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TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL SOVRACCARICO METATARSALE NELL'ALLUCE VALGO

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Academic year: 2021

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1 INDICE

1) INTRODUZIONE

2) Anatomia del piede……….2

3) Biomeccanica……….26

4) Le tecniche chirurgiche……….31

5) Esame della deambulazione………....…37

6) Esame obiettivo..………....…39

7) Esami strumentali………...44

8) Eziopatogenesi delle metatarsalgie………..……...……46

9) Obiettivo dello studio………..…… 47

10) Materiali e metodi……… .47

11) Risultati………53

12) Conclusioni……… 55

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2 Introduzione.

Nell’ambito di questa tesi si è cercato di inquadrare il problema delle metatarsalgie, che si sviluppano in seconda istanza nel trattamento dell’alluce valgo, trattato chirurgicamente con due tecniche a confronto, la tecnica percutanea, con osteotomie percutanee dei metatarsi e la tecnica PDO associata all’osteotomia dei metatarsi, stabilizzati con fili di kirschner. I risultati ottenuti, attraverso lo studio controllato in cinque anni, ha permesso di trarre i vantaggi e gli svantaggi delle due tecniche, inquadrando il problema delle metatarsalgie post-intervento chirurgico.

1. Anatomia.

Il piede costituisce l’ultimo segmento o segmento terminale dell’arto inferiore. Normalmente, il piede forma con la gamba un angolo quasi retto aperto in avanti; esso presenta una faccia libera che guarda in alto ed una faccia in contatto con il suolo che, durante il cammino, guarda in basso.

Divideremo il piede in due porzioni: una porzione prossimale, corrispondente al tarso ed al metatarso; una porzione distale, comprendente le dita.

La porzione tarso-metatarsale o piede propriamente detto presenta a sua volta due regioni distinte: una regione dorsale ed una regione plantare, separate fra loro da un piano scheletrico.

Distinguiamo: 1° la regione dorsale; 2° la regione plantare; 3° le dita; 4°le ossa e le articolazioni del piede.

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2.1 - Regione dorsale del piede.

Corrisponde alla faccia superiore del medesimo e comprende tutte le parti molli che sono disposte sopra allo scheletro del tarso e del metatarso.

Limiti: 1° prossimalmente, dal lato del collo del piede che passa 3 cm sotto all’interlinea articolare talo-crurale; questa linea separa la regione dorsale del piede dalla regione anteriore del collo del piede; 2° distalmente, una linea curva a concavità posteriore che passa per la commessura delle dita; 3° lateralmente e medialmente, il margine laterale ed il margine mediale del piede, che separano la regione dorsale dalla plantare. In profondità, la regione dorsale del piede si estende fino alle ossa del tarso e del metatarso.

Forma ed esplorazione: la regione dorsale del piede, stretta in senso prossimale, dove fa seguito alla regione anteriore del collo del piede, si allarga gradatamente avvicinandosi alle dita. Immediatamente innanzi al collo del piede, la regione si presenta convessa tanto nel

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senso trasversale quanto nel senso sagittale. Più distalmente, essa inclina in avanti e lateralmente verso il margine laterale del piede, mentre, in prossimità della radice delle dita, si fa piana (specialmente in alcuni soggetti).

I piani superficiali: comprendono la cute e il tessuto connettivo sottocutaneo. 1) Cute: è sottile, fine e lascia vedere per trasparenza le vene che vi decorrono al di sotto. Essa è morbida, estensibilissima ed estremamente mobile sulle parti sottostanti; 2) Tessuto connettivo sottocutaneo: è rappresentato da uno strato di tessuto connettivo lasso a struttura lamellare, unito alla cute il che spiega la mobilità di questa. Il tessuto connettivo sottocutaneo della regione dorsale del piede si lascia distendere facilmente dall’edema. Nello spessore del tessuto sottocutaneo decorrono i vasi ed i nervi superficiali.

Fascia dorsale superficiale: ricopre tutta la regione dorsale del piede, fa seguito alla fascia della gamba ed ai tre legamenti anulari anteriore, mediale e laterale del tarso. Distalmente, si perde insensibilmente sui metatarsei e sulle falangi. Lateralmente e medialmente, essa si fissa al margine mediale del piede, e si confonde con i corrispondenti margini della fascia plantare. La fascia dorsale del piede è sottile, sebbene molto resistente; la faccia superficiale è in rapporto con il tessuto cellulare sottocutaneo.

I piani sottofasciali:

A) Strato dei tendini- subito al di sotto della fascia, è occupato da numerosi tendini provenienti dalla gamba. Se seguiamo la regione in senso medio-laterale incontriamo: 1° il tendine del muscolo tibiale anteriore, che si porta obliquo in senso distale e mediale per fissarsi sul tanto sul primo cuneiforme quanto sull’estremità prossimale del primo metatarso; 2° il tendine il tendine del muscolo estensore lungo dell’alluce, che, per decorso analogo, segue la faccia dorsale del primo metatarseo per giungere alle falangi dell’alluce; 3° i quattro tendini del muscolo estensore lungo delle dita, che divergono l’uno dall’altro e si dirigono verso il dito rispettivo; 4° il tendine del muscolo peroneo terzo che va ad inserirsi all’estremità

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prossimale del quinto metatarseo; 5° il tendine del muscolo peroneo breve, che ugualmente si fissa all’estremità prossimale del quinto metatarseo.

B) Fascia del muscolo estensore breve delle dita. Questa fascia si inserisce sul margine laterale del piede, si porta medialmente e ricopre l’intera superficie superiore del muscolo estensore breve delle dita. Medialmente passa sopra all’arteria dorsale del piede, e va a confondersi con la fascia dorsale superficiale in corrispondenza al tendine del muscolo estensore lungo dell’alluce.

C) Muscolo estensore breve delle dita. Si estende dalla radice del piede alle prime quattro dita. Origina prossimalmente dalla porzione antero-prossimale del calcagno e dei fasci fibrosi del seno del tarso. Di là si porta obliquo e si divide in quattro fasci carnosi, il primo di questi tendini va ad inserirsi all’estremità prossimale della prima falange dell’alluce; gli altri tre si portano al secondo, al terzo ed al quarto dito e terminano, a livello dell’articolazione metatarso-falangea sul margine laterale del tendine corrispondente del muscolo estensore lungo. Il muscolo estensore breve delle dita è un ausiliare del muscolo estensore lungo: estende le prime quattro dita sul metatarso.

D) Fascia dorsale profonda. Corrisponde ai muscoli interossei ed alla fascia dorsale delle ossa metatarsee. A causa della sua situazione e dei suoi rapporti, la si chiama fascia interossea dorsale.

E) Piano scheletrico e muscoli interossei dorsali.— Il piano scheletrico è costituito: 1° prossimalmente, dalla faccia dorsale delle ossa del tarso; 2° distalmente, dalla faccia dorsale delle cinque ossa del metatarso. Fra le ossa metatarsee si presentano i muscoli interossei.

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6 Vasi e Nervi.

A) Arterie. Ad eccezione di alcuni piccoli vasi derivanti dal ramo perforante dell’arteria peroniera e dalle arterie malleolari, tutte le arterie della regione dorsale del piede provengono dall’arteria dorsale del piede.

1a) Arteria dorsale del piede ( o pedidia) diretta continuazione dell’arteria tibiale anteriore, si porta obliqua in senso distale e laterale, verso l’estremità prossimale del primo spazio interosseo, che essa perfora dall’alto in basso, per invadere la regione plantare ed anastomizzarsi con la terminazione dell’arteria plantare laterale. Il suo decorso è esattamente rappresentato da una linea retta che riunisce la parte media dello spazio intermalleolare alla estremità prossimale del primo spazio interosseo; accompagnata da due vene ed avendo medialmente il ramo mediale del nervo tibiale anteriore, l’arteria dorsale del piede riposa sul piano scheletrico. Essa è in rapporto medialmente con il tendine del muscolo estensore lungo dell’alluce, lateralmente con il fascio mediale del muscolo estensore breve delle dita.

B) Vene. Della regione dorsale del piede si dividono in superficiali e profonde.

- Superficiali. Situate nel tessuto sottocutaneo, sono numerose e grosse, si distingue un’arcata trasversale con la concavità volta verso la gamba: è l’arcata venosa dorsale del piede. Dalle due estremità dell’arcata venosa dorsale partono due tronchi, la vena dorsale mediale e la vena dorsale laterale. Queste due vene dorsali si portano oblique in senso prossimale e, giunte al collo del piede, cambiano di nome: la prima diventa la vena piccola safena, la seconda la vena grande safena.

- Profonde. Seguono il decorso delle arterie: esse mettono alle vene dorsali del piede divengono le vene tibiali anteriori.

C) Linfatici. Si dividono in superficiali e profondi:

- Superficiali: formano una ricca rete in tutta l’estensione della regione. La maggior parte di essi, seguendo lo stesso decorso della vena grande safena,mettono ai linfonodi inguinali

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superficiali; solo un piccolo un piccolo numero accompagnano la vena piccola safena e vanno a terminare nei linfonodi poplitei.

- Profondi: meno numerosi, vanno ai linfonodi tibiali anteriori ed ai linfonodi poplitei seguendo il decorso dei vasi tibiali anteriori.

D) Nervi. Si dividono in due gruppi: in superficiali e profondi.

- Superficiali: distribuiti ai tegumenti, provengono dalle divisioni del nervo peroneo superficiale, ramo del nervo peroneo comune. I due nervi safeno e surale non forniscono che alcuni filamenti esili al margine laterale e mediale della regione.

- Profondi: presenti al di sotto della fascia, provengono dal nervo peroneo profondo, è collocato medialmente all’arteria dorsale del piede. Esso, all’ entrare nella regione del piede si divide in due rami: ramo laterale, si pone fra il tarso ed il muscolo estensore breve delle dita e si perde nella faccia profonda di questo muscolo; il ramo mediale, discende nel primo spazio interosseo e ad un livello incostante e in modo molto variabile si anastomizza sempre con il ramo del nervo peroneo superficiale che fornisce i nervi digitali dorsali secondo e terzo.

2.2 – Regione Plantare.

La regione plantare o pianta del piede essa comprende l’insieme delle parti molli che si dispongono nella faccia inferiore del piede. La pianta del piede rappresenta la parte con la quale l’uomo, nella stazione eretta, prende contatto con il suolo: è il piano di sostegno del corpo.

Limiti: 1° prossimalmente, una linea curva a concavità distale che la separa dalla regione posteriore del collo del piede; 2° distalmente, il solco digito-plantare, che la separa dalle dita; questo solco è fortemente curvo con concavità prossimale e si porta obliquo lateralmente e prossimalmente; 3° sui lati, due linee abbastanza irregolari, le quali dalle due estremità del margine prossimale si portano alle corrispondenti estremità della piega

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plantare; di queste due linee, quella mediale riunisce il margine mediale del calcagno al margine mediale dell’alluce, quella laterale si estende dal margine laterale del calcagno al margine laterale del quinto dito.

Forma ed esposizione: La regione plantare ha la forma di un quadrilatero allungato nel senso distale-prossimale, stretto prossimalmente che si allarga a mano a mano che si avvicina alle dita. Su un piede considerato normale e ben fatto, la sua parte media e specialmente il suo margine mediale, presenta una depressione in corrispondenza del quale il piede non riposa al suolo.

Infatti, se durante la deambulazione, si prende l’impronta del piede, si scorge che la regione plantare riposa sul suolo solo per il tallone, per la testa dei metatarsi e per una zona laterale che riunisce le teste dei metatarsei al tallone e misura, in larghezza, circa il terzo della larghezza della pianta.

Questa depressione o volta plantare, è dovuta alla disposizione architettonica del piede, presenta allo stato normale delle variazioni più o meno considerevoli.

L’esplorazione della regione plantare comprende, oltre all’ispezione, la palpazione. Le prominenze ossee del dito può riconoscere: 1° medialmente la tuberosità del primo metatarseo, situata sul punto di mezzo del margine mediale del piede; il tubercolo dell’osso navicolare, posto 2 cm dietro al precedente; il sustentacolo del talo, situato sul prolungamento del malleolo mediale, 2,5 cm sotto al margine distale di questo; 2° lateralmente e sul punto di mezzo del margine laterale del piede, la tuberosità del quinto metatarso; 3°prossimalmente, la parte prossimale della faccia distale del calcagno con le sue due tuberosità mediale e laterale.

Piani superficiali: costituiti da cute, tessuto connettivo sottocutaneo, vasi e nervi superficiali. A) Cute. Molto variabile nell’aspetto secondo i punti. Glabra dappertutto, è liscia e fina nei punti che corrispondono alla volta plantare e che non sono compressi durante la

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deambulazione della stazione eretta. Essa è dura e cornea nei punti di appoggio, specialmente sul tallone, sulle teste del primo, del terzo e del quinto metatarseo.

B) Tessuto connettivo sottocutaneo. La cute è soppannata da uno strato di tessuto adiposo, in corrispondenza della volta, dove essa tocca i 2 cm. I lobuli adiposi di questo strato sono imprigionati fra i setti fibrosi che vanno dal derma all’aponeurosi plantare e che impediscono di assottigliarsi estendendosi. Nel tessuto connettivo sottocutaneo si trovano tre borse sinoviali che esistono già dalla nascita. Sono: 1° la borsa sinoviale sottocalcaneale (posta sotto alla tuberosità distale del calcagno in contatto con la fascia); 2° la borsa sinoviale del primo metatarso (situata sotto alla testa di quest’osso); 3° la borsa sinoviale del quinto metatarso (disposta sotto la testa di quest’osso).

C) Vasi e Nervi superficiali. Le arterie provengono: 1° rami calcaneali dell’arteria tibiale posteriore; 2° nella parte intermedia e nella parte distale, dalle arterie plantare mediale e plantare laterale.

Le vene superficiali sono tutte piccole; i tronchi maggiori ed i tronchi minori che partono dalla rete seguono un vario decorso: prossimalmente, verso il tallone, giungono nella regione posteriore della gamba; medialmente e lateralmente contornano il margine corrispondente del piede, per passare nella regione dorsale; distalmente, si portano verso gli spazi interdigitali, che percorrono dal basso verso in alto per portarsi, nella rete venosa dorsale. Tutte queste vene superficiali sono aderenti alla faccia profonda della cute. I linfatici superficiali formano un’ abbondante che occupa tutta la regione, la maggior parte dei piccoli tronchi che ne emanano, si portano alla faccia dorsale del piede, e poi raggiungono i linfonodi inguinali superficiali. I nervi superficiali distribuiti alla cute, provengono da più sorgenti: 1° per il terzo prossimale della regione dal ramo calcaneale e dal ramo plantare del nervo tibiale; 2° per i due terzi distali, dal nervo plantare mediale e dal nervo plantare laterale; il limite fra i due territori plantare mediale e plantare laterale è rappresentato da una linea obliqua che parte dal margine mediale del piede, alla riunione del suo terzo distale con

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i due terzi prossimale, e che termina sulla radice del quarto dito. Sul margine mediale del piede vi sono inoltre dei fini rami provenienti dal nervo safeno. Tutti questi rami nervosi danno alla cute della regione plantare una sensibilità per la ricerca di certi riflessi cutanei (riflesso plantare); la sensibilità scompare in modo costante e rapido nella tabe dorsale. D) Aponeurosi plantare. Si incontra sotto la cute ed al tessuto sottocutaneo, che prossimalmente e sui lati si continua con la fascia del collo del piede e con la fascia dorsale del piede. Si divide in tre porzioni: 1° una porzione laterale, la fascia plantare laterale; 2° una porzione mediale o fascia plantare.

E) Strato sottofasciale. Sotto all’aponeurosi plantare, fra questa ed il piano interosseo, si trovano: 1° muscoli e tendini; 2° le guaine sinoviali di questi tendini; 3° vasi e nervi;

1°- Queste formazioni si dispongono in un certo numero di logge aponeurotiche.

- Loggia mediale: che rappresenta la loggia dell’eminenza tenar, contiene i muscoli dell’abduttore dell’alluce e del flessore dell’alluce nonché il tendine del muscolo flessore lungo dell’alluce. Troviamo anche l’inserzione terminale del muscolo tibiale posteriore e quella del muscolo peroneo lungo.

- Loggia laterale: contiene tre muscoli più o meno fusi tra loro ed inseriti tutti al quinto dito: i muscoli abduttore, flessore breve e opponente del quinto dito.

- Loggia intermedia: presente alla pianta del piede ed è la più importante delle tre logge. Delimitata sui lati dai due setti mediale e laterale, in basso dall’ aponeurosi plantare, in alto dallo scheletro tarso-metatarsale. Le formazioni muscolari e tendinee si dispongono in tre piani:

a) Su un primo piano incontriamo, il muscolo flessore breve delle dita, di forma quadrilatera, origina dalla tuberosità del calcagno, nonché dalla faccia profonda della aponeurosi plantare. Di là si dirige in senso distale, alla parte media del piede, si divide in quattro fasci carnosi, i quali non tardano a gettarsi su quattro tendini molto sottili, che divergendo si

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portano verso le quattro ultime dita e terminano fissandosi all’estremità prossimale della seconda falange.

b) Su un secondo piano posto più profondamente incontriamo:- il muscolo flessore lungo delle dita, che giunge nella regione plantare rappresentato da un semplice tendine, il medesimo all’uscita dal canale calcaneale, si porta obliquo in senso prossimale-distale ed in senso medio-laterale. – il muscolo quadrato della pianta piede è un piccolo muscolo appiattito e quadrilatero, situato nello spazio che separa il tendine m. flessore lungo delle dita dalle tuberosità del calcagno. Esso si divide in due fasci: un fascio mediale che si distacca dalla faccia mediale del calcagno di cui contribuisce a formare la parete prossimale-laterale; un fascio laterale, che prende origine dalla faccia plantare del calcagno in vicinanza alla tuberosità laterale. Questi due fasci, portandosi in senso distale, si fondono e vanno a fissarsi sul tendine per il terzo e su quello per il quarto dito.- i muscoli lombricali del piede si presentano in un numero di quattro, seguono lo stesso decorso dei tendini a cui sono annessi ed accollati, giunti nella parte distale della regione essi se ne separano per passare sotto al legamento trasverso del metatarso e giungere alla faccia dorsale delle dita.

c)Su un terzo piano, ancora più profondo troviamo il muscolo adduttore dell’alluce ed il tendine del muscolo peroneo lungo.

- 2°-Guaine sinoviali dei tendini. Fra i tendini che noi abbiamo trovato nello strato sottofasciale della pianta del piede, sono provvisti di guaine sinoviali che servono a facilitare il loro scorrimento. Queste guaine che incontriamo nella regione del collo del piede, restano limitate ad essa e non entrano nella regione plantare.

- 3°-Vasi e Nervi dello strato sottofasciale. Arterie: l’arteria plantare mediale e l’arteria plantare laterale, rami terminali dell’arteria tibiale posteriore.

L’arteria plantare mediale, la più piccola delle due, occupa la loggia mediale. Decorre in senso prossimale-distale fra i muscoli abduttore e flessore breve dell’alluce, separata dalla loggia intermedia ad opera del setto mediale, nel cui spessore è situata. Così l’arteria giunge

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sulla testa del primo metatarseo, sia anastomizzandosi con l’arteria digitale plantare mediale dell’alluce, sia fornendo essa stessa questo vaso. Nel suo decorso cede rami collaterali i quali terminano nei muscoli e nelle ossa della regione.

L’arteria plantare laterale, è molto più voluminosa, origina dal canale calcaneale e si porta obliquamente in senso prossimale-distale ed in senso medio-laterale, passando fra il muscolo flessore breve delle dita ed il muscolo quadrato della pianta del piede, e così giunge al setto laterale. Si pone nello spessore del setto stesso e si porta in senso prossimale-distale fino alla testa del quinto metatarseo. Cambiando direzione, l’arteria abbandona il setto e penetra nel pieno interosseo e cede numerosi rami collaterali.

Vene. Le vene sottofasciali, accompagnano le arterie. Le due vene satelliti di ciascuna arteria si mandano di tratto in tratto delle anastomosi trasversali ed oblique.

Linfatici. Seguono lo stesso decorso dei vasi sanguigni. Essi salgono sulla parte posteriore del collo del piede e della gamba e mettono capo ai linfonodi poplitei.

Nervi. Lo strato sottofasciale presenta due nervi, il nervo plantare mediale ed il nervo plantare laterale che rappresentano i rami terminali del nervo tibiale.

Il nervo plantare mediale fornisce rami muscolari per i muscoli adduttore e flessore breve dell’alluce, flessore breve delle dita e per il fascio mediale del muscolo quadrato della pianta del piede. Poi il nervo si divide in quattro rami divergenti, che si portano verso la radice delle prime quattro dita e formano i sette primi nervi digitali propri plantari. Di questi quattro rami, il primo decorre nella loggia mediale insieme con l’arteria plantare mediale; i tre seguenti si trovano nella loggia intermedia, fra il muscolo flessore breve delle dita ed i tendini del muscolo flessore lungo delle dita stesse. Il quarto ramo del nervo plantare mediale riceve un’anastomosi dal nervo plantare laterale; dal secondo e dal terzo ramo si staccano due piccoli filetti motori destinati ai primi muscoli lombricali.

Il nervo plantare laterale si porta obliquo in senso distale e lateralmente come l’arteria plantare laterale, che segue fedelmente, permettendo anche di raggiungere il tronco

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nervoso. Decorre fra il muscolo flessore breve delle dita ed il muscolo quadrato della pianta del piede, fornisce in questa prima porzione parecchi rami motori ed arriva all’estremità prossimale del quarto spazio interosseo.

Il nervo plantare laterale si divide in due rami: il ramo superficiale, avvicinandosi all’aponeurosi, incrocia l’arteria passandole innanzi e si dirige verso le ultime due dita fornendo i tre ultimi nervi digitali propri plantari;invece, il ramo profondo si avvicina, al piano scheletrico e, con l’arteria, passa sulla faccia plantare dei muscoli interossei.

A) Piano interosseo. Si presenta profondo rispetto allo strato sottofasciale; offre da considerare: 1° una fascia (la fascia plantare profonda); 2° dei muscoli (i muscoli interossei); 3° dei vasi e dei nervi.

a)Fascia plantare profonda. Si estende sulle ossa metatarsee e sugli spazi interossei. Distalmente si continua con il margine prossimale del legamento trasverso del metatarso; sui lati, si inserisce al margine laterale del primo metatarseo ed al margine mediale del quinto. Essa generalmente è male differenziata, difficilmente isolabile, piuttosto che una fascia è uno strato di tessuto connettivo lasso più o meno infiltrato di grasso.

b) Muscoli interossei. Si distinguono in muscoli interossei plantari ed in muscoli interossei dorsali, e sono appunto in un numero di sette: quattro dorsali per tutti i quattro spazi interossei; tre plantari;

c) Vasi e nervi del piano interosseo. Decorrono:

- Arteria plantare laterale. Dalla base del quinto metatarseo, si porta obliqua distalmente e medialmente, così giunge all’estremità prossimale del primo spazio intermetatarseo e termina anastomizzandosi con l’arteria dorsale del piede, la quale, da dorsale che era alla sua origine, si è fatta plantare. Questa porzione interossea dell’arteria plantare laterale, corrisponde all’arcata plantare profonda, soprattutto, nei casi nei quali vi sia una certa variabilità nella sua conformazione, variabilità illustrata negli schemi di Dubreuil-Chambardel. Essa emette: 1° dalla concavità, alcuni rami senza importanza, che si perdono

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nelle ossa e nelle articolazioni del tarso; 2° dalla convessità, le arterie metatarsee plantari; 3° dalla faccia dorsale, le arterie perforanti posteriori.

-Vene e linfatici. L’arcata arterioso plantare è accompagnata da due vene costituenti le arcate venose plantari: in certi casi sono molto voluminose. Quanto ai linfatici, essi seguono pure il decorso delle arcate venose ed arteriose e mettono ai linfonodi poplitei.

-Ramo profondo del nervo plantare laterale. Dopo aver fornito due filetti al terzo ed al quarto muscolo lombricale, decorre con l’arteria sul piano interosseo della regione e vi si risolve in rami divergenti, che innervano i muscoli interossei plantari e dorsali ed i due fasci obliquo e trasverso del muscolo adduttore dell’alluce.

B) Piano scheletrico. Lo scheletro della regione plantare distalmente è costituito dalla faccia plantare dei metatarsi, prossimalmente alla faccia plantare delle ossa del tarso (cuneiforme, navicolare, cuboide, astragalo, calcagno). Le diverse ossa nell’articolarsi fra loro formano una volta, potenti legamenti rivestono la faccia plantare delle ossa del tarso e contribuiscono a mantenere la solidità delle ossa stesse. Questi legamenti sono: 1° medialmente, il legamento calcaneo-navicolare plantare; 2° lateralmente, il legamento calcaneo-cuboideo.

2.3 –Dita

Le dita del piede, sono appendici, indipendenti tra loro, abbastanza mobili, che si distaccano dal suo margine distale e rappresentando la parte terminale del piede stesso. In un numero di cinque, si distinguono con i numerali primo, secondo, etc. procedendo in senso medio-laterale. Il primo dito è anche chiamato alluce ed il quinto, dito minimo. Le cinque dita differiscono fra loro per il volume e per la lunghezza. Quanto al volume, l’alluce supera sempre e di molto tutte le altre. L’alluce ha dimensioni relativamente grandi. Quanto alla lunghezza, il secondo dito, nella maggioranza dei casi, è il più lungo dei cinque; segue subito il primo dito e poi, per lunghezza decrescente, il terzo, il quarto ed il quinto. Quest’ultimo è così ridotto che la sua estremità distale corrisponde all’articolazione interfalangea

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dell’alluce. Nell’insieme, le cinque dita con la loro estremità libera descrivono una curva abbastanza regolare che ha la convessità diretta distalmente e lateralmente. Ciascun dito, come il piede, presenta due regioni, l’una dorsale; l’altra plantare.

- Regione dorsale delle dita.

- Limiti: sono abbastanza netti: 1° prossimalmente, dal lato del piede, una linea trasversale, che passa per gli spazi interdigitali; 2° distalmente, estremità libera delle unghie; 3° sui lati, due linee prossimali-distali, corrispondente ai margini delle falangi.

- Forma ed esplorazione: la regione dorsale delle dita, convessa trasversalmente, è più larga distalmente che prossimalmente. Essa non possiede pieghe di locomozione, solo in taluni casi l’alluce, a livello dell’articolazione interfalangea, ne presenta. L’esplorazione a causa delle deboli dimensioni delle dita e della sottigliezza delle parti molli, permette di riconoscere agevolmente lo scheletro e le interlinee articolari.

- Piani costitutivi. Nella regione dorsale delle dita troviamo: A) cute; B) tessuto connettivo sottocutaneo; C) strato tendineo; D) piano scheletrico.

A) Cute. Più sottile e più mobile che nella regione plantare, presenta qualche pelo in corrispondenza della prima falange e, alla base dei peli, le aperture di ghiandole sebacee; all’estremità distale della regione si trova l’unghia.

B) Tessuto connettivo sottocutaneo. Forma uno strato sottile, lamellare, poco carico in adipe, nel quale decorrono i vasi ed i nervi della regione.

C) Strato tendineo. Il piede è costituito dai tendini estensori, ciascuna delle quattro prime dita possiede due tendini, il tendine del muscolo estensore lungo ed il tendine del muscolo estensore breve. Questi due tendini restano distinti sull’alluce, dove il tendine del muscolo estensore breve si inserisce alla estremità prossimale della falange prossimale ed il tendine del muscolo estensore lungo si inserisce sulla falange distale; sulle tre dita i due tendini si

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confondono, ed il tendine unico così formato, va a fissarsi sulle due ultime falangi. Il quinto dito possiede un solo tendine, poiché il muscolo estensore breve delle dita non gli manda alcun fascio.

D) Piano scheletrico. Formato dalla faccia convessa delle falangi e dalla faccia dorsale delle loro articolazioni.

- Regione plantare delle dita.

Comprende l’insieme delle parti molli che si dispongono sulla faccia plantare delle falangi. - Limiti: I limiti sono quasi gli stessi di quelli della regione dorsale, cioè: 1° distalmente l’estremità libera dell’unghia; 2° sui lati, due linee prossimali-distali, corrispondenti ai margini delle falangi; 3° prossimalmente, il solco della piega digito-plantare è più breve.

- Forma ed esplorazione: La faccia plantare delle dita del piede convessa nel senso trasversale, concava nel senso prossimale-distale, presenta un certo numero di pieghe di locomozione; distalmente la faccia plantare termina con una estremità allargata e più o meno arrotondatache è la sola porzione di dito che si appoggia sul suolo.

-Piani costitutivi: la dissezione mostra successivamente nella regione plantare delle dita del piede:

A) Cute: sprovvista di peli e di ghiandole sebacee,nel suo insieme è spessa e poco mobile. Lo spessore varia a secondo i punti che si esaminano.

B) Tessuto connettivo sottocutane: essa è formata da fasci fibrosi che, partendo dalla guaina fibrosa dei tendini flessori, vanno a fissarsi alla faccia profonda del derma e circoscrivono fra loro un sistema di piccole concamerazioni nelle quali sta incastrati piccoli ammassi di tessuto adiposo. Nello spessore dello strato sottocutaneo decorrono i vasi ed i nervi.

C) Tendini flessori e loro guaine: ciascuna delle quattro ultime dita del piede, riceve due tendini flessori: 1° un tendine che è fornito dal muscolo flessore breve delle dita e che dopo

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essersi lasciato attraversare dal tendine del muscolo flessore lungo va a fissarsi sui lati dell’estremità prossimale della falange intermedia; 2° un tendine che proviene dal muscolo flessore lungo delle dita e va ad attaccarsi all’estremità prossimale della falange media, dopo essere passato per l’occhiello del precedente tendine (onde il nome di tendine perforante). L’alluce, al pari del pollice, ha un solo tendine flessore, quello del muscolo flessore lungo dell’alluce: esso si inserisce alla estremità prossimale della falange distale. -Piano scheletrico. E’ rappresentato dalla faccia plantare, concava, delle falangi e dalle articolazioni di queste ossa.

- Vasi e e nervi delle dita.

Arterie : Abbiamo per ciascun dito due arterie digitali plantari, l’una mediale, l’altra laterale. Provenienti dalle arterie metatarsee plantari, esse si portano in senso prossimale-distale seguendo ciascuna il corrispondente lato del dito. Così vanno fino al polpastrello, dove terminano formando una ricca rete. A queste arterie digitali plantari, si aggiungono delle arterie digitali dorsali, che provengono dalle arterie metatarsee dorsali e sono sempre di piccolissimo calibro.

Vene: delle dita si raccolgono in ciascun dito in due vene digitali, le quali si scaricano nella rete dorsale del piede.

Linfatici: formano una ricca rete superficiale in tutta l’estensione del dito; le maglie di questa rete sulla faccia plantare sono più fine e più strette che sulla faccia dorsale. I piccoli tronchi che ne partono, convergono, gli uni verso il lato mediale, gli altri verso il lato laterale del corrispondente dito e si riuniscono in quattro piccoli tronchi collaterali, due per ciascun lato. Questi linfatici collaterali si dirigono in senso prossimale parallelamente alle arterie digitali plantari rispetto alle quali sono situati superficialmente. Così essi giungono alla radice delle dita e di là passano nella rete dorsale del piede; da ultimo mettono ai linfonodi inguinali. Nervi: ciascun dito del piede riceve quattro nervi digitali propri che decorrono a due a due lungo i margini. Dei quattro nervi digitali, due si distribuiscono alla faccia plantare, sono i

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nervi digitali propri plantari, uno mediale, uno laterale. I due altri si distribuiscono alla faccia dorsale, sono i nervi digitali propri dorsali, che si distinguono in mediale e laterale. 1° Dei dieci nervi digitali propri plantari, i primi sette, procedendo dall’alluce al quinto dito, sono forniti dal nervo plantare laterale.

2° Dei dieci nervi digitali propri dorsali, i primi sette provengono dal nervo peroneo superficiale, ramo del nervo peroneo comune; i tre ultimi dal nervo surale, ramo del nervo tibiale.

2.4 Ossa ed articolazioni del piede.

Il piede è costituito da ventisei ossa, articolate fra di loro e disposte in tre gruppi che procedendo in direzione prossimale-distale sono: il tarso, il metatarso, le falangi delle dita. 1. Ossa del tarso. In un numero di sette, le ossa del tarso formano due serie:

1° una prima serie prossimale, che comprende l’astragalo in alto, il calcagno in basso; 2° una seconda serie distale, che comprende a sua volta, lateralmente, il cuboide, medialmente, il navicolare che porta sulla sua faccia distale i tre cuneiformi.

a) L’astragalo, osso fra i più importanti del piede, è il più elevato ed il più importante delle ossa che prendono parte alla formazione del piede. Esso presenta da considerare tre parti: 1) Una parte posteriore, il corpo che costituisce i tre quarti o anche i quattro quinti dell’osso. 2) Una parte anteriore arrotondata o testa.

3) Una parte intermedia più o meno ristretta, il collo.

Considerato nel suo insieme, il corpo dell’astragalo ha una forma irregolarmente cubica e presenta sei facce.

La testa dell’astragalo, articolare in tutta la sua estensione, è, arrotondata in forma di testa. Circoscritta prossimalmente e sui lati da un orlo netto che la separa dal collo, si continua distalmente con una faccetta allungata antero-posteriore, che si articola con la faccia

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prossimale del calcagno e che è separata dalla faccetta articolare della faccia distale del corpo ad opera del solco dell’astragalo.

Il collo, largo prossimalmente e sui lati, si restringe distalmente nello stesso tempo che si fa più profondo per formare il solco dell’astragalo. Esso da inserzione a numerosi legamenti. L’astragalo, in realtà è formato da due ossa: un osso anteriore voluminoso. Che costituisce quasi tutto l’astragalo, un osso posteriore, molto piccolo, che forma il labbro laterale del solco per il muscolo flessore lungo dell’alluce: è l’os trigonum che si salda al corpo dell’ astragalo già durante la vita fetale;può avvenire che tale fusione non avvenga e resti separato per tutta la vita per mezzo di una cartilagine iuxtaepifisaria.

Quanto alla struttura, l’astragalo è costituito da tessuto spugnoso avviluppato da un sottile strato di tessuto compatto. Esso è incrostato di cartilagine articolare su quasi tutte le facce e, perciò, è molto imperfettamente provvisto di periostio. Le travate di tessuto spugnoso presentano nell’astragalo una speciale disposizione in modo da distribuire sui pilastri delle due volte plantari le pressioni che vengono trasmesse dalla gamba al piede o in senso inverso.

a) Il calcagno, l’osso più voluminoso del tarso, è allungato in senso prossimale-distale ed appiattito trasversalmente. Presenta una forma irregolarmente cuboidale, può essere diviso in tre porzioni: 1) corpo, che forma lo scheletro del tallone, 2) la grande apofisi, che si articola in avanti con il cuboide, 3) la piccola apofisi, che sormonta in alto e in avanti la doccia calcaneare. Nella faccia plantare dell’osso si può osservare il tubercolo calcaneare per l’inserzione del legamento calcaneocuboideo plantare. Medialmente vi è una ossea che, ricordando una piattaforma sulla quale si appoggia l’astragalo, è chiamata sustentaculum tali. La sua superficie inferiore presenta il solco per il tendine del flessore lungo dell’alluce. Nella sua faccia superiore troviamo le faccette articolari per l’astragalo. Fra la faccetta mediale e faccetta posteriore vi è il canale calcaneare. Nella faccia laterale vi è il seno del tarso, la prosecuzione del canale astragalico e del canale del calcagno, dove essi si

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congiungono. La faccia laterale presenta una prominenza ossea che separa i tendini peroneali, nota come tubercolo peroneale. Dietro vi è il solco per il peroneo lungo e davanti passa il peroneo breve. Infine, la faccia anteriore contiene la faccetta articolare per il cuboide.

b) Il navicolare, appiattito nel senso distale-prossimale, convesso distalmente fortemente scavato in direzione prossimale. Vi si considera: 1° una faccia distale, convessa e divisa da due creste smusse in tre faccette articolari, ciascuna delle quali corrispondente ad uno dei tre cuneiformi; 2° una faccia prossimale, pure articolare, concava, che riceve la testa dell’astragalo; 3° due margini, uno dorsale l’altro plantare; 4°due estremità, una laterale mal delimitata, l’altra mediale sporgente sulla quale si impianta il tendine del muscolo tibiale posteriore.

c) I tre cuneiformi, stanno incuneati fra il navicolare, il cuboide ed i quattro metatarsei. Ciascuno di essi presenta: 1° una faccia prossimale, che si articola con l’osso navicolare; 2° una faccia distale, pure articolare e corrispondente ai metatarsei; 3° una faccia mediale, sottocutanea per il primo cuneiforme, articolare per gli altri due; 4° una faccia laterale, pure articolare; 5° una base, che fa parte della regione dorsale del piede; 6° un apice, sottile e quasi tagliente, che corrisponde alla pianta del piede.

d) Il cuboide, situato innanzi al grande processo del calcagno, di cui prolunga la direzione, ha la forma di un cubo irregolare e possiede 6 facce: 1° faccia superiore: inclinata verso l’esterno in continuità con la faccia laterale del calcagno; 2° faccia inferiore: è attraversata obliquamente da una cresta la tuberosità del cuboide; 3° faccia anteriore: è divisa da una cresta verticale in due facette articolari: una mediale per il 4° metatarsale, una lateralenper il 5° metatarsale; 4° faccia posteriore: presenta una faccetta articolare calcaneare disposta a sella, cioè concava verticalmente e convessa trasversalmente; 5° faccia mediale presenta due faccette articolari: una posteriore lo scafoide, una anteriore per il terzo cuneiforme; 6°

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faccia laterale, più piccola di tutte, corrisponde al margine esterno del piede e forma una cresta intaccata dalla doccia del peroneo lungo.

2) Ossa del metatarso.

Le ossa del metatarso, sono in un numero di cinque ed appartengono alla classe delle ossa lunghe. Presentano: 1° corpo, prismatico triangolare, concavo in basso; 2° una estremità prossimale o base, con cinque faccette, due non articolari e tre articolari appiattita trasversalmente. Qui, il primo metatarseo è il più breve, ma è anche il più voluminoso; la sua estremità prossimale si prolunga in senso plantare e laterale in un processo più o meno sviluppato, la tuberosità del primo metatarseo, che serve all’inserzione del muscolo peroneo lungo. L’estremità prossimale del quinto metatarseo si prolunga in senso prossimale e laterale in un forte processo, la tuberosità del quinto metatarseo, su cui si impianta il tendine del muscolo peroneo breve.

3) Falangi.

Le falangi formano lo scheletro delle dita. In un numero di tre per dito (salvo per l’alluce, che ne ha soltanto due) esse presentano una leggera angolazione dorsale sull’asse dei metatarsei e un’inflessione plantare della terza falange.

4) Ossa Soprannumerarie.

Oltre alle ossa sesamoidi situate in corrispondenza del 1° metatarsale (e talora del 2° e del 5°) è da segnalare la possibile esistenza di ossa soprannumerarie.

Ricordiamo: l’ osso trigonale (Os Trigonum) situato dietro l’astragalo. Lo scafoide accessorio, che sembra staccarsi dalla tuberosità mediale. L’ osso vesaliano, situato dietro la tuberosità del quinto metatarsale. L’ osso intermetatarsale, incastrato tra le basi primi due metatarsi. Il cuboide accessorio, intercalato fra cuboide e scafoide. L’ osso peroniero situato

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sulla faccia esterna del cuboide, che bisogna distinguere dal sesamoide del lungo peroneo laterale. Infine, certe ossa del tarso, come lo scafoide, il cuboide a il cuneiforme, possono essere suddivise, partendo da due punti di ossificazione che evolvono senza saldarsi: sono le ossa bipartite.

2.4 Articolazione astragalo-calcaneale. Detta anche articolazione sottoastragalica, l’articolazione astragalo-calcaneale unisce la faccia superiore del calcagno alla faccia inferiore dell’astragalo.

a) Superfici articolari : è una doppia artroidia, costituita da due faccette: 1° faccetta prossimale-laterale convessa nel senso trasversale sul calcagno, incavata sull’astragalo; 2° faccetta distale-mediale, oblunga concava sul calcagno, è leggermente convessa sull’astragalo; spesse questa faccetta è sul calcagno divisa in due faccette secondarie, l’una prossimale, l’altra distale.

Anche sull’astragalo, la faccetta distale-mediale e la faccetta prossimale.laterale sono separate da un solco rugoso; i due solchi, formano nell’insieme uno scavo profondo, detta seno del tarso. Il seno del tarso contiene il legamento interosseo dell’articolazione sottoatragalica. Obliquamente diretto in senso laterale e distalmente, al pari delle stesse faccette, esso è stretto nella sua parte mediale,è molto più largo alla sua estremità laterale. c) Mezzi di unione: Tre legamenti tengono uniti l’astragalo al calcagno, cioè: 1° due legamenti calcaneali periferici, l’uno laterale, l’altro posteriore; 2° un legamento talo-calcaneale interosseo.

I legamenti talo-calcaneali periferici, sottili e poco resistenti, presentano solo un interesse secondario.

I legamenti talo-calcaneali interosseo ha una grande importanza, è il vero legamento, dell’articolazione sottoastragalica, quello che mantiene in contatto le superfici articolari; occupa il seno del tarso.

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d) Movimenti: I movimenti, di cui l’articolazione è la principale sede, sono solamente due, cioè l’adduzione e l’abduzione del piede sulla gamba o più esattamente, sull’astragalo intimamente unito all’incastro tibio-peroneale.

2.5 Articolazione mediotarsica.

Articolazione di Chopart, comprende due distinte articolazioni: l ‘una talo-navicolare; l’altra calcaneo-cuboidea. La prima è una enartrosi; la seconda appartiene al genere delle articolazioni a sella; come mezzi di unione dell’articolazione mediotarsica, abbiamo: 1° dei legamenti propri all’articolazione talo-navicolare; 2° dei legamenti propri all’ articolazione calcaneo-cuboidea; 3° un legamento comune alle due articolazioni.

L’articolazione mediotarsica possiede due distinte sinoviali: una laterale, per l’articolazione calcaneo-cuboidea; l’altra mediale, per l’articolazione talo-navicolare. Quest’ultima si confonde con la sinoviale dell’articolazione talo-calcaneale mediale. Le due sinoviali spacialmente, quella dell’articolazione calcaneo-cuboidea, presentano piccoli diverticoli che passano fra le fibre dei legamenti dorsali e che, qui come al polso ed al collo del piede, possono essere punto di partenza di cisti sinoviali. I movimenti del piede che si fanno nell’articolazone mediotarsica, sono quelli delle diartrosi, cioè la flessione e l’estensione, l’adduzione e l’abduzione, la rotazione mediale e la rotazione laterale.

Ma, come i movimenti di flessione e di estensione si fanno specialmente nell’articolazione talo-crurale ed i movimenti di adduzione e di abduzione nell’articolazione sottoastragalica, così i movimenti di rotazione si eseguono nell’articolazione mediotarsica.

2) Articolazione fra le ossa della serie distale del tarso.

Comprendono:

1° l’articolazione del navicolare con il cuboide; 2° l’articolazione del navicolare con i tre cuneiformi;

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24 3° le articolazioni fra i tre cuneiformi;

4° l’articolazione del cuboide con il terzo cuneiforme;

Tutte queste articolazioni appartengono alla classe delle artrodie.

Le superfici articolari sono rappresentate da faccette piane. I mezzi di unione sono costituiti da legamenti dorsali e plantari e, per qualche articolazione da legamenti interossei.

2.6 Articolazione tarso-metatarsica.

L’articolazione tarso-metatarsica, nota con il nome di articolazione di Lisfranc, unisce le cinque ossa del metatarso ai tre cuneiformi ed al cuboide; morfologicamente, l’articolazione tarso-metatarsica offre una serie di artrodie, le cui faccette, occupano la parte distale dei tre cuneiformi e del cuboide e dall’altra parte, l’estremità prossimale dei cinque metatarsei. Così il primo metatarseo si articola con il primo cuneiforme per mezzo di una faccetta in forma di mezzaluna, ad asse maggiore verticale ed a concavità diretta lateralmente. Il secondo metatarseo, per mezzo di quattro faccette si articola con tre cuneiformi; queste tre ossa, per riceverlo si dispongono a formare un incastro, nel quale penetra l’estremità del metatarseo. Il terzo metatarseo si unisce alla faccia distale del terzo cuneiforme per mezzo di una superficie triangolare con base dorsale. Infine, il quarto ed il quinto metatarseo si articolano l’uno e l’altro con la faccia distale del cuboide: il quarto per mezzo di una facccetta quadrangolare, il quinto per mezzo di una faccetta triangolare con apice laterale. L’ articolazione tarso-metatarsica come mezzi di unione presenta tre specie di legamenti: legamenti dorsali, legamenti plantari e legamenti interossei. Ordinariamente esistono tre sinoviali nell’articolazione tarso-metatarsica: una per il primo metatarseo, una per il quarto ed il quinto, una per il secondo ed il terzo. Le due prime sono indipendenti. L’ultima comunica con le sinoviali dell’articolazione navicolo-cuneiforme per mezzo degli spazi che separano i cuneiformi. I metatarsei eseguono sul tarso solo semplici movimenti di scorrimento. Il quarto

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ed il quinto sono più mobili; vengono poi, per ordine di mobilità decrescente, il primo, il terzo e, il secondo.

2.7 Articolazioni intermetatarsee, articolazioni metatarso-falangee, articolazioni interfalangee delle dita del piede.

a) I pezzi ossei del metatarso, salvo il primo che resta indipendente, si articolano fra di loro alla loro estremità prossimale per mezzo di faccette irregolari mantenute da legamenti dorsali, plantari ed interossei. Esse sono riunite alla loro estremità distale da un legamento, il legamento trasverso del metatarso. Ciascuna articolazione intermetatarsea possiede una sinoviale, la quale è un semplice diverticolo di quella dell’articolazione tarso-metatarsica. b) Le articolazioni metatarso-falangee offrono come superfici articolari: 1° dal lato del metatarseo, una testa appiattita trasversalmente;

2° dal lato della falange, una cavità glenoidea, che si trova ingrandita da una fibrocartilagine, la fibrocartilagine glenoidea.

Nell’alluce, questa fibrocartilagine possiede nel suo spessore due sesamoidi;

Le articolazioni interfalangee sono costituite, dalla parte dell’estremità distale della falange, da una vera troclea e, dalla parte dell’estremità prossimale, da due piccole cavità glenoidee ingrandite da una lamina fibrocartilaginea. Una membrana fibrosa e due legamenti collaterali mantengono le superfici articolari in contatto: una sinoviale riveste la superficie interna della membrana fibrosa.

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26 3. Biomeccanica

Il sostegno dell’avampiede è stato molto discusso, e sono state avanzate diverse teorie: precisamente, è stato osservato che l’avampiede è sostenuto soltanto dalle teste del primo e quinto metatarso: fra queste, le altre formerebbero un’arcata anteriore a concavità del piede.

Leliévre ha modificato tale teoria, descrivendo il primo e il quinto metatarso come punti di sostegno immediati, coi metatarsi centrali che sopportano pressione solo indirettamente e in certe circostanze biomeccaniche.

Solo i metatarsi centrali sostengono il carico, per la presenza di callosità nella parte media della faccia plantare dell’avampiede.

Pisani ha rivelato l’importanza del sostegno anteriore del quarto metatarso, specialmente nella posizione in piedi.

Tutti i metatarsi sostengono il carico dimostrato dagli studi di Morton con l’apparecchio statisticometro. Vi è solo una distinzione: il primo metatarso sopporta un carico doppio degli altri.

A favore di tale teoria possiamo effettuare le considerazioni seguenti:

Embriologia: Nell’evoluzione del feto, all’inizio il primo raggio è distinto dal secondo e poi si avvicina e si rende parallelo agli altri con tendenza progressiva allo sviluppo del primo raggio con proporzionale diminuzione degli ultimi. Spesso il quinto dito perde una delle sue falangi e le articolazioni distali tendono ad anchilosarsi.

Le cause che intervengono nel determinismo delle metatarsalgie, agiscono con il concorso del movimento; la loro patogenesi è dunque essenzialmente cinetica e quindi l’analisi deve essere cinematica. Il piede è l’organo deputato al sostegno del corpo ed alla sua traslazione; per conoscerne la funzione è necessario osservarlo nel contesto generale della sua

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utilizzazione, cioè nell’atto della deambulazione; pertanto, esso deve essere studiato tenendo presente l’insieme dell’architettura che interessa tutto l’arto inferiore.

Il bacino è chiamato in causa per il passo pelvico; esso partecipa alla deambulazione formando il susseguirsi di movimenti dinamici che provocano il passo; una successione di passi compone la deambulazione, considerata giustamente da Lelièvre l’esercizio fisico più fisiologico.

Il piede è stato considerato e paragonato ad una volta, composta di due arcate longitudinali, unite posteriormente nel calcagno ed anteriormente dell’arcata trasversa, che chiude la cupola dalla testa del I a quella del V metatarsale.

Il retropiede in funzione dell’avampiede. I movimenti fondamentali del piede sono la

risultante dei movimenti che compaiono in diverse articolazioni; si tratta di movimento complessi che sono la somma di movimenti semplici. L’insieme di questi movimenti complessi da dei movimenti globali che costano di una eversione ed inversione totale del piede. Questi movimenti globali sono l’espressione finale del sommarsi di tanti movimenti semplici volti in senso mediale e plantare o in senso laterale e dorsale.

Per flessione dorsale e per flessione plantare si intende l’avvicinamento o l’allontanamento del piede dalla cresta tibiale; questa definizione che fa riferimento semplicemente al movimento che avviene a livello della tibiotarsica. La supinazione e la pronazione sono movimenti di rotazione sull’asse longitudinale del piede, cioè nella supinazione la pianta del piede guarda in dentro, verso il piano sagittale corporeo, mentre nella pronazione la pianta guarda in senso contrario, cioè verso la faccia esterna, peroneale; questi movimenti possono essere indipendenti da quelli del retropiede.

L’abduzione e l’adduzione allontanano o avvicinano l’estremità distale del piede alla linea mediana, senza modificare l’orientamento della puleggia astragalica; l’astragalo non può ruotare sull’asse della verticale della gamba in maniera apprezzabile.

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La rotazione interna e l’esterna non modificano i rapporti intrinseci degli elementi scheletrici del piede; questi due movimenti avvengono sull’asse longitudinale della gamba. L’abduzione-adduzione si misura col movimento dell’asse longitudinale del II metatarsale sulla perpendicolare dell’asse della tibiotarsica, mentre, la rotazione interna ed esterna non modificano i rapporti intrinseci degli elementi scheletrici del piede; questi due movimenti avvengono sull’asse longitudinale della gamba.

L’abduzione-adduzione si misura col movimento dell’asse longitudinale del II metatarsale sulla perpendicolare dell’asse della tibiotarsica, mentre, la rotazione interna ed esterna si misurano a soggetto seduto sulla sedia, considerando lo spostamento dell’asse del II metatarsale sulla proiezione al suolo dell’asse femorale.

La rotazione del piede, quando avviene in ortostasi è conseguenza o di una lassità patologica a livello della pinza malleolare o più frequentemente, del ginocchio, oppure ancora ad un movimento di rotazione dell’anca più precisamente del bacino sulla testa femorale con il piede fissato al suolo.

In questo caso il bacino prende punto fisso sulla testa del femorale di un lato e ruota dalla parte interna e dalla parte esterna; in questa situazione si ha come movimento contrario distale la rotazione interna o esterna del piede, rispetto all’asse del corpo.

La somma di questi movimenti complessi costituisce la capacità di movimento globali che agiscono nell’indispensabile adattamento al terreno, durante lo svolgimento del passo. Partendo dalla posizione intermedia, quale quella che assume il piede poggiante sul suolo piano in posizione bipodale, definiamo inversione la flessione plantare accompagnata da supinazione ed adduzione, invece, per eversione del piede intendiamo la flessione dorsale associata a pronazione ed abduzione.

Quest’ultima si definisce eversione totale quando interviene in questo movimento sia il retropiede sia l’avampiede, mentre quando interviene solo l’avampiede, in realtà non si dovrebbe parlare di eversione.

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Data la solidarietà del II e III metatarsale al tarso, ne consegue che nei movimenti di varo e valgo che avvengono a livello delle articolazioni sotto-astragaliche, solamente i due raggi metatarsali centrali subiscono tali spostamenti rotatori.

La prono-supinazione dell’avampiede è data da un movimento combinato di flesso-estensione delle palette metatarsali laterale e mediale, e la flesso-estensione dorsale del I metatarsale rispetto al II raggio, accompagnata dalla flessione del V raggio, sviluppa la supinazione. La pronazione avviene per un movimento contrario.

Il fisiologico varo-valgismo del retropiede, detto anche sovente ab-adduzione del calcagno, avviene a livello della sottoastragalica per un motivo di scivolamento del calcagno sulle sue facce articolari superiori. Nel valgismo, la porzione anteriore del calcagno si porta all’esterno, abducendosi e sottraendosi quindi alla testa astragalica che tende a cadere in basso e medialmente. Nel varismo si osserva uno spostamento diametralmente opposto dei rapporti astragalo-calcaneari. Quando il valgismo calcaneale si associa un appianamento della volta longitudinale mediale, con un eversione totale, quasi tutto il peso che dovrebbe essere scaricato al suolo attraverso i raggi esterni metatarsali, viene invece ad essere diretto verso il I raggio. Infine bisogna ricordare come le condizioni di talismo ed equinismo modifichino la direzione dei carichi a livello del retropiede e dell’avampiede.

Il piede nella statica. I muscoli brevi a livello del piede sono considerati, come dei parenti

poveri; al contrario essi rappresentano delle forze che esprimendosi attraverso vettori semplici conducono a movimenti complessi a livello del piede. Il piede non sopporta solamente il peso del corpo come un oggetto, risponde alle sollecitazioni assoggettandosi al principio dell’uguaglianza fra azione e reazione e si vedrà come sia interessante il gioco muscolare anche nella fase oscillante del passo, specie in un piede calzato, con le reazioni a cui è costretto dalla calzatura. Il m. tibiale anteriore trazionando verso alto sostiene la volta plantare, ma la forza impiegata nel mantenimento della volta non è superiore a quella esercitata dal peso di un dito, il che equivale a poco. Quando il piede portante è a piatto sul

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terreno, la ripartizione dei carichi tende ad allungare la volta plantare abbassandola; per impedirlo sarebbe necessaria una forza della stessa entità del peso corporeo; l’azione della sua forza termina sulle teste metatarsali ed il calcagno non rappresenta che una puleggia, quindi il piede umano si presenta come un sistema muscolare digastrico con un punto di incontro sul calcagno. I due ventri carnosi sono forze equivalenti ed equilibrate per cui ogni ventre si adatta lunghezze differenti, ma la forza è la stessa; l’eccesso o l’insufficienza di forze da un lato o dall’altro provoca lo squilibrio;

L’avampiede in funzione del retropiede. L’analisi dinamica dell’appoggio plantare

dimostra la presenza di forze di pressione e trazione; la pressione è rappresentata dal peso del corpo e varia continuamente da un punto a livello del piede, mentre, le forze di trazione sono rappresentate dai muscoli che si inseriscono sul piede e che, direttamente o indirettamente, agiscono come motori di leve. La posizione in ortostasi non è statica ma essenzialmente dinamica; il centro di gravità dell’uomo è piazzato in alto e nella stazione eretta l’equilibrio è assicurato dall’azione continua del tono e delle contrazioni muscolari. Il nostro equilibrio è essenzialmente dinamico, le forze che agiscono sul piede sono diverse e variano continuamente, passando da zero quando il piede è in scarico fino alla totalità del peso corporeo quando il è in appoggio monopodalico. Gli sforzi dinamici nel momento della spinta, risentono sia dell’entità delle forze sia della variazione del loro punto di appoggio. Il metatarso a sua volta riceve i carichi, li modifica ed in alcuni casi li rifiuta distribuendoli ad altri segmenti, a seconda della situazione.

La posizione è la risultante di diversi fattori fra cui: 1) rapporto spaziale fra piede e terreno, 2) il rapporto spaziale fra i vari componenti del piede, 3) il grado di contrazione dei singoli gruppi di muscolari, 4) la tensione ligamentosa conseguente alle diverse situazioni scheletriche. I ligamenti entrano in tensione a seconda della posizione dello scheletro e della trazione muscolare; gli stimoli propriocettori nati dai ligamenti stessi sono influenzati dallo stato di quiete o di sollecitazione dei medesimi ligamenti per cui la direzione e l’entità dei

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carichi sono dipendenti anche dall’attività muscolare e falle sollecitazioni legamentose. In ortostasi la distribuzione dei carichi segue vie diverse archi consente uno scarico del peso sempre efficiente, durante la stazione eretta, a causa dei riflessi di postura. Il complesso degli archi permette una distribuzione più uniforme del peso al suolo durante lo spostamento del baricentro, di entità tale da non superare il perimetro dei piedi. Quando il tratto più anteriore del piede, a livello del III metatarsale, prende contatto con il suolo, è abbassato e sollecitato da carico fino a disporsi sullo stesso piano. Nella fase di appiombo del baricentro le teste metatarsali ricevono lo scarico anteriore del peso corporeo; quando viene traslato in avanti, il baricentro si sposta in avanti e lo scarico del peso si trasferisce a livello delle dita che hanno funzione di aumentare ed allungare in avanti la base di appoggio, non in modo statico, ma anzi in maniera quanto mai attiva e dinamica. Le falangi rappresentano il prolungamento funzionale e dinamico dei metatarsali, assicurando la posizione eretta e garantendone l’equilibrio.

4.Tecniche chirurgiche. La tecnica mininvasiva

La chirurgia mininvasiva nasce negli Stati Uniti indicativamente negli anni trenta del Novecento, dall'intuizione del podologo e chirurgo Stephen Isham, con la collaborazione del chirurgo spagnolo Mariano de Prado (il quale diffuse in Europa la conoscenza di questa tecnica).

L’aspetto peculiare della tecnica mininvasiva è la pratica delle cosiddette “mini incisioni” che, come ci suggerisce il nome, sono le più piccole incisioni possibili, attraverso le quali poter effettuare gran parte dei gesti chirurgici eseguiti nella chirurgia tradizionale.

I gesti chirurgici eseguiti in maniera percutanea riguardano sia i tessuti molli, come per esempio capsulotomie e tenotomie, sia le parti ossee, ad esempio esostectomie e osteotomie.

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Per fare questo la tecnica mininvasiva si avvale di uno strumentario particolare che comprende micro lame, micro bisturi, frese dal diametro di 2 mm, piccole raspe e spatoline poiché i tradizionali strumenti chirurgici non potrebbero essere usati attraverso incisioni così piccole, spesso di pochi millimetri. Tutto questo lavoro nel piccolo “a cielo chiuso” comporta notevoli vantaggi, sia per il paziente (per quanto riguarda per esempio il dolore post-operatorio assai ridotto), ma anche per l'azienda ospedaliera (in fatto di spese di ricovero), poiché questa tecnica permette di operare in regime di Day Surgery.

Il dolore post operatorio, come accennato, è molto modesto proprio perché la tecnica mininvasiva mira al mantenimento dei tessuti molli e non necessita di mezzi di sintesi per stabilizzare le osteotomie. Gli interventi in mininvasiva vengono svolti in anestesia locale e hanno tempi chirurgici molto brevi, cosa che facilita il rapido recupero post operatorio. La stabilizzazione delle osteotomie è resa possibile grazie al fatto che il periostio e le parti molli sono salvaguardate e svolgono una funzione di “manicotto” contenitivo. Inoltre, viene effettuato un accurato bendaggio post operatorio che deve mantenere il dito operato in ipercorrezione, svolgendo quindi la funzione dei mezzi di sintesi.

In alcuni casi si possono avere complicanze, simili a quelle riscontrabili in chirurgia aperta (come per esempio ritardi di consolidazione o pseudoartrosi) che vengono trattati semplicemente mantenendo più a lungo il bendaggio correttivo post operatorio.

Possono presentarsi infezioni locali, facilmente monitorabili con antibiotico, terapia e drenaggio, e inoltre, anche se molto raramente, possono esserci lesioni vascolari o nervose. Le osteotomie in questi ultimi due casi necessitano di reintervento solo se insorgono problemi di deformità e dolore.

In un intervento al piede in chirurgia mininvasiva devono essere seguite precise indicazioni anche per quanto riguarda la tecnica anestesiologica; il paziente deve essere in grado di muovere volontariamente le dita per permettere al chirurgo di poter controllare la correttezza dei gesti chirurgici. L'anestesia viene chiamata “blocco di caviglia” e viene effettuata con

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cinque infiltrazioni di anestetico corrispondenti alle cinque diramazioni nervose provenienti dal nervo sciatico che arrivano al piede.

Vengono anestetizzati il nervo tibiale, che decorre dietro il malleolo interno e proviene dalla divisione del nervo sciatico al cavo popliteo; il nervo safeno, satellite della vena grande safena e quindi posto davanti al malleolo interno; il peroneo profondo, diramazione del nervo peroniero comune proveniente dallo sciatico e posto lateralmente al polso dell'arteria pedidia, due dita sotto l'interlinea anteriore fra i due malleoli; il nervo surale, anastomosi fra nervo cutaneo mediale e laterale del polpaccio che originano dalle diramazioni dello sciatico; infine viene effettuato il blocco del nervo peroneo superficiale, ramo laterale del peroniero comune, in corrispondenza dell'interlinea anteriore fra i due malleoli.

I pazienti trattati con questa tecnica chirurgica hanno di solito una gravità clinica di alluce valgo di lieve o media entità, quindi con un angolo intermetatarsale (IMA) intorno ai 10°-15°.

Il primo tempo chirurgico è quello durante il quale viene eseguita l'esostosectomia. Viene incisa la capsula articolare e introdotta la fresa del diametro di 2 mm la cui posizione è controllata con il fluoroscopio, macchinario che emette raggi X (come nelle normali radiografie) che permette di vedere le strutture anatomiche in tempo reale.

Viene quindi rimossa tutta quella pseudoesostosi che non si articola con la falange prossimale dell'alluce e, attraverso l'incisione, viene spremuta la pasta d'osso, un composto di sangue e polvere d'osso della pseudoesostosi appena fresata. Successivamente, viene spento il motore della fresa che viene poi estratta.

Il secondo tempo chirurgico comprende la tenotomia del capo falangeo dell'adduttore dell'alluce e la capsulotomia laterale.

Il bisturi di tipo Beaver viene introdotto, attraverso una seconda incisione, medialmente all'estensore lungo dell'alluce e poi ruotato di 90° facendolo penetrare in articolazione;

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la sua posizione è controllata mediante il fluoroscopio.

Vengono incisi capsula e tendine e questo gesto chirurgico è accompagnato da un rumore caratteristico (la correttezza di questa operazione può essere valutata dall'immediata maggior mobilità del primo dito).

Nel terzo tempo chirurgico viene effettuata una osteotomia incompleta a cuneo distale del primo osso metatarsale (secondo Reverdin-Isham).

È detta “incompleta” poiché vengono rispettati un po' di osso e di periostio, cosicchè ci possa essere una funzione di cerniera che aiuta a consolidare l'osteotomia.

Questa viene eseguita in senso dorso-distale planto-prossimale con una inclinazione di 45° e la fresa per l'osso è introdotta attraverso la prima incisione, quella usata per la rimozione della pseudoesostosi nel primo tempo chirurgico.

Il quarto tempo chirurgico prevede una osteotomia della prima falange dell'alluce mirata alla correzione del valgismo interfalangeo se presente; questo diminuisce la tensione tendinea, e quindi rende più rettilinei i decorsi del flessore lungo dell'alluce e dell'estensore lungo dell'alluce.

L'incisione è dorsale paratendinea, a livello del primo terzo prossimale della falange; questa osteotomia è detta di Akin ed è anch'essa un'osteotomia incompleta.

Il quinto tempo consiste nel bendaggio che mira a stabilizzare l'osteotomia svolgendo quindi il ruolo dei mezzi di sintesi. Non vengono di solito eseguite suture poiché incisioni così piccole cicatrizzano molto facilmente in modo autonomo.

Il primo strato del bendaggio ricopre queste piccole incisioni, il secondo strato è applicato a cravatta per tenere in ipercorrezione le deformità, e infine si applica un bendaggio elastico per fissare il tutto.

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35 La tecnica PDO

La tecnica PDO fu codificata dal chirurgo Bosch e poi successivamente introdotta in Italia dal chirurgo Bruno Magnan a metà degli anni novanta.

E' considerata un'evoluzione della chirurgia tradizionale a cielo aperto per alluce valgo in quanto l'osteotomia è praticata attraverso un'incisione minima ed è poi “stabilizzata e non fissata” per mezzo di un filo di Kirschner.

Questa tecnica prende il nome di “osteotomia distale percutanea” perché si effettua una frattura chirurgica a livello distale del primo osso metatarsale in sede extrarticolare con accesso percutaneo.

L'osteotomia è uniplanare, ma consente correzioni multiplanari della deformità: slittamento latero-mediale e rotazione sul piano frontale per correggere l'eventuale pronazione associata al valgismo.

Vengono qui di seguito descritti i vari tempi chirurgici di questa tecnica.

Il primo tempo chirurgico consiste nell'inserzione di un filo di Kirschner in senso disto-prossimale attraverso il margine mediale del primo dito e fissato in posizione extraperiostale. Questa operazione mira a stabilizzare il dito prima dell'esecuzione dell'osteotomia

Il secondo tempo prevede un'incisione di circa 1,5 mm in corrispondenza dell'aspetto mediale del collo del primo osso metatarsale attraverso la quale si attua lo scollamento del periostio, prima dorsalmente poi plantarmente per tenere scostati i tessuti molli dalla sede dell'osteotomia.

Durante il terzo tempo viene azionata la sega oscillante ed introdotta attraverso l'incisione precedente. L'osteotomia viene fatta sotto il capitello del primo osso metatarsale con una obliquità medio-laterale.

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Nel quarto tempo questa obliquità permette di effettuare lo scivolamento dei due segmenti ossei e quindi la correzione della deformità: il segmento prossimale è dislocato medialmente, quello distale lateralmente. Si effettua una derotazione sul piano frontale se è presente pronazione del primo dito.

Nel quinto tempo chirurgico il filo di Kirschner viene introdotto attraverso la prima articolazione metatarso falangea in sede intraperiostale, stavolta per ottenere una maggiore stabilizzazione dell'osteotomia.

Il sesto tempo prevede la sutura dell'incisione e la fasciatura del piede con garze e benda elastica. Questo bendaggio, detto “embricato”, viene eseguito mettendo una garza ripiegata per lungo su se stessa in ognuno degli spazi interdigitali; successivamente, i lembi delle garze vengo incrociati a lisca di pesce lungo l’aspetto mediale del primo raggio. Un bendaggio di questo tipo ha solo uno scopo protettivo per la cute poiché la funzione di stabilizzazione è svolta dal filo di Kirschner intraperiostale.

In alcuni casi viene associata alla PDO una osteotomia della falange prossimale dell'alluce secondo Akin che corregge un eventuale valgismo interfalangeo. Questa osteotomia prevede l’asportazione di un cuneo osseo ad apertura mediale in regione prossimale della falange. L'osteotomia è incompleta poiché lateralmente viene lasciato integro il periostio per permettere la chiusura angolare “a cerniera”. Il tutto è stabilizzato con un piccolo filo di Kirschner inserito obliquamente in senso disto-prossimale, da mediale a laterale. L'operazione viene svolta in Day Hospital, dopodiché il paziente viene dimesso e può deambulare con l'ausilio di stampelle e con scarpa di tipo “Talus” per evitare il carico avampodalico nella fase propulsiva.

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