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Sulla via di Genoard

1. La raccolta

A tre anni di distanza dalla raccolta d’esordio Vers.es, Elena Salibra dà alle stampe

Sulla via di Genoard (Manni editore, Lecce 2007). Differentemente dall’opera del

2004 – suddivisa in due grandi sezioni (Stanze e madrigali¸ Colloqui per e-mail) sostanzialmente non collegate tra loro – questa nuova raccolta si articola in più sezioni, i cui titoli sembrano indicare un movimento, un viaggio dell’io poetico: Verso Genoard,

Per via, Sosta, Oltre, Ritorno. Come infatti rileva Maria Cristina Cabani nella sua

recensione al volume:

…Sulla via di Genoard appare immediatamente come una raccolta organica e compatta, quasi un piccolo canzoniere. Merita questa definizione classica assai più della prima raccolta, Vers.es, nella quale, pur non essendo del tutto assenti, i segnali di collegamento fra testi e sezioni comparivano con minor regolarità.21

È questa, infatti, la principale novità della nuova raccolta: la sua struttura a canzoniere, il suo svolgere una vera e propria narrazione in versi. Come indicano i titoli delle sezioni, il leit-motiv di questo racconto è il viaggio: un viaggio da sud a nord, dal

21

Maria Cristina Cabani, Salibra – Poesia per l’occhio, poesia per l’orecchio, in «Il Portolano», XIV, 51-52, gennaio-marzo 2008, p. 45

32 passato al presente, dall’infanzia alla maturità. Elemento di novità, dunque, ma anche di continuità rispetto alla precedente raccolta, nutrendosi delle stesse riflessioni poetiche di

Vers.es.

La natia Sicilia è qui non solo terra colorata e profumata sulla quale la memoria si sofferma malinconicamente, ma un vero e proprio paradiso terrestre dalle spiccate caratteristiche esotiche. Nella prima sezione della raccolta, infatti, non sono rari preziosi esotismi, quasi a dipingere la regione italiana come un affascinante e remoto medio oriente: Al-Aziz, Zisa, Genoard, Elnath, guadalquivir, Mizar, alcazar, la palma blanca, eliopoli, Alèxandros; sono tutti termini che non sembrano parlarci di una realtà nostrana, quanto di luoghi incantati e lontanissimi nello spazio.

Questa scelta poetica serve ad un duplice scopo: in primis come opposizione ad un presente molto più riconoscibile nei suoi tratti occidentali (S.Ranieri, Castiglioncello, Livorno…), dal quale si cerca nuovamente di fuggire; in secondo luogo come opposizione ai luoghi della maturità, poiché la stessa Sicilia verrà vista sotto altra luce dall’occhio poetico giunto alla fine del viaggio. È questa una significativa differenza rispetto al rapporto col passato di Vers.es, costantemente vagheggiato come unica dimensione felice: la sezione Ritorno, infatti, ci restituisce un delicato ritratto della terra natia, tuttavia molto diverso dal magico medio oriente siciliano della prima sezione (la città appare «irreale», si percepisce uno «strano tanfo urbano», e il «vuoto» coglie di sorpresa) – tanto diverso che si conclude sulla rassegnata affermazione di perdita (rovesciamento di un luogo dannunziano22), «Genoard non è più tempo d’arrivare».

22

Come rileva Marco Santagata nella sua Introduzione alla raccolta: «L’incipit dell’ultimo componimento cita, capovolgendolo, l’inizio di una delle poesie dannunziane che la scuola ha fissato nella memoria collettiva: “Settembre, andiamo. È tempo di migrare”», p. 5

33 Alla nuova natura di canzoniere vero e proprio corrispondono liriche non solo decisamente più brevi di quelle di Vers.es, ma soprattutto non sempre chiuse e non sempre auto-conclusive: si hanno poesie implicanti un non detto precedente («che è poi il vento stasera in cima al colle»23), altre che lasciano il lettore nell’attesa di una riflessione o rivelazione ulteriore (quasi un non-finito di Michelangelo; si veda «quella mosca radente sulla tastiera»24), altre ancora talmente rapide da dover essere lette per forza nell’ottica dell’intera sezione (o dell’intera raccolta; si veda «non oltre»25

). Il fatto che molte liriche siano lasciate senza titolo contribuisce ad indebolire la loro identificazione in blocchi poetici a sé stanti, favorendo quindi la lettura delle cinque sezioni da una prospettiva più ampia, meno particolare.

23

Elena Salibra, Sulla via di Genoard, Manni editore, Lecce 2007, p. 37

24

Ivi, p. 22

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2. Le liriche

A) a malapena

come è tarda la luce a risalire in occidente il cielo di gennaio

se una voglia mi prende

appena sveglia d’accendere l’oro in quella conca d’acqua dietro al prato.

poi l’ora si fa piena

– stagna tra aranci e tamerici la rena – là dove ombra o uomo certo

stoppano al guado

la palma blanca mi congedo da voi a malapena

a malapena fa parte della sezione che apre la raccolta, Verso Genoard: di essa

rappresenta un’efficace sintesi. Anzitutto, la poesia ha un titolo, come tutte quelle della sezione d’apertura. Questo è un unicum all’interno del volume, e si spiega con la funzione rivestita da questo primo blocco di liriche: esse rappresentano il punto di partenza del viaggio dell’io poetico, la mitica ed esotica Sicilia dalla quale Elena Salibra si congeda «a malapena», e in quanto tali sono trattate come preziose reliquie del passato e precisamente individuate da un titolo. Questa volontà di separare nettamente le liriche della prima sezione dalle successive è evidente anche nella scelta di scrivere i versi poetici in corsivo: e bisogna immaginare che tale scelta serva anche a dare (nel segno grafico distorto rispetto al carattere tondo) il senso di un’esperienza poetica fortemente localizzata nel tempo e nello spazio della memoria, in un passato lontano e intoccabile custodito con estrema cura.

35 La lirica si apre su un viaggio, l’itinerario che il disco solare compie nell’arco della giornata. Questo è naturale specchio del movimento che l’io poetico si appresta ad intraprendere: la luce del sole è infatti «tarda», e compie uno sforzo notevole a levarsi nel cielo (il verbo «risalire» dà l’idea di una certa pesantezza nel movimento); questa luce deve poi andare verso «occidente», esattamente come dovrà fare la poetessa nel congedarsi dalla sua Sicilia. L’ostacolo al viaggio dell’io poetico viene presto svelato: «se una voglia mi prende/appena sveglia/d’accendere l’oro». Questa immagine di «accendere l’oro» sembra quasi rimandare ad un’altra luce, un bagliore più intenso e prezioso che l’io poetico preferisce seguire rispetto a quello del sole. Stiamo ancora una volta entrando nel mondo della memoria: un ingresso segnalato anche dallo scarto grafico dei versi che prima lentamente (v.3) poi repentinamente e nettamente (vv. 4,5), si allontanano e distinguono dal lento incipit della lirica (interessante anche il passaggio da endecasillabo a settenari e senari, come a muovere da una stasi ad un improvviso guizzo vitale).

Dopo l’unico punto fermo dell’intera poesia («in quella conca d’acqua dietro al prato») avviene un improvviso scarto: infatti «l’ora si fa piena», in contrasto con quella luce «tarda» dei primi versi. Ma cosa indica questa ora che «si fa piena»? Difficile pensare che si possa riferire ad un definitivo ingresso nel mondo della memoria: la presenza del punto fermo non può essere casuale, e viene da pensare che indichi un cambio repentino; a ciò si aggiunga il verso seguente «stagna tra aranci e tamerici la rena», non proprio un idilliaco quadretto come quelli che emergevano ne La casa

rosa.26 Ad illuminare sul significato di questi versi, arriva la citazione dantesca «là dove ombra o uomo certo»: essa, infatti, viene recuperata dal canto I dell’Inferno («qual che tu sii, od ombra od omo certo! », v.66), ovvero l’inizio del viaggio di Dante nei regni

36 ultraterreni (parallelo del viaggio che Elena Salibra si appresta a percorrere). «Ombra od omo certo» è riferito a Virgilio, guida e maestro del poeta nel suo iter: questi «stoppano al guado/la palma blanca», azione che termina poi nel vero e proprio congedo dell’io poetico («mi congedo da voi a malapena»).

Rileggendo questi versi alla luce della citazione dantesca, viene dunque da pensare che l’inizio del secondo periodo «poi l’ora si fa piena» indichi una presa di coscienza ed una scossa interna alla poetessa (come detto, in opposizione al faticoso «risalire» dell’incipit). Ma cos’è questa presa di coscienza, e a cosa si riferisce? Viene da pensare che l’io poetico si accorga di qualcosa, noti un aspetto che prima gli sfuggiva. Il segno grafico «–» isola un inciso che è anche rivelazione: agli «aranci e tamerici», simboli di colore e sapore della patria/passato (e ulteriore citazione, sia pascoliana che dannunziana), fa riscontro «la rena» che «stagna». Il continuo rifugiarsi nel passato viene quindi recepito in questa epifania come una stasi negativa. Alla nuova consapevolezza si aggiunge l’aiuto della guida: la «palma blanca» è prezioso esotismo associato al mondo della memoria e alla Sicilia mitico-esotica, che viene arrestato prontamente per impedire un contatto con l’io poetico e permettere di effettuare il passo decisivo. La posizione del verso «la palma blanca» è, non a caso, la stessa della coppia di versi «appena sveglia/di accendere l’oro»: essa indica l’apertura dinamica al movimento, contrapposta alla stasi dei versi più lunghi e centrati. Interessante anche leggere il verso «appena sveglia» alla luce del parallelo con il canto I dell’Inferno: come Dante infatti è «pien di sonno» quando inizia il proprio viaggio, così anche Elena Salibra si trova nella situazione in cui i sui sensi si stanno appena destando (ed essendo ancora assopiti la inducono all’errore del cercare rifugio nella memoria, invece di «risalire/in occidente»).

37 L’inizio del viaggio rimane comunque faticoso: «mi congedo da voi a malapena» è complicato distacco di un io poetico che ha assunto nuova consapevolezza, ma che al contempo non è ancora tanto forte da lasciarsi serenamente il passato alle spalle. Questa difficoltà, d’altronde, è perfettamente parallela ai dubbi dello stesso Dante: anch’egli comincia il proprio cammino all’insegna di una debolezza d’animo che solo il saggio parlare di Virgilio riuscirà poi a vincere nel canto II dell’Inferno («Quali fioretti dal notturno gelo…»).

38 B) domenica d’autunno

domenica d’autunnno

no è l’inizio di giugno.

scoppiano le petunie sul balcone oltre le sbarre della bagarre cittadina.

scrivo di mattina [caro z] perché c’è un cantare di uccelli nel capannone in rovina

…la tua partenza di prima mattina

… la tua partenza di prima mattina mi lascia in giacenza

una serie di cose per le ore a venire.

il tempo è scaduto. sono in attesa di transito.

dammi un’idea di contorno una residua certezza alla fine del giorno…

Questa coppia di liriche fa parte di quel cospicuo gruppo a cui Elena Salibra non ha assegnato un titolo preciso: si trovano entrambe nella seconda sezione, Per via, nella quale emerge un sentimento di confusione e disorientamento riguardo al tema del tempo, così chiaro e controllato in Vers.es. Le due poesie sembrano instaurare, fra loro, quel dialogo di cui Maria Cristina Cabani parla nella sua recensione al volume:

…l'autrice crea di continuo visibili agganci fra un testo e l'altro, dando al lettore la sensazione che, giunti alla fine di una poesia, di rado sigillata da un punto fermo [...] resti ancora qualcosa da dire27

27

Maria Cristina Cabani, Salibra – Poesia per l’occhio, poesia per l’orecchio, in «Il Portolano», XIV, 51-52, gennaio-marzo 2008, p. 45

39 La mancanza di punto fermo alla fine di domenica d’autunno e i puntini di sospensione all’inizio di …la tua partenza di prima mattina sembrano confermare questa ipotesi, ulteriormente supportata dal fatto che entrambe le poesie vengano scritte nello stesso momento della giornata, di mattina («scrivo di mattina», «di prima mattina») e che l’ultimo verso della prima lirica vada a rimare con il primo della seconda. Un altro elemento che sembra favorire la lettura continuata dei due componimenti è la presenza di questo «caro z», che diventa poi interlocutore nella seconda lirica (al quale ci si appella per un senso di smarrimento dal quale si vuole cercare di uscire).

La poesia domenica d’autunno si apre all’insegna della confusione temporale, nell’equivoco tra due stagioni completamente diverse. L’errore è evidenziato non solo dalla brusca intromissione della negazione «no», ma anche – graficamente – dall’uso alternato di corsivo e carattere tondo: non a caso, come abbiamo già rilevato, il corsivo è solitamente usato per indicare il vagheggiamento del passato, laddove poi il tondo va ad indicare il tempo presente. C’è dunque un’immediata reazione dell’io poetico all’intromissione della stagione autunnale, che riporta il discorso all’estate che si sta aprendo: tuttavia il punto fermo che segue tale imposizione è solo una pausa verso nuove confusioni interiori. Difatti il successivo periodo si fa quadretto floreale nello sbocciare delle petunie (che addirittura «scoppiano», quasi un conflitto bellico tra natura e umano con la «bagarre cittadina»28), ma il carattere usato per tale descrizione è nuovamente il corsivo – quasi a far convivere il passato con la situazione presente, a cui l’io poetico ha forzatamente rivolto la propria attenzione.

40 Con un nuovo punto fermo ed un netto scalino grafico, Elena Salibra si riappropria completamente del proprio presente: il discorso torna infatti ad essere espresso in carattere tondo. Eppure ci sono ancora alcuni elementi che lasciano pensare. Anzitutto, la presenza del «caro z», il cui nome completo è taciuto e inscritto tra parentesi quadre. Come detto più volte, in una poesia dove il segno grafico è raro non si possono ignorare queste eccezioni: le parentesi quadre ricorrono pochissime volte in tutta la raccolta, e racchiudono sempre termini o informazioni relativi al passato. In particolare notiamo che nella lirica di apertura del volume (sulla via di Genoard) il primo verso recita «Al- Aziz [Zisa]», un’altra «z» fra parentesi quadre: il «caro z» potrebbe dunque essere un senhal per indicare genericamente il passato, quel passato da cui è difficile distrarsi. Il «cantare d’uccelli/nel capannone in rovina» è di più difficile interpretazione: certo è che questo canto non è gioioso, perché l’immagine del «capannone in rovina» fa pensare ad una prigione o una trappola mortale, rispetto alla quale il «cantare» diviene quindi incessante richiesta d’aiuto. Si potrebbe pensare allora che il canto sia tentativo di richiamo costante nei confronti dell’io poetico, e che il «capannone in rovina» sia un po’ il contraltare decadente di quella «Zisa»29

che si nasconderebbe sotto il «caro z».

A questo punto il discorso continua nella seconda lirica del dittico, introdotto dai puntini di sospensione iniziali. La partenza del «caro z» crea una reazione a catena, per cui alla poetessa rimangono «in giacenza/una serie di cose per le ore/a venire»: l’inedita condizione di mancato rifugio nel passato (così comune nella raccolta precedente) coglie impreparata Elena Salibra, che si trova a dover fare i conti con il futuro nelle «ore/a venire». Come sempre, però, il futuro è tabù: il punto fermo e lo scalino grafico

29 Su cosa sia la Zisa ci informa la stessa Salibra nelle note al testo (Sulla via di Genoard, Manni editore,

Lecce 2007, p. 85): «…La Zisa (al-Aziz, la splendente), residenza estiva dei re normanni». Simbolo dunque di grandiosità e meraviglia passata, qui contrapposta al desolante spettacolo del capannone presente.

41 tacciono sullo svolgimento della «serie di cose», e ci portano direttamente ad una nuova condizione presente, «il tempo è scaduto». Questo verso lapidario indica non solo la fine delle «ore/a venire», ma anche la nuova consapevolezza dell’io poetico. Alla constatazione temporale, infatti, segue quella spaziale, «sono in attesa/di transito»: è «scaduto» il periodo in cui si poteva costantemente rifugiarsi nel passato, e il «transito» che si attende è quello verso la definitiva conquista di una nuovo “sentimento del tempo”. La rappresentazione grafica della lirica evidenzia questo importante passaggio: il verso «il tempo è scaduto» si trova sbalzato rispetto al corpo della poesia (ad indicare un cambiamento rispetto alla situazione precedente) e la separa perfettamente in due parti; l’idea del «transito» è resa da un nuovo movimento grafico, che rende il senso del movimento.

Tuttavia i dubbi e l’attaccamento al passato emergono un’altra volta nel finale: al «caro z» è affidata l’ultima accorata richiesta, «dammi un’idea di contorno una residua/certezza alla fine del giorno». Il «transito» non sarà facile, e l’io poetico si sente un po’ sperduto all’idea: dato che non può più rifugiarsi personalmente nella memoria, chiede almeno che ci sia una qualche manifestazione di essa nel presente che possa fungere da appiglio sicuro nelle difficoltà che ci saranno. La speranza finale rimane aperta nei punti di sospensione finali, che lasciano l’intero discorso in sospeso – esattamente come in sospeso sono, al momento, l’esito del viaggio poetico nonché il viaggio stesso.

42 C) nove/dieci marzo

S’è sciolta tutta la neve in un fiat

da un giorno all’altro – nove/dieci marzo. se il treno va e viene ansimando nell’unico

binario s’incrementa il divario d’oggi e ieri sul filo di tensioni che

attramano gli invia-ricevi-aggiungi

nuovo – dopo il bip salta Crevalcore

poi un flashback in sms mi chiarisce il nuovo itinerario – neve nebbia fitta incollata al finestrino fumo odori umori rottami lamiere

alla rinfusa e niente nel binario unico

Il viaggio di Elena Salibra prosegue nella sezione Sosta: come rivela chiaramente il nome, questo breve blocco poetico è una pausa momentanea, nella quale perlopiù si assiste a dialoghi con precisi interlocutori (tre poesie parlano di e con Roberto Benigni, un’altra reca in calce “a c.g.”) o comunque a momenti statici dove la riflessione ha la meglio sull’azione. La lirica nove/dieci marzo che chiude la sezione, tuttavia, riesce a farsi magnifica sintesi di momento contemplativo e momento attivo, incorniciando perfettamente l’attimo in cui l’io poetico torna a mettersi in viaggio. L’idea di scarto e cambiamento è d’altronde già indicata nel titolo, con il rapido succedersi di date contigue che indica avanzamento temporale (forse non a caso reso graficamente da quel corsivo che simboleggia il passato – da mettere alle spalle – e che tornerà nella lirica sotto una luce completamente diversa da quella osservata sinora).

La poesia si apre su di un’importante novità nell’ambiente circostante: «s’è sciolta tutta la neve in un fiat/da un giorno all’altro». In un rapido e fulmineo momento (un

43 giorno è poca cosa rispetto all’intera vita di un uomo) è avvenuto il disgelo totale di una «neve» che chiaramente non è solo fisica, ma anche interiore, mentale: alla data dell’avvenimento, isolata dal segno grafico «–» e dal punto fermo, viene dato duplice risalto (dopo la segnalazione nel titolo), segno di grande importanza – già nella precedente raccolta avevamo visto l’attenzione puntuale alle date o ai momenti dell’anno/della giornata30

.

Eliminato il blocco causato dalla neve, ecco che il viaggio può ripartire: «il treno va e viene ansimando nell’unico/binario». La ripartenza dopo il disgelo è ancora un po’ faticosa: nonostante il percorso sia ben avviato (ci troviamo, infatti, «nell’unico binario», unica via possibile), il treno «va e viene ansimando»: c’è una certa incertezza sulla direzione da seguire – sottolineata dal continuo andare e venire del treno – e lo sforzo porta ad ansimare. Ciononostante, l’ansimante andirivieni del treno ha una conseguenza, poiché «incrementa il divario d’oggi e ieri»: queste due realtà temporali sono da intendere sia come “passato” e “presente”, che come “condizione di ieri” (quella in cui si cercava rifugio costante nella memoria) e “condizione di oggi” (quella in cui si segue un «unico binario»). L’incremento di consapevolezza che avviene «sul filo di tensioni» (simbolo di forze che polemicamente si battono all’interno di Elena Salibra) è ben evidenziato dalla presenza del corsivo, un corsivo che appare completamente diverso da quelli incontrati sinora: «invia-ricevi-aggiungi/nuovo – dopo il bip salta Crevalcore». Non si tratta più di orpello grafico per impreziosire il momento passato, ma viene anzi utilizzato per mettere in evidenza gli elementi più moderni (di gusto futurista) della lirica: è dunque il presente ad essere valorizzato dal corsivo, fino all’utilizzo del programmatico «nuovo» (non a caso isolato ad inizio di verso dall’enjambement).

30

44 Nel segno di una felice combinazione tra passato e presente si apre anche il periodo successivo: «poi un flashback in sms mi chiarisce/il nuovo itinerario». Torna il programmatico «nuovo», nel«nuovo itinerario» che l’io poetico si appresta finalmente a seguire (e che non a caso rima con «unico binario»): torna anche il passato, qui però accostato con un’interessante immagine alla modernità presente nel «flashback in sms» che getta luce sul viaggio da intraprendere – ad indicare non un totale rifiuto del passato,

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