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Il bando di Expo 2015 per il Padiglione Italia ha richiesto la progettazione di un’area di circa 27.000 mq composta da un sistema di spazi espositivi lungo l’asse del Cardo e da Palazzo Italia, edificio rappresentativo del Paese ospitante. Il concept scelto è quello del vivaio – spazio protetto e simbolo di crescita, formazione delle idee e nuove generazioni – che dovrà ispirare una soluzione progettuale contemporanea, all’avanguardia e proiettata verso il futuro in quanto unico edificio permanente dopo Expo. La vittoria del concorso da parte del raggruppamento Nemesi, Proger-BMS e Livio de Santoli è solo l’inizio di questa storia raccontata nel volume curato da Luca Molinari in cui i principali protagonisti testimoniano, attraverso contributi ed interviste, tutto il processo di progettazione fino all’opera realizzata. Un’impresa corale dunque che rispecchia nelle sue vicende la mostra dell’Identità italiana di Balich, contenuto espositivo principale del Padiglione, in cui proprio tramite lo storytelling

Luca Molinari (a cura di)

Nemesi – dir. artistica Luigi Filetici – fotografie

Padiglione ITALIA Expo Milano 2015

Skira editore Milano 2015 pagine 215

L’opera completa durante Expo (in alto nella pagina accanto) e vista della piazza interna (in basso)

The Pavilion during Expo (above on the previous page) and a view of the inner “piazza” (below)

paesaggio urbano 5-6.2015

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RECENSIONI · REVIEWS

In the volume edited by Luca Molinari, the main actors tell the story of the Italy Pavilion from the moment the competition was won to the final product, intended to remain after Expo. A very detailed photo gallery provides an exclusive tour of the building, which is the result of a coral design process – involving Studio Nemesi, Proger Group-BMS, Livio de Santoli – able to

combine architectural, structural, environmental and energetic aspects. The urban forest is not just a linguistic choice but it reflects the

building-organism’s overall

performance aims. The strategic relationship between the design team and the partner firms proves the centrality of a laboratorial dimension characterized by shared values and specific

know-how. Handcraftship, engineering and development, sustainability and research constitute the foundations of this virtuous process.

Contrary to whichever sensational concept, method is the tool that enables us to look forward with less fear and, together with the

context, to create diffused

quality. This is the true challenge after Expo.

si declinano i caratteri dell’italianità: la Bellezza, il

Saper Fare, il Limite e il Futuro.

Nel libro alle parole si affianca il fotoracconto di Luigi Filetici, offrendo una visita ideale ed esclusiva del padiglione durante e dopo il cantiere.

Lo spazio viene presentato nei suoi tratti principali: la cavità della piazza interna, la massività della struttura, la trama ramificata dell’involucro fino alla copertura. Gli scatti svelano poeticamente i dettagli costruttivi che confermano come la complessità del progetto abbia da subito obbligato ad uno sviluppo sistemico e integrato di tutti gli aspetti: progetto architettonico, strutturale ed impiantistico, strategia ambientale ed energetica. La foresta urbana infatti non è solo una scelta linguistica che ricerca una figurazione paesaggistica ma è anche fondamento dell’edificio-organismo in termini prestazionali, segno di una certa maturità progettuale che insieme interpreta le richieste della committenza.

Ma abbiamo ancora bisogno di Expo in una società globalizzata? Quale il rapporto tra Expo e la presenza degli architetti all’evento tramite i padiglioni? Il saggio introduttivo di Li Brian Zhang accarezza tali questioni, ma la validità di Expo come occasione per continuare a fare esperienze reali ed assaporare l’architettura non sembra una risposta del tutto convincente. A Milano è evidente la consapevolezza di non aver voluto proporre una seconda

Shangai2010, ode alla megacittà con superstrutture celebrative, ed aver ragionato su densità e

sostenibilità attraverso un impianto compatto e una lottizzazione regolare che guiderà lo sviluppo futuro dell’area. Tuttavia, la proposta originaria di Herzog, che abbandona l’incarico già dal 2011, definiva chiaramente il ruolo dell’architettura: una griglia di spazi pubblici di qualità e padiglioni standardizzati, per un Expo che obbligasse a concentrarsi sui contenuti e segnasse un punto di non ritorno. Troppo radicale quando ci sono anche altri interessi in gioco. Il masterplan finale risulta un compromesso, un modello già visto in versione soft. È necessario invece interrogarsi sul futuro di un evento che incide sul territorio e il fatto che l’edizione 2020 si svolgerà a Dubai, città simbolo della spettacolarizzazione

dell’architettura sotto il governo invisibile della famiglia Maktoum, lascia delle perplessità. Può però soltanto un’architettura morale generare automaticamente bellezza e piacere?

Lo studio Nemesi risponde con un progetto sicuramente lontano da un’immagine low profile ma non per questo privo di significato e coerenza, come si racconta nel libro.

Non è infatti il linguaggio visionario che si vuole trattenere in questa storia. Vera spinta propulsiva è la dimensione laboratoriale, comune denominatore del team di progettazione e delle aziende partner – Ital Cementi per il cemento biodinamico del rivestimento, Styl-Comp Group per il montaggio dei pannelli, Stahlbau Pichler per la vela di copertura in acciaio e vetro – che accolgono la sfida e collaborano all’obiettivo finale aggiungendo i propri valori e know-how. Artigianalità,

industrializzazione e ingegnerizzazione, sostenibilità e ricerca sono i costituenti di questo processo virtuoso che vuole ridare centralità e qualità al progetto garantite soltanto tramite uno strategico rapporto con le imprese.

Per quanto risultato di condizioni, risorse e competenze in questo caso stra-ordinarie, è dunque il metodo che dà forza ad ogni laboratorio e rappresenta il primo strumento che permette di guardare con meno paura al futuro. Il concept, le cui espressioni e slogan hanno tanto il sapore della Brand Architecture che si vorrebbe evitare, ha ormai da tempo esaurito la propria spinta e mostrato i propri limiti. Risulta invece imprescindibile il

contesto che non è solo morfologico, ma oggi,

sempre di più, economico, politico, culturale e sociale, e permette, unitamente al metodo, di progettare qualità diffusa.

Palazzo Italia, futuro polo dell’innovazione tecnologica, e spazi pubblici piantumati saranno la base da cui partire per il ripensamento integrale di questa porzione di città. Scontato dire che la sfida inizia ad Expo concluso.

La sfida di un’architettura resiliente e flessibile che sia al tempo stesso servizio ad una collettività futura nel rispetto del territorio.

Veronica Bastai

Architetto Architect

veronicabastai@gmail.com

Vista esterna di Palazzo Italia durante il cantiere (nella pagina accanto)

Exterior view of the Pavilion during the construction site (on the previous page)

paesaggio urbano 5-6.2015

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Pista ciclo-pedonale di S. Lorenzo

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