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Wagnerismo e malattia

Nel documento Thomas Mann : metafisica della musica (pagine 74-90)

1 – Wagner come artista

Se Gerda rappresenta la musica assoluta e si fa portavoce del “valore musicale”, Hanno rappresenta una fruizione musicale tipicamente romantica nella sua componente dilettantistica, che trova in Wagner, la cui arte è individuata da Mann come suprema forma di dilettantismo, la sua apoteosi e il suo compimento. Nell’impossibilità di segnare in modo netto il confine tra arte dilettantismo, come nell’ultima improvvisazione di Hanno, sia gli artisti veri e propri, sia i dilettanti malati d’estetismo,181 subiscono le lacerazioni dell’arte, il traviamento che essa ingenera in coloro che la servono.

In Leiden und Größe Mann spiega come l’arte di Wagner sia generata mediante l’esercizio della volontà tenace dell’artista, una volontà che non è quella di Schopenhauer, ma è più affine alla volontà di potenza nietzschiana, la cui potenza è, però, alla base della componente dilentattistica della sua opera:

“L’arte di Wagner è un dilettantismo reso monumentale, elevato anzi fino alla genialità, dall’estrema energia volitiva. L’idea medesima di una fusione delle arti implica qualcosa di dilettantesco e nel dilettantesimo sarebbe naufragata, se non le avesse tutte assorbite con forza sublime il suo inaudito genio espressivo”.182

L’arte wagneriana si rivela come l’arte più seduttiva perché innocente nel suo dilettantismo ma scaltra, moderna, proprio in virtù di come il dilettantismo stesso è sfruttato ai fini della seduzione, esercitata dalla sua opera in quanto arte. La figura di Wagner e, soprattutto, la sua esperienza artistico-produttiva – la genesi della sua opera – assurge dunque a paradigma dell’artista manniano, la cui costitutiva ambiguità oscilla tra dilettantismo e arte, vizio e morale, maledizione e redenzione.

La conoscenza cui si accede nell’arte non ha un potere quietivo, al contrario, la produzione dell’opera d’arte esige un potenziamento della volontà che è la maledizione dell’artista, a cui perciò è negata la redenzione in senso schopenhaueriano e con essa ogni proprietà quietiva, come dimostra l’approccio wagneriano all’esperienza compositiva:

181 La figura di Gerda esula da entrambe le categorie in quanto incarnazione di un principio musicale.

“[...] comincia la lotta per l’arte, su cui egli, immerso nella più vasta lotta per la vita, nutriva illusioni filosofiche, giacché essa non è affatto conoscenza redentrice, né pura ‘rappresentazione’, bensì spasmodica tensione della volontà; è, insomma, più che mai, una ‘ruota di Issione’”.183

La prospettiva qui assunta diverge radicalmente dal idea nietzschiana del risanamento operato dall’arte.184 L’arte si pone come un freno all’immediatezza della vita e appare a Wagner come suo surrogato o sublimazione:

“Il sogno di liberarsi dall’arte, di poter vivere invece di dover creare, di essere ‘felice’, ritorna di continuo nelle sue lettere; le parole ‘felicità’, ‘nobile felicità’, ‘nobile godimento di vita’ affiorano nell’epistolario come concetto antitetico al destino dell’artista, insieme alla visione dell’arte quale surrogato ad ogni immediatezza di piacere”.185

All’“immediatezza di piacere” la dinamica della produzione artistica sostituisce l’attrazione esercitata dalla bellezza, il cui potere seduttivo ha come unico scopo la produzione dell’opera. Tale dinamica genera nell’artista Wagner o nell’artista wagneriano un tormento interiore che quanto più è gravoso tanto più necessita di redenzione, ma che la può trovare, nuovamente, solo nella bellezza:

“Al carattere psichico e generale della musica wagneriana è inerente un elemento pessimistico e greve, lento, nostalgico, spezzato nel ritmo da caotiche tenebrosità, anelante alla redenzione nella bellezza. E’ la musica di un’anima oppressa, che non si rivolge con ritmo danzante ai muscoli, è uno scavare, un ungere e trascinarsi e premere nordicamente faticoso”.186

La maledizione e la redenzione dell’artista scaturiscono allora dalla stessa origine: il disvelamento della bellezza e della fascinazione metafisico-erotica, e, perciò, totalizzante che sancisce l’egemonia dell’arte. La redenzione deve allora passare necessariamente per la fascinazione erotica, che per il suo carattere progressivo si configura come un’ascesi alternativa alla via negationis schopenhaueriana, ma radicata nel principio della sua metafisica:

183 Ivi, p. 26.

184 Cfr. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., p. 56: “Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà,

si avvicina, come maga che salva e risana, l’arte; soltanto essa è capace di volgere quei pensieri di disgusto per l’atrocità o l’assurdità dell’esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere […]”.

185 Th. Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner, cit., p. 25. 186 Ivi, p. 20.

“Dobbiamo vedere la produttività come la bella traccia lasciata dalla vita di un artista, come un leggiadro frutto accessorio, oppure come una forma, come l’espressione primaria della volontà stessa?”187

All’interno dell’opera manniana emerge allora un tipo di redenzione d’ispirazione wagneriana, che procedendo ma anche differenziandosi dalle accezioni nietzschiane e schopenhaueriane, da esse attinge per risolverle in un mezzo peculiarmente wagneriano di redenzione: il Liebestod.

Se l’arte è maledizione, anche nelle sue forme dilettantistiche, in cui all’incapacità di volere si somma una patologica capacità di sentire, solo questa maledizione, all’apice del suo adempimento, si configura come redenzione. Per molti personaggi manniani essa giunge dopo un potenziamento estremo della volontà fino all’annebbiamento delle facoltà dell’intelletto, all’impedimento e, in seguito, all’annullamento della volontà individuale.188

La rivelazione della bellezza avviene sullo sfondo della Dekadenz, che costituisce essa stessa l’occasione, o, meglio, l’opportunità di quel processo che, attraverso la malattia, la degenerazione psichica, fisica o morale, pone l’arte, e la musica in quanto arte per eccellenza, come unico orizzonte esistenziale. La creazione di un’opera d’arte avviene sempre su uno sfondo patologico (fisico o psichico), che si fa comunque evidente anche nel caso di personaggi che non sono veri e propri artisti, il cui rapporto con l’arte, in particolare con la musica, è di tipo dilettantistico, come nel caso di Hanno Buddenbrook e di Gabriele Eckhof. Come si è potuto osservare in Buddenbrooks, la malattia, come forma potenziata di debolezza, accentua il carattere passivo dello spirito, configurandosi come preludio dell’estasi artistico-musicale, ed è condizione necessaria per l’accesso all’arte, poiché si accompagna a un affinamento dello spirito che acuisce la sensibilità verso la bellezza. Si tratta di una sensibilità dunque patologica che, rendendo più difficile il contatto col quotidiano e col prosaico,189 finisce per recidere i legami con il mondo, non solo con il mondo borghese, ma anche con la vita stessa. Un percorso del genere configura

187 Th. Mann, Ibsen e Wagner, in Dolore e grandezza di Richard Wagner, cit., p. 92.

188 “Solo la sbornia e il consumo di tutte le droghe orientali e occidentali, buddhistiche e cristiane, poteva far

dimenticare il nulla, il vuoto pauroso che sbadiglia dietro la facciata di tutti i misteri e i miti wagneriani. Nietzsche, prima e forse più acutamente di Thomas Mann, se ne rese conto. Molte volte mi sono domandato se anche dietro le grandi creazioni dell’artista Thomas Mann non vaneggi il baratro del nulla, della negazione estrema della vita. Non sempre sono riuscito a negarlo e solo nel Thomas Mann politico e saggista ho ritrovato sempre la tensione costruttiva verso il positivo [...]”. (M. Montinari, Thomas Mann (e Nietzsche) su

Wagner, Prefazione a Th. Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner, cit., p. X).

189 Cfr. Th. Mann, Tonio Köger, cit., p. 151:“Ma nella stessa misura in cui s’indeboliva la sua salute, la sua

natura d’artista s’acuiva, diveniva incontentabile, delicata, squisita, sottile, irritabile al contatto del banale, reagente in sommo grado nelle questioni di sensibilità e di gusto. [...] alla dolorosa profondità delle esperienze si accoppiava in lui un raro impegno, tenace ed ambizioso, che in lotta con la difficile sensibilità del gusto dava origine, tra sofferenze atroci, a opere d’insolita bellezza”.

l’esperienza artistica come il diffondersi di un’infezione fisico-spirituale, che mina il progredire di un’esistenza socialmente accettabile e i valori che la fondano, che può contaminare tutto ciò che è “sano”.

Se da un lato, questa progressione dell’arte contro la vita e la salute si configura come antiborghese, dall’altro, si configura come (anti)nietzschiana. In Der Fall Wagner Nietzsche configura il wagnerismo come la peculiare malattia della décadence:

“All’artista della décadence – questa è la parola. Ed è qui che comincia la mia serietà. Sono lungi dall’essere un pacifico spettatore, quando questo décadent ci guasta la salute – e la musica per giunta! E’ Wagner, in generale, un uomo? Non è piuttosto una malattia? Egli ammala tutto ciò che tocca – egli ha ammalato la musica”.190

Il risentimento antiwagneriano di Nietzsche come forma di apologia inversa è assunto da Mann nella sua compromissione con la degenerazione, la decadenza e l’atteggiamento estatico-passivo. Perciò Mann può parlare, nelle Betrachtungen, della dedizione a Wagner come coincidenza di un vizio e di un “fatto morale”:

“L’arte di Wagner, per quanto poetica e ‘tedesca’ si ponga, è di per sé un’arte oltremodo moderna e, come tale, per nulla innocente. E’un’arte scaltrita e mediata, nostalgica e sorniona, è capace di congiungere, in una maniera che estenua chi la gode, mezzi e modi che stordiscono con altri che tengono desto e teso l’intelletto. Ma dedicarsi a quella diviene quasi un vizio, anzi, diventa un fatto morale, si trasforma in un abbandono etico senza remissione a ogni forza nefasta e corrosiva, quando non sia corroborato da una fede delirante, bensì da uno spirito analitico le cui più odiose scoperte finiscono col costituire un ennesimo sfogo passionale. Ancora in Ecce homo si trova una pagina sul Tristano che basterebbe a provare come il rapporto di Nietzsche con Wagner sia stato un amore che rimase accesissimo fin dentro alla sua paralisi”.191

Il vizio è la componente narcotica e antivistalisica che Nietzsche attribuisce alla musica wagneriana ma che consente a Mann di considerare quest’effetto di narcosi come un “fatto morale”, come lo smascheramento critico esercitato da uno “spirito analitico”, non in virtù della critica e dell’analisi, ma dell’eros, dello “sfogo passionale” da cui scaturiscono le stesse parole di Nietzsche:

“Se uno vuole sottrarsi a una pressione insopportabile, deve ricorrere allo haschisch. Bene, io dovetti ricorrere a Wagner. Wagner è il contravveleno par excellence di tutto ciò che è tedesco, – veleno, non lo contesto… […] Ma ancora oggi vado in cerca di un’opera

190 F. Nietzsche, Il caso Wagner, cit., p. 174.

che abbia il fascino pericoloso, la dolce e tremenda infinitezza del Tristano – la cerco in tutte le arti, e invano. Tutti i misteri di Leonardo da Vinci perdono la loro magia alla prima nota del Tristano. Quest’opera è senz’altro il non plus ultra di Wagner; di essa si ristorò con i Maestri Cantori e l’Anello. Diventare più sano – in una natura come quella di Wagner vuol dire un regresso… […] Il mondo è povero per chi non è mai stato abbastanza malato per godere di questa ‘voluttà dell’inferno’: qui è permesso, anzi, è obbligatorio, usare una formula da mistico”.192

La musica wagneriana, di cui il Tristan und Isolde costituisce il non plus ultra, finisce per sedurre anche lo spirito critico, per cui la critica non è che un’ennesima variante della “voluttà” e della malattia diffusa dal wagnerismo. Questa malattia è, in realtà, più dell’analisi, il vero disvelamento, la vera dimensione mistica: la narcosi è, in realtà, per Mann, un potenziamento. E’ possibile allora comprendere il vincolo metafisico di eros, malattia e decadenza che risolve opere come Tristan, Wälsungenblut e Der Tod in Venedig nel disvelamento della dimensione erotica dell’arte.

La musica di Wagner è la voce e la dimensione stessa del potenziamento, la metafisica erotica e perciò musicale che offre la verità, l’incantamento e la sua soluzione, annunciati nel canto di Isolde – la redenzione nel Liebestod:

“Höre ich nur/ diese Weise, die so wunder-/ voll und leise,/ Wonne klagend,/ Alles sagend,/mild versöhnend/ aus ihm tönend,/ aus sich schwingt,/ in mich dringt,/ hold erhallend/ um mich klingt?/ Heller schallend,/ mich umwallend,/ sind es Wellen/ sanfter Lüfte?/ Sind es Wogen/ Wonniger Düfte?/ Wie sie schwellen,/ mich umrauschen,/ soll ich athmen,/ soll ich lauschen?/ Soll ich schlürfen,/ untertauchen,/ süß in Düften/ mich verhauchen?/ In des Wonnemeeres/ wogendem Schwall,/ In der Duft-Wellen/ tönendem Schall,/ in des Welt-Athems/wehendem All –/ ertrinken,/ versinken,-/ unbewußt,-/ höchste Lust!”193

2 – Tristan

In Tristan (1902) Gabriele Eckhof presenta numerose affinità con Hanno Buddenbrook, ma è una figura estranea a una connotazione erotica e il suo dilettantismo

192 F. Nietzsche, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 1969, pp. 47-48.

193 R. Wagner, Tristan und Isolde, in Gesammelte Schriften und Dichtungen, Verlag der Buchhandlung

non sfocia mai nell’arte. Eros e bellezza sono qui posti su piani differenti, poiché la bellezza non assume un’immediata connotazione erotica, è, tuttavia, essenzialmente legata alla morte. Gabriele, come Hanno, è un fiore della decadenza. Mentre Hanno trova la bellezza fuori di sé, nella musica in cui cerca l’annientamento con passione erotica, Gabriele possiede la bellezza in se stessa e non rinnega la vita, pur non appartenendole. Non è la musica ad esaurire le sue forze vitali, ma la vita stessa, nelle sue manifestazioni più volgari: il marito, commerciante “di costituzione grossolana”, e, ancor più, il florido e terribilmente sano bambino che ella mette al mondo. Gabriele è una figura eterea e inconsapevole. A rammentarle la propria vocazione alla morte è Detlev Spinell, che rispecchia il tipo dell’esteta decadente, con la sua esaltazione per la bellezza, unita all’incapacità di produzione artistica. Egli non è malato ma si trova a suo agio nel sanatorio arredato in stile impero. La sua spiccata simpatia per la malattia e per la morte si configura come una propensione per tutto ciò che è sul punto del venir meno – propensione che un aspro risentimento nei confronti della vita.194

Spinell è una figura più sensuale che erotica, in quanto l’eros rimane per lui una dimensione inaccessibile in via diretta, così come gli sono inaccessibili l’arte, la musica e Gabriele stessa. Se Spinell è caratterizzato da quella sensualità che anela alla bellezza che non può possedere e Gabriele dalla bellezza inconsapevole e peritura, l’eros si pone qui in modo dialettico tra sensualità e bellezza, manifestandosi in due dimensioni distinte ma legate dalle componenti metafisiche già presenti in Buddenbrooks: la malattia e la musica.

L’attrazione di Spinell per la malattia assume maggiore rilievo se si considera la malattia come la maschera dell’eros, il modo in cui l’eros scaturisce dalla vita stessa e si configura come medium tra la vita e la morte e tra il corpo e lo spirito, secondo quanto verrà enunciato nello Zauberberg:

“Fin qui la patologia, la dottrina delle malattie, del potenziamento doloroso del corpo, il quale però, in quanto rilievo dato al corpo, è nello stesso tempo un rilievo di voluttà: la malattia è la forma impudica della vita. E la vita a sua volta? E’ forse soltanto una malattia infettiva della materia... come, forse, quella che è lecito chiamare generazione spontanea della materia, è soltanto malattia, una esuberanza di stimoli della non materia? Il primo passo verso il male, verso il piacere e la morte [...]”.195

194 “[...] un esteta dotato di tutta la sensualità snervata degli impotenti: Detlev Spinell. E’ uno scrittore

decadente, intimamente malsano seppure non malato: il suo ritratto viene effettuato con diabolica ironia”. (P. Isotta, Il ventriloquo di Dio... ,cit., p. 48).

Il rancore di Spinell verso la vita sembra allora causato dalla repressione dell’eros come dimensione della vita ma anche dell’arte e della morte. L’attrazione fisica nei confronti di Gabriele appare sublimata sotto forma di fascino per la malattia unitamente all’estasi per la bellezza.196

La morte di Gabriele è un Liebestod, ben diverso da quella di Hanno Buddenbrook, in quanto la signora Klöterjahn è un personaggio inconsapevole, il cui legame con la borghesia è molto più saldo di quello di Hanno. Il suo rapporto con la musica mantiene un’inconsapevolezza borghese, dando luogo a una forma di dilettantismo che non si avvicina mai al livello dell’arte. Tuttavia, la morte di Gabriele avviene sotto il segno dell’eros e della musica. Il padre di Gabriele è un commerciante, ma anche un artista, un violinista, che rimanda alla figura di Gerda e la sua funzione nei confronti di Hanno. La musica affina la sensibilità di Gabriele, che, quando il padre suona, non sa trattenere le lacrime:

“Suona il violino... Ma questo è dir poco. Come lo suona, signor Spinell, ecco la cosa più importante! Non sono mai riuscita ad ascoltare certe sue note senza che gli occhi mi si riempissero di lagrime, e lagrime così incredibilmente brucianti come per null’altro al mondo [...]”.197

Ma Gabriele non giunge ad una comprensione più profonda. Gabriele non comprende a fondo la musica come non comprende la propria bellezza. Al contrario, Spinell comprende la bellezza che non gli appartiene e che egli non ha in sé. Cerca di portare Gabriele alla consapevolezza. Anche la lettera che egli scrive al signor Klöterjahn è dattata da un’esigenza di chiarificazione che, per la sua debolezza costitutiva di Spinell e per la sua modalità espressiva, manifesta evidenti tratti caricaturali:

“[...] il chiamar le cose col loro nome, il dar loro voce, l’illuminare ciò che è inconsapevole, costituisce la mia inderogabile vocazione terrestre. Il mondo brulica di quello che io chiamo tipo inconsapevole, e io, tutti cotesti tipi inconsapevoli, non riesco a sopportarli! [...] E un impulso tormentoso, irresistibile mi sospinge, nell’àmbito delle mie forze, a chiarire ogni esistenza intorno a me, a esprimerla, a darle consapevolezza: senza

196 “Spinell è il decadente, l’incapace di volere – anche di morire –. Così la sua esistenza si nutre,

esteticamente, dell’episodio romanticamente tipico di Amore e Morte. Morte di lei, però, che funge da strumento per le incapacità di lui, per una passione estatica, sensuale, ma non decisa al tutto e per tutto della morte per amore e per musica”. (R. Favaro, Estetica e musica nel primo Thomas Mann: rapporti con il

Romanticismo di E.T.A. Hoffmann, in Rassegna veneta di Studi Musicali, II-III (1986-87), pp. 235-260, p.

258).

curarmi se a ciò conseguano effetti suscitatori o rallentatori, se ne venga conforto e sollievo, o soltanto novello dolore”.198

L’esigenza di chiarezza viene smentita dalla continua opera di sublimazione che Spinell compie nei confronti della persona di Gabriele e, in particolare, del suo passato. Egli usa la chiarezza come strumento contro la vita (contro il marito di Gabriele), ma è disposto a metterla subito da parte quando si tratta di esaltare la bellezza, che questa sia effettivamente data nella realtà oppure no. Tuttavia, egli si trova in una situazione favorevole, in quanto Gabriele appartiene alla bellezza e alla morte per costituzione, per essenza. Egli non fa che portare a compimento questa natura intimamente decadente, cercando di sottrarla ai volgari legami con la vita (di nuovo, il marito e il figlio). Spinell si inserisce, dunque, in un processo già avviato: dopo il parto Gabriele comincia a manifestare i segni della malattia, come se la vita stessa, la salute, abbandonasse il suo corpo per trasfondersi in quello del figlio:

“Ma la guarigione non si decideva a venire; e mentre il figlioletto Antonio Klöterjahn junior, una meraviglia di bambino, andava conquistando e affermando, con stupefacente energia e mancanza di riguardi, il suo posto nella vita, la giovane madre sembrava dileguarsi man mano in un ardore soave e silenzioso”.199

Tra le consuete raccomandazioni circa l’assoluto riposo, i medici vietano a Gabriele di suonare. Diversamente da Hanno, Gabriele si attiene borghesemente al divieto, fino quando Spinell non la induce ad eseguire alcune partiture.200

Nel momento in cui Spinell giunge nella sala in cui Gabriele suonerà il pianoforte, si instaura un’atmosfera tristanica. Il regno della luce va progressivamente dileguandosi e la situazione cala in un’atmosfera sempre più notturna. Spinell introduce il conflitto tra il sole,

Nel documento Thomas Mann : metafisica della musica (pagine 74-90)

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