su sangue capillare, essendo tarato in fabbrica. Mentre i sistemi CGM forniscono una misura della glicemia “real-time”, con il monitoraggio “Flash” del glucosio è possibile visualizzare il valore della glicemia solo quando si scansiona il sensore con l’apposito lettore, ottenendo così una “glicemia real-time on-demand”: il valore del glucosio, pur non essendo sempre visualizzato, è sempre prontamente disponibile quando richiesto73 (figura 5).

Figura 5: alla scansione del sensore con l’apposito lettore è possibile visualizzare il

valore di glicemia, una freccia di tendenza e un grafico che mostra l’andamento del glucosio nelle ultime 8 ore.

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3.3.2 Caratteristiche

Il sensore del FreeStyle Libre è leggero, compatto, sottile, e si presenta come un dischetto bianco delle dimensioni di una moneta da 2 euro; viene applicato attraverso un applicatore monouso e automaticamente comincia a misurare i livelli di glucosio a intervalli di un minuto per 14 giorni.

Operando una scansione del sensore, il paziente può visualizzare su un lettore l’attuale livello di glicemia, e un grafico che mostra il trend del glucosio (in aumento o in diminuzione) nelle ultime 8 ore.

Collegando il lettore al computer e utilizzando il software FreeStyle Libre è inoltre possibile ottenere una serie di report dettagliati, compreso il profilo glicemico ambulatoriale (AGP), con cui è possibile individuare l’andamento del glucosio in modo rapido e chiaro, permettendo ai pazienti e ai medici di identificare i pattern sottostanti. Inoltre, il software fornisce informazioni su una serie di altre variabili, tra cui l’HbA1c stimata, i singoli profili glicemici giornalieri e un sistema di colore “allerta” per indicare la probabilità di glucosio basso oppure eccesso di variabilità (figura 6).

Il lettore memorizza fino a 90 giorni di dati del glucosio e fornisce così il quadro completo della glicemia degli ultimi 3 mesi. 74

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3.3.3 Confronto tra CGM e FGM

Come il CGM anche il FGM fornisce una misura del glucosio interstiziale ma, a differenza di esso, i valori misurati non sono mostrati costantemente ma solo quando si scansiona il sensore con il lettore.

Il sistema FGM non è provvisto di allarmi che avvertono l’utente di una possibile ipoglicemia o iperglicemia, e questo può essere un vantaggio per il paziente poiché evita il problema della “alarm fatigue” che ha spinto molti ad abbandonare l’uso del sensore CGM75: con il FGM il trend della glicemia viene visualizzato sul lettore solo

nel momento in cui si scansiona il sensore.

Un’altra importante differenza tra i due sistemi è che il FGM è tarato in fabbrica, per cui non necessita delle regolari calibrazioni su sangue capillare come i CGM (almeno due al giorno).

Per questa ragione i costi del FGM sono circa la metà dei costi del CGM, e solo di poco maggiori rispetto al SMBG.

È da notare però che i sistemi closed-loop, e quindi la possibilità di sospendere l’erogazione di insulina al fine di prevenire le ipoglicemie, sono disponibili solo per i CGM.76

Maggiori dettagli riguardo alle differenze tra i due sistemi di monitoraggio sono presentati in tabella 2

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35

CGM FGM

Calibration Daily Factory calibrated by the

manufacturer

Lancing required Yes No

Sensor insertion under the skin required

Yes Yes

Statements on this topic on the Internet

Yes Many

Glucose measurement in ISF, not in blood

Yes Yes

Maximum duration of sensor use 7 days 14 days

Test result displayed on an external device

Yes (also insulin pump) Yes

Permanent connection to an external device

Yes No

(Hypo) alarms Yes No

Current value displayed Yes Yes

Trend arrow displayed Yes Yes

Connection to pump Yes (most systems) No

Usability with artificial pancreas Yes No (at this current technological state)

User Type 1 Type 1 and type 2

Number of users Rather few Many (“mass-produced product”)

Applicable for/usable in children Yes Yes

Increase in quality of life Moderate to high High

Doctor knowledge Low Low

Diabetologist knowledge Present Currently increasing

Recommended by diabetologists Yes Currently increasing

Training sessions required Yes Yes

Evidence Strong Not yet strong

Costs per day ca 10 (without

calibration)

ca 5 Costs saved in comparison to

costs of test strips)

No Possible (depending on the test

frequency

Tabella 2: confronto CGM vs FGM

3.3.4 Evidenze scientifiche

Diversi studi hanno ormai appurato l’accuratezza dei sistemi FGM rispetto alla misura della glicemia su sangue capillare (BG), indipendentemente da fattori individuali come età, tipo di diabete, BMI, valore di HbA1c e terapia insulinica, eccetto per il primo giorno di utilizzo in cui la naturale risposta infiammatoria al

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sensore altera le concentrazioni di glucosio interstiziale e le misure non risultano accurate75.

Dal confronto è emerso però come, durante le ipoglicemie o le rapide variazioni di glicemia, l’accuratezza può venir meno, e i sistemi FGM tendono a sovrastimare le iperglicemie e a indicare valori più bassi del reale nelle ipoglicemie; inoltre con i sistemi FGM si è osservata una più lenta salita dei valori di glucosio in risposta a una carico orale di glucosio, e da ciò deriva che questo tipo di monitoraggio potrebbe far sottostimare gli effetti di un pasto73. Sarà pertanto necessario ricorrere al SMBG

in caso di livelli di glucosio in rapido cambiamento o per confermare il sospetto di ipoglicemia o in presenza di sintomi non corrispondenti ai livelli glicemici registrati dal sistema77.

Inoltre, è da notare come il sistema FGM, in un confronto diretto con il sistema CGM Dexcom G4, ha mostrato pari accuratezza complessiva, ma maggiore affidabilità durante le oscillazioni rapide della glicemia78.

L’accuratezza del sensore dipende dal suo sito di applicazione: diversi studi hanno mostrato come l’accuratezza sia maggiore posizionandolo a livello della parte posteriore del braccio rispetto all’addome, mentre sembra che sia ugualmente accurata anche un’applicazione a livello della coscia79.

Sono state riportate alcune reazioni avverse, collegate all’applicazione del sensore, ma per lo più di lieve entità, come prurito, allergie, rash, eritema ed edema .80

È stato dimostrato che l’uso di un dispositivo di monitoraggio continuo FGM rispetto all’autocontrollo della glicemia SMGB riduce significativamente il tempo trascorso in ipoglicemia dopo sei mesi di utilizzo (riduzione del 38%) 81, e tale riduzione si

realizza sia considerando il tempo totale di ipoglicemia, sia le ipoglicemie notturne. Rispetto al SMBG poi, 6 mesi di FGM tendono a ridurre maggiormente il livello di HbA1c.82

Questi risultati sembrano correlati al numero di scansioni giornaliere effettuate, infatti una recente valutazione di dati di oltre 50.000 utilizzatori ha dimostrato una associazione tra numero di scansioni giornaliere, valore più basso di HbA1c stimata e minor tempo trascorso in ipoglicemia83.

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4. VARIABILITÀ GLICEMICA

4.1 Definizione

La variabilità glicemica è, entro certi limiti, un fenomeno fisiologico, che si verifica anche in soggetti con normale tolleranza glucidica, essendo sia una diretta conseguenza del ritmo circadiano degli ormoni coinvolti nel metabolismo glucidico, sia una risposta all’apporto di carboidrati che si realizza nel corso della giornata.84

Per variabilità glicemica si intendono tutte quelle oscillazioni dei livelli ematici di glucosio che si verificano nel corso della giornata, includendo sia i picchi glicemici post-prandiali sia i periodi di ipoglicemie. La frequenza e/o l’ampiezza di tali oscillazioni sono correlate nei pazienti diabetici ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari.85

La variabilità glicemica è un ben noto problema nel trattamento dei pazienti affetti da DM1 e DM2, e risulta indipendente dai valori medi di glicemia e di HbA1c: pazienti diabetici che raggiungono valori medi di glicemia compresi all’interno del range euglicemico, possono essere comunque a rischio di complicanze acute o a lungo termine se presentano alti livelli di variabilità glicemica; allo stesso modo, pazienti con bassi livelli di HbA1c sono maggiormente a rischio di sviluppare tali complicanze se presentano alti livelli di variabilità glicemica86.

Alti livelli di variabilità glicemica sono stati infatti correlati ad un aumentato rischio di sviluppare severi episodi di ipoglicemia, complicanze microvascolari, deficit cognitivo e distress fisico ed emozionale che porta ad una riduzione della qualità di vita e influisce negativamente sul tono dell’umore.87

Le fluttuazioni della glicemia intra-giornaliere in uno stesso individuo si sono rivelate più pericolose di una cronica e stabile iperglicemia: studi in vitro hanno documentato un maggior effetto apoptotico indotto da concentrazioni variabili di glucosio, rispetto a concentrazioni stabilmente elevate, su cellule renali, endoteliali e sulle β-cellule pancreatiche88; mentre studi in modelli animali hanno dimostrato come tali

fluttuazioni determinassero un’accelerata adesione dei macrofagi alle cellule endoteliali e la formazione di lesioni aterosclerotiche 89.

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Infine in ambito clinico si è osservato che soggetti con una maggior variabilità glicemica presentano livelli più elevati di citochine infiammatorie in circolo, e quindi un aumentato stress ossidativo, disfunzione endoteliale, e in ultima analisi un aumentato spessore intimale carotideo e della massa ventricolare90.

Solo un sistema di monitoraggio continuo della glicemia poteva mettere in evidenza queste fluttuazioni glicemiche intra-giornaliere, mentre gli sporadici stick glicemici del SMBG potrebbero risultare sempre in range euglicemico e non cogliere le oscillazioni al di fuori di questo range (figura 7).

Figura 7: reale profilo glicemico vs monitoraggio glicemico con SMBG

Ecco perché l’elevata variabilità glicemica presente in molti pazienti diabetici è stata quasi un’incidentale scoperta dei primi studi clinici che hanno utilizzato i sistemi CGM: essi non solo hanno mostrato l’esistenza di questa variabilità glicemica, ma hanno inoltre osservato come essa si riducesse in un sottogruppo di pazienti dopo meno di 10 giorni di utilizzo del sistema CGM. 91

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