novellistico operata da Cervantes rispetto al modello boccaccia- no, selezionando tra le dodici novelle che compongono la rac- colta un caso privilegiato per diversi aspetti. Nella varietà tipo- logica di generi narrativi che confluiscono nelle Novelas ejem- plares, El celoso extremeño è la novella che, insieme a La señora Cornelia, discende più direttamente dal modello narrati- vo italiano. Col Celoso, difatti, siamo al culmine di una tradi- zione novellistica per lo più comica che adotta come nucleo te- matico il triangolo adulterino e che dispiega come situazione narrativa quella della rigorosa e costante clausura della donna da parte di un marito affetto da una demenziale gelosia. Ebbene, come si ricorderà, nelle tre novelle decameroniane della settima giornata che presentano un’analoga tematica, la gelosia è consi- derata alla stregua della bestialità, tant’è che all’aretino Tofano della quarta ci si riferisce direttamente con l’epiteto di bestia (Boccaccio 2013: 1102 e 1004), mentre l’anonimo riminese del- la quinta e il mercante Arriguccio dell’ottava sono paragonati,
rispettivamente, a un montone e a un cane (Boccaccio 2013: 1116 e 1143). Alla gelosa bestialità dei mariti che, istupidendo- li, li rende beffati e cornuti, fa riscontro la sagacia femminile, grazie alla quale le malmaritate ottengono la realizzazione del piacere, che è il vero cuore e motore della narrazione. Sono rac- conti, pertanto, che si concentrano sulla messa in opera dell’azione, per mezzo della quale il naturale desiderio femmini- le si compie e, al tempo stesso, la repressiva gelosia maritale ri- sulta derisa. All’altro capo di questa tradizione novellistica, l’opera più conosciuta e apprezzata in Europa, le Novelle di Matteo Bandello, non presenta nessun mutamento sostanziale rispetto ai menzionati racconti di Boccaccio, come mostrano due delle 214 novelle della raccolta che sono incentrate sul per- sonaggio del marito geloso: il cavaliere napoletano Angravalle della quinta novella della prima parte e, ancora, quella dell’ano- nimo geloso provenzale della venticinquesima della seconda parte, dove non manca la degradazione bestiale del geloso mari- to (Bandello 1911 e 1928).
Rispetto alla tradizione menzionata, dunque, la novella cer- vantina segna una svolta, proponendo qualcosa di molto diver- so.
Nella novella cervantina la passione gelosa del vecchio, ricco e impotente Carrizales occupa il centro dello spazio testuale, ed è perciò inevitabile che cambi di carattere, trasformandosi in qualcosa di terribilmente problematico – se non ancora tragico – rispetto alla comica gelosia dei numerosi personaggi di quella tradizione novellistica, di cui la nostra storia è erede, ma che si lascia alle spalle, rinnovandola in profondità. Protagonista sin dal titolo, il ruolo del vecchio marito geloso acquista un inedito spessore e una valenza complessa, di cui il lettore si avvede, ap- pena entrato nel testo, quando apprende che la smodata inclina- zione morbosa del personaggio, da un lato, preesiste alla scelta dell’oggetto amoroso e, dall’altro, è messa in relazione con un analogo sentimento nei confronti dell’oro accumulato in Ameri- ca. Che, insomma, nel testo si dà uno stretto legame tra universo affettivo e universo economico, tra matrimonio e patrimonio, tra il timore geloso di perdere l’immaginario oggetto d’amore e il terrore che gli venga sottratto l’oro reale, che peraltro il vecchio
scopre con sgomento di non sapere come impiegare:
Contemplaba Carrizales en sus barras, no por miserable, porque en al- gunos años que fue soldado aprendió a ser liberal, sino en lo que había de hacer del- las, a causa que tenerlas en ser era cosa infrutuosa, y te- nerlas en casa, cebo para los codiciosos y despertador para los ladro- nes.
[...]
y en viniéndole este pensamiento [del matrimonio], le sobresaltaba un tan gran miedo, que así se le desbarataba y deshacía como hace a la niebla el vien- to, porque de su natural condición era el más celoso hombre del mundo, aun sin estar casado, pues con sólo la imaginación de serlo le comenzaban a ofender los celos, a fatigar las sospechas y a sobresaltar las imaginaciones, y esto con tanta eficacia y vehemencia, que de todo en todo propuso de no casarse. (Cervantes 2013: 329-330)
Perché tutto abbia senso, è necessario che il lettore della no- vella impari a rovesciare quella paura nel suo contrario e vedere, cioè, nella gelosia del vecchio il fascino o l’invidia che egli pro- va per il desiderio dell’altro. Non è un caso, allora, che Carriza- les si decida al matrimonio solo quando, nell’incontro con Leo- nora, la scelta oggettuale risulta dettata da, e aderire a, la logica che opera in lui del desiderio mediato. È giusto, d’altronde, rite- nere – come è stato da taluni proposto – la casa-convento come il vero protagonista della narrazione, sempre che nell’incredibile sistema di assurde e coercitive precauzioni in cui essa consiste si riconosca l’insieme di misure cautelative con le quali in Car- rizales si esprime il timore/attrazione nei confronti del desiderio di Leonora, la quale si presenta giovane e povera quanto l’uomo che l’ha soggiogata, sposandola, è vecchio e ricco. Di poco me- no giovane della malmaritata, il bellimbusto sivigliano, Loaysa, è ricco invece come il vegliardo, ma è costretto a fingersi pove- ro, perché lo esige la strategia che mette in opera per penetrare nella casa, non meno di quanto lo richieda la logica che presiede al significato della storia narrata. Nella novella cervantina, dun- que, la costellazione dei personaggi principali che formano il tradizionale triangolo erotico si compie, dando luogo a una figu- ra assai complessa di desiderio mediato, che – com’è ovvio – si manifesta in massimo grado nel geloso, ma che investe anche il più giovane amatore, attratto dall’oggetto posseduto da altri, e che, infine, coinvolge la donna, la quale per affermare la propria
individualità deve potersi negare all’uno e all’altro: imponendo, cioè, la propria soggettività, nel mostrarsi al marito tiranno co- me autonomo soggetto di desiderio; e rivelando la propria speci- ficità, nel sottrarsi all’amplesso con lo svogliato amante. Il fina- le assomiglia a quello di un dramma: Carrizales muore, aste- nendosi dalla vendetta che non ne avrebbe riscattato l’onore, a cui aveva rinunciato nell’atto di unirsi a Leonora; su costei in- combe la poco benigna sorte di scivolare dalla clausura della maritale casa-convento a quella di un convento reale, a cui è av- viata; quanto a Loaysa, non può che essere destinato a seguire le orme dell’uomo nelle cui vesti (e nel cui letto) aveva anelato collocarsi: si recherà, difatti, nelle Indie occidentali, come il vecchio prima di divenire tale, il che finirà per conferire alla struttura della novella lo stesso marchio claustrale che ne carat- terizza la trama13.
Nello stravolgere gli esiti di analoghe situazioni narrative della tradizione novellistica, il mistero del singolare caso del vecchio Carrizales e dei due giovani amanti mancati racchiude un’esemplarità che non partecipa né di una morale che ha il suo baricentro in “una nuova armonia tra istinto naturale e virtù” (Baratto 1999: 59), come quella che governa le storie decame- roniane di tema affine, e neppure della preoccupazione di esclu- sivo ordine morale che suole presiedere alle opere dei novellieri controriformisti. Venendo a occupare la posizione centrale del complesso narrativo, il personaggio del marito geloso si riscatta dall’antico marchio ferino e si fa portatore di un’esemplarità che ha dell’eroico, perché nella gelosia si cela il sentimento di ribel- lione contro il destino ultimo dell’uomo, l’ultimo doloroso ba- luardo di chi resiste alla morte; come, del resto, risulta anche da quest’esplicita affermazione del narratore del Persiles, nella quale forse non è erroneo riconoscere la voce dello stesso Cer- vantes: “uno de los efectos poderosos de la muerte es borrar de la memoria todas las cosas de la vida, y pues llega a hacer que no se sienta la pasión celosa, téngase por dicho que puede lo imposible” (Cervantes 1979: 160), dove la gelosia è, dunque,
13
Per la bibliografia sulla novella di Il celoso extemeño, cf. la ricca nota bibliografica in Cervantes 2013: 975-996.
l’ultima e più forte resistenza con cui si manifesta nell’uomo il legame con la vita.
Bibliografia
Alemán Illán, J. (1997), “Una traducción inédita del ‘Ars Poeti- ca’ de Horacio por Tomás Tamayo de Vargas”, Criticón, 70: 117-148.
Alemán Illán, J. (1988), “La traducción por Tamayo de Vargas del ‘Ars Poetica’: estudio y valoración”, Criticón, 73: 5-22. Aristotele (2008), Poetica, ed. P. Domini, Torino, Einaudi. Auerbach, E. (1956), Mímesis. Il realismo nella letteratura
occidentale, Torino, Einaudi.
Bandello, M. (1911), Le novelle, vol. III, ed. G. Brognoligo, Bari, Laterza
Bandello, M. (1928), Le novelle, vol. I, ed. G. Brognoligo, Bari, Laterza (2ª ed. revista).
Baratto, M. (1999), Realtà e stile nel ‘Decameron’, Roma, Editore Riuniti.
Battaglia Ricci, L. (2008), Boccaccio, Roma, Salerno Editrice. Boccaccio, G. (1998), Genealogie deorum gentilium, ed. V.
Zaccaria, in Tutte le opere, ed. V. Branca, “I Classici Mondadori”, voll. VII-VIII, tomo I e tomo II, Milano, Mondadori.
Boccaccio, G. (2013), Decameron, eds. A. Quondam, M. Fiorilla e G. Alfano, Milano, BUR Classici.
Bonciani, F. (1972), “Lezione sopra il comporre delle novelle”, in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, ed. B. Weinberg, Bari, Laterza, III: 135-165.
Borsellino, N. (1989), La tradizione del comico, Milano, Garzanti.
Bragantini, R. (1987), Il riso sotto il velame. La novella cinque- centesca tra l’avventura e la norma, Firenze, L.S. Olschki Editore.
Brink, Ch.O. (1971), Horace on Poetry, Cambridge, Cambridge University Press.
Bruni, F. (1990), Boccaccio. L’invenzione della letteratura mezzana, Bologna, Il Mulino.
Cervantes, M. de (1914), La Galatea, eds. R. Schevill, A. Bonilla, Madrid, Imprenta de Bernardo Rodríguez.
Cervantes, M. de (1979), Los trabajos de Persiles y Segismunda, ed J.B. Avalle-Arce, Madrid, Castalia.
Cervantes, M. de (1983), Viaje del Parnaso, ed. M. Herrero García, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Científicas.
Cervantes, M. de (2001), Novelas ejemplares, ed. J. García López, Madrid, Real Academia Española.
Close, A. (2007), Cervantes y la mentalidad cómica de su tiempo, Alcalá de Henares, Centro de Estudios Cervantinos. Diccionario de Autoridades (1732), ed. facsimile, Madrid,
Gredos, 1969.
Forcione, A.K (1984), Cervantes and the Mystery of Lawlessness: A Study of El casamiento engañoso y el Coloquio de los perros, Princenton, Princenton University Press.
García Berrio, A. (1980), Formación de la teoría literaria moderna / 2. Teoría poética del Siglo de Oro, Murcia, Universidad de Murcia.
Gargano, A. (in corso di stampa), “Difficile est proprie communia dicere: el género de la «novella» entre Boccaccio y Cervantes”, Edad de Oro, 33, 2014.
Gran Enciclopedia Cervantina. IV. Cueva de Montesinos- Entrelazamiento (2007), Alcalá de Henares-Madrid, Centro de Estudios Cervantinos-Castalia.
Horace, (1989), Epistles. Book II and Epistle to the Pisones (‘Ars Poetica’), ed. Niall Rudd, Cambridge, Cambridge University Press.
Menéndez Pelayo, M. (1951), Bibliografía hispano-latina clásica, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Científicas.
Olsen, M. (1976), Les transformations du triangle érotique, Københauv, Akademisk Forlag.
Ordine, N. ed. (2001), Traités sur la nouvelle à la Renaissance. Bonciani, Bargagli, Sansovino, Paris-Torino, J. Vrin-Nino Aragno Editore.
Rey Hazas, A. (1995), “Novelas ejemplares”, in Cervantes, Alcalá de Henares, Centro de Estudios Cervantinos: 173- 209.
Riley, E. (1971), Teoría de la novela en Cervantes, Madrid, Taurus.
Talavera Esteso, F.J. (1979), “Vicente Espinel, traductor de Horacio”, in Estudios sobre Vicente Espinel, Málaga, Universidad de Málaga: 69-101.
Vega Ramos, M.J., La teoría de la novella de Francisco Bonciani, in Ead., La teoría de la novella en el siglo XVI. La poética neoaristotélica ante el ‘Decameron’, Salamanca, Johannes Cromberger: 97-143.
Quem conta um conto, acrescenta-lhe uma memória. Formas de narrar em Miguel Real
Maria da Graça Gomes de Pina (Università degli Studi di Napoli “l’Orientale”) A verdadeira viagem faz-se na memória. Marcel Proust Diz o velho provérbio que “quem conta um conto, acrescen- ta-lhe um ponto”. É uma máxima condensada para indicar que a mensagem transmitida nunca chega ao recetor de forma íntegra e imutada, mas com ligeiras mudanças que dependem do pathos de quem ouve e também do ambiente em que se encontra. No título deste ensaio, deturpo-o levemente para dizer que mesmo quem conta um conto, não pode dissociá-lo da memória que transporta consigo. É por essa razão que proponho que se pense na arte de narrar como uma forma de expor determinado pen- samento ou facto e que se acrescente ao verbo expor o pronome reflexo se: obter-se-á uma forma quase exibicionista, diria, de apresentar determinado pensamento ou facto. A memória, ou o memoriar, acha-se neste limbo entre o expor e o expor-se, entre o mostrar e o mostrar-se. Nomeadamente em Memórias de Branca Dias, Miguel Real aprofunda esta relação ambivalente da narração e transpõe-na para uma estrutura em que a memória se reveste de uma oralidade quase confessional. A protagonista da novela é uma mulher que o autor, com uma investigação ex- tremamente cuidada e atenta, vai repescar às fontes dos arquivos históricos portugueses e brasileiros, insuflando-lhe uma existên- cia romanceada para que, segundo as suas palavras, “a Ficção não reproduza a História, segundo o antigo modelo do romance histórico, mas a ilumine” (Real 2009: 13).
É precisamente sobre as nuances existentes na transposição do memoriar para o narrar como forma de aproximação privile- giada entre autor e leitor que pretendo debruçar-me.
Memórias de Branca Dias é uma narração diríamos estranha. A sua estranheza reside sobretudo no modo como o autor utiliza uma certa coloquialidade para nos transmitir os pensamentos da protagonista. Falo de pensamentos e não de discursos orais, co-
mo se esperaria, pois a estratégia desta narração consiste em fa- zer lucrar maximamente a época histórica em que a ação se de- senrola, a saber, o século xvi, momento em que a Inquisição se começava a fazer sentir com toda a sua força e horror em Portu- gal. Os ‘discursos orais’ de Branca Dias são, portanto, encober- tos por essa veste interior que é o pensamento, porque falar em voz alta poderia comportar, é certo, a tortura e, em seguida, o auto-de-fé.
O autor opta justamente por narrar a vida e as aventuras de Branca Dias por meio de um discurso quase sussurrado que a protagonista pronuncia ao leitor, dando-nos, segundo o seu de- sejo – visto tratar-se de cristã-nova que todavia nunca abandona a prática judaizante –, a sensação não de sermos o seu confessor mas sim o deus ao qual reza. Esta aparente contradição é supor- tada pela abertura do primeiro capítulo da novela que se chama, precisamente, “Oração”, página e meia através da qual o autor nos apresenta o primeiro esquisso caracterial da protagonista.
Adonai, meu Deus e Deus de meus pais, permiti, Senhor, livrar-me hoje e em todo o dia do malfeitor e da má obra, da vista do homem mau, do língua má, do vizinho mau, do encontro mau, do juízo duro. (Real 2009: 19)
Esta prece que a protagonista roga faz-nos ao mesmo tempo antever quais serão as causas da sua fuga para o Pernambuco, no Brasil, ao encontro do marido. Os capítulos sucessivos aca- bam por ser a explicitação de quem encenou, na sua vida, as mencionadas figuras: o malvado, a má obra, o homem mau, o língua má, o vizinho mau, o encontro mau, o juízo duro. Com a oração, é como se o autor introduzisse o leitor clandestinamente na viagem de Branca Dias, aquela mulher que acabaria por se tornar a primeira a praticar judaísmo em terras brasílicas.
A meu ver, é como clandestino que o autor se coloca na nar- ração, arrastando forçada e forçosamente consigo a companhia cúmplice do leitor. Prefiro, e uso de propósito, o termo ‘clan- destino’ em vez de ‘liminar’, como adjetivo para qualificar o au- tor, porque não me parece que com o discurso de Branca Dias o mecanismo semiótico posto em ação pelo autor se encaixe no
objetivo explícito de fazer sobressair as intenções e paixões do autor liminar, função por ele almejada (cf. Ferraresi 1987: 75).
Em Memórias de Branca Dias a voz do autor e a voz do nar- rador caminham em carris diversos, muito embora sejam clara- mente paralelos e inseparáveis. Se bem que o autor das memó- rias da protagonista seja Miguel Real, é mister atentar ao facto de, in primis, o objeto da sua análise ser uma pessoa verídica e não o fruto de pura fantasia ou ficção; in secundis, ser uma mu- lher.
Como é evidente, a segunda razão não é um motivo forte, muito menos relevante, pois autores do sexo masculino podem e muitas vezes conseguem descrever de forma perfeita os pensa- mentos e a alma de um sujeito feminino. Todavia, já a primeira razão não é tão fácil de contrastar. Entrar no espírito da época, não só, olhá-lo através de lentes femininas, comporta ter a no- ção de que se está a realizar um experimento altamente arrisca- do, cujo resultado pode não ser o mais conseguido. E isto não só porque, regra geral, a sociedade ocidental possui poucos textos quinhentistas (no século em que Branca Dias viveu) cujos auto- res são do sexo feminino, mas também porque as raríssimas le- tradas e literatas existentes escreveram tendo sobretudo como ponto de fuga ou interesse temas religiosos e monásticos. Acrescente-se ainda que o autor dispunha de pouca documenta- ção verificável e exaustiva acerca de Branca Dias, visto que ela não fora uma figura historicamente relevante, ou melhor, não representara um marco significativo no momento histórico em análise. Todavia, Miguel Real escolhe-a provavelmente porque em torno da sua história se narram lendas, em torno da sua exis- tência se apresentam discrepâncias – quem era a protagonista? Branca Dias de Apipucos, Branca Dias de Camaragibe ou Bran- ca Dias da Paraíba? –, em torno do seu ser se constroem hipóte- ses romanceadas. Ora, dado que todas estas componentes de- sempenham certamente um grande fascínio na mente fervilhante de um autor, qualquer que seja o seu sexo, diria que é preferível considerar aquele que escreve sobre uma personagem deste tipo, não um autor liminar, mas um autor clandestino. Logo, a sua clandestinidade residiria em viajar junto com a voz homodiegé- tica, sem contudo se substituir ao leme da sua narração.
Contudo, a uma viagem clandestina costuma associar-se igualmente o exotismo da travessia, muitas vezes aliado à previ- são de aventuras inesperadas, perigosas e até empolgantes. No que concerne à novela Memórias de Branca Dias, pode-se afir- mar que à ‘clandestinidade’ da narração se junta o ‘exotismo’ da mesma, não só pelo lugar onde esta decorre e que domina gran- de parte da ação, isto é, o estado do Pernambuco, como também pelo evidente concatenar-se de episódios e situações que se ser- vem desse mesmo espaço e do seu aparente alheamento e dis- tância em relação à Europa para dele fazer sobressair uma opi- nião que mostre a diversidade do outro relativamente à alterida- de do eu. Um exotismo, portanto, tomado como diapasão para o oscilar das vozes que narram, a saber, a da protagonista e a do autor ‘clandestino’. Por essa razão, parece-me que quando Mau- ro Ferraresi (1987: 81) afirma que,
E più l’esotico è narrato con sottile e atento spirito di osservazione, più il nostrano e le sue aberrazioni risultano evidenti. [...] ora [l’autore] può permettersi di raccontare [...]; a guidarlo in queste ana- lisi è l’autore virtuale con i suoi gusti e le sue idee.
está sobretudo a levantar a questão da influência que o olhar- outro tem sobre o ato narrativo, sendo, neste caso, o autor da novela o detentor desse olhar, o qual dista bem quatro séculos e meio do referido momento histórico! O exotismo das palavras de Branca Dias são o reflexo do olhar exótico que o autor crê poder atribuir à própria protagonista, através de palavras que aparentam ser uma espécie de competição verbal de que se pre- tende discriminar as mútuas influências sobre quem diz o quê.
Na noite em que o tronco foi queimado, Camaragibe foi dos pretos, houve feijão com arroz para todos e carne-de-sol com fartura, zurrapa de açúcar também. Eu pensava que a pretalhada estava bêbada, mas não estava, levara aquilo a sério, eu nunca tinha visto nem nunca vol- tei a ver, as pretas entraram a gingar e a requebrar, como se batessem o pilão, o silêncio do sertão foi cortado pelos berimbaus e pelos ago- gôs e quando chegou o batuque dos atabaques nem a chiadeira da mo- enda se ouvia, a fogueira do tronco de pau-brasil fumou tanto que nem o cheiro do melaço se sentia, foi uma noite de festa. As pretas velhas engalanaram-se com os panos-de-costa lavados, avançavam pé ante pé, sacudindo a bunda e alçando os braços, entoavam uns cânticos em