2.3 Elementi ricorrent
2.3.1 Visività spaziale
Il concetto di percezione spaziale, affrontato nel capitolo precedente attraverso l’analisi delle teorie dei Kuge Shu, rimanda anche alle sue diverse applicazioni all’interno della cultura giapponese, le quali verranno approfondite parallelamente allo studio dei singoli lavori dell’animatore. Dal punto di vista visivo, nei lavori di Shinkai è tuttavia possibile riconoscere un’alternanza ricorrente tra spazi chiusi e aperti, e tra ambiente naturale e urbanizzato. Sullo schermo, cieli sconfinati si alternano a metropoli affollate in una rappresentazione vivida e realistica di luoghi familiari allo stesso Shinkai e al pubblico giapponese: le location dei suoi film sono spesso ricreate partendo da una serie di foto scattate personalmente dall’autore, il quale ne enfatizza la bellezza intrinseca attraverso
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and then use that as the foundation to draw something even more beautiful. I wanted to create a beautiful city in my mind but also in reality»31 afferma.
Relativa all’utilizzo che Shinkai fa dello spazio, una delle tecniche compositive a cui spesso ricorre è quella del “Sistema dei quadranti”, la quale consiste nel dividere idealmente lo schermo in quattro parti (destra, sinistra, superiore ed inferiore) – chiamate per l’appunto quadranti – e comporvi la scena al proprio interno, disponendo scenografia e personaggi in modo tale essi possano raccontare più storie contemporaneamente attraverso un solo frame.
Un altro elemento che caratterizza le opere di Shinkai è sicuramente l’attraversamento ferroviario: binari, stazioni affollate o semi-deserte compaiono praticamente in tutti suoi lavori, e fungono da metafora per una spazialità percepita come duale proprio per la divisione naturale che creano: «I haven’t seen a level crossing in London yet but in Japan they are everywhere and I have always liked the idea of this divide between two sides that the crossings create»32 afferma Shinkai in un’intervista. La funzione del treno, di conseguenza, non è quella di semplice mezzo di trasporto, ma si collega all’idea di velocità e di transitorietà, di passaggio e cambiamento personale, come nel caso di Byōsoku go
senchimētoru e Kimi no na ha. È chiaro quindi come il paesaggio, in tutte le sue
rappresentazioni, assuma un ruolo di primaria importanza tanto quanto i personaggi stessi. La stessa minuziosità con cui Shinkai ritrae gli spazi aperti traspare, infatti, anche nella rappresentazione degli interni, ricchi di dettagli foto-realistici che a volte appaiono più importanti della narrazione stessa. Salvo qualche eccezione, gli ambienti ritratti dall’animatore non sono collocati in un contesto ben preciso, e le informazioni che lo spettatore riceve sulla location provengono appunto dagli oggetti di scena, come un libro abbandonato su una scrivania, una teiera sul fuoco, la televisione accesa. Lo spazio chiuso di Shinkai, perciò, non è fatto per essere compreso ad una prima occhiata, ma in generale è composto da dettagli che variano in base al momento in cui questi vengono colti: vi è un
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Alverson Brigid, Anime director Makoto Shinkai finds beauty in everyday life, MTV news, 24 ottobre 2011
http://www.mtv.com/news/2623333/anime-director-makoto-shinkai-finds-the-beauty-in-everyday-life/
32 Electric sheep magazine, Interview with Makoto Shinkai, 1 giugno 2008,
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continuo movimento di immagini parziali che se isolate dal contesto in cui vengono mostrate perderebbero ogni significato, ma che invece rafforzano la narrazione se osservate nel loro insieme. Shinkai spazia da un’immagine all’altra con una tecnica di transizione cinematografica che in Giappone prende il nome di kire (切れ, “taglio”) e che richiama la regia di Ozu Yasujirō (Tōkyō 1903 –1963), considerato il più “giapponese” fra i registi per la sua capacità di esprimere emozioni mostrando «i sentimenti che presentano i volti delle cose, piuttosto che quelli degli attori» 33. Un vaso abbandonato in un angolo di una stanza, un giardino Zen, uno specchio: anche Ozu, come Shinkai, estrapola dagli oggetti la storia dei protagonisti, e fornisce allo spettatore informazioni aggiuntive omettendo il dialogo.
Le immagini statiche che Shinkai propone attraverso le sue opere racchiudono al loro interno un concetto che in giapponese prende il nome di ma (間), un termine che può essere tradotto con “spazio” o “intervallo”, ma che in realtà possiede un significato che varia in base al contesto, e in generale, viene associato ai concetti di spazio e di tempo. Nel linguaggio musicale, per esempio, è l’intervallo che intercorre fra due note, la pausa prima della ripresa, nella pittura ad inchiostro, il sumi-e (墨絵), è lo spazio lasciato bianco nella tela, mentre nel teatro Nō ( 能 , abilità, abbreviazione di Nōgaku, 能 楽 ) il ma è rappresentato dall’interruzione della musica e la conseguente assenza di movimenti degli attori. È quindi un vuoto carico di significati «che separa e che contemporaneamente unisce per le implicazioni di immagini, gesti, di parole, di suoni che sottintende»34. Lo spazio per i giapponesi, perciò, non è un’entità fisica, ma viene percepito attraverso lo scorrere del tempo, e per questo è anch’esso soggetto ai suoi effetti, al decadimento e all’impermanenza. A questo proposito Shinkai utilizza i vuoti creati attraverso le riprese statiche di luoghi e oggetti per stimolare il ricordo di qualcosa di indefinito e passato, riguardante la vita dei protagonisti, come fossero rumori in sottofondo o una voce proveniente da lontano.
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Cultor College in Cultor web, Estetica giapponese, http://www.cultorweb.com/J/FC.html
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Raveri Massimo, Itinerari del sacro. L’esperienza religiosa giapponese, 2006, 1984, Libreria Editrice Cafoscarina, pg. 32.
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