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VECCHIE FORME DI DEBITO PUB­ BLICO

1. — Nelle opere di storia gli istituti economico finanziari non sono sempre rettamente interpretati. Un'impostazione preliminare, quale quella qui abbozzata, può perciò riuscire talora di qualche utilità.

2. — Il contratto di rendita o censo ha assunto fin dal medio evo forme sva­ riate in relazione ai diversi fini perseguiti, direttamente e indirettamente, dai con­ traenti, uno dei quali cede all'altro un complesso di rendite scaglionate nel tempo a lui spettanti a qualsiasi titolo, per un periodo breve o indefinito, in cambio d’una ricchezza presente (mezzi pecunia» od altro). A d una serie di rendite separate da intervalli d i tempo piti o meno regolari viene cioè attribuito un valor capitale at­ tuale: processo, che col costituirsi ed evolversi dei mercati mobiliari e immobiliari si è venuto generalizzando per più vie. Esempio perspicuo l’emissione dei titoli del debito pubblico : quale che sia l’impiego, << produttivo » o « improduttivo », a cui sono stati destinati dall'emittente i mezzi percepiti, tali titoli rappresentano, non già ricchezza distrutta — che, in quanto tale, non può avere alcun valore economico — , ma il valore attuale d'una quota parte della produzione futura, assorbita mercè im­ poste, anno per anno, dall'ente pubblico che la corrisponde ai creditori. Analoghi processi si vengono moltiplicando ai nostri giorni, in cui più sentito è il bisogno di stime d'ogni genere, più frequente la necessità di subitanee realizzazioni — ta­ lora rovinose, tal altra apportatrici di lucri — , più diffusa, in genere, la sollecitu­ dine quasi consuetudinaria per il futuro, sì che eventi lontani nel tempo, ipotetici od anche indeterminati son considerati sin d’ora nei calcoli dei soggetti economici.

3. — La preoccupazione precipua dei teologi e dei giuristi dell’evo medio e dei primi secoli dell'evo moderno è di separare nettamente tali contratti di ren­ dita dal contratto di mutuo e di mostrarne quindi la piena validità alla luce della dottrina canonica inibente 1’« usura ». Còmpito arduo in vero : nell’esempio, testé addotto, dell'emissione dei titoli del debito pubblico i due tipi di contratto si con­ fondono. Eppure univoca appare l’opinione dei dotti del tempo, le cui

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zioni sono talora ingegnose e prima facie convincenti. E lecito vendere i frutti, afferma ad esempio Ludovico Carbone, ed è perciò pure lecito vendere in prece­ denza il diritto di percepirli. Non v’ha « usura », ribadisce Tommaso Buoninsegni, là dove v’ha semplice trasformazione di patrimonio, che non implica incremento del capitale iniziale: esplicita, in proposito, la bolla di Pio V. Non v’è mutuo, né formalmente né virtualmente, conferma con vigore Andrea Molfesio. Marcello Me- galio, per parte sua, afferma che è nell’ordine naturale delle cose si possa vendere tutto quanto è oggetto di stima. Sempre che, ammonisce Ludovico Cenci, il con­ tratto non contenga, esplicita o implicita, una clausola illecita, volta a far sì che il titolare del censo diventi certus d e lucro ultra sortem (1). Eppure, si può loro opporre, dal punto di vista economico, la costituzione di rendita è una species par­ ticolare del genus mutuo: se è lecito l’uno, è lecito anche l’altro. Il mutuo poi, a sua volta, è economicamente una species particolare del genus compra vendita. Per di più, tale costituzione corrisponde a speciali circostanze tecniche ed economiche, che, di per sè, non dan affidamento che la costituzione stessa venga ad apportare uno stimolo al processo produttivo strettamente inteso.

4. — Un caso particolare di costituzione di rendita è assai frequente in tutto il medio evo e nei primi secoli dell'età moderna fin grosso modo al tempo dei prin­ cipi riformatori : l ’alienazione dei tributi, la cui rilevanza economica e politica non è certo stata priva di peso sull’elaborazione dottrinale testé accennata. Premuto da esigenze, a cui non gli appariva possibile o conveniente provvedere per altra via, l’c-nte pubblico cedeva ad un privato per un periodo limitato o illimitato, con o senza clausola di riscatto o conversione, un certo cespite fiscale, imposta o dazio, affidandogliene in pieno diritto la riscossione e percezione e ottenendone in cambio

una tantum una somma capitale (2). Tale cessione non va confusa con l’appalto, con cui presenta qualche analogia e con cui di fatto è stata talora commista. La cessione avviene a titolo più o meno gratuito quando si tratta di compensare o ingraziarsi un favorito che ha reso servigi al principe o allo stato. In gergo mo­ derno si potrebbe dire che la cessione è talvolta collegata alla politica delle forni­ ture pubbliche. Il cessionario può rivendere in tutto o in parte, locare, dare in pegno, ecc. il cespite fiscale di cui è proprietario: attorno alla cessione iniziale, comunque originata, si vien talora formando, col trascorrere del tempo, una rete di rapporti giuridici, a cui corrisponde un complesso di interessi, parte solidali parte concorrenti, la cui rilevanza economica e politica è non di rado assai note­ vole. Si discorreva a tal proposito di assegnatari, subassegnatari è fiscalari in

ter-(1) Vedi le citazioni precise in U. Go b b i, L'econom ia politica negli scrittori italiani del secolo X V l-X V ll (Milano, Hoepli, 1889), pp. 216, 204-5, 235, 231 e 352.

(2) Finanza privata e finanza pubblica son sempre state variamente commiste. La cessione di tributi non è che un caso particolare di parziale trasform azione d ella finanza pub­

blica in finanza privata. Ne possono talora derivare attriti tra i singoli; d’altro lato, può però giovare ad interessare gli uni alle vicende degli altri ed a promuovere così tra di loro nuovi rapporti d’affari (e quindi anche una maggior coesione). A tale trasformazione può essere oggi indotto lo stato dall'opportunità di aver a propria disposizione molti strumenti per il conseguimento dei molti scopi che si propone di realizzare. Il passaggio in certi campi dal « pubblico » al « privato » non esclude il contemporaneo passaggio in altri dal « pri­ vato » al « pubblico ».

R. U. FERRANTE

mini non diversi da quelli con cui oggi si discorre dei rapporti tra le singole indu­ strie o tra le industrie e le banche o tra i singoli capitalisti e si additano impieghi « di tutto riposo » per i peculi dei pupilli e delle vedove. I singoli, che non erano in grado di entrare in rapporto con l'ente pubblico o non erano disposti a farlo, entravano in rapporto con i cessionari o i subconcessionari, non diversamente dai redditieri italiani non disposti, alcuni anni or sono, ad acquistar titoli industriali, ma disposti ad acquistarne indirettamente partecipazioni sottoscrivendo le obbliga­ zioni emesse, con garanzie adeguate, dall 'Imi (Istituto mobiliare italiano) e dall'/;/ (Istituto di ricostruzione industriale). Questi modernissimi enti si riconnettono per altro, più direttamente, ad istituti d'intermediazione delle nostre repubbliche, quali i « monti », le « arti » e « scuole » e le stesse « giunte di ricompera » dei tributi alie­ nati. Con visione unitaria a Genova si chiamavano « compere » tutte, indistinta­ mente, le forme di prestito: in tale denominazione può ravvisarsi un'implicita con­ cordanza con l'elaborazione dottrinale su accennata (§ 3), la quale anteponeva, con una « contraddizione economica », lo schema della compra vendita allo schema del mutuo, sebbene economicamente il mutuo non sia che una sottospecie di compra vendita (3).

5. — Da un punto di vista economico generale l'antica forma di debito pub­ blico di cui è qui parola non differisce sostanzialmente dalle forme moderne o, per dir meglio, dalle forme che nei tempi moderni son venute prevalendo dopo esser talora coesistite con le antiche ed aver variamente interferito con esse fin che ne han raccolto la successione. L’interesse dei nostri prestiti non è esso pure una quota d'imposta, che lo stato assegna ai propri creditori? Alle speciali modalità tecniche, politiche e sociali, proprie dell’alienazione dei tributi fan per altro riscontro parti­ colari economicamente assai rilevanti. £ singolare anzi che nelle trattazioni siste­ matiche di storia e di finanza non si faccia cenno di questo specifico istituto o ci si limiti, tutt’al più, a cenni sommari e fuggevoli, mentre non sono affatto trascu­ rati quelli che a buon diritto appaiono tecnicamente i precedenti più immediati del debito pubblico moderno, quali i « monti » e i prestiti obbligatori, assai ben illustrati questi ultimi nella imponente serie dei documenti finanziari della repub­ blica di Venezia — serie III, voi. I — e, per Genova, nella fondamentale opera del Sieveking. Un po' meno sommario è il cenno del Pertile (4), che lascia per altro vivo desiderio di sviluppi ulteriori.

6. — Tale trascuranza, è doveroso osservarlo, non è però del tutto ingiusti­ ficata. Chi abbia letto, ad esempio, la Storia delle finanze del Regno di Napoli (5) e la Storia economico-civile di Sicilia (6) di Lodovico Bianchini avverte agevolmente

(3) La riluttanza ad applicare l'arido tradizionale schema del mutuo può esser, per altro, un indice che ben si avvertiva il carattere complesso delle operazioni finanziarie.

(4 ) A. Pe r t il e, Storia d el diritto italiano dalla caduta d e l i Im pero romano alla codi­ ficazione, II ed., voi. 2“, parte 2* (T o rin o , U tet, 1898), pp. 381-4.

(5) II ed. Palermo, Stamperia di Francesco Lao, 1839. Ve n'è una terza edizione del 1859.

(6) Napoli, Stamperia reale, 1841. Le opere di questo autore serbano una notevole freschezza, che le rende talora più vive ed attraenti di opere molto più recenti,

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che è difficile distinguere le alienazioni vere e proprie e le cessioni a titolo gratuito dalle usurpazioni dei feudatari : come spesso accade in tutto l'àmbito delle scienze sociali, quel che a tutta prima pare un argomento circoscritto, un semplice curiosimi,

si rivela di poi d’una portata ben maggiore, sì da investire il complesso problema dei rapporti tra prìncipi, comuni e feudatari. L’istituto della concessione non sem­ pre si distingue, d'altro lato, dall’istituto dell'acquisto d’immunità fiscale, la così detta infeudazione ben nota agli storici piemontesi, il cui aspetto patrimoniale an­ drebbe distinto dall'aspetto politico. Aggiungi che spesso non si sa, data l'ambi­ guità delle espressioni, se è stata effettivamente ceduta l'amministrazione delle im­ poste che si presumono alienate o se queste sono state semplicemente assegnate ir» garanzia (prassi comune in tutto Vancien regime, come lo è tuttora per i prestiti contratti dai paesi meno « capitalistici » o che meno fiducia ispirano ai creditori). Chi paragoni quanto ci narra il Bianchini a quanto ci narrano, limitatamente in gran parte ai primi secoli dell'età moderna, il Pugliese (7) per la Lombardia o l'Einaudi (8 ) per il Piemonte (prescindo da Genova e da Venezia, ove nel com­ plesso i prestiti sotto forma di alienazione di tributi hanno avuto un'importanza secondaria e in gran parte transeunte) od anche, più semplicemente, chi ponga a raffronto quanto è esposto in un capitolo del Bianchini con quanto è esposto in un capitolo successivo deve ammettere, per dirla in termini giuridici, che quel che inizialmente era apparso un « istituto » unitario si spezzetta in vari istituti distinti, sì che al profano conviene procedere con cautela e non sono comunque lecite generalizzazioni. Un caso analogo, a cui corrisponde un tipo particolare di debito pubblico, ci è dato dall'istituto dell’alienazione degli uffici — oggetto talora anch'essi di atti successivi di compra vendita dopo la prima assegnazione a chi ne aveva anticipato il valor capitale e di trasmissione ereditaria — : non sono affatto autorizzate conclusioni semplicistiche univoche sui rapporti che ne seguivano tra ente pubblico e funzionari e tra funzionari e pubblico. In tutta questa materia sono molto istruttive, anche se non generalizzabili sic et simpliciler ad altri paesi, le osservazioni contenute nell’opera fondamentale dell’Einaudi.

7. — Da un punto di vista tecnico finanziario un criterio selettivo tra aliena­ zione e alienazione, tra stato e stato potrebbe ravvisarsi — oltre che nella diversa figura economica e giuridica del cessionario — nella distinzione moderna tra finanza ordinaria e finanza straordinaria, dei quali concetti va fatto, per altro, un uso assai cauto, come del resto di ogni altro concetto finanziario, essendo tutti tali concetti stori ramente condizionati e non valevoli quindi sub specie aeternìtatis : si tratta di vedere se si ricorra continuatamente ad alienazioni o vi si ricorra solo saltuaria­ mente per esigenze non ricorrenti di maggior momento, come accade in ¡specie per i moderni consolidati. Tale aspetto fu accennato, or son circa due secoli, nel Trat­

ti) S. Pu g l ie s e, Condizioni econom iche e finanziarie d ella Lom bardia nella seconda metà d ei secolo X V III in « Miscellanea di storia italiana » s. I li, t. 21° (Torino, Bocca, 1924).

(8 ) L. Einaudi, La finanza sabauda a ll’aprirsi d el secolo X V ll l e durante la guerra

d i successione spagnola (voi. I dei «Documenti finanziari degli Stati della monarchia pie­ montese a cura del Laboratorio di economia politica S. Cognetti de Martiis della R. Università di Torino »). Torino, Sten, 1908.

R. U. FERRASTE

tato d d tributi del napoletano Broggia (9), il quale pagò con l'esilio l’eccessivo zelo mostrato nel difendere, in appositi scritti, gli interessi dell’erario dalle pretese degli interessati, recalcitranti di fronte ai progettati, e poi attuati, disegni di Carlo III di riscatto dei tributi alienati con un complesso di riforme, completato nel secolo successivo da Giuseppe Bonaparte. All'alienazione dei tributi gli spagnoli fecero ricorso in via sistematica, non già semplicemente per provvedere ad esigenze di carattere straordinario: alienarono a poco a poco tutti, o quasi, i tributi e ne isti­ tuirono di poi dei nuovi da alienar tosto, senza por tempo in mezzo, come si faceva in Francia per le cariche, per ricavar sollecitamente altri quattrini. Non mancarono neppure (in Lombardia ad esempio) alienazioni forzate a privati od enti, le quali, con altre circostanze, debbono indurci ad andar cauti nel giudicare delle condizioni di vendita (ed anche non attribuire un’importanza eccessiva agli espedienti giuridici adottati): non sappiamo in quale misura le imposte acquistate erano poi realmente percepite e quali erano i mezzi, talora indubbiamente costosi, di cui ci si poteva valere per riscuoterle. Oltre a dover patteggiare con i contribuenti, i compratori dovevano prendere in considerazione l’eventualità d’inadempienza dell'ente pub­ blico, pronto talora a riprendere quel che aveva ceduto o a richiedere pagamenti sup­ plementari. G li acquisti avevano talvolta carattere speculativo, fatti cioè fin dall’ini­ zio con l’intento di rivendere alla prima occasione: in tal campo si distinsero particolarmente i genovesi, la cui attività ci ricorda quella dei banchieri che pochi decenni or sono non ristavano dallo speculare in titoli di stati notoriamente ina­ dempienti a cui non facevano difetto i compratori, allettati forse dall’alto saggio a cui i titoli deprezzati venivano capitalizzati. 11 privato succedeva all’ente pubblico come oggi uno stato succede ad un altro stato.

R. U. Fe r r a n t e.

(9 ) C. A. Broccia, Trattalo de' tributi, delle monete e del governo politico della sanità

(Napoli, presso Pietro Palombo, 1743), pp. 18-20.

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