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Verso un nuovo welfare

Nel documento IL VALORE ECONOMICO DEL TERZO SETTORE (pagine 54-57)

Grafico 11 – Numero medio di ore dedicate al volontariato nell’arco di quattro settimane per

1.12. Verso un nuovo welfare

Si ripercorre, ora, il percorso che dal welfare state ha portato alla welfare community soffermandosi sulle logiche evolutive interne allo stesso sistema di protezione sociale e dei suoi attori.

Lo Stato sociale o welfare state trova il suo riferimento nell’ordinamento italiano nell’art. 3 della Costituzione il quale sancisce il principio di uguaglianza sostanziale che assieme al concetto di sicurezza sociale52 costituiscono gli elementi fondamentali su cui si fonda. La difficoltà in questo modello è coniugare efficacia ed efficienza, cioè individuare e soddisfare al meglio i bisogni dei cittadini ottimizzando le risorse utilizzate, infatti, è richiesta un’elevata spesa sociale che deve essere sostenuta da una forte crescita economica. Il welfare state entra in crisi, appunto, con l’arresto della crescita negli anni ‘70 dando inizio ad un periodo neoliberalista in cui si possono distinguere due correnti: una radicale e una moderata. La prima prevede l’eliminazione dell’intervento pubblico nel sistema di protezione sociale, la seconda promuove l’allargamento della responsabilizzazione nelle politiche sociali attraverso:

- la riduzione della centralità della pubblica amministrazione nella garanzia dei diritti con una contestuale affermazione della responsabilità della cittadinanza attiva e delle sue aggregazioni (famiglie ed enti non profit);

- l’affermazione della sussidiarietà verticale con il decentramento di funzioni dagli uffici centrali agli enti locali.

51 Cfr. W. V

OORBERG - V.BEKKERS -L.TUMMERS, Co-creation and Co-production in Social

Innovation: A Systematic Review and Future Research Agenda, Erasmus University Rotterdam, 2013, pp. 9-10.

52 Principio per cui lo Stato garantisce a tutti i cittadini i diritti e i servizi ritenuti indispensabili

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Il filone “radicale” è caratterizzato dalla residualità53 della funzione del settore pubblico portato ad elaborare programmi di welfare con unici destinatari individui in stato di effettiva necessità con il compito di intervenire esclusivamente quando falliscono i canali sociali preposti alla soddisfazione dei bisogni essenziali.

La corrente moderata, invece, delinea un nuovo modello di protezione sociale che rimodula le competenze degli enti pubblici prevedendo che si debbano occupare della definizione e del presidio dei meccanismi di redistribuzione delle risorse e della definizione e del controllo delle variabili fondamentali del sistema di welfare attraverso una gestione strategica e la contestuale attribuzione dell’erogazione e produzione di parte dei servizi agli altri attori sociali (non profit e profit).

Il percorso appena descritto in cui “il benessere diventa espressione più della società che dello stato”54 segna la transizione dal welfare state alla cosiddetta welfare society e porta con sé almeno due effetti positivi:

- una minor spesa per il sistema di welfare a carico delle finanze pubbliche;

- la creazione di un tessuto sociale più coeso.

I limiti riguardanti tale modello, invece, sono rinvenibili nel rischio che non ci siano le condizioni per permettere alla società di assumere un ruolo centrale nel sistema di protezione sociale e, quindi, che la cessazione di alcune funzioni dello Stato non sia compensata adeguatamente dall’azione degli attori sociali facendo emergere disparità e diseguaglianze tra le aree territoriali in base alla maggiore o minore presenza di capitale sociale.

53 Si fa riferimento al “modello residuale” della classificazione dei modelli di welfare proposta da

R. Titmuss (1907-1973) per cui lo Stato interviene ex-post con forme assistenziali limitate nel tempo e solo quando i tradizionali sistemi di soddisfacimento dei bisogni (famiglia, reti parentali, il mercato) non riescono a far fronte ai bisogni dell’individuo.

54

G.MARCON -C.SCILLETTA (a cura di),Il ruolo del welfare civile nel welfare mix. Bisogni non evasi dal welfare pubblico, Osservatorio di economia civile, Camera di Commercio di Treviso, 2010, p.

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Una considerazione interessante è il mutamento della posizione dei cittadini nei confronti del sistema di welfare: non più soli consumatori di servizi e beni offerti dal settore pubblico, ma anche produttori degli stessi. Si possono definire questi nuovi cittadini con la crasi prosumer (unione di producer/professional e consumer).

Il concetto di welfare society, inoltre, ingloba quello di welfare mix collegato alla logica della pluralità dei soggetti di welfare per cui il “benessere” è il risultato di un prodotto di fattori per lo più intangibili quali il capitale sociale e l’interazione equilibrata e coordinata degli attori sociali.

Uno sviluppo o specificazione della welfare society è la welfare community chiamata anche “comunità sussidiaria” vista la sua stretta correlazione con le varie forme di sussidiarietà. L’etimologia di comunità aiuta a comprendere le peculiarità di tale modello di welfare e rimanda al latino cummunitas, cum-munus in cui munus può assumere tre diversi significati: un dovere, un debito, un dono da dare. Ciò che lega i diversi significati è un obbligo da intendere nei termini ben espressi da R. Esposito:

“Comunità è […] l’insieme delle persone unite dalla legge originaria del dono reciproco. È perciò che alla sua base non c’è affatto una proprietà o un’appartenenza comune, ma, al contrario, un impulso che ci obbliga nei confronti degli altri prima che ce lo imponga qualsiasi istituzione o ordinamento normativo.”

Ciò che viene esaltato è il forte legame che intercorre nella rete che riunisce i diversi attori sociali ed è in questo contesto che si sviluppa e afferma una logica di governance per cui la politica sociale è il risultato della coordinazione ed interazione degli enti del settore pubblico, privato e non profit motivati e stimolati da un senso di corresponsabilità e solidarietà nel perseguimento del “benessere sociale”. La sfumatura che differenzia la comunità dalla società è nel tipo di cooperazione attuata dai suoi membri che risulta fondata su “un’effettiva ed efficace comunicazione” e dal fatto che con il secondo termine si fa riferimento “in un senso a qualcosa di ampio ed impersonale e nell’altro a qualcosa di esclusivo e elitario riscontrabile nell’espressione «high society».”55

55 Y

I-FU TUAN, Community, Society and the Individual, in Geographical Review, Vol. 92, n. 3 (Luglio 2002), pp. 307-308, dallo stesso trattato.

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Con welfare community si può intendere anche un concetto meno ampio e meno sistemico, ma non per questo meno interessante: quello di welfare comunitario. Con tale espressione si individuano i servizi di prossimità “che sono una risposta ai bisogni che implica una relazione forte fra coloro che erogano i servizi medesimi e coloro che ne beneficiano.”56

In questa accezione il terzo settore ha un ruolo da protagonista indiscusso, in quanto, le caratteristiche sopra descritte ricalcano i valori fondanti delle organizzazioni che lo compongono.

Nel documento IL VALORE ECONOMICO DEL TERZO SETTORE (pagine 54-57)