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Vigili del fuoco (a cura di Antonio Fusco)

28.1. Andamento della conflittualità, cause di insorgenza del conflitto e interventi della Commissione

Nel corso dell’anno 2018, nel settore dei Vigili del Fuoco sono state proclamate, complessivamente, 20 azioni di sciopero che hanno riguardato, in particolare, il personale operante presso i Comandi provinciali nei quali è articolata l’organizzazione del servizio.

Il livello di conflittualità registrato è stato, quindi, leggermente superiore rispetto a quello dell’anno 2017, nel corso del quale erano pervenute, in totale, n. 16 proclamazioni di sciopero.

L’insorgenza dei conflitti collettivi è spesso originata da decisioni e provvedimenti di carattere gestionale adottati a livello locale dai Comandanti provinciali.

In due occasioni, le azioni di sciopero sono state proclamate a sostegno della vertenza per il rinnovo della contrattazione collettiva di comparto che si è conclusa nel mese di febbraio dell’anno 2018 con la conclusione dell’Accordo di rinnovo.

Il conflitto collettivo della categoria, comunque, si è espresso, come sempre, attraverso forme di protesta conformi alla disciplina di settore.

28.2. Questioni di carattere interpretativo relative alla disciplina di settore Nel corso del periodo in esame l’Autorità di garanzia è stata investita, inoltre, da alcuni quesiti attinenti la corretta interpretazione e/o applicazione della normativa primaria e della disciplina negoziale di settore.

Degna di nota, innanzitutto, è l’istanza con la quale il Comitato Piloti e Tecnici Elicotteristi dei Vigili del Fuoco chiedeva alla Commissione di sapere se la proclamazione di uno sciopero costituisse per legge una prerogativa esclusiva delle organizzazioni sindacali.

In risposta al quesito, la Commissione rilevava che il quadro normativo vigente non riserva alle organizzazioni sindacali la legittimazione a proclamare le astensioni collettive dal lavoro. Tanto si desume dal tenore letterale delle disposizioni della legge 146 del 1990, e successive modificazioni, le quali fanno sempre generico riferimento ai “soggetti che promuovo lo sciopero” ovvero a “organizzazioni dei lavoratori che

promuovono lo sciopero”, ogni volta che delineano l’ambito soggettivo di applicazione

della normativa. Alla luce di tali considerazioni, l’Autorità rappresentava al Comitato che il ricorso alle azioni di sciopero deve ritenersi consentito anche a soggetti collettivi diversi dalle organizzazioni sindacali (quale è, ad esempio, un comitato spontaneo di lavoratori) e, finanche, ai singoli lavoratori (a condizione, in tale ultima evenienza, che l’esercizio del diritto avvenga in modo collettivo).

segnalazione sindacale relativa a presunti atti unilaterali assunti dall’Amministrazione in pendenza di un ostato di agitazione. Premetteva, in particolare, l’Organizzazione sindacale di aver attivato uno stato di agitazione con il quale formulava contestazioni nei confronti del Dirigente provinciale per aver predisposto un programma di formazione e retraining del personale che non teneva conto delle normative esistenti in materia. Nonostante le contestazioni sindacali e senza attendere l’esperimento del tentativo di conciliazione, il Dirigente provinciale – proseguiva il Sindacato - emanava provvedimenti attuativi che pregiudicavano gli interessi dei lavoratori coinvolti nella vertenza. L’estensione del contraddittorio con l’Amministrazione consentiva di acclarare: 1) che le problematiche poste alla base dello stato di agitazione erano già state affrontate con l’Organizzazione sindacale nel corso di alcuni precedenti incontri; 2) che l’avvio delle attività di formazione e retraining aveva carattere obbligatorio, essendo funzionale allo svolgimento delle attività di soccorso tecnico urgente; 3) che lo spostamento di personale di cui l’Organizzazione sindacale si duoleva aveva carattere temporaneo, essendo strettamente legato allo svolgimento delle attività di formazione e si fondava, peraltro, su adesioni volontarie del personale. A fronte di tali risultanze istruttorie, la Commissione assumeva un provvedimento di non luogo a provvedere, essendo stato provato il carattere obbligatorio ed indilazionabile dei provvedimenti assunti dal Direttore Provinciale.

Altrettanto importante, perché esplicativo della natura e della funzione delle procedure di conciliazione, sono le precisazioni fornite dalla Commissione a seguito di una segnalazione sindacale.

Più in particolare perveniva alla Commissione una nota con la quale una Organizzazione sindacale autonoma richiedeva un intervento della Commissione volto a censurare il comportamento assunto da un Prefetto locale nel corso dell’esperimento di un tentativo di conciliazione. Sosteneva l’Organizzazione sindacale che il Prefetto non aveva mantenuto un ruolo terzo di fronte alle parti del conflitto collettivo, non avendo imposto all’Amministrazione interessata dalla vertenza l’accoglimento delle richieste sindacali. Inoltre, proseguiva il Sindacato, il Prefetto non aveva completato il tentativo di conciliazione, abbandonando improvvisamente il tavolo. Sulla scorta di tali premesse, l’Organizzazione sindacale dichiarava di considerare non esperito il tentativo di conciliazione e richiedeva pertanto al Capo del Corpo la costituzione di un collegio per l’esperimento del tentativo di conciliazione.

Dal verbale di conciliazione prontamente trasmesso dall’Autorità prefettizia si evinceva che il tentativo di conciliazione era durato per oltre due ore e nell’ambito di esso l’organo governativo dava conto anche dell’atteggiamento inopportuno assunto da alcuni rappresentanti sindacali nel corso della riunione. Alla luce di tali risultanze istruttorie, l’Autorità rappresentava all’Organizzazione sindacale che il compito di chi presiede il tentativo di conciliazione è quello di tentare di appianare le divergenze tra

le parti, favorendo, ove possibile, il raggiungimento di un accordo tra le stesse. Non spetta al conciliatore – proseguiva la Commissione - alcun potere decisorio della vertenza né, tantomeno, di imposizione di un facere. Fatte queste doverose premesse, il Garante rappresentava all’Organizzazione sindacale che l’ampio confronto avvenuto tra le parti in sede prefettizia aveva esaurito la fase procedurale del tentativo di conciliazione e che, pertanto, non sussisteva alcun obbligo dell’Amministrazione di dare seguito alla richiesta di reiterazione del tentativo di conciliazione. Per l’avvenire, inoltre, si raccomandava al soggetto collettivo l’assunzione di comportamenti più consoni al doveroso rispetto delle Istituzioni.

Infine, merita di essere ricordata la nota con la quale il Ministero dell’Interno, premesso che la contrattazione collettiva riconosce istituti di partecipazione e consultazione sindacale su determinate materie alle sole Organizzazioni firmatarie del contratto, paventava il rischio che la costante reiterazione di stati di agitazione da parte di una Organizzazione sindacale potesse essere preordinata ad aggirare i limiti al confronto con l’Amministrazione derivanti dal fatto di non essere firmataria della contrattazione collettiva.

Alla richiesta di parere la Commissione riscontrava precisando, innanzitutto, che l’obbligatorietà dell’esperimento delle procedure di raffreddamento opera su un piano (quello della prevenzione dello sciopero) più specifico e selettivo rispetto a quello degli istituti di partecipazione sindacale che sono volti, nel complesso, alla garanzia dell’esercizio della libertà sindacale. In coerenza con tali premesse e data la particolare

ratio di tutela assegnata dalla legge – aggiungeva la Commissione - le procedure vanno

esperite anche laddove siano richieste da soggetti sindacali che, in quanto non firmatari della contrattazione collettiva di comparto, non godono di alcun diritto di informazione/consultazione in relazione alle materie oggetto della vertenza collettiva. Ciò, non toglie, tuttavia, concludeva l’Autorità, che l’Amministrazione possa legittimamente rifiutare l’esperimento delle procedure, laddove sia in condizione di poter assolvere il rigoroso onere probatorio, su di essa incombente, circa il carattere pretestuoso e strumentale dell’attivazione degli stati di agitazione (cfr. delibera 2 marzo 2005, n. 05/423).