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Il quarto motivo di ricorso deduce violazione di legge ed illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta idoneità causale delle condotte ascritte

Nel documento 38343/14 (pagine 57-60)

del 5 ottobre 2007, considerato che essa afferiva prevalentemente alle strutture dello stabilimento, nessuna delle indicazioni fornite avrebbe inciso sullo sviluppo

13.4. Il quarto motivo di ricorso deduce violazione di legge ed illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta idoneità causale delle condotte ascritte

ai ricorrenti. Il giudice d'appello ha ritenuto che il giudizio sul carattere impeditivo della condotta doverosa omessa deve essere attestato sulla regola dell'elevato grado di credibilità razionale. Tuttavia, con riferimento alla posizione dei ricorrenti si afferma contraddittoriamente che il tema della causalità va risolto alla stregua di apprezzabili, significative probabilità della condotta doverosa di scongiurare il danno. L'enunciazione ultima è incoerente con l'altra ed è frutto della distorta lettura della giurisprudenza di legittimità che fa riferimento non al nesso causale bensì alla colpevolezza ed alla evitabilità dell'evento per effetto di un comportamento alternativo lecito. La Corte erra, dunque, nell'individuare la regola di giudizio per l'imputazione causale. In concreto la condotta doverosa richiesta agli imputati viene fatta consistere nel segnalare all'amministratore delegato la necessità e l'urgenza di disporre le misure organizzative e di prevenzione indicate nei capi d'imputazione ed idonee a scongiurare il rischio di incendio. Tale impostazione dell'argomentazione cade se si considera che, come esposto in precedenza, non esiste alcun riscontro alla asserita competenza degli imputati a decidere collegialmente sul tema degli investimenti in materia di prevenzione degli incendi; e più in generale in materia di sicurezza sul lavoro. Non esisteva dunque alcun potere impeditivo in capo agli imputati.

13.5. Il quinto motivo censura la pronunzia per ciò che riguarda la ritenuta esistenza di profili di colpa. La Corte di merito addebita agli imputati numerosi obblighi imposti al datore di lavoro ma precisa che la capacità operativa massima si concentrava nella figura dell'amministratore delegato. Essi tuttavia avrebbero potuto segnalare la necessità di altri comportamenti all'amministratore delegato.

Ciò che quindi si contesta agli imputati è di non aver esercitato un controllo sulla

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gestione decisa dal detto amministratore. Tale argomentazione si rivela manifestamente illogica giacché, considerata la peculiare posizione ascritta ai ricorrenti, la corretta individuazione delle regole di diligenza si sarebbe dovuta appuntare, semmai, sugli oneri di controllo nei confronti del soggetto delegato.

In breve, l'individuazione di norme precauzionali la cui violazione è incompatibile con la definizione della condotta doverosa omessa dai consiglieri delegati inficia ogni ulteriore valutazione inerente all'elemento soggettivo del reato.

La pronunzia è inoltre carente di alcuni passaggi decisivi per la corretta valutazione dell'elemento soggettivo. La Corte ha ritenuto la prevedibilità del pericolo. Tuttavia tale prevedibilità va valutata in concreto, ex ante, e con riferimento alla figura dell'agente modello riferita allo specifico settore e cioè ad un determinato campo di azione. Il giudizio va quindi rapportato ad un ipotetico consigliere modello privo di deleghe in materia di sicurezza rispetto alla produzione. La previsione deve avere ad oggetto non solo l'evento ma anche il decorso causale, almeno nelle sue linee essenziali, dovendosi controllare se lo stesso evento sia la realizzazione del pericolo in considerazione del quale il comportamento dell'agente è stato qualificato come contrario a diligenza. Si tratta insomma di accertare la concretizzazione del rischio. Tali principi, sebbene formalmente accolti dalla Corte d'appello, non sono stati poi utilizzati.

Si è trascurato che i ricorrenti non avevano la minima competenza dal punto di vista tecnico per comprendere quali tipi di interventi agli impianti sarebbero stati necessari per garantire un sicuro funzionamento. I due erano destinatari di deleghe in tema di amministrazione, finanza, controllo di gestione approvvigionamenti, servizi informativi, commercio e marketing. Entrambi esercitavano le loro funzioni esclusivamente dagli uffici in = La questione non è stata minimamente ponderata del giudice di merito.

Ai fini della prevedibilità, la Corte tende a dimostrare che il quadro delle condizioni in cui versava l'impianto di oiviissis era loro ben noto. Tuttavia tale affermazione non viene riferita ad una classe di eventi analoghi a quello verificatosi, né è declinato in motivazione con riferimento alla specifica posizione dei ricorrenti. Non rileva il precedente incendio dellomissisl, trattandosi di episodio completamente diverso, privo di effetto predittivo su quello oggetto del processo.

D'altra parte, gli imputati non erano in grado, per mancanza di competenze tecniche, di comprendere le diverse questioni implicate in tema di sicurezza.

Pure censurabile viene ritenuta la pronunzia per ciò che attiene alla concreta previsione dell'evento ed alla conseguente circostanza aggravante. Si è tratto argomento dal verbale del giugno 2006 nel quale l'amministratore delegato informò gli imputati della gravità dell'incendio di oraissis Si è trascurato che quell'incendio presentava caratteristiche peculiari connesse alle caratteristiche

dei forni e delle connesse strutture. In sostanza, quell'esperienza non era sovrapponibile alla situazione delle altre linee ma andava adattata alle peculiarità di ciascuno stabilimento. Tale valutazione era viepiù preclusa nei confronti dei ricorrenti a causa della mancanza di competenze tecniche. Assumono i ricorrenti medesimi che il tema dell'incendio fu dunque trattato esclusivamente nella prospettiva di un intervento a supporto della società sorella. Mentre non vi sono elementi per ritenere che in occasione di tale incontro furono discussi temi tecnici o siano state adottate delibere in merito. Il documento è stato dunque illogicamente travisato. •

Analogamente illogica è la motivazione nella parte in cui esamina il verbale del 24 novembre 2006. Si discusse di questioni che afferivano alle franchigie assicurative ma non vi sono elementi per ritenere che in quel contesto siano state esaminate particolari questioni in tema di prevenzione incendi. Dunque, i documenti non consentivano ai ricorrenti alcuna previsione dell'evento. Discorso analogo viene prospettato quanto al verbale del 28 agosto 2007: il documento è generico, non si comprende a quale tipo di incidenti l'amministratore delegato abbia fatto riferimento e non se ne possono quindi trarre inferenze in ordine ai tragici eventi verificatisi. Dal documento emerge esclusivamente il forte interessamento al tema della sicurezza sul lavoro rappresentato chiaramente dall'amministratore delegato. I programmati investimenti in materia non potevano non ingenerare negli imputati ricorrenti un sicuro, ragionevole affidamento sull'adozione di tutte le opportune misure.

La motivazione viene censurata pure per ciò che riguarda la conoscenza da parte degli imputati ricorrenti delle richieste formulate dall'amministratore delegato in data 5 ottobre 2007 nell'ambito del programma di prevenzione incendi. Pure a tale riguardo la Corte ha omesso di considerare la mancanza di competenza tecnica per comprendere le conseguenze delle scelte compiute in materia.

Ancora, la Corte non individua alcun documento dal quale poter desumere la previsione di eventi connessi al flash fire.

Infine la pronunzia viene censurata per ciò che attiene alla dimostrazione della possibilità di un efficace comportamento alternativo lecito loro ascrivibile, posto che le decisioni sul tema venivano assunte dall'amministratore delegato d'accordo con i tecnici della società senza che i due consiglieri avessero alcuna voce in merito

13.6. Il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di illogicità con riferimento ai punti in cui è stato definito l'obbligo di installazione di un sistema automatico di rilevazione e spegnimento degli incendi presso la linea = dello stabilimento torinese. La Corte di assise di appello ritiene l'esistenza di tale

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obbligo alla stregua del decreto ministeriale 10 marzo 1998. Ma in realtà l'inesistenza di tale obbligo alla stregua di una norma giuridica è stato ritenuto già dal primo giudice. Tale valutazione non è stata condivisa dal Giudice d'appello che però non è riuscito ad individuare convincentemente alcuna fonte dell'obbligo giuridico. L'impugnazione propone una elencazione di normative assumendo che nessuna di esse prescrivesse l'installazione di cui si discute. La Corte di merito ha fatto pure riferimento alla presenza di fattori di rischio di incendio, trascurando che le norme antinfortunistiche impongono una prevenzione primaria radicale consistente nell'evitare la presenza di materiale combustibile e nella eliminazione delle possibili fonti di innesco. Ed in concreto si è tecnicamente agito con vari strumenti che sono analiticamente esposti.

Non si può dedurre, con il senno di poi, la sussistenza di un obbligo di carattere secondario costituito da un sistema di rilevazione e spegnimento quando risultano adottate le opportune prevenzioni primarie e soltanto a causa di numerose imprevedibili anomalie le stesse sono state eluse. Si considera che anche nell'ambito dei rapporti assicurativi sono state evidenziate le maggiori fonti di rischio di incendio ma non è mai emersa alcuna prescrizione o indicazione specifica afferente al possibile cedimento di uno delle centinaia di flessibili presenti nello stabilimento. I documenti di provenienza assicurativa non forniscono alcuna indicazione sulla necessità di protezione della zona di ingresso della linea che era dotata di una centrale oleodinamica interrata, segregata e protetta con il sistema automatico di rivelazione e di spegnimento ad acqua nebulizzata.

13.7. Ulteriore censura riguarda l'illogicità della motivazione per ciò che

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