induce a segregare sempre più l'indu-stria di guerra rispetto al resto della economia e della società, destinando ad essa risorse materiali e umane tol-te a settori civili che ne risultano necessariamente penalizzati.
L'azione deleteria di questo svi-luppo dualistico appare chiara: in en-trambi i paesi le condizioni di assolu-to favore accordate all'industria di guerra causano problemi gravissimi negli altri settori e allo stesso tempo impediscono la soluzione dei medesi-mi. Il peso dello sforzo risulta assai maggiore per l'Unione Sovietica, che è partita nella gara in condizioni di grande arretratezza economica, e che ha potuto mantenersi a livello della concorrenza, nel settore degli arma-menti, solo per la grande capacità di mobilitazione delle risorse che il suo sistema possiede. Ma il centralismo burocratico che permette la mobili-tazione frena anche, nel medio ter-mine, le capacità di innovazione e di riforma del sistema. Continuare in tale sforzo vuol dire inoltre esercita-re sul sistema socio-politico dell'Urss una pressione che non può non avere conseguenze molto gravi, specie per la eterogenea composizione naziona-le di quel paese, e per la sua disastra-ta situazione demografica. Sul futu-ro dell'Unione Sovietica Kennedy si dichiara quindi estremamente pessi-mista, scartando molto recisamente le possibilità di riforma del sistema economico. Ma da questo pessimi-smo non trae motivo di esultanza. "Coloro che si rallegrano nel vedere le difficoltà presenti dell'Unione So-vietica — egli scrive — e che atten-dono con impazienza il crollo di quel-l'impero, dovrebbero ricordare che trasformazioni di questa portata nor-malmente accadono con costi molto grandi, e non sempre in modo preve-dibile".
Se nel futuro dell'Unione Sovieti-ca vede scritti profondi traumi, de-terminati dalla precaria situazione attuale e dalla impossibilità di mi-gliorarla, per gli Stati Uniti egli non vede se non un futuro di progressiva decadenza relativa. Ma, se per i russi tale previsione è motivata dalle con-seguenze del dover rinunciare al bur-ro per costruire i cannoni, per gli Stati Uniti i problemi maggiori sono venuti dall'ostinazione, da parte del-la cdel-lasse dirigente di quel paese, a volere sia i cannoni che il burro. Evitare di far pagare la politica rea-ganiana di riarmo accelerato ai citta-dini sotto forma di maggiori imposte ha voluto dire trovarsi nella necessità di finanziare il riarmo con capitali esteri, alzando i tassi di interesse reali a livelli mai visti prima, che hanno, causato la rivalutazione sel-vaggia del dollaro e la progressiva deindustrializzazione del paese, in un periodo di tempo relativamente breve. L'esperimento è così risultato assai più traumatico per il paese. La successiva, e altrettanto profonda, svalutazione del dollaro, certamente non potrà ripristinare lo status quo, per la nota asimmetria che si verifica in questi casi. In aggiunta, non sem-bra affatto avviato a soluzione il pro-blema strutturale da Mary Kaldor definito dell'"arsenale barocco", e cioè la crescente complessità e costo-sità degli armamenti, che fa prevede-re, con estrapolazioni lineari, che tra vent'anni tutto il bilancio della dife-sa americano servirà a comprare un solo aereo da caccia. Cose molto in-teressanti Kennedy ha da dire invece sul conto della Cina, che egli vede come la vera grande potenza emer-gente. Sebbene il paese si trovi anco-ra in condizioni di estrema arretanco-ra- arretra-tezza, egli nota come esso sia riuscito a costruirsi un' industria bellica di tutto rispetto, destinandole una per-centuale non eccessiva delle risorse nazionali che, data la grandezza del paese, non sono molto in termini percentuali, ma sono del tutto
rispet-tabili in senso assoluto. Egli conside-ra ancoconside-ra come la politica esteconside-ra della Cina sia animata da prudenza estre-ma e come la dirigenza cinese sembri intenzionata a costruire per il lungo periodo, ma concedendo spazio mol-to ampio alle riforme economiche. Il sorgere progressivo della super-potenza cinese deve necessariamente costituire motivo di estrema preoc-cupazione per la principale potenza in declino, l'Unione Sovietica, ma anche per la principale potenza in ascesa, il Giappone, abituato a consi-derare la Cina come inesistente dal punto di vista economico. Kennedy dà una certa misura dell'estrema dif-ficoltà in cui quest'ultimo paese ver-rà a trovarsi negli anni prossimi, ma
segni di un serio riarmo giapponese. Nella supposizione che gli Stati Uniti impongano al Giappone di difender-si da sé, gli stati che lo accettano finora come partner commerciale co-minceranno a temerlo di nuovo come potenziale aggressore. Visto lo svi-luppo accelerato di paesi come Tai-wan e Corea del Sud, che dipendono, come il Giappone, in maniera vitale dal mercato americano, una eventua-le chiusura improvvisa di taeventua-le merca-to potrebbe causare una profonda destabilizzazione dell'area del Paci-fico, trasformandola in una zona ad alta conflittualità potenziale. È da aggiungere che anche la Cina è venu-ta a dipendere in maniera essenziale dal mercato americano, dove in
po-chi anni ha decuplicato le esportazio-ni, portandole al livello di quelle ita-liane, ma con ben superiore dinami-ca. Anche questo paese ha molto da temere da un nuovo protezionismo americano.
Infine, l'Europa. Kennedy indivi-dua nella Cee una nuova grande tenza, agevolmente sommando po-polazione, prodotti nazionali e altri significativi indicatori economici dei dodici paesi. Ma non esita a ricono-scere che si tratta di un calcolo di potenzialità assai più che di realizza-zioni. La Cee è ancora solo una espressione economica, per parafra-sare Metternich. Inoltre —
aggiun-»
non può continuare senza divenire autodistrutti-vo" (p. 4). E allora l'autore balza coraggiosa-mente al di là della concezione bipolare e propo-ne una soluziopropo-ne atta a mutare il recente plurali-smo dei poteri internazionali in fonte e fonda-mento di un nuovo e diverso equilibrio. E la strada della "devoluzione", del trasferimento all'Europa occidentale della responsabilità per l'equilibrio delle forze sul continente, del passag-gio da un bipolarismo ormai senescente a una multipolarità non più solo economica ma anche strategica.
Si tratta di una riproposizione sottile del b u r
-d e n - s h a r i n g , -dell'accollamene agli europei -dei
costi di una NATO unilateralmente guidata dal-l'egemonia statunitense? Tutt'altro. Siamo inve-ce di fronte a una dupliinve-ce, franca constatazione: in primo luogo dei limiti di tale egemonia, della sopraggiunta impossibilità, per il paese che pure resta il più potente del globo, di esercitare il potere che deriva dall'assicurare l'equilibrio mi-litare in Europa; e, in secondo luogo, del fatto che tale potere ed impegno strategico è realistica-mente alla portata, militare ed economica, di un'Europa occidentale maggiormente coordina-ta ed orchestracoordina-ta dalla cooperazione franco-tede-sca. La prima di queste proposizioni appare rela-tivamente meno sorprendente e controversa alla luce del dibattito sul declino americano. Tutta-via, essa cozza frontalmente con l'attuale con-senso strategico Je/Z'establishment americano, con le velleità e le dottrine di almeno questa amministrazione. È merito particolare del libro giungere a tale conclusione dopo un 'analisi stori-ca del nesso tra impegni strategici e possibilità economiche che si distingue per eccezionale rigo-re, ampiezza, e persuasività. Ma è ancor più la seconda affermazione a colpire e far riflettere, ed anch'essa giunge al termine di un'argomentazio-ne convincente.
La 'devoluzione' appare possibile senza un costo inaccettabile per gli equilibri economici e politici delle maggiori nazioni europee. Le forze
non accentua a nostro avviso abba-stanza i toni. Il Giappone si trova nella situazione della Germania, ma molto peggio. E un'economia di esportazione che non ha un mercato naturale e che non ha una base terri-toriale abbastanza ampia per soste-nersi. E il paese che più rassomiglia all'Inghilterra della prima rivoluzio-ne industriale. Ma, mentre l'Inghil-terra si creò un proprio mercato nel suo impero, non si riesce a capire dove il Giappone possa, in prospetti-va, trovare spazio per le proprie esportazioni, se non negli Stati Uni-ti, o negli altri paesi del Pacifico. Mentre la Germania fu fornita di uno spazio commerciale con la crea-zione del Mercato Comune, i rappor-ti giapponesi con i propri partners del Pacifico non hanno subito una fase di riconciliazione forzata, come quel-la imposta dagli Stati Uniti agli euro-pei negli anni Cinquanta. Sono tutti paesi che il Giappone ha invaso du-rante la seconda guerra mondiale, e che ne tollerano la presenza commer-ciale solo fino a quando non vi sono
militari dei paesi europei della NATO nei primi anni 90 saranno già in grado, secondo Calleo, di costituire un sufficiente deterrente convenziona-le e nucconvenziona-leare alla forza sovietica senza dover far ricorso a straordinarie misure di riarmo. Sotto il profilo tecnico sarebbe necessaria una riorganiz-zazione delle forze già in campo o in programma. Sotto il profilo politico si tratterebbe di trovare il modo per estendere alla Germania l'ombrello nucleare britannico e, soprattutto, francese. Per motivi diversi ma convergenti, ciascuno ha fino-ra preferito la soluzione offerta dal protettofino-rato americano. Ma se questo, pur mantenendo l'im-pegno dell'alleanza NATO, venisse gradualmen-te ritirato — per l'imperativa necessità di non sconquassare più l'economia intemazionale con il deficit americano — non vi è ragione per cui la collaborazione franco-tedesca, sostiene l'autore, non possa trovare in campo strategico-militare quel coordinamento dei diversi interessi nazio-nali che essa ha già realizzato con successo, attraverso la Cee, sul ben più complesso terreno delle relazioni economiche e commerciali.
La sfida concettuale è dunque rivolta, a ben vedere, tanto verso Washington che verso l'Eu-ropa, e sarebbe bene non venisse ignorata né qui né là. U diluirsi del bipolarismo, tuttavia, ab-braccia sfere più ampie dell'alleanza occidenta-le, e l'Urss non è certo meno coinvolta dell'altra superpotenza in tale processo di trapasso degli equilibri intemazionali. L'interrogativo che la
"devoluzione" renderebbe ancora più urgente è se in tale fase di trasformazione non si alterereb-bero, insieme ai contorni del bipolarismo, anche i suoi tipici caratteri di mutua sfiducia ed ostilità ad altissimi livelli di armamento. Occorrerebbe, insomma, ciò che nel libro manca a causa di una concessione tradizionale degli equilibri di potere che è caratteristica dell'autore: un 'analisi di que-sti livelli, di armamenti e di deterrenza, e del-l'opportunità di abbassarli il più possibile, nel-l'interesse reciproco.
Zanichelli
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