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Vivere in condizioni critiche

Nel documento Aphros. Drone a scopo umanitario (pagine 46-48)

L’uomo studia continuamente nuovi metodi per sopravvivere anche nelle zone ostili del nostro pianeta, lontano dalle grandi città e soprattutto dalla civiltà. Anche se non siamo stati creati per vivere in condizioni estreme, come quelle della zona Artica, circa 4 milioni di persone vivono lì e la loro sopravvivenza fa affidamento su una profonda conoscenza di questo ambiente, che è il più ostile sulla terra. Le popolazioni di queste zone lottano tutti i giorni per assicurarsi i viveri necessari. Per procurarsi il cibo, ad esempio, partono per spedizioni che possono durare giorni, attraverso distese di ghiaccio. Una volta trovato un punto ottimale per la pesca, rompono il ghiaccio, spesso anche più di un metro, e calano lenze che arrivano a catturare prede fino a 500 metri di profondità. Il loro nutrimento è a base di pesce, foche, balene e squali e vivono in simbiosi con i cani, loro mezzi di trasporto. Senza di essi non potrebbero sopravvivere. Le difficili condizioni non riguardano solo il clima ovviamente rigidissimo e le poche risorse di cui dispongono, ma anche le stagioni. Nei mesi estivi, per esempio, il sole non tramonta mai, e splende 24 ore su 24. In questo periodo è difficile riposare così come nei mesi invernali più rigidi, in cui il sole splende per poche ore e l’oscurità domina la giornata. Per superare i lunghi mesi invernali sono necessarie scorte di cibo molto consistenti, che vengono messe da parte attraverso una costante raccolta. In Groenlandia, l’insediamento più settentrionale dell’uomo, esistono

pattuglie di sorveglianza che garantiscono protezione agli abitanti da un pericolo non sottovalutabile: l’orso polare. Non è raro vedere un esemplare in queste zone e sono temibili per le popolazioni perchè si insediano nei paesi in cerca di cibo; in mancanza d’altro, anche l’uomo diventa una possibile preda. Molto diversi climaticamente ma simili per condizioni di vita estreme, sono invece i deserti caldi. Decine di migliaia di chilometri quadrati di distese di sabbia ardente e pochissima acqua da condividere. Le popolazioni che abitano nelle zone limitrofe al deserto, hanno sicuramente un problema enorme: la scarsezza di risorse d’acqua. Questo li costringe ad intraprendere numerosi viaggi alla ricerca di oasi, che possano rifornirli di una quantità d’acqua sufficiente per diversi scopi. Non esiste una strada da seguire per raggiungere i pozzi, ciò che guida le carovane sono le stelle di notte e alcuni punti di riferimento (come dei cespugli) che si tramandano di generazione in generazione, facendo imparare ai figli come arrivare ai pozzi e come raccogliere l’acqua. I pozzi non sono numerosi, ce ne può essere uno solo in un raggio di 80 km. Nel deserto del Gobi invece si ha un ulteriore cambiamento drastico di temperature dal giorno alla notte e si passa dalle dune torride di sabbia, alla neve soffiata dalla Siberia. Essa non rimane molto a lungo perchè il sole la scioglie subito, ma le carovane si impegnano ad intercettarla per ricavarne acqua per le mandrie. Anche il cibo non è facilmente reperibile; basta

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pensare che una volta all’anno, centinaia di persone si radunano presso il lago di Antoro, uno dei pochi laghi ricco di pesci. Dopo una preghiera per allontare gli spiriti maligni, tutti si gettano in mare e ogni uomo si batte per il poco cibo che rimane. Queste situazioni estreme non sono rare in queste zone, ogni giorno si lotta per la vita. Ecco perchè alcuni nativi delle zone desertiche si sono impegnati a trovare delle soluzioni per la loro quotidianità. Come le tende “acchiappanebbia” istallate nel deserto di Atacama, il luogo più secco del mondo. Si tratta di reti di polipropilene di pochi metri quadri appese tra due pali che, collocate sottovento, aspettano

pazientemente la nebbia, le cui gocce d’acqua resteranno bloccate nelle maglie per poi scivolare lentamente in alcuni recipienti. Questa è solo una delle idee che numerosi studiosi stanno prendendo in considerazione per dare un aiuto a queste zone particolarmente afflitte da problemi legati alle condizioni climatiche estreme. Il progetto che sarà affrontato ha a che fare con il tema della condizioni estreme ma si amplia anche in contesti simili, legati a situazioni pericolose o difficili e riscontrabili anche nella quotidianità.

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Il deserto del Sahara è il più grande della terra, occupa un’area grande quanto gli Stati Uniti e copre un terzo del territorio africano; è uno dei luoghi più caldi del pianeta. Sicuramente non è facile abitare queste zone poichè Il sole ha cancellato la vita sulla superficie di questa terra. I nomadi raccontano di interi villaggi inghiottiti e carovane scomparse. Una tempesta di sabbia può estendersi per migliaia di chilometri. L’avanzamento del Sahara ha fatto scomparire molte creature, il clima è molto arido, può non piovere per anni interi. Il clima ostile caratterizza questo luogo e chi vive intorno a queste zone non può sopravvivere nel cuore del Sahara. Solo alcuni animali attraversano l’intero deserto per passare l’inverno. Le rondini compiono circa 5000 km per raggiungere i terreni fertili dell’europa. Questo perchè aggirando il territorio, sarebbe un viaggio troppo lungo. Nonostante ciò che si pensa, in realtà solo un quinto del Sahara è ricoperto di sabbia, il resto sono pietre e rocce scalfite dal vento. Il sole deforma l’aspetto della terra. L’aria distorce le immgini in lontananza, i riflessi del cielo sulla sabbia creano miraggi. Il sole è un illusionista e crea immagini che possono essere mal interpretate dai viaggiatori. Quando piove, l’acqua è sufficiente a dissetare le piante che si sono adattate a questo clima estremo. La pianta della resurrezione è una di queste, che può resistere decenni senza acqua. é formata da rami secchi, che possono essere trasportati per interi hilometri dal vento, e una volta raggiunta l’acqua. i rami riprendono vita e si nutrono nuovamento. Si schiudono e lasciano penetrare

Sahara

Nel documento Aphros. Drone a scopo umanitario (pagine 46-48)

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