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L. e tuttavia, nel maggio 2007, formò un documento di valutazione del
43. Il dolo eventuale e la teoria della volizione
43.1. Le teorie volontaristiche muovono dalla critica alla dottrina che nel dolo eventuale valorizza il momento rappresentativo. Si considera che la
"previsione negativa" circa la possibilità che l'evento si realizzi, che costituisce l'unico criterio idoneo a definire rigorosamente il meccanismo psicologico della colpa cosciente, rappresenta il punto debole della costruzione. Infatti il codice esige la previsione dell'evento e non la previsione negativa. Il concetto di prova negativa è equivoco e sistematicamente inaccettabile. Sotto il profilo
dell'oggetto, la previsione di un non evento finisce col postulare come oggetto del nesso psichico un requisito che non fa parte del fatto tipico: del fatto tipico fa parte l'evento, non la sua negazione.
Parimenti, altra dottrina osserva che la tesi secondo cui la colpa cosciente è caratterizzata dal superamento del dubbio rende inspiegabile l'aggravamento di pena previsto dall'art. 61, n. 3, cod. pen. e finisce, secondo la prassi corrente, con l'ascrivere al dolo eventuale un'area che andrebbe invece assegnata alla colpa cosciente. Il tenore letterale della norma rivela l'impraticabilità, nell'ordinamento italiano, della teoria secondo la quale la colpa con previsione sarebbe caratterizzata dal superamento, dalla rimozione della rappresentazione della possibilità che l'evento si verifichi. Si parla di un'azione compiuta nonostante la previsione dell'evento. Ciò significa che detta previsione deve sussistere al momento della condotta, non deve essere stata sostituita da una non-previsione o contro-previsione, come quella implicita nella rimozione del dubbio. L'avverbio "nonostante" sottolinea efficacemente il permanere di un fattore-ostacolo che dovrebbe frapporsi alla condotta. La nozione di colpa con
previsione attualmente praticata appare, in conclusione, per molti versi, frutto di un'insufficiente attenzione al dato normativo. Ne discende che il puro stato di dubbio nel quale il soggetto si trovi va ascritto al campo della colpa, sia pure aggravata, non a quello del dolo. Il dubbio non esclude l'esistenza del dolo, ma non è sufficiente ad integrarlo. Ogniqualvolta l'agente si decida ad agire senza aver raggiunto la sicurezza soggettiva che l'evento previsto non si verificherà non può mancare una qualche accettazione del rischio. Essa non può essere superata dal puro accantonamento del dubbio quale stratagemma cui l'agente può facilmente, consapevolmente ricorrere per vincere le remore ad agire. A tale riguardo occorre accertare se la rimozione del dubbio rivesta un carattere di soggettiva serietà, in quanto l'agente sia pervenuto in buona fede al convincimento che l'evento non si sarebbe verificato. Né sarebbe possibile sondare nell'inconscio alla ricerca delle radici dalle quali un determinato errore può derivare, giacché la norma-comando non può che fare appello alla parte cosciente dell'animo umano. Infine non viene neppure ritenuto possibile attingere ad un particolare atteggiamento emotivo, uno stato emozionale che accompagnerebbe la decisione di agire nonostante la previsione dell'evento, giacché il concetto di volizione di cui all'art. 43 cod. pen. non appare riconducibile a tale stregua.
In breve, l'automobilista che percorre ad alta velocità le vie del centro sa di rendere più probabile la lesione dell'altrui incolumità. Dunque, se non si vuole correre il rischio di un macroscopico aumento dei casi di responsabilità dolosa, occorre individuare il dolo eventuale, rispetto alla colpa cosciente, non solo con
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OSCURATA
riguardo al profilo rappresentativo ma richiedendo la presenza di elementi psicologici ulteriori.
43.2. Tale diverso modo di approcciarsi al tema conduce a considerare che se la previsione è elemento anche della colpa cosciente, è sul piano della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente. La colpevolezza per accettazione del rischio non consentito corrisponde alla colpevolezza propria del reato colposo, non alla più grave colpevolezza che caratterizza il reato doloso. Accetta un rischio non consentito non solo chi incendia una casa prevedendo la possibilità della morte di una persona, ma anche chi spinge un'auto a velocità eccessiva in una strada affollata.
L'argomentazione fondata sulla colpevolezza per accettazione del rischio non può spiegare, dunque, perché mai, se l'evento si verifica, esso sia attribuito a titolo di dolo in un caso ed a titolo di colpa nell'altro: nel dolo eventuale vi deve essere quindi qualcosa in più dell'accettazione del rischio.
Si afferma così che dolo eventuale si ha quando il rischio viene accettato a seguito di un'opzione, di una deliberazione con la quale l'agente consapevolmente subordina un determinato bene ad un altro. Vi è la chiara prospettazione di un fine da raggiungere, di un interesse da soddisfare, e la percezione del nesso che può intercorrere tra il soddisfacimento di tale interesse e il sacrificio di un bene diverso. In sostanza l'agente compie anticipatamente un bilanciamento, una valutazione comparata degli interessi in gioco (suoi ed altrui) ed i piatti della bilancia risultano, a seguito di tale valutazione, a livelli diversi: ve n'è uno che sovrasta l'altro. Il risultato intenzionalmente perseguito trascina con sé l'evento collaterale, il quale viene dall'agente coscientemente collegato al conseguimento del fine. Non basta, quindi, la previsione del possibile verificarsi dell'evento; è necessario anche — e soprattutto — che l'evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un determinato risultato. Anche l'evento collaterale appare, in tal modo, all'agente "secondo l'intenzione". Il dolo eventuale, dunque, in quanto espressione di una volontà pianificatrice, non risulta in opposizione con l'immagine del delitto doloso fornita dall'art. 43 cod. pen. In sintesi si può dire che nel dolo eventuale, oltre all'accettazione del rischio o del pericolo vi è l'accettazione, sia pure in forma eventuale, del danno, della lesione, in quanto essa rappresenta il possibile prezzo di un risultato desiderato. Vi è dunque nel dolo eventuale una componente Iato sensu economica.
In dottrina si argomenta pure che nel dolo eventuale la volizione in senso proprio sicuramente non esiste. Posto che le conseguenze accessorie di un comportamento non possono dirsi intenzionali e non rientrano, quindi, nel concetto di volizione in senso naturalistico, l'unica strada percorribile è quella di
assimilare alla volizione alcune situazioni reputate ad essa vicine con una scelta che è di tipo normativo, fondata su parametri rigorosi riferiti al modello dell'intenzionalità. Si tratta di individuare l'atteggiamento che, presente la consapevolezza di una possibile causazione dell'illecito, più si avvicini alla prospettiva della sua volizione. Tale elemento di assimilazione è costituito dalla possibilità di affermare che l'agente avrebbe agito anche nella certezza di produrre il risultato. Tale impostazione presenta il vantaggio di creare un collegamento diretto, sia pure potenziale, rispetto all'evento; e quindi evita di dover scendere a considerare parametri interiori puramente emozionali che finiscono col collegare l'imputazione soggettiva all'atteggiamento più o meno ottimistico verso l'evento o impongono di prendere in considerazione la maggiore o minore sincerità verso se stessi. Essa potrebbe inoltre costituire un argine contro il pericolo di dilatazione del criterio d'imputazione dolosa.
In breve, va escluso che un'imputazione dolosa possa fondarsi su presupposti psicologici concernenti il fatto tipico e in particolare l'evento, i quali in realtà si riducano alla dimensione rappresentativa, con un'abrogazione surrettizia del riferimento cardine alla volontà. Senza riferimento al ruolo del volere, il dolo si trasforma in una categoria puramente normativa, il cui confine con la colpa viene a dipendere soltanto dalla discrezionalità tipica delle valutazioni normative. Assimilare normativamente situazioni del tutto differenti nella loro sostanzialità psicologica lascia ampi spazi di pura valutazione politico-criminale giudiziaria: si approda ad un concetto di dolo nella sostanza presunto, secondo parametri ampiamente affidati, circa la definizione dei loro contenuti, alla discrezionalità giudiziaria.
Tale prospettazione, che si ispira ad antica dottrina solitamente sintetizzata come prima formula di cussis non è andata esente da critiche. È stato da più parti osservato che, radicando l'indagine sul dolo non in quello che nell'animo dell'agente si è effettivamente prodotto, ma in quello che avrebbe potuto prodursi, essa appare decisamente carente sul versante del nesso psicologico tra agente e fatto laddove un effettivo contenuto psicologico di tale segno non può far difetto nel dolo. La praticabilità di un giudizio ipotetico risulta poi difficile in tutte le situazioni in cui tra risultato intenzionalmente perseguito ed evento collaterale vi sia, nell'ottica dell'agente, una sostanziale equivalenza ed in cui, quindi, sovente lo stesso agente avrebbe avuto forti perplessità nel decidere. Si viene in sostanza a fondare la distinzione tra dolo e colpa essenzialmente solo in chiave ipotetica e sulla base di una valutazione della personalità del reo.
43.3. La breve ed incompleta rassegna che precede in ordine ai diversi