UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA
Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita
Tesi di Dottorato in
Medicina Clinica Sperimentale e Medical Humanities Sociologia e Simbolismo delle Psicopatologie
XXIX Ciclo
Tanatologia e Tecnologia
Metamorfosi del concetto e dei rituali di morte nella società post-umana e tecnofila
Coordinatore
Prof. Mario Picozzi
Tutor
Prof. Claudio Bonvecchio
Dottoranda
Maria Anna Carlino
INDICE
PREMESSA
I° CAPITOLO: THANATOS OGGI (La morte vissuta) 1.1. Thanatos oggi: tra Tabù e nuova cultura della morte 1.2. Thanatos: la morte oscena ed espropriata
1.3. Thanatos: la morte mercificata e falsificata
II° CAPITOLO: THANATOS OGGI (La morte psicologica) 1.1. Thanatos: oggi: la morte spettacolarizzata e spersonalizzata 1.2. Thanatos: rimozione Vs psicopatologie
1.3. Thanatos: tra virtual reality e videogames
III° CAPITOLO: THANATOS OGGI (La morte simbolica) 1.1. La morte del simbolico
1.2. Il Viaggio dell’Eroe 1.3. Eroi Vs supereroi 1.4. Gnoti Sauton
BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA FILMOGRAFIA DOCUMENTARI CORTOMETRAGGI PROGRAMMI TV SERIAL TV
ROMANZI
VIDEOGAMES
PREMESSA
Una società tecnofila e transumana: nuovi paradigmi umani
Dal sequenziamento del DNA dell’HGP (Human Genome Project)
1, all’era post-genomica della bio-medicina, dalla robotica all’informatica e alle nanotecnologie, la nostra realtà contemporanea si presenta come dimensione decisamente tecnofila
2: capace, cioè di rendere tangibili le potenzialità offerte dal costante avanzamento tecnologico che va dall’umano al post-umano e che profetizza l’avvento di una società in cui la ricerca nei campi della medicina, della scienza e della tecnologia possono non soltanto salvare, ma anche mantenere, prolungare e potenziare una vita, arrivando a concepire -come fattibile- quell’immortalità tanto desiderata dall’uomo. Si tratta di un presente innovativo che agisce direttamente a livello fisico, psichico e sociale dell’individuo determinandone -di conseguenza- un cambiamento strutturale, per il quale possiamo parlare –in estremis- di trans-umanità. Alla base di tutto ciò vi è la cosiddetta rivoluzione GRIN (Genetica, Robotica, Informatica e Nanotecnologie) che produce, a ritmi sempre più vorticosi, nuove scoperte scientifiche a cui si collegano le relative applicazioni. Tale pervasività ha -oramai- invaso qualsiasi aspetto esistenziale dell’uomo: essa spazia dalla medicina attraverso concetti di diagnosi, malattie e cure alla bioetica che ogni giorno deve fare i conti con nuovi limiti e confini della vita umana; da protesi fisiche ai chip sottopelle
3che fanno di un individuo un cyborg a tutti gli effetti, ai risultati nel campo dell’alta informatica i quali permettono di avere una Second Life
4di cui parleremo in seguito. Ancora dalla mappatura del codice genetico con il quale sarà possibile programmare, anche fuori dal ventre materno, un feto “sano” e decidere il sesso, il colore degli occhi etc, alla medicina e
1 “Lo scopo del Progetto è quello di sequenziare tutto il g. u. ed identificare tutti i geni umani. La prevedibile ricaduta è che la conoscenza di tutti i geni umani faciliterà l’identificazione dei geni responsabili di malattie e lo studio delle loro interazioni. Inoltre, la disponibilità della sequenza completa del g. u. porterà a ricercare e identificare nuovi elementi del DNA, elementi di controllo dell’espressione genica, della replicazione del DNA e quant’altro.”, Vella L., Enciclopedia medica italiana. II Aggiornamento della Seconda edizione, USES, Firenze, p. 2478
2 Da Tecnofilia: dal greco τέχνη, technē e φίλος, philos, è un termine con cui si indica l’amore o il gusto per ogni forma di tecnologia come ad esempio Personal Computer, Cellulari/smartphone, Tablet, Internet, Videogames, nuove grafiche 3D etc. La tecnofilia può arrivare, in alcuni casi a forme di vera dipendenza o
“addiction” lì dove si creano forme di ossessione, fobie, stati d’ansia etc
3 Esperimento già avvenuto ad opera di Kevin Warwick, professore presso l'Università di Coventry in Inghilterra. Le sue aree di ricerca sono l'intelligenza artificiale, il controllo, la robotica e ingegneria biomedica. Warwick nel suo Progetto Cyborg 1 (1998) ha impiantato su se stesso il primo chip elettronico con il risultato di realizzare il connubio uomo-macchina e superare i limiti fisici. Nel Progetto Cyborg 2 (2002) si fa installare degli microelettrodi sotto pelle innestati sulle terminazioni nervose. E’ il primo scienziato a provare sensazioni artificiali facendo viaggiare il suo sistema nervoso in rete. Colloquio con Kevin Warwick di Tarissi F., L’ESPRESSO, anno L, n. 29, 22 Luglio 2004, www.espressoonline.it
4 The Second Life (ideato dalla Linden Lab nel 2003) è una piattaforma internet creata in 3D multiuser. E’
un mondo virtuale, un MUVE (multi-user virtual environment) basato sulla socializzazione, creatività, collaborazione e soprattutto è auto governata. I residenti (così vengono chiamati gli utenti) vivono in questo mondo virtuale on line, attraverso un avatar, esattamente come nella vita reale, ma possono fare qualunque cosa essi vogliano.
chirurgia estetica che -spaziando tra business e ossessione maniacale- ha prodotto più di un milione di interventi solo nel 2014 (in aumento rispetto al 2013). Tutto questo perché nel pensiero contemporaneo, il corpo si avvia a diventare un mero involucro di materia. Oggi qualsiasi persona può essere soggetta a trasformazioni, indipendentemente se: per curare, per puro piacere, per sospendere il tempo se non addirittura per essere interamente sostituito salvaguardando esclusivamente la mente/cervello come parte fondamentale del nostro esserci nel mondo.
Per capire di cosa stiamo parlando è necessario scendere nei dettagli delle attuali ed estreme ricerche e sperimentazioni scientifiche in atto. Questo ci permette di comprendere al meglio quella che è la realtà contemporanea e in quale dimensione e contesto storico- sociale l’uomo vive ogni giorno: uno stato embrionale da cui nascerà, probabilmente, la nuova società ibrida e post-umana.
In Arizona, ad esempio, è già attiva da anni l’Alcor Life Extension Foundation (così come la KrioRus in Russia, il Cryonics Institute – Technology of Life nel Michigan), specializzata in neuro-crioconservazione ossia la pratica della crionica, biostasi o ibernazione o se vogliamo la “vetrificazione umana
5”.
In questi istituti giacciono già corpi umani ibernati post-mortem e conservati in azoto liquido; nello specifico L'American Cryonics Society (Acs) situata in California conta ben 91 “pazienti”, di cui solo 18 interi (dei restanti, cioè, è presente solo la testa) con l’obiettivo di scongelarli quando sarà possibile collegare il loro cervello ad un altro corpo sia esso umano o bionico ovvero quando la medicina avrà trovato una cura ad eventuali problematiche cerebrali (la fase di scongelamento attualmente prevede danni irreparabili per cui -al momento- non è fattibile).
5 “Adding high concentrations of chemicals called cryoprotectants to cells permits tissue to be cooled to very low temperatures with little or no ice formation. The state of no ice formation at temperatures below -120°C is called vitrification. It is now possible to physically vitrify organs as large as the human brain, achieving excellent structural preservation without freezing.” Traduzione libera: L’aggiunta di alte concentrazioni di sostanze chimiche chiamate crioprotettori alle cellule permette al tessuto da raffreddarsi a temperature molto basse con formazione di poco o nessun ghiaccio. Lo stato di assenza di formazione di ghiaccio a temperature inferiori a -120 ° C è chiamato vetrificazione. E 'ora possibile ad organi fisicamente vetrificati grandi come il cervello umano, raggiungere un'ottima conservazione strutturale senza congelamento. http://alcor.org
Figura 1 - Bigfoot Dewar è progettato su misura per contenere quattro pazienti “wholebody”
e sei “neuropatients” immersi in azoto liquido a -196 gradi Celsius.
(Foto per gentile concessione di Alcor Life Extension Foundation". https://commons.wikimedia.org)
Siamo in presenza, per la prima volta nella storia, di una completa metamorfosi del concetto di “morte” umana.
Oggi non è più la morte biologica che decreta la fine di una vita (nello specifico un arresto cardiaco), ma essa arriva solo quando non si può avere più a che fare con i ricordi, i sogni, la personalità o l’identità acquisita etc. A detta della Alcor Foundation, infatti, “We have good reasons to believe that molecular records of memory persist in the brain even after hours of clinical death, but only future physicians using medical technology which we do not yet possess will be able to determine, finally, whether such a person is really still
"there"”
6L’essere umano non è più tale per la sua unicità di corpo/mente, ma oggi sono solo le informazioni presenti nel cervello quelle che contano realmente. Lo dimostrano, a sostegno di ciò, tutti i recenti studi e gli esperimenti che ogni giorno vengono effettuati nei Centri di Ricerca specializzati. Ad esempio la nuova frontiera delle neuroscienze come la Connettomica e il suo Human Connectome Project (HCP): progetto che consiste nella costruzione di una mappa completa di tutte le connessioni neuronali che rendono possibile il funzionamento del cervello di un individuo
7. Utilizzando un’interfaccia grafica denominata tecnologia neuroimaging, tale studio consente di visualizzare i risultati di questa banca dati che è la mente umana.
6 Libera traduzione: Abbiamo buone ragioni per credere che i record molecolari della memoria persistono nel cervello anche dopo ore dalla morte clinica, ma solo i futuri medici utilizzando la tecnologia medica che ancora noi non possediamo saranno in grado di determinare, infine, se tale persona è davvero ancora "Là" (se esiste ancora)
7 Si veda: www.humanconnectomeproject.org
Figura 2 - Mapping the nucleo strutturale della corteccia cerebrale umana.
(https://commons.wikimedia.org)
“Traguardo finale: ricreare una mappa realistica di come funzioniamo, per intervenire quando i ponti si interrompono e compaiono le malattie da mancata connessione (a questa categoria sembrano appartenere molti disturbi neurologici e psichiatrici come l’autismo, la schizofrenia e i disturbi ossessivo-compulsivi). Come pure utilizzare le conoscenze acquisite sul funzionamento di reti biologiche per costruire reti artificiali più veloci ed efficienti, premessa indispensabile allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e di nuove generazioni di computer.”
8.
Intelligenza artificiale
9, neuro-informatica, neuroscienze computazionali, sono tutte neo discipline informatiche che spingono sempre più verso la dissociazione dal corpo biologico che si avvia ad essere un puro e relativo contenitore, sia esso fatto di carne o di materiale sintetico. Esperimenti che, nel XXI secolo, mirano al superamento della stessa
“biologicità” per arrivare alla completa e sistematica trasformazione in puri dati informatici dell’apparato neuronale: una “digitalizzazione” della mente umana. Questo vuol dire che se gli scienziati di oggi hanno ragione, presto potremmo trasferire tutti i dati del nostro cervello su un supporto informatico e decidere se caricarli in un cyborg (soluzione economicamente costosa a detta di molti), o addirittura simularli in una macchina computerizzata. Progetto già in atto, pur essendo ancora al confine tra scienza e fantascienza, che prende il nome di WBE Whole Emulation Brain, Mind Up Loading o SIM (Substrate Indipendent Mind) che punta a trasformare tutto quello che “siamo” in un semplice pacchetto dati. Processo attraverso il quale determinate proprietà intrinseche di un
8 Si veda: www.panorama.it
9 Disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l'uso di un computer. Tale ricerca si sviluppa secondo due percorsi complementari: da un lato l'i. artificiale cerca di avvicinare il funzionamento dei computer alle capacità dell'intelligenza umana, dall'altro usa le simulazioni informatiche per fare ipotesi sui meccanismi utilizzati dalla mente umana. www.treccani.it
individuo vengono trasferite e implementate su un altro supporto: un altro cervello umano o in un computer, nell’intento di ottenere il downloading di pensieri, sentimenti, ricordi, e le altre facoltà cognitive. Tra i vari benefici previsti dal successo di tale esperimento, ci sarebbero quelli economici in termini di forza lavoro oppure quelli performativi della mente umana in quanto una volta creato il SIM, tramite i software potrebbe essere migliorato a livello cognitivo o emotivo aumentando virtualmente i livelli dei neurotrasmettitori nel cervello come ad esempio, l’adrenalina o la dopamina, oppure come afferma lo scienziato Bran Ferren “Immaginate di poter comprendere qualsiasi lingua, ricordare ogni battuta, risolvere ogni equazione, ricevere le ultime notizie, bilanciare il libretto degli assegni, comunicare con gli altri, e avere accesso quasi istantaneo a qualsiasi libro mai pubblicato, senza mai dover lasciare la vostra privacy”
10. Ma sopra ogni cosa Another proposed benefit of mind uploading is legacy, by having a similar, yet distinct entity persist after one’s death. Significantly more profoundly, if uploading the patterns of the brain copies the conscious self in addition to the thought processes of the person, mind uploading would allow for a literal immortality of the sorts promised by certain religions in quanto la percezione del proprio Sé rimarrebbe intatta nel passaggio da un supporto ad un altro.
11Superato il limite “fisico” che è l’unico fattore che pone fine alla nostra esistenza, si potrà decidere di optare per la vetrificazione per poi farsi risvegliare tra 200/300 anni e poter scegliere se continuare a vivere in una dimensione reale o calarsi in un ambiente totalmente virtuale. E tutto quello che prima era solo immaginazione o fantascienza, presto potrebbe divenire realtà giacché il progresso scientifico e tecnologico non viaggiano in modo lineare, ma esponenziale e in questa filosofia dell’estensione della vita umana, tutto diventa potenzialmente realizzabile.
Lo sviluppo scientifico e la tecnologico, infatti, si spingono ogni giorno sempre un po’ più oltre tentando di modificare quel fondamentale rapporto immutato per secoli tra Essere e Tempo (e con esse lo spazio) e di conseguenza concetti e criteri di un’intera esistenza per arrivare a quell’unico obiettivo, quel desiderio umano intorno al quale ogni cosa, ogni singola vita ruota: vincere la morte e conquistare l’immortalità. In quest’ottica che possiamo definire ossessiva viene inflazionato, oggi, quell’essere dell’esserci
10http://www.washington.edu/
11 Libera traduzione: “Un altro beneficio proposto della mind uploading è legato, creando un simile, ad un'entità distinta che ancora persiste anche dopo la propria morte. Nello specifico, se il caricamento dei modelli del cervello copia il sé cosciente in aggiunta ai processi di pensiero della persona, il mind uploading permetterebbe letteralmente l’immortalità delle specie promessa da certe religioni”. Eth D., Foust J.C., Whale B., The Prospects of Whole Brain Emulation within the next Half-Century, in Journal of Artificial General Intelligence 4(3) 130-152, 2013, p. 2
heideggeriano: da una parte un Essere che sta modificando il suo senso dell’esserci nel mondo, giacché di giorno in giorno sempre più espropriato del proprio corpo “mortale”
fatto materialmente di carne e sensazioni fisiche; un Essere che non è più un “essere per la morte” lì dove quest’ultima, oramai espulsa, non rientra più -razionalmente- tra le categorie umane, considerato che di umano rimane ben poco. Dall’altra un tempo che è solo innovativo presente fatto di istanti o se vogliamo di “punti”, un tempo che ha tagliato i ponti con il passato e i legami con la storia e che non si progetta più nel futuro poiché frammentato: un futuro che è sempre un oggi.
Manca ora come ora, direbbe Bauman, quella distanza che permette ai progetti di esistere
12, dove è presente l’attesa, la speranza, il desiderio, ma umanamente, anche la fine.
La nostra cultura sta creando, pertanto, un pericoloso e perverso mito prometeico dell’immortalità, quello in cui il delirio umano consiste nel saper di poter superare i limiti che il tempo, sia esso concepito in modo ciclico, lineare o esponenziale, impone alla nostra vita. E ad un mito, come ci insegna la storia dell’umanità corrisponde sempre un rito, ossia precisi codici comportamentali messi in atto dall’uomo. Ma tra mito e pseudo utopia, nonostante queste nuove possibilità e prospettive futuristiche, è presente ancora un confine netto in cui ci si imbatte: la finitudine umana, la morte esiste ancora. La realtà presenta ancora svariate aporie e -per ora- insormontabili limiti ontologici alle nostre potenzialità umane. Davanti a questo inevitabile evento cade inesorabilmente ogni concezione e giustificazione che si può imbastire intorno al destino dell’uomo e più si razionalizza la volontà di vivere e più fuoriesce un’irrazionale paura di morire.
Pertanto, posto da un lato davanti a tale costante limite fisico che da secoli risulta essere un fattore “angosciante” e dall’altro contaminato dai progressi scientifici e tecnologici e da nuovi principi filosofici transumani, l’uomo rifiuta in toto il concetto proprio di morte: essa diviene, pertanto, il nuovo tabù della società odierna.
“Quello che è in gioco in questo caso è il tentativo non soltanto di trovare compensazione per la fragilità temporale dell'esistenza corporea, ma di smentire arrogantemente i limiti ultimi del corpo, spezzandone, successivamente, le specifiche limitazioni correnti”
13Ma come viene intesa oggi la morte? Cosa l’uomo ha tabuizzato e soprattutto quali sono le conseguenze a livello psichico e sociale?
12 Bauman Z., La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 33
13 Bauman Z., Il teatro dell'immortalità. Mortalità, immortalità ed altre strategie di vita, il Mulino, Bologna, 1995, p. 43
Se il nuovo mito prometeico 2.0 si basa sull’immortalità fisica e mentale, quali riti e rituali
gli corrispondono? In che modo l’uomo odierno esorcizza il concetto di morte?
CAPITOLO I THANATOS OGGI
(La morte vissuta)
1. Thanatos oggi: tra Tabù e nuova cultura della morte
Oggi come oggi, ogni individuo vive il concetto di morte come un conflitto interno sospeso tra il suo fine ultimo che –grazie alle tecnologie- egli vede sempre più lontano e la sua mortalità fisica che è e rimarrà una costante di ogni singolo essere umano.
E’ necessario premettere che l’approccio a tale argomento rende possibile percepire, da subito, quanto davvero possa essere vasto il territorio occupato da questo concetto. Esso spazia dalla morte del singolo a quello di massa, dall’omicidio al suicidio, dal potere medico al commercio tanatologico, dalla morte improvvisa a quella “differita”, dalla malattia e la cura all’elaborazione del lutto, dal tabù alle rappresentazioni simboliche, dai rituali alle superstizioni etc. Pertanto sia che si consideri la morte in senso lato sia che venga esaminato un aspetto specifico, tale concetto è stato, è e sarà sempre oggetto di riflessione
14, sia essa di natura religiosa o filosofica nella dialettica tra corpo e anima, di rappresentazione artistica e simbolica/spirituale, prettamente tecnico-medica e commerciale ovvero sessuale purché allocata di volta in volta in un determinato sistema di riferimento. Ma questi sono campi entro cui si esplica in un modo o nell’altro il concetto di morte. Se prendiamo, invece, un minimo comune denominatore, possiamo affermare che la morte viene definita oggi come un tabù divenendo, di conseguenza la nuova nevrosi del nostro mondo Occidentale. Grazie alla presenza costante ed endemica della tecnica- tutto questo porta, probabilmente, a nuove metamorfosi di tale concetto, a nuovi approcci e soprattutto a nuove e inesplorate conseguenze. Ma cosa si intende quando si definisce la morte un tabù in una società che vive un eccesso di informazione e di presunta estrema libertà? e quali sono i nessi tra morte tabuizzata e nevrosi? Definiamo innanzitutto cos’è il tabù.
Il tabù (Tabu, Taboo, ovvero Tapu) è, in termini etnologici, un’interdizione o divieto di tipo “sacrale” su persone, cose, animali o gesti, comportamenti etc., mentre sotto il punto di vista psicoanalitico esso risulta essere atto proibito, oggetto intoccabile, pensiero non ammissibile alla coscienza.
15Parola di origine polinesiana ma che trova riscontro in molte culture tra cui quella Ebrea, quella Greca, Africana e Asiatica, il tabù può avere, come esplicita Freud nella suo scritto Totem e Tabu, un significato che potremmo definire
14 “Ad eccezione dell’uomo nessun essere si meraviglia della propria esistenza…[la meraviglia filosofica è condizionata da un più elevato sviluppo dell’intelligenza individuale. Tale condizione non è certamente l’unica, ma è invero la cognizione della morte, insieme con la vista del dolore e della miseria della vita, che ha senza dubbio dato l’impulso più forte alla riflessione filosofica e alle spiegazioni metafisiche del mondo.
Se la nostra vita fosse senza fine e senza dolore, a nessuno forse verrebbe in mente di domandarsi perché il mondo esiste e perché sia fatto proprio così]”. Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, I §1,trad. it., Milano, Mondadori, 1992, Supplementi al primo libro, pp. 938-39
15 www.treccani.it
ambivalente, ossia, che racchiude in sé due principi opposti. Da una parte esso rientra nella sfera del Sacro, dall’altro è considerato impuro e pericoloso esplicandosi -in entrambi i casi- attraverso proibizioni o limitazioni. Il tabù non è generato, come al contrario si potrebbe pensare, da dettami morali o religiosi, non discende direttamente dal divino ma si impone da sé, e come tale è pervaso da forze che potremo definire “magiche, demoniache e potenti”. Per Freud corrisponde ad un “orrore sacro”
16, ma possiamo considerarlo -
“irrazionalmente” parlando- anche come “tremendum et fascinans” che Rudolf Otto attribuisce al numinoso, l’inafferrabile, il “totalmente Altro”.
Nell’accezione di Sacro, la fonte del Tabù sono le forze magiche presenti in alcune persone come ad esempio i capi-tribù o i sacerdoti, ma anche e soprattutto i morti; sopra i quali vige il divieto assoluto di contatto, pena il rischio della propria vita
17. Tale divieto è fondamentale in quanto gli stessi personaggi detentori di forze magiche (o gli oggetti a cui il tabù è stato trasmesso) possono divenire pericolosi. Un individuo che infrange il tabù, diviene esso stesso tabù (nell’accezione di impuro), cosa proibita e fonte di contagio e diffusione per gli altri. Tale forza demoniaca è rivolta a uomini (Re, sacerdoti o neonati) come pure a circostanze particolari: nascita, pubertà, ciclo mestruale, ma anche la
“malattia” e la “morte”. Scrive Frazer: Ora esattamente le stesse regole vengono osservate da alcuni selvaggi, per le fanciulle alla loro prima mestruazione, per le puerpere, gli omicidi, le persone in lutto e per tutti coloro che sian venuti in contatto con un morto.
Così, per esempio, per cominciare con quest’ultima classe di persone, tra i maori chiunque abbia toccato un cadavere, aiutato a portarlo alla tomba o toccato un osso di morto, veniva escluso da ogni rapporto e quasi da ogni comunicazione con l’umanità.
18E’ da precisare che il divieto di contatto non è da intendersi esclusivamente a livello fisico, ma concerne tutte le azioni ad esso legato. “Tutto quello che orienta i pensieri verso il proibito, che provoca un contatto anche puramente astratto o mentale, è proibito ugualmente come il materiale contatto del corpo”.
19Quindi come si può notare da questa minima descrizione, il tabù consiste, nella dimensione psichica del soggetto, in un atteggiamento chiaramente “ambivalente” ossi il soggetto
16 Freud S., Totem e Tabu. Di alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, (Weiss E., trad. di), Laterza Editore, Bari, 1953, p. 24
17 “Nella nuova Zelanda il terrore della santità dei capi era tanto almeno quanto nella Tonga. I loro poteri spirituali derivati da uno spirito ancestrale, si diffondevano per contagio su qualunque cosa toccassero e potevano far cascare morto chiunque li avesse, imprudentemente o inconsciamente, toccati. […] Una donna maori avendo mangiato della frutta e avendo, poi, saputo che erano state prese da un lungo tabù, esclamò che lo spirito del capo, la cui santità era stata profanata, l’avrebbe uccisa. Questo accadeva nel pomeriggio: alle dodici del giorno dopo era morta. Frazer J.G., Il ramo d’oro, Vol. I, Boringhieri Editore, Torino, 1965, p. 322
18 Id., p. 324
19 Freud S., op. cit., p. 33
prova, letteralmente, orrore per qualcuno o qualcosa che allo stesso tempo inconsciamente desidera fortemente o che potrebbe soddisfare un innato bisogno. Non esisterebbe nessun tabù, spiega Freud, se dietro un divieto non esistesse un desiderio ossessivo, una necessità inconscia di attuare lo stesso. Chi infrange il tabù è evitato proprio perché diviene sia esso stesso un tabù, ma anche perché si fa induttore del desiderio, “diavolo tentatore - il separato”, soggetto all’invidia della gente che è costretta a subire il “proibito”:
risvegliando, in tal modo, il conflitto di ambivalenza interiore negli altri individui, rischia di diffondere il contagio ai danni dell’intera società o comunità. Un esempio pratico del tabù -come atteggiamento ambivalente- è sicuramente il rapporto che le culture primitive hanno con il morto e tutto ciò che lo circonda. I morti sono considerati per molte culture delle “potenze” ma allo stesso tempo sono ritenuti ostili, nemici se non addirittura trasformati in demoni per il qual motivo si evita con cura il loro ritorno. Ancora adesso nella tribù dei Maori in Nuova Zelanda, o in Africa, vige il divieto assoluto di “toccare” il morto pena l’emarginazione, l’isolamento o l’esclusione dalla comunità, mentre si estende, secondo Frazer, l’area geografica –come in Siberia, Giappone, Filippine o America del Sud- se prendiamo in considerazione il divieto di “nominare” il defunto. Probabilmente essendo il nome parte integrante della persona morta, evocare il nome farebbe tornare indietro lo spirito maligno del defunto. Il motivo per cui si considerano i morti alla stregua di demoni, è chiarito dall’antropologo finlandese Westermarck quando afferma che
“Cette croyance que les morts ont un caractère irritable ou malveillant s'explique aisément. comme l'a fait observer l'évêque Butler, nous présumons qu'une chose restera telle qu'elle est, sauf quand nous avons quelque raison de croire qu'elle se modifiera. Or, dans le cas des âmes de leurs amis trépassés, les hommes peuvent avoir une raison de supposer qu'elles subissent un changement. La mort est communément regardée come le plus grand des malheurs: donc les morts doivent être extrêmement mécontents de leur sort. d'après les idées primitives on ne meurt que si l'on est tué -par la magie, sinon par la force- et la mort ainsi conçue a naturellement pour effet de rendre l'âme hostile et vendicative”.
2020 Traduzione libera: Questa credenza che i morti hanno un carattere irritabile o dannoso è facilmente spiegabile. Come ha osservato il vescovo Butler, si assume che qualcosa rimarrà così com'è, tranne quando abbiamo ragione di credere che cambierà. Oppure, nel caso delle anime dei loro amici defunti, gli uomini possono avere motivo di ritenere che subiscono un cambiamento. La morte è comunemente considerata come la più grande delle disgrazie. Quindi i morti deve essere estremamente scontenti della loro sorte. Secondo le idee primitive si può morire solo se si è ucciso, dalla magia, se non con la forza, e la morte così concepita naturalmente rende l’anima ostile e vendicativa. Westermarck E., L’origine et le développement des idées morales, II Vol., Payot, Paris, 1929, p. 518
Invidiosi del sorte toccata ai vivi, si crede che i defunti ritornino come demoni per diffondere probabilmente malattie e morte. Ma anche in questo caso, passando da un livello antropologico ad uno prettamente psicoanalitico, viene fuori nuovamente il
“rapporto ambivalente di sentimenti” di stile freudiano. Il considerare maligni gli spiriti dei defunti è solo un meccanismo inconscio di difesa, il quale proietta, non essendo un pensiero accettabile, l’ostilità per la persona amata e la soddisfazione per la relativa morte.
Avendo stabilito che alla base di ogni tabù vi è un conflitto di natura ambivalente, in quanto “non c’è alcun bisogno di proibire ciò che nessuno desidera; e in tutti i casi si deve riguardare come oggetto di desiderio ciò che è proibito”.
21, possiamo riassumere i due tipi di tabù più forti e più antichi: il tabù dell’incesto simbolicamente rappresentato nelle nascite (neonati), nel ciclo mestruale, nelle donne puerpere o gravide interpretabile come la manifestazione della pulsione di vita (EROS) e il tabù dell’uccisione personificato nell’intoccabilità dei Capi tribù, sacerdoti e dei morti nel quale trapela la manifestazione della pulsione di morte (THANATOS). Pulsione di vita come principio che ordina e unisce, pulsione di morte come attività intrapsichica distruttrice tipica del genere umano e volontà di ritornare in uno stato inorganico, di quiete. Freud vede tali principi contrapposti, in antitesi ma probabilmente gli stessi dovrebbero essere visti sotto un altro punto di vista e comunque non di significato opposto. Considerarli in antitesi equivale ad affermare che dove è presente un principio, l’altro è escluso, assente, si annulla, ma non è così.
Dovremmo considerarli come due poli cosicché dove manca l’uno l’altro non ha motivo di esistere.
A secondo di quale junghiano archetipo
22si attivi e soprattutto in che modalità, essi possono prendere una connotazione positiva/negativa oppure positiva/positiva o negativa/negativa. Come sottolinea Meyer “deve colpire che espressioni che si riferiscono al morire ed alla morte spesso sono usate come metafore nella sfera erotica e sessuale.”.
2321 Freud S., op. cit. p. 78
22 Dal greco antico ρχέτυπος che vuol dire immagine: arché (originale), típos (modello). Gli archetipi sono
“immagini primordiali” che risiedono in quello che viene definito Inconscio collettivo. Quest’ultimo si differenzia dall’inconscio personale in quanto è innato nell’uomo e non è di natura individuale ma collettiva e cioè tutti i suoi contenuti e comportamenti sono praticamente uguali per tutti gli individui e per qualsiasi luogo. Troviamo l’espressione “archetipo” già in Filone Giudeo nella sua opera De Opificio Mundi, oppure in Dionigi l’Areopagita con i suoi “archetipi immateriali”. Lévy-Bruhl usa l’espressione “représentations collectives” per delle figure simboliche primitive etc. Ma fu sicuramente lo psicanalista Carl Gustav Jung che ne dette una piena definizione e funzione. Egli pone una differenza netta tra l’inconscio personale che ha come contenuti le varie tonalità affettive o complessi da quello collettivo i cui contenuti sono appunto tali immagini primordiali. Un altro modo per esprimere l’archetipo sono i “miti” o le “favole ma può anche emergere nei sogni o nelle visioni. Pertanto l’archetipo è un contenuto inconscio che viene elaborato attraverso una presa di coscienza. Cfr. Jung C. G., L’analisi dei sogni. Gli archetipi dell’inconscio collettivo.
La sincronicità, (pref. di Vitolo A.), Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2011, pp.99-102
23 Meyer J. E., Morte e nevrosi, (Callieri B., trad.), Il “Pensiero Scientifico” Editore, Roma, 1975, p.33
L’espressione, tanto usata, “Ti amo da morire” esplica in modo chiaro come le due pulsioni possono sovrapporsi e andare verso un’unica direzione di senso o ancora essere necessarie per “compensarsi a vicenda” quando è talmente forte il sentimento di amore che d’istinto tendiamo a mordere la persona amata.
Ovviamente possono verificarsi gli aspetti del tutto negativi e quando cioè Eros e Thanatos
24muovono insieme verso atti crudeli a sfondo sessuale che rientrano nel masochismo o nel sadismo. Se si presta attenzione, quasi tutti i casi di omicidi semplici o seriali
25hanno alla base comportamenti sadico-sessuali nei confronti della vittima fino ad arrivare a gesti estremi dove un individuo viene seviziato, torturato, soggetto a violenza sessuale e infine ucciso (e in alcuni casi limite, fatto a pezzi o soggetto ad atti di cannibalismo). Si pensi ancora al suicidio d’amore in età giovanile quando la perdita o l’abbandono o una mancata elaborazione del relativo lutto porta a oltrepassare il limite e desiderare non solo di morire, ma allo stesso tempo e paradossalmente desiderare la morte
24 “Emily Vermeule, nel libro che ha pubblicato nel 1979 sugli aspetti della morte nella Grecia arcaica, […]
intitola uno dei suoi capitoli: “On the wings of the morning: the pornography of Death (“Sulle ali del mattino: la pornografia della morte”) – sottotitolo provocatorio, ma interamente giustificato dai documenti, letterari e figurativi, che la studiosa ha riunito sul tema della morte come rapimento da parte di una divinità.
Un intero piano dell’immaginario greco riguardante il trapasso si riferisce a potenze soprannaturali, alate, come Eros, Hupnos, Thanatos […]. Un punto comune a queste storie, che piacevano tanto ai Greci, di rapimento tra le braccia di un qualche demone alato, consiste nel fatto che –per riprendere le parole stesse di Emily Vermeule – ai loro occhi “l’amore e la morte costituivano i due aspetti di uno stesso potere, come nei miti di Persefone ed Elena di Troia”. Emily Vermeule, che è archeologa, ha riunito le immagini più eloquenti in cui la stessa figura presenta le due facce di questa potenza ambigua. […] Questi mostri femmina che uniscono artigli da rapace o da fiera al fascino femminile a volte sono rappresentati serrando tra le braccia, così come una madre tiene il suo bambino, il morto che trasportano, forse verso un mondo migliore; a volte mentre tormentano un uomo con il loro desiderio erotico o lo cavalcano per unirsi a lui, a volte mentre lo assalgono per farlo a pezzi e divorarlo”. Vernant J. P., L’individuo, la morte, l’amore, (Ed. It. Guidorizzi G., a cura di), Raffello Cortina Editore, Milano, 2000, pp. 122-123
25 I serial killer o assassini seriali sono criminali che uccidono “in serie”, per mesi o per anni, senza un movente preciso: si parla di assassino seriale quando vengono commessi più di tre omicidi, con un intervallo di tempo che separa gli eventi criminali. Gli assassini seriali si differenziano dai “mass murderers” oltre che per le caratteristiche fenomeniche dei delitti anche e soprattutto per gli aspetti psicodinamici: il serial killer sceglie le proprie vittime, che hanno per lui un preciso significato che si inserisce nel suo ricco ed inquietante mondo fantasmatico in cui sesso e morte appaiono inestricabilmente interconnessi. L’atto omicida presenta un valore simbolico che assume paradossalmente una valenza riparatoria per la psiche. Al centro della dinamica è stato sottolineato in tutti i casi un forte desiderio di dominio e di controllo che culmina nella decisione estrema di dare la vita o la morte. In un’ampia percentuale dei casi l’evento finale si configura come un rituale che completa un lungo iter, a partire da carenze affettive, maltrattamenti e abusi infantili che hanno condizionato un’evoluzione personologico deviata in senso antisociale. Di solito i serial killer non risultano facilmente collocabili in una delle categorie abituali presenti nel DSM-IV, nonostante siano riconducibili a un Disturbo di Personalità, per lo più misto. Solo una minoranza presenta una malattia psichiatrica di asse I, per lo più nell’ambito dei disturbi schizofrenici; in essi i delitti sono correlati a fenomeni deliranti.”. La Torre D, Muscatello M.R.A., Pandolfo G., Bruno A., Cambria R., Cortese L., Zoccali R., Meduri M., La psicodinamica del serial killer, in Terapia psichiatrica. Un problema di libertà, XI Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia, Roma 21-25 febbraio 2006, Vol. 12, PACINeditore Medicina, Roma, 2006, p. 168
dell’altro giacché l’io e l’oggetto d’amore, nel loro totale investimento, tendono a coincidere.
26Avendo, dunque stabilito che il tabù è un complesso sistema simbolico in cui vi è da un parte qualcosa che è innato nell’uomo, di cui quest’ultimo necessita, desidera, da cui non può prescindere (Archetipi di un inconscio collettivo) e dall’altra il completo interdetto verso tali bisogni (la Persona-Io-esteriorità che rifiuta), possiamo tentare di definire cos’è il tabù della morte nella nostra società e cosa essa abbia scatenato.
Tabuizzare la morte è la rimozione o il completo rifiuto cosciente da parte dell’uomo del suo proprio limite. Passando dalla morte fisica-biologica ad un vero e proprio concetto di morte, ogni individuo della società occidentale contemporanea ha reso quest’ultima un tabù, il che vuol dire: divieto di “nominare la morte”, divieto di “toccare, aver qualsiasi contatto con la morte”, divieto di “vivere la morte durante la vita”. Una rimozione che pertanto avviene sotto ogni punto di vista, sia esso linguistico, sociale, politico e esistenziale. Negare razionalmente la morte vissuta, con conseguenze a livello simbolico- irrazionale, è come negare un bisogno primario dell’uomo, un qualcosa che, come il tabù, è comunque innato, altrimenti come ribadisce Freud più volte, non sussisterebbe la necessità di vietarlo come oggi si vieta ogni qualsiasi cosa riguardi la morte. Come dichiara lo stesso tanato-antropologo Thomas in un’intervista, siamo davanti ad un paradosso: più l’uomo sa di dover morire, più combatte il suo inconscio, più lo nega. Tale rifiuto, spiega Thomas, è radicato nelle società occidentali in cui il compulsivo accumulo di beni materiali fa perdere il senso della vita che è poi il senso della morte apparendo –quest’ultima- agli occhi di ogni singolo individuo come un aggressione esterna, un guasto, un imprevisto. Del resto, non è un caso se, in questa società che si sottrae alla coscienza della morte ineluttabile, i riti funebri sono quasi sempre ridotti o trascurati.
27Nello specifico rendere tabù la morte, escluderla totalmente dalla coscienza e relegarla così totalmente nell’inconscio, porta l’uomo a sviluppare modalità di esorcizzare la stessa in maniera che possiamo definire ossessiva-maniacale causando probabilmente nuove tipologie di nevrosi e psicosi. Questo perché nel tentativo di scongiurare un elemento così potente, l’uomo non si accorge di aver creato paradossalmente una nuova e brutale cultura della morte.
Non è facile trovare un punto preciso in cui di colpo la morte è divenuta l’innominata o l’interdetta; si pensi che già nel 1666 Jacques-Bénigne Bossuet sottolineava nel suo Sermon sur la mort:
26 Freud S., Elaborazione del Lutto, BUR Rizzoli Editore, Milano, 2013, p. 56
27 Campione F., Palmieri M.T., Dialoghi sulla morte, Cappelli Editore, Bologna, 1982, p. 42
“È una strana debolezza dello spirito umano il fatto che la morte non gli sia mai presente, sebbene essa appaia d’ogni lato, e in mille diverse forme. Nei funerali non si ascoltano altro che parole di meraviglia perché quel mortale è morto…e io posso dire: Signori, i mortali si preoccupano di seppellire i pensieri della morte di quanto non l’abbiano di interrare i morti”
ma sicuramente ci sono alcuni fattori che ne possono delineare uno pseudo confine.
Tale concezione umana potrebbe avere le sue radici in un momento fondamentale di rottura. Da quando cioè l’uomo –divenuto consapevole delle sue potenzialità e calato nel mondo dove vige ormai una razionalità ipertrofica- ha smesso di considerare la morte come fenomeno “naturale”
28(inteso nell’accezione di evento facente parte del ciclo di vita di ogni “essere” vivente, in quanto ogni “essere” non solo “è”, ma “esiste”. Esistenza giacché inserita nel tempo e nello spazio e pertanto soggetta ad un divenire eracliteo
29e ad una contingenza e morte platonica) per arrivare a negarla, rimuoverla, falsificarla, espropriarla ovvero –in estremis- vincerla (ma solo virtualmente). Entrare in questi meccanismi razionali e artificiosi, vuole dire prima di tutto rompere un legame fondamentale per l’equilibrio psichico dell’uomo (sia a livello individuale che collettivo) ossia quel legame ancestrale tra l’attività mitica e attività rituale.
Proprio grazie a questo legame, le società che si sono susseguite, anche nella loro diversità, hanno dato luogo a precisi dispositivi di autodifesa per ogni situazione palesemente inaccettabile o troppo dolorosa: da una parte i rituali che inglobano precisi gesti ripetuti e codificati e schemi comportamentali che sono i vari aspetti antropologici della morte vissuta e dall’altra il proiettare la realtà nella sfera dell’immaginario attraverso una costante attività mitopoietica che cerca di assolvere al compito di rappresentare la morte dal punto di vista dell’inconscio individuale e collettivo: un rapporto strettamente interconnesso tra Legomenon (fase mitica) e Dromenon (fase rituale) che nei tabù primitivi viene fortemente mantenuto. Viceversa, la società tecnofila e razionalmente ipertrofica, ha reciso tale legame per cui nell’attuale sfera quotidiana riti e rituali, nello specifico riguardo la morte e il morire, sono stati soppressi ovvero senza l’apporto dei miti di nascita-morte-
28 “C’è un paradosso della razionalità moderna e borghese sulla morte. Concepire quest’ultima come naturale profana e irreversibile costituisce il segno stesso dei “Lumi” e della Ragione, ma entra in acuta contraddizione con i principi della razionalità borghese –valori individuali, progresso illimitato della scienza, dominio della natura in ogni cosa. Neutralizzata come “fatto naturale”, la morte diventa sempre più uno scandalo. Baudrillard J., Lo scambio simbolico e la morte, (trad. it. Mancuso G. di), Feltrinelli Editore, Milano, 2009, pp. 177-178
29 “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato […]”, Eraclito, B91, in Diels H., Kranz W., I Presocratici, Einaudi, Torino, 1976
rinascita, essi sono stati deformati/distorti al servizio di un nuovo stato allotropico del simbolico
30. Questo distacco della morte con la vita di ogni giorno, questo suo essere stata espulsa dall’uomo ed essere, pertanto, considerata come un fattore negativo, accidentale esclusivamente esterno all’individuo, il porre fine, in una società tecnofila e delirante, a riti e rituali in qualità di fattori equilibranti della psiche umana, ha portato alla formazione di ossessioni, nevrosi e nuove psicopatologie. Da un lato “fobie e ossessioni” vissute come una reale minaccia dell’esserci (una tanatofobia) e probabilmente dall’altro “manie, atti compulsivi e parafilie” (una tanatofilia) che rendono tangibile come ad repressioni eccessive dell’inconscio corrispondono sempre conseguenze altrettanto sproporzionate.
Due i pericoli, in tal senso, più grandi per l’uomo oggi: da una parte la nevrosi causata da un continuo pensiero rivolto alla paura per la morte, un angoscia che può divenire patologica, tanto da non permettere il normale svolgimento della vita quotidiana, dall’altra un desiderio di continue scariche freudiane, il voler trovarsi costantemente sotto effetto adrenalinico che porta a rischiare ogni giorno la propria vita esponendosi a pericoli mortali, in un’eccessiva ed epicuriana fiducia nell’oggi e in una morte personale che non si incontra mai ovvero un eccesso di spettacolarizzazione del macabro in un ottica della morte come
“absent presence”. Tali conseguenze non sono altro che il totale rifiuto per qualcosa che l’uomo non riesce a inquadrare più oramai nelle sue logiche razionali con il conseguente allontanamento da tutto ciò che può evocare la “nera signora”.
Per avere un quadro completo di questo complesso concetto bisogna analizzare non solo l’aspetto reale e razionale della morte, una morte vissuta, ma anche le varie tipologie di rappresentazione simbolica. Questo è la base da cui partire per capire l’odierno concetto di morte. Andiamo per gradi per scoprire come la rimozione razionale della morte generi una nuova, irrazionale e crudele cultura di Thanatos.
30 “Con questa espressione si vuole indicare una situazione, nella quale i simboli si presentano trasposti. La loro trasposizione avviene riducendoli a segni, o meglio impiegandoli solamente in quanto segni, in tal modo privandoli del loro elemento patico che determina fortemente il vissuto.”. Chiodi G. M., Propedeutica alla simbolica politica II, Franco Angeli Editore, Milano, 2010, p. 327
2. Thanatos: la morte oscena ed espropriata
Quando si parla di morte, del morire o di morti, si fa puntualmente riferimento a qualcosa che l’uomo non riesce a far rientrare pienamente nei suoi sistemi logici, ma al massimo nei suoi sogni e nella sua immaginazione. Questo vuol dire che come tutti i misteri insoluti, anche la morte è e sarà sempre un concetto, un aspetto, un pensiero senza contorni o confini ben stabiliti. Non si sa quando arriva la propria morte, ne quella dell’altro, non si conosce l’ora né la causa se una malattia o un omicidio o incidente o solo per vecchiaia (neanche la morte per suicidio è garantita al 100%); non si può sapere se o quanto sarà alto il grado di dolore nel momento del trapasso, non si è certi se al di là della morte esiste o no un paradiso, una reincarnazione o un mondo parallelo. Ed è proprio perché si conosce così poco o nulla -per qualcosa che comunque arriva per tutti- che l’uomo prova nei confronti della morte paura e angoscia –costante universale che testimonia il pensare alla morte sia sotto un punto di vista parziale che totale.
E’ un po’ come alzare gli occhi al cielo e chiedersi come ha avuto origine l’universo e cosa c’è dopo. Allo stesso modo l’uomo riflette costantemente intorno al quel non-esserci pre- nascita e quel non-esserci post mortem, fenomenologie che non rientrano nel proprio vissuto e di cui non riesce a farne alcun tipo di esperienza: visioni del mondo, di un inconscio collettivo. Tra questo Essere Totale e il nostro vissuto parziale si instaura l’angoscia come rivelatore di una morte pensata.
31Per ovviare proprio a tale angoscia, lì dove la razionalità può dare solo risultati esigui, per rendere ogni situazione umana meno conturbante si sono formati i miti, leggende e religioni
32, come complessi meccanismi immaginativi di autodifesa, imponenti sistemi simbolici che, nello specifico, hanno per secoli sciolto la tensione e lenito l’angoscia che preparava loro alla morte (basti pensare alla moltitudine di credenze, simboli, fantasmi, rappresentazioni etc). Su queste mitologie poggiano, di conseguenza, tutte le tipologie di riti e rituali, schemi o atteggiamenti atti a curare o se vogliamo a “ritmare” l’esistenza quotidiana -individuale e collettiva allo stesso tempo- e a “scandire” l’intera vita, passo dopo passo, fase dopo fase: il rito della nascita,
31 Campione F., Palmieri M.T., op. cit., pp. 24-25
32 “Finora nelle indagini mitologiche si è sempre limitati a far ricorso a rappresentazioni solari, lunari, meteorologiche, vegetali o d’altro genere, ma non si è mai accettato il fatto che i miti siano in primo luogo manifestazioni psichiche che rivelano l’essenza dell’anima. […] All’uomo primitivo non basta veder sorgere e tramontare il sole: quell’osservazione esteriore deve costituire anche un “avvenimento psichico”, cioè il sole nel suo peregrinare deve raffigurare il destino, di un dio o di un eroe il quale, in fin dei conti, non vive che nell’anima dell’uomo. Tutti i fenomeni naturali mitizzati, come estate e inverno, fasi lunari, stagioni delle piogge, non sono affatto allegorie, di quegli avvenimenti oggettivi, ma piuttosto espressioni simboliche dell’interno e inconscio dramma dell’anima che diventa accessibile alla coscienza umana per mezzo della proiezione, del riflesso, cioè, dei fenomeni naturali. […] per spiegare il mito si è pensato a tutto fuorché alla psiche. Non si sapeva che l’anima contiene tutte quelle immagini delle quali sono sorti i miti […]. Jung C.G., op. cit, pp. 102-14
della pubertà/adolescenza ed età adulta, persino il trapasso è da sempre considerato, per molte culture, un importantissimo rito di passaggio.
E’ fondamentale capire l’importanza dei miti -proiezioni di un inconscio collettivo- e dei riti in quanto entrambi rappresentano il legame “sacro”, il collante che unisce, fonda e regola l’equilibrio della psiche umana. Essi rappresentano -attraverso la potenza della loro simbologia- l’anello che accorda l’inconscio con il conscio, l’immaginazione con la realtà in un continuo flusso biunivoco di informazioni. Il termine “simbolo”, d’altra parte ha questo preciso significato: unire, mettere insieme due parti separate. Il simbolo prende forma proprio lì dove conscio e inconscio riescono a trovare un punto di contatto dialogico, lì dove sfera ideo-affettiva, emotiva e irrazionale si fonde con quella razionale, materiale e logica. Tale punto è definitivo come un preciso stato di coscienza: una coscienza detta
“liminare” dove un aspetto della psiche non annulla l’altro ne lo invade, dove entrambe le parti lavorano congiuntamente senza alcuna forma di repressione: perfetta identificazione tra le parti.
Così come conscio e inconscio si uniscono in uno stato di coscienza liminare, allo stesso modo il simbolo si sostanzia di una realtà “immaginale” dove sono coese nello stesso istante realtà e immaginazione, dove l’aspetto interiore si lega ad un oggetto materiale ovvero un’esperienza esteriore, venendo a creare così un fenomeno immaginale.
33Questa è la potenza e la valenza dei miti, storie narrate senza autore e prodotto della coscienza liminare collettiva; racconti o favole che hanno un intrinseco significato ossia insegnare ai popoli, alle comunità a vivere la vita educando prima di tutto alla morte. La verità dei miti, giacché derivante da un immaginario collettivo, è una verità simbolica accettata da tutti che, ponendo sullo stesso piano vita e morte, evita all’uomo di cadere nella tracotanza e nella hybris inteso come atto violento di arroganza che viola i limiti concessi dalla natura, da un dato ordine o da qualche forma di divinità. Seguendo i miti, ogni civiltà accetta il suo destino, il fato o un ordine cosmico, accetta la sua finitudine, la sua mortalità evitando di mettersi al pari con gli Dei.
Questa la potenza e la valenza dei riti in qualità di conseguente reazione calata nel vissuto quotidiano di ogni civiltà; questa la potenza e competenza del simbolo il quale scopo e fine è congiungere due opposti senza alcuna soluzione di continuità: due mondi che entrano in simbiosi: un mondo conosciuto con uno perfettamente ignoto che divengono inscindibili.
Ma cosa accade quando non esiste più un collante? Quando si rompe quel legame simbolico? Si finisce che non vi è più un accordo tra le parti e le due sfere congiunte si
33 Chiodi G. M., op. cit. pp. 173-174
slegano creando un costante conflitto psichico tra la parte conscia e quella inconscia, e dove la prima reprime la seconda, quest’ultima irrompe come un fiume in piena con effetti devastanti.
Tra scoperte scientifiche e progresso tecnologico ciò che ha preso oggi il sopravvento è sicuramente l’aspetto razionale dell’uomo, la sua parte conscia si ipertrofizza poiché non attinge più dal proprio inconscio, ma si proietta esclusivamente verso tutto ciò che è esteriore. La convinzione razionalmente errata che la coscienza inglobi l’intera psiche o che le due coincidano è spiegato chiaramente nel saggio di Jung in riferimento al risveglio del Dio Wotan: “Ma poiché gli dei sono indubbiamente personificazioni di forze psichiche, l'affermare la loro esistenza metapsichica è una presunzione dell'intelletto tanto quanto l'ipotesi che essi siano stati inventati. Le «forze psichiche» non hanno certamente niente a che fare con la coscienza; per quanto ci piaccia trastullarci con il pensiero che coscienza e psiche siano identiche, la nostra non è altro che una presunzione dell'intelletto. La nostra mania di spiegare tutto razionalmente trova una base sufficiente nel timore metafisico, poiché illuminismo e metafisica sono stati sempre due fratelli ostili. Le «forze psichiche»
hanno piuttosto a che fare con l'anima inconscia; per questo tutto ciò che si fa improvvisamente incontro all'uomo uscendo da quell'oscura regione è considerato o come proveniente dall'esterno e perciò reale, o come un'allucinazione e perciò non reale. Ma la possibilità che esistano cose vere che non provengano dall'esterno è finora a malapena balenata alla mente dell'uomo del nostro tempo.”
34Nell’ottica razionalistica odierna, i miti di morte e rinascita, di vita e di morte, non servono più; l’uomo ha da tempo superato la condizione “vietata” dai miti e religioni di mettersi al pari degli Dei sostituendosi del tutto a quest’ultimi. La tanto decantata massima di Apollo iscritta sul tempio di Delfi: Conosci te stesso (dal greco: γνώθι σαυτόν) e Nulla di troppo (dal greco: µηδ ὲ ν ἄ γαν) con il quale “Apollo invitava l’uomo a riconoscere la propria limitatezza e finitezza, e quindi a mettersi in rapporto col dio, che è completamente diverso da lui, sulla base di questa precisa consapevolezza” e pertanto “Uomo, ricordati che sei un mortale e che, come tale, ti avvicini al dio immortale” è spazzata via e con essa la condizione esistenziale di “esseri destinati a morire”
35. E si perché dal Medioevo al XX secolo grosso modo la morte non è solo la morte fisica, ma sono i morti, i cadaveri, i fantasmi, gli spiriti maligni, i demoni, gli scheletri, l’inferno, la punizione di un Dio etc., in pratica tutto una costellazione simbolica, senonché nel passaggio dai miti e religioni alle ideologie di matrice razionalistica e materialistica, sono sicuramente morti gli Dei
34 Jung C.G., Dimensione psichica, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2013, p. 205
35 Reale G., Socrate. Alla scoperta della sapienza umana, BUR Rizzoli Editore, Milano, 2000, p. 35
considerati pure rappresentazioni umane, aumenta la povertà di simboli, cadono le Chiese come forti istituzioni e si forma il self-made man, colui che non ha bisogno di curare la propria spiritualità né le sue paure giacché concentrato a ottenere un posto privilegiato nel proprio contesto sociale. Uomo malato del desiderio di “avere” dominio sul mondo intrappolato dall’eredità razionale euforica ed esaltante del secolo dei Lumi. Un uomo moderno di estrazione borghese all’interno del quale scorre la linfa del positivismo
36che fa del raziocinio il suo unico strumento di misura con il quale va alla ricerca di nuove forme intellettive che calmino il suo stato di angoscia costante. Ma che poi lì dove non riesce a placare con “simboli surrogati” si trova di fronte alla peggiore delle condizioni umane: il nulla.
Ed è proprio in tale ottica odierna la morte è divenuta un puro concetto mentre l’angoscia e le paura di morire, la malattia, le situazioni luttuose, le pratiche e le usanze funerarie, non avendo più uno spazio sociale legittimato, divengono esclusivamente parte della sfera privata (non essendo del tutto cancellabili) e soprattutto tabuizzate, nascoste poiché debellate, estromesse, rifiutate dalla società. La morte e il morire si fanno prima di tutto
“oscene”, “vergognose”, manifestazione di un disagio sociale. Famoso, in tal senso, il saggio di Geoffrey Gorer con il quale mette bene in evidenza come dal tabù del sesso si è passati intorno alla metà del XX secolo, al tabù della morte. Nel venire meno le prime credenze mitico-religiose, la morte e il cadavere con la sua decomposizione diventano, afferma Gorer, avvenimenti di cui è raccapricciante meditare o ragionare creando un del tutto nuovo linguaggio carico di eufemismi intorno a questa tipologia di pornografia.
37La morte cessa di essere un fatto e un fattore sociale e comunitario aggregante, cosicché da momento vissuto in maniera fortemente partecipativa da parte di un clan, gruppo, comunità etc, essa diventa interdetta al pubblico in quanto sgradevole, carica di sofferenza e dolore delle quali l’individuo odierno non accetta di farsi carico. La morte con tutto ciò che la circonda è “ghettizzata”; in mano a medici e specialisti essa disloca passando da un contesto familiare ad una fredda stanza di ospedale, il nuovo “capezzale”
38dove oggi –
36 “Il positivismo di basa sull’esigenza di attenersi ai fatti e sull’esaltazione della scienza, l’unico sapere in grado di comprenderli, misurarli e controllarli. La realtà sottostà a leggi precise, che le danno omogeneità e regolarità e vengono studiate dalle singole discipline scientifiche. La scienze è ritenuta l’unico metodo di conoscenza valido. Le conoscenze che ricorrono a spiegazioni non controllabili dalla scienza, come la metafisica, sono considerate prive di valore, e sottoposte a critica. […] il metodo della scienza deve essere esteso a tutti gli ambiti del sapere. E’ tipico del positivismo un atteggiamento laico nei confronti della realtà, che può essere spiegata senza ricorrere a Dio o a principi metafisici, sia una grande fiducia nel progresso scientifico, ritenuto in grado di riformare la società e migliorare in genere la vita dell’umanità”. Rizzi Lunghi C., Boffi G., Tutto Filosofia. De Agostini Editore, Novara, 2009, p. 245
37 Gorer G., la Pornografia della morte, in «Studi tanatologici», n. 1, 2005, p. 22-26
38 “La tendenza delle famiglie ad evitare che il periodo di osservazione abbia luogo nell’abitazione, in cui il decesso sia eventualmente avvenuto, è, per molti versi, conseguenza dei fenomeni di c.d. “ospedalizzazione”
impersonalmente- “si muore” ovvero si è sempre uccisi da qualcosa. In una società razionale non è più Dio “il Signore della vita e della morte”, ma è la tecnica che decide oramai di dare o di togliere, di salvare o di uccidere. Non si deve dimenticare, inoltre, che il XX secolo è protagonista di due guerre mondiali che hanno scalato la classifica per il numero più alto di morti nella storia della civiltà umana. Sempre il XX secolo è quel periodo storico in cui la tecnica invade in modo pervasivo la medicina che come afferma Foucault segna il passaggio da una dimensione naturale della morte e della malattia ad una dimensione tecnica e concettuale e soprattutto politicizzata
39. Tra l’orrore delle guerre, dei morti in battaglia, dei milioni di uomini uccisi nei campi di sterminio o con la bomba atomica, la fame e la sofferenza, e dall’altra una medicina tecnica che dimostra che può curare la malattia e differire la morte, l’uomo occidentale ha avuto come reazione una modalità di esistenza calata nell’eccesso del benessere, nell’appagamento compulsivo di desideri, in un eccesso della qualità della vita, nell’eccesso di un progresso tecnologico che non ammette e non da spazio a sentimentalismi e sofferenze, il tutto nell’ottica di una razionalistica esorcizzazione della morte. La negazione o la rimozione di tutto ciò che circonda tale concetto ha portato oggi a due stati della psiche umana: rifiuto e isolamento ossia rifiuto di viverla nell’altro, di parlarne, di vedere, di soffrire e al contempo isolare i malati e i defunti stessi financo i parenti più vicini.
Ma tale tipologia di esorcizzazione, il volontario allontanamento da un contesto familiare, pubblico e partecipato, la rimozione di tutti i rituali pre-esistenti prima durante e dopo la morte di una persona cara, ha avuto come conseguenze un “passaggio di proprietà”
irreversibile, perché oramai “normalizzato”: l’uomo non è più padrone della propria morte, la sua stessa morte gli è stata “espropriata” attraverso lo spodestamento del morente, il rifiuto del lutto come fattore sociale e nuovi e distorti rituali funebri che dissimulano il cadavere.
E’ davvero difficile stabilire cause effetti, relazioni o conseguenze, ma quello che è certo che a partire da una malattia diciamo “terminale” dove non c’è modo di ripristinare lo stato anteriore di salute di un individuo, hanno inizio distorti rituali animati da forze centrifughe.
Diviene subito manifesto che il protagonista, il moribondo, anziché essere circondato dai familiari, amici e parenti che nel frattempo hanno appreso la notizia, subisce la fase
dell’evento morte, ampliatesi attorno alla fine degli anni ’50- primi anni ’60, che hanno contribuito a far scemare il “vissuto sociale” della morte, con una progressivamente crescente rimozione e l’accentuazione di atteggiamenti individualistici, anche negli aspetti di lutto e cordoglio, che favoriscono sia il trasferimento in altri contesti, siano essi i servizi mortuari degli ospedali e strutture sanitarie assimilabili, oppure strutture, anche private, che intercettano queste tendenze”. Scolaro S., Manuale di polizia mortuaria, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2013, p. 89
39 Foucault M., Nascita della clinica, Einaudi Editore, Torino, 1969, pp. 166
primaria di isolamento dettata da una contrapposta fase di rifiuto e vergogna che vivono i parenti vicini. La camera da letto, luogo adibito ad accogliere visite e preghiere scompare del tutto mentre subentra la fredda e sterile stanza d’ospedale (scambio che nega la morte eludendo a livello reale e simbolico l’associazione cadavere-impuro-sporco con le categorie di pulito-puro-stabile
40), dove i parenti e amici si scrollano di dosso non solo la responsabilità delle cure, il tempo speso e sprecato, i sacrifici e gli impegni che un morente porta con sé, ma esso è un luogo dove si affida a qualcun altro ogni forma di comunicazione circa il nuovo non-status del malato e si evita di affrontare soprattutto quella personale e intensa carica emotiva fatta di sofferenza, di dolore e paura.
Ma da qualsiasi punto di vista ci mettiamo ad osservare, la situazione non cambia: la morte vissuta o sfonda nel tabù o nella tecnica: che vuole dire “o la si evita o la si rende artificiosa”. Una volta entrati nella morte medicalizzata e ospedalizzata, l’individuo –il marginal man- è calato in un mondo di illusioni e bugie per nascondere la sua prossima morte poiché nessuno è più in grado ne ha volontà di parlarne in modo sincero ed aperto.
Gli stessi operatori sanitari, a detta di Kübler-Ross che per anni ha intervistato malati terminali ricoverati negli ospedali, cambiano atteggiamento con il paziente nel momento in cui sono certi che quest’ultimo è prossimo a morire. Mentre la famiglia si affida ai medici e assistenti, quest’ultimi affidano il loro sapere a macchinari, a tubi, fili e attrezzature nel tentativo disperato di rifiutare la morte, i limiti, la loro impotenza.
41“A poco a poco egli viene spogliato della sua responsabilità, della sua capacità a riflettere, a osservare, a decidere, è condannato alla puerilità”
42e privato di un’eventuale manifestazione di pianti, urla etc, poco consoni e al quanto sconvenienti in una società inespressiva e inanimata come la nostra. Morire in un casa propria permette a tutti, malato, familiari, amici e vicini di dare sfogo senza per questo essere tacciati di essere “ridicoli” o “esagerati”; morire in ospedale oggi equivale ad accettare che la malattia e la morte fanno dell’uomo un ente anonimo soggetto a diagnosi, cure, assistenza infermieristica: un numero, uno come tanti altri: si accetta, o meglio ci si rassegna, di morire in serie. Nel concedere alla società e alla tecnica una parte fondamentale del proprio essere, l’esorcizzare la morte isolando, allontanando tutto ciò che la concerne, ha permesso la totale espropriazione di un sacro diritto che oggi divenuto oggetto di un costante controllo e potere sociale. Ad eccezione della morte improvvisa –l’unica che non ha cessato ancora oggi di essere un’istante incontrollato- oggi vige la regola del “Birth control” e del “Death Control” entrambi
40 Campione F., Palmieri M.T., op. cit. p. 42
41 Kübler-Ross E., La morte e il morire, Cittadella Editrice, Assisi, 1990, p. 18
42 Ariès P., Storia della morte in Occidente, BUR Rizzoli Editore, Milano, 2013, p. 234