Figura 11 - Social Anxiety Disorder
Figura 12 - Borderline Personality Disorder
Figura 13 - Bipolar Disorder
Figura 14 - Dependent Personality Disorder
Figura 15 - Dissociative Identity Disorder
Figura 16 - Paranoid Schizophrenia
Figura 17 - Post traumatic Stress Disorder
3. Thanatos: tra virtual reality e videogames
Quando si esamina un società tecnologica e tecnofila in rapporto all’essere umano non si può prescindere da quelli che sono i nuovi medium, le porte “materiali” che permettono l’accesso a nuove dimensioni “non materiali”, a nuovi universi simbolici nonché a nuove forme di comunicazione e interazione simbolica. Le ricerche effettuate nell’ambito del rapporto tra la realtà reale e la realtà virtuale siano essi videogiochi, chat, social network, realtà aumentate etc, hanno messo in evidenza come da un lato tali mondi siano prima di tutto un’evasione da una realtà che non concede più tanto spazio né tempo alle proprie e personali elaborazioni psichiche, dove l’angoscia di morte (lì dove è oramai negata) diventa un fardello che l’uomo non è disposto a sopportare. Primo protagonista del nostro tempo e probabilmente punto di partenza di tutta una serie di “invenzioni” è stato sicuramente il sistema videoludico.
Nel lontano 1961 un gruppo di studenti-hacker del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston elaborarono il famosissimo primo videogame della storia:
Spacewar!:
Figura 18 - SpaceWar (immagine di pubblico dominio)
Uno scontro armato nella profondità spaziale tra due navicelle fatte -in modo del tutto elementare- di punti e linee bianche su fondo nero. Tale gioco nacque -tra l’altro- dall’impossibilità economica dei ragazzi di poter realizzare il loro vero progetto ossia un film tratto dalla serie pulp Skylark di Doc E. Smith.
E da allora l’ascesa al successo non si è più arrestata: fecero seguito videogames come Pong, Death race (che instillò -per via della violenza- le prime forme di diffidenza verso questi sistemi):
Figura 19 - Deah Race - (immagine di pubblico dominio)
E poi l’avvento degli Arcade come Space Invaders, Asteroids, Pac-Man, Mario l’idraulico che fa la sua prima comparsa nel famoso gioco Donkey Kong per comparire successivamente come protagonista di Super Mario Bros, tutte testimonianze delle prime forme di introiezione e proiezione da parte dell’uomo verso rudimentali ma coinvolgenti realtà artificiali le quali -a differenza di un libro, di un’opera d’arte o di una produzione cinematografica, davano la possibilità all’utente -per la prima volta nella storia dell’uomo- di interagire, di poter creare un’interazione prettamente “simbolica”. Ciò che deve far riflettere di tutto ciò è che lo sviluppo e il commercio di tali sistemi videoludici -al di là di piccoli periodi di calo- non solo non si sono arrestati, ma il loro excursus è sempre stato e continua ad essere in salita. Basti dare uno sguardo all’imponente commercio delle case di produzione a livello mondiale e alla ricerca tecnologica che viene dedicata esclusivamente per implementare o sviluppare -a livello esponenziale- nuove forme di videogames, console, supporti e/o accessori. Giusto per fare qualche esempio in questi ultimi anni:
- Il videogioco ha subito le seguenti evoluzioni: dalla grafica 2D a quella 3D, ha diversificato poi le tipologie di gioco (avventure grafiche, azione, punta e clicca, sparatutto, FPS, giochi di ruolo o RPG, sportivi, simulazione, strategia, GOD Games, rompicapo, solo per citarne alcune); gli stessi sono passati dalla modalità singleplayer al multiplayer per approdare ai giochi esclusivamente on line dove si interagisce con un numero altissimo di utenti.
- Le console sono passate da pubbliche macchinette (c.d. COIN-OP) localizzate nei bar o nella cosiddette “sale giochi” a strumenti privati da utilizzare nella propria e comoda stanza da letto. Oggigiorno quasi ogni ragazzo di almeno 3 anni di età possiede uno o più sistemi hardware su cui giocare, siano essi tablet o pc e console. Anche quest’ultime si sono diversificate: si passa dalle quelle fisse come Atari, Playstation, Xbox, Nintendo, a quelle portatili dal Game Boy al Nintendo DS alla Playstation portable (PSP) etc. Ogni anno sempre più potenti, sempre più veloci per
reggere videogiochi a loro volta sempre più spettacolarmente grafici, ma che necessitano, a loro volta, di requisiti minimi di sistema sempre più elevati.
- Per ciò che concerne i supporti e/o accessori successivamente al classico joystick sono stati appositamente creati vari accessori tra cui ad esempio sistemi di sterzo e pedali (per i giochi di auto), manubri etc.
Con l’avvio della console denominata Nintendo WII, si passa ad una nuova generazione di giochi avviandosi verso nuove forme di interazioni non solo mentali ma anche fisiche. Questa console infatti è la prima ad avere i joystick senza fili Wiimote (Wii-remote) in grado di reagire “alle forze vettrici e all'orientamento rispetto allo spazio tridimensionale attraverso un accelerometro a 3 assi presente al suo interno”114. Questo significa -in poche parole- che per giocare bisogna utilizzare i movimenti del proprio corpo; per cui nascono come accessori: finte chitarre e batterie, racchette da tennis, mazze da baseball, tappetini per gli esercizi fisici, etc. Si approda -infine- all’ultima generazione di accessori che permette di giocare entrando nel pieno della realtà virtuale: L’Oculus Rift (o Gear VR). Questi pseudo occhiali permettono di entrare “nel vivo” dei virtual reality, un’immersione che bypassa la distanza tra l’utente e lo schermo. Nello specifico ,attraverso una serie di sensori e accelerometri, l’Oculus Rift segue i movimenti veloci della testa o del corpo del giocatore a prescindere dalla direzione presa e tutto questo senza alcun problema di sfocatura.
Figura 20 - Oculus Rift - (immagine di pubblico dominio)
114https://it.wikipedia.org/wiki/Wii
Figura 21 - Visualizzazione attraverso Oculus Rift (immagine di pubblico dominio)
Aver descritto in breve l’evoluzione esponenziale dei videogames serve a capire che alla base di tale successo non vi è solo l’intrattenimento puro, il gioco puro; questi sistemi racchiudono interi paradigmi simbolici. Ma andiamo per gradi.
Nei videogiochi si affrontano vari livelli di gioco, difficoltà, enigmi, strategie e a seconda della tipologia di game e perfino, nello specifico, varie modalità dei concetti primari per l’uomo: quello di vita e quello di morte; in pratica gli stessi potrebbero essere definiti nuovi topoi psichici dove il logico si fonde con l’irrazionale, l’immaginario con il reale, il desiderio con il sacrificio etc. In particolare -nel giocare attraverso determinati personaggi- ci si confronta con se stessi, con quel doppio che viene dall’inconscio e che tante volte la società, le persone, le leggi o regole impongono di non far emergere. Ognuno di noi sceglie -inconsapevolmente o no- il videogioco che più gli è consono alla sua personalità e -perché no- alle sue problematiche e paure interiori: c’è chi preferisce gli FPS (first person shooter) come il celebre Doom, chi i God Games come il famosissimo The Sims. E poi ancora i GDR o RPG, gli Avventura, i picchiaduro, gli sport, i puzzle o i giochi piattaforma etc. Questi nuovi mondi virtuali non solo ci fanno percepire come ad esempio il concetto di morte viene trattato nel loro interno e, di riflesso, anche come viene -o può essere concepito- nella nostra cultura (Occidentale); quindi non solo evasione, ma anche specchio –ad un livello specifico di interpretazione- di come si presenta oggi un uomo sia individualmente che collettivamente; ne sono prova non solo l’enorme successo ed espansione di tali tecnologie, ma anche: i miti ancestrali e le tematiche affrontate come l’eroe, il doppio, l’imago materna e paterna, il drago, le angosce comuni come l’estinzione della razza e quindi la morte, le invasioni aliene (l’altro per eccellenza) i disastri naturali etc.
A conferma di ciò, Hilmann afferma “Qualsiasi atto che tenga a distanza la morte ostacola la vita”115 e pertanto, più la società tiene a distanza la morte, più essa viene ricercata sotto altre forme. Per questo lo strepitoso successo planetario dei mondi virtuali, dove ogni uomo non solo è spettatore, come in ogni riproduzione cinematografica o artistico-letteraria, ma è egli stesso co-protagonista: sceglie chi essere tramite un avatar, compie scelte, elabora strategie, tira fuori il meglio o il peggio di sé a seconda di quale parte di personalità l’Io rifiuta di mostrare nella realtà. Un cyborg informatizzato che in quanto umano, trova in questo mondo -o meglio riscopre- emozioni umane individuali e collettive, riscopre che può ancora sognare, fantasticare, ma anche in quanto tecnologico, esso può simulare, rappresentare, interagire ed avere soprattutto nuove e gratificanti strategie performative di vita, una dimensione altra dove l’affrontare la morte e l’affrontare la vita, sganciate ormai nella vita reale, tendono ad integrarsi in quella virtuale.
Non importa le tipologie di gioco, comunque si rischia, ci si confronta, si perde, si muore, si ricomincia. Quel morire non è la tanto temuta e famigerata morte fisica che pone fine a tutto; essa è la presentificazione di quella morte simbolica tanto necessaria, ma negata nella vita normale. Quella morte che ognuno di noi periodicamente deve attraversare se vuol riuscire a terminare un livello (nel gioco) come un progetto (nella vita reale). Una morte simbolica (un intercalare che deve farci ricordare la nostra finitudine) che nel reale viene rifiutata per far posto al tutto e subito, a quel voler vivere in un eccesso di “sicurezza”, di “pieno controllo” (da cui ne deriva anche l’eccesso di informazione), e pertanto un voler una via “facile” e “rapida” come afferma lo stesso Hillman.
Secondo alcuni studiosi, tali mondi paralleli non farebbero altro che confermare la negazione di morte tipica della nostra società e sviluppare ancora di più nella mente umana il concetto di immortalità giacché nei videogames –nella stragrande maggioranza dei casi- si muore e si rinasce infinite volte confermando –per tal motivo- l’enorme successo. Ma se provassimo a pensare il contrario? Se provassimo a pensare per un solo istante che tutto quello che viviamo in un videogioco non si altro che l’eterno mimetismo innato dell’uomo che si trasforma. Huizinga –il primo a indagare su tale fenomeno- asserisce che
“il gioco è qualche cosa di più che un fenomeno puramente fisiologico e una reazione psichica fisiologicamente determinata. Il gioco come tale oltrepassa i limiti dell’attività puramente biologica: è una funzione che contiene un senso. Al gioco partecipa qualcosa che oltrepassa l’immediato istinto a
115 Hillman J., Dall’ossessione della sicurezza al mito del terrorista: in un libro-intervista le verità scomode di Hillman, La Stampa, 1 novembre 1999, Anno 133, n. 299 15
mantenere la vita, e che mette un senso nell’azione del giocare. ogni gioco significa qualche cosa. […] elemento immateriale della sua stessa essenza”116,
E’ un medium che paradossalmente avvicina l’uomo allo spirito. “Questo avvicinamento alla sfera del sacro è contenuto anche nel carattere rituale del gioco, che avviene entro determinati limiti di spazio e tempo in cui crea un ordine scandito da ritmo ed armonia”117, un’esigenza di staccarsi dalla vita ordinaria per calarsi in un dimensione Altra come se, afferma Benveniste nella sua opera Le jeu Comme Structure, il gioco non fosse altro che il prodotto della separazione -in età odierna- tra mito e rito118. A tal proposito Morin pone l’attenzione sul significato ancestrale dei giochi quando afferma che “I giochi e le danze sono vere e proprie pantomime del cosmo. Mimano la creazione del mondo, l’unità e l’indeterminatezza primitive”119. Possiamo quindi definire il gioco con l’espressione “libera creazione di un altrove simbolico”.120 Dovremmo chiederci se in queste dimensioni parallele la sensazione di immortalità che avvertiamo mentre giochiamo non sia altro che il risultato di continui incontri e scontri con il proprio Sé seppur attraverso un medium tecnologico; lì dove ci sentiamo immortali proprio perché nella battaglia per superare un livello e acquisire nuove qualità (come una spada più grande, una pozione magica etc) mettiamo in gioco tutto il nostro Sé, morendo più e più volte –e nel morire scopriamo il perché dei nostri errori correggendo le scelte o le mosse o un’intera strategia121. Si attraversa un bosco pieno di insidie o una caverna affollata di mostri o draghi –un universo sconosciuto- con la consapevolezza che ci si può perdere nei meandri, ma prima o poi si esce vincenti -dopo aver combattuto, esser morto, aver ricominciato. Non ci si accorge che tanto più è ben giocato un gioco -il quale include le varie volte che uno muore come fattore facente parte del gioco stesso- tanto più uno è desideroso di voler arrivare alla fine ultima dello stesso: la fine vera e propria del gioco, dell’avventura.
E ognuno ci arriva a suo modo in base alla propria personalità: il superficiale passerà solo dai livelli primari, il curioso giocherà anche quelli facoltativi o secondari, il perfezionista tenterà di raggiungere il 100% di livello giocato etc., ma tutti non hanno altro desiderio che arrivare a vedere come sarà la fine della storia. Paradossalmente anche quando decidiamo
116 Huizinga J., Homo Ludens, Einaudi Editore, Torino, 1949, pp 17-18 117 Grigoletto F., Videogiochi e cinema, CLUEB editore, Bologna, 2006, p. 22
118 Martines E., Play the game! Come gli inglesi inventarono lo spot moderno, Libreriauniversitaria Edizioni, Padova, 2016, p. 25
119 Morin E., L’uomo e la morte, Meltemi Editore, Roma, 2002, p. 97
120 Caruso S., Homo oeconomicus. Paradigma, critiche, revisioni, University Press, Firenze, 2012, p. 124 121 “In questo senso la morte e il game over in un gioco sono viste dal giocatore come un fatto che fornisce delle informazioni e maggiore conoscenza, un coefficiente attraverso il quale il giocatore potrà sopravvivere nella partita successiva e da cui può imparare”. Grigoletto F., op. cit., p. 42
di giocare ai cosiddetti GOD games dove vestiamo i panni di Dio ex machina ci troviamo di fronte al concetto di morte. In tali giochi siamo immortali perché ciò che facciamo è gestire -come un burattinaio- una popolazione, degli eserciti, una città. Ma anche qui dove sembri governare la propria immortalità ci imbattiamo in scelte sbagliate o strategie insensate che portano alla morte e/o a veri e propri fallimenti. Non moriamo noi, ma muore un intero esercito, viene distrutta una città e niente, bisogna ricominciare da capo correggendo errori che divengono nuove abilità. Anche nei videogiochi dove è richiesto di uccidere (che poi può essere considerata una forma di catarsi, di liberazione della propria aggressività) quello che pretendiamo è sempre un “voler misurarci con noi stessi, alla ricerca di una nuova padronanza del nostro Sé”, capire chi siamo, di cosa siamo capaci, quali abilità o qualità abbiamo dentro e fin dove riusciamo a spingerci. Tutto questo è più importante dell’uccidere l’avversario, anzi si potrebbe affermare che proprio nel mondo videoludico quello che si affronta non è la morte dell’altro come nella realtà, ma la propria morte: quando -ad esempio- muore fisicamente il proprio personaggio virtuale oppure la morte come sfida, come rischio, come fallimento, come lotta contro zombie, mostri e demoni - ognuno con proprie caratteristiche- i quali altro non sono che il frutto della nostra mente, delle nostre angosce e paure.
Un videogioco non solo ci permette di identificarci con il nostro personaggio, nella scelta dei capelli, vestiti, del sesso, delle decisioni da prendere, ma anche di proiettare le nostre emozioni, fantasie, paure e desideri: un modo tecnologico di conoscere un po’ di più di noi, acquisendo quella sicurezza che è utile a noi stessi giacché parte dalla nostra interiorità e non una formula omologante che la società impone dal di fuori. Il sistema videoludico nel suo complesso non è solo una nuova e tecnologica forma di intrattenimento, ma è anche rappresentazione, manifestazione del doppio, di molteplici doppi, a livello estetico, psichico, patologico. Esso passa per le due fasi più importanti per l’uomo: è identificazione (o introiezione) e proiezione allo stesso tempo. Ci si identifica nel proprio Avatar122 e si proietta nel sistema videoludico il proprio immaginario ossia “un’espulsione di quanto fermenta nel fondo oscuro del Sé”123.
Questo probabilmente perché la società non concede più tanto spazio né all’esternazione di stati d’animo emotivi (i complessi a tonalità affettiva dell’inconscio personale) né alla
122 Il termine Avatar d’altra parte deriva dal sanscrito con il significato di “disceso”, un Dio immortale che si incarna per adempiere a compiti ben precisi. Quando si sceglie un Avatar, esso è selezionato – paradossalmente- sulla base di concetti non materiali, ma spirituali: esso è un simbolo che rimanda a quello che noi siamo o vorremmo essere: indefinito e mutevole, cangiante ma sempre in simbiosi con il nostro Sé. 123 Morin E., Lo spirito del tempo, Meltemi Editore, Roma, 2002, p. 96
formazione di nuovi “eroi” ossia di personalità dotate di un pensiero forte e ben identificate (attivazione positiva degli archetipi dell’inconscio collettivo).
Ogni psiche ha bisogno di intraprendere personalmente il proprio “viaggio dell’eroe”, ha bisogno di scrivere la sua storia. Se i miti, in tal senso, per secoli e secoli hanno avuto basi comuni e hanno svolto la loro funzione per miliardi di individui, un motivo ci sarà ed è sempre lo stesso: essi rappresentano noi, la nostra interiorità, la nostra totalità ed è per questo che hanno da sempre conservato la loro potente valenza. La stessa azione del videogiocatore è produzione mitopoietica in quanto il giocatore è calato in un universo simbolico dove scompaiono anche quelle coordinate spazio-temporali tipiche della nostra razionalità permettendo in tal modo di vivere in un mondo più simile a quello dei nostri sogni, delle nostre immaginazioni attive e di conseguenza più vicino al nostro Sé. Ancora oggi l’uomo tecnologico reclama continuamente tutto ciò: ma esso non è visibile né fattibile nella società che stabilisce e impone i parametri omologanti del “normo-tipo”; esso emerge nei videogiochi, nel cinema o nella letteratura che -al di là dei loro fini meramente economici- rimangono per ora uno dei pochi stargate per l’inconscio.
Basti fare alcuni esempi per comprendere che la figura dell’eroe, protagonista indiscusso di miti, leggende, saghe e religioni, e il suo mito non sono scomparsi dalla mente dell’uomo, ma al contrario sono sempre più presenti nell’immaginario o se vogliamo nell’attività mitopoietica dell’individuo odierno:
- Dreams to reality: videogioco dove “il protagonista impegnato in una ricerca sul mondo dei sogni "entra" in esso per conoscerlo direttamente, il problema è uscirne. E' un viaggio iniziatico in cui l'eroe deve superare molte prove facendo leva sull'abilità e sull'intelligenza nello sconfiggere i "suoi" mostri dell'inconscio. Le paure dell'inconscio: quella del vuoto, dei ragni, degli insetti, dei luoghi angusti o vertiginosi devono essere affrontate e vinte. Ci sono tutte le componenti della psicologia del profondo: il confronto con l'ombra, l'eroe, il fanciullo divino, l'anima (che emerge sia nella figura androgina dello sciamano sia nella fanciulla che si sacrificherà ) gli istinti paranoici del male rappresentati dai suoi servi che utilizzano la violenza e l’astuzia per fini di potere. Una battaglia che si conclude superando le opposizioni (acqua e fuoco) ed integrando l'io;124
- Halo: in questo videogioco sono state “inconsciamente rappresentate delle problematiche che esprimono alcune delle ansie fondamentali della nostra epoca: l estinzione della specie per un evento esterno o interno rappresentati, nel gioco,
come l invasione di alieni dello spazio o l autodistruzione per l uso perverso del progresso scientifico e tecnologico. La possibilità di giocarle collettivamente ed elaborarle creativamente avrebbe una funzione terapeutica che spiegherebbe lo straordinario successo del videogioco. Da qui il nostro interesse, scientifico e clinico”.125
- Assassin’s Creed (tutta la saga): personificazione del nuovo eroe contemporaneo che calato nel cosiddetto “Animus” (macchina che riporta indietro nel tempo) ripercorre secoli di storia attraverso la risoluzione di enigmi, intrighi di potere, nell’eterna lotta tra “Templari” e “Assassini”. Fondamentale la presenza dei doppi speculari nei protagonisti, la tematica del lutto per la morte del padre, i crolli psicologici dello stesso protagonista, gli atti morali e immorali riassunti nella citazione più famosa del credo degli Assassini: “Quando gli altri seguono ciecamente la verità, ricorda: nulla è reale. Quando gli altri si piegano alla morale e alle leggi, ricorda: tutto è lecito. Agiamo nell'ombra per servire la luce. Siamo Assassini. Nulla è reale, tutto è lecito”.
- Final Fantasy (con la sua interminabile saga): dove emerge il dualismo tra bene e male, la magia, l’evocazione di divinità e demoni, mostri e draghi, un mondo del tutto sconosciuto da esplorare grazie alla presenza di più eroi protagonisti.
E’ proprio su queste nuove forme di rappresentazione che dobbiamo rivolgere il nostro sguardo, non solo per capire chi è oggi l’uomo in rapporto ad un mondo oramai tecnologico, ma -attraverso uno studio specifico- potremmo trovare un minimo comune denominatore, una chiave di lettura -dotata di validità e spessore psico-analitico- della mente umana, del suo immaginario collettivo o dell’espressione del proprio Sé. Sono