Il viaggio dell’ambasciata genovese avviene in un periodo storico molto rilevante per i cambiamenti nelle modalità sia di viaggio che di invio delle missive.
La prima parte del viaggio, quella che va da Genova fino a Torino, viene svolta dai nostri diplomatici in carrozza e a cavallo, senza l’ausilio di alcuna guida. A Moncalieri, non distante dalla capitale sabauda, il Pallavicino e gli altri si avvalgono per la prima volta di un “corriere, che con 16 cavalli doveva condurci a Lione”. Da questa affermazione possiamo esaminare due
elementi, il primo è l’importanza del ruolo del corriere, una figura in
crescente ascesa nell’epoca moderna; il secondo è la centralità della città di Lione come crocevia nei viaggi tra Italia e Francia e non solo.
È opportuno osservare come le prime due lettere vengano spedite entrambe a Lione. Questa decisione può ricollegarsi al fatto che la compagine
nonostante sia passata per il Piemonte e la Savoia, abbia ritenuto più
comodo e sicuro spedire le missive direttamente da Lione piuttosto che dalle altre città passate, seppur geograficamente più vicine alla Repubblica.
In epoca moderna il classico percorso che portava da Roma alla Francia vedeva come tappe fondamentali Firenze, Genova, Torino e appunto Lione. Questa città oltre ad avere un’enorme importanza commerciale, fungeva da punto di raccolta per tutte le comunicazioni tra il Sud Europa e il Nord Europa. Anche per i percorsi stradali internazionali Lione mantenne per secoli il ruolo di crocevia per molte mete europee. Grazie alla presenza di servizi organizzati e veloci, come i battelli fluviale del Rodano o le corriere a
cavallo, spesso si preferiva allungare il viaggio passando da questa città perché sinonimo di efficienza e sicurezza.34
I collegamenti postali tra i vari stati europei rappresentarono una delle più importanti novità nelle comunicazioni di Ancien Régime.
Per poter comunicare con paesi lontani prima delle rivoluzioni industriali i metodi più veloci e sicuri erano quelli del viaggio ad uso di corriere o di staffetta. Attraverso un continuo cambio di cavalli per ogni località adibita a staffetta vi era la possibilità di garantirsi un animale in perfetta forma e quindi di non interrompere il cammino.
L’istituzionalizzazione di queste staffette, con la possibilità di inviare lettere per posta, fu una grandissima rivoluzione per i tempi passati e permise così un superamento continuo della velocità-limite a cui si era abituati.35
Il viaggio veloce influì fortemente sulla composizione stessa dei percorsi stradali. Con l’avanzare dell’età moderna gli standard qualitativi delle strade da percorrere vennero alzati, imponendo così alla società uno sforzo
ammodernatore. I tracciati, a seconda delle loro condizioni, divennero calessabili o carrozzabili con dei propri codici stradali. Al centro di questo processo di sviluppo uno degli obiettivi primari rimaneva quello di
agevolare e, se possibile incrementare, la velocità. Ai viaggiatori in posta furono riconosciuti vantaggi rispetto agli altri viaggiatori, come diritti di precedenza in tratti pericolosi, nei pressi degli ingressi cittadini e nei passi dei fiumi.
34C. Fedele, Relazioni postali tra la Francia e l’Italia: Istituzione dell’ordinario di
Lione nel 1531, p.2 n "Saluzzo '81". Studi, note, appunti di storia postale e filatelica numismatica e medaglistica, a cura di V. Salierno, Saluzzo, Cassa di Risparmio di Saluzzo, 1981, pp. 9-15.
35 C. Fedele, La geografia postale di Ottavio Codogno, in Europa postale. L’opera di
Ottavio Codogno luogotenente dei Tasso nella Milano seicentesca, a cura di C. Fedele, M. Gerosa, A. Serra, Camerata Cornello, Museo dei Tasso e della Storia Postale, 2014pp. 3-4.
Per garantirsi una facile riconoscibilità i postiglioni indossavano abiti con colori accesi, adornavano i propri cavalli e emettevano suoni tramite una cornetta36.
In questo percorso di sviluppo le comunicazioni postali internazionali divengono sempre più efficaci e, da servizi senza una grande regolarità, si tramutano in collegamenti con un proprio calendario fatto di giorni ed orari. Nascono così i dispacci ordinari di posta, che conseguentemente permettono lo sviluppo delle varie gazzette e di tutti quegli eventi connessi ai cosiddetti giorni di posta. In questa maniera era più semplice per i mittenti organizzare l’invio delle corrispondenze e conoscere le possibile tempistiche di
consegna.
Proprio gli ambasciatori genovesi si resero protagonisti di questa nuova organizzazione postale durante il viaggio di ritorno, infatti preferirono inviare la lettera del 7 agosto direttamente da Calais piuttosto che da Parigi, per
“godere della congiuntura dell’imminente partenza del corriere, che passa a Parigi dove arriverà molto prima di me ed in tempo, che si farà la spedizione per Italia.”
Un’altra informazione inerente al viaggio che estrapoliamo dai documenti è l’utilizzo di “rollanti” e “sedie rotanti”. Con la metà del XVII i cavalli da sella iniziarono pian piano a venir affiancati, e in alcuni casi sostituiti, da calessi a due ruote o “sedie di posta”, innovazione che alla velocità accompagnarono la comodità. A metà ‘700 ormai carrozze a quattro ruote, capienti e
funzionali, soppiantarono definitivamente i cavalli singoli, che rimasero in funzione solamente per corrieri straordinari e pochi appassionati.
36 C. Fedele, Strade e Poste tra Sette e Ottocento, in “Rivista Italiana di Studi
Poter viaggiare in maniera continuativa, anche di notte, in ogni giorno dell’anno, significava spezzare i vincoli del viaggio tradizionale. Il “viaggio a giornata”, prototipo classico fino a quel momento di viaggio, tanto da esser entrato nel gergo comune, venne soppiantato da un procedere ininterrotto, dove anche la temibile sosta notturna perdeva valore.
La riduzione dei tempi di viaggio fu lo stravolgimento più evidente apportato da quest’innovazione e con essa conseguentemente furono rivoluzionati anche gli aspetti economici, sociali e politici di tutto un continente.
Sono proprio i nostri genovesi che nella seconda lettera descrivono il ruolo delle diligenze ordinarie che mettevano in collegamento Lione con Parigi,
“Tocca oggi del terzo giorno questa nostra dimora, che non sarebbe stata così lunga, se si fosse potuto godere della diligenza ordinaria, che parte di qua per Parigi due in tre volte la settimana, della quale restano già pervenute tutte le piazze o se ne fosse stata riuscibile alcuna straordinaria, la quale non può in nessuna maniera regolarsi, essendo prefisso e giorno e numero de cavalli, che
servono alla carrozza, che sono tanti appunto, quanti abbisognano per le diligenze ordinarie; oltre, che in questo caso sarebbe urgente farne in tutti i
luoghi, dove si mutano, precorrerne le notizie; cosa che è impraticabile. Sta risoluto pertanto il mio Signor di prendere la dirotta dell’acqua, e perciò
voltarsi a Roanna [Roanne] per ivi imbarcarsi sopra la Loiri [Loira].”
Ben descritta è l’esperienza dei genovesi una volta giunti a Calais. Già allora questa cittadina francese del nord della Francia fungeva da principale raccordo con le coste inglesi.
Il metodo più comune per raggiungere il porto inglese di Dover era con un’imbarcazione chiamata Packet-boat e fu grazie allo sforzo dei vari sovrani inglesi che questo servizio venne mantenuto nel corso dei secoli a
partire dal ‘600. Il servizio ordinario del traghetto avveniva due volte a settimana e così viene descritto anche dai nostri genovesi, i quali per una sfortunata coincidenza dovettero noleggiarne uno privato.
“Cade in questo giorno appunto la partenza ordinaria del Pacuqetboat vascello della grossezza di un Pinco Inglese, che due volte la settimana suole traghettare per questo Canale dell’Oceano che divide i due Regni di Francia, e
d’Inghilterra per trasportare dall’uno all’altro e lettere, e Passeggieri. Speravamo pertanto di poterne godere la congiuntura; ma la fretta di una
gran Dama Inglese, che cò danari ha ridotto il Patron del Vascello ad anticipare la partenza suddetta a far vela questa mattina di bonissima ora, ci
ha tolta questa buona fortuna, che Iddio sa, quando ci toccherà e per l’incertezza del tempo, e per la necessità di dover aspettare il Pacqueboat ordinario della settimana ventura. Non saprei quel che si abbia a risolvere. Insino il Signor Marchese a noleggiarne uno straordinario, e per non perdere quella calma di mare, che ci promette un ottimo passaggio, e per godere di quelle comodità che difficilmente puonno aversi nell’ordinario.”
La prima volta che vennero menzionati questi traghetti in lingua francese fu a metà del ‘600 da Estienne de Cleirac, avvocato francese esperto in diritto marittimo, che le descrisse come imbarcazioni di servizio, che
ordinariamente traversano da Calais a Dover in Inghilterra, caricando passeggeri e missive.37
Una testimonianza dell’esploratore francese Balthasar de Monconys del 1666 ci dimostra come effettivamente il servizio del traghetto avesse una cadenza di due volte a settimana:
“Una piccola barca con ponti, che naviga avanti e indietro da Calis a Dover due volte a settimana, portando mercanti e lettere, e che costa cinque scellini come
tariffa per ogni persona”38
Nel 1670 venne siglato un trattato tra l’Inghilterra e la Francia che istituiva un ufficiale servizio di “packet boats” tra il porto di Dover e quello di Calais. Inizialmente gli accordi prevedevano che da Dover i traghetti giungessero a Dunkirk, ma per accorciare il viaggio per mare e ridurne così costi e pericoli venne deciso di sostituirla con Calais.39
Questo trattato prevedeva anche un’organizzazione postale tra i due stati. La posta infatti lasciava Londra ogni Lunedì e Giovedì notte, per arrivare a Calais ventiquattrore più tardi ed esser così portata immediatamente a Parigi. Da qui tutta la corrispondenza veniva poi smistata. Da Parigi, a sua volta, le missive partivano verso Londra ciascun Mercoledì e Sabato alle ore 14. Questo itinerario postale rimase in vigore fino alla fine del ‘700.40
38 B. de Monconys, Journal des voyages de Monsieur de Monconys, Lione, 1666, in
W. Kennett, Un voyage a Calais, Guines, Andres et Saint-Omer en 1682, Alphonse Picard et fils, Parigi, 1893, p. 24.
39 R. Morieux, The Channel, Cambridge University Press, 2016, pp. 284-5. 40 P. Fraser, The intelligence of the Secretaries of State, Cambridge University